Scritta
per l'iniziativa Lá
Fhéile Pádraig indetta
da Pseudopolis
Yard. Il prompt che ho scelto è la meravigliosa
canzone dei Modena City Ramblers «Qualche
splendido giorno».
(:
*
Qualche
splendida speranza
Remus/Tonks
1925
parole
«Ci
troveremo ancora, sai,
in
qualche splendido giorno».
(Qualche
splendido giorno, Modena City Ramblers)
Aveva
chiuso la valigia con un colpo pigro della bacchetta. Non c'era
nient'altro da portare con sé: pochi abiti logori e sdruciti
di cui
vergognarsi, qualche vecchio libro dalle pagine ingiallite e un
vecchio acquario vuoto.
Era
solo un uomo di seconda mano, lui.
Guardò
la stanza umida che aveva occupato durante l'anno appena trascorso
con uno sguardo imperscrutabile. Osservò il comodino
traballante, il
letto su cui aveva dormito, le tende scure e sciupate che
ondeggiavano lievi. L'aria di Londra che si insinuava dalla finestra
appena dischiuse regalava la sensazione piacevole dell'estate ormai
alle porte. Eppure lui restava lì, immobile, con
l'espressione
appassita di chi si era perduto anche il passaggio della primavera.
Era
stato un anno impossibile.
Il
ritorno di Sirius, i tentativi di riesumare lo spettro di un'amicizia
lasciata a marcire per dodici anni, Grimmauld Place e l'Ordine, la
feroce convinzione di essere ancora utile a qualche scopo, di poter
valere qualcosa – essere più di un uomo con una
vecchia valigia.
«Remus?».
L'improvvisa
intromissione della voce di Tonks nel suo silenzio lo fece
sobbalzare. Strinse addolorato gli occhi, chiuse la finestra e si
preparò ad andarsene con l'intenzione di non voltarsi
più. Non
avrebbe funzionato, lo sapeva bene: aveva tentato di non voltarsi a
guardare ogni cosa che aveva dovuto abbandonarsi alle spalle, ma il
mondo era rotondo e prima o poi si ricongiungeva tutto. Le sue erano
solo fughe senza destinazioni.
La
voce titubante di Tonks lo richiamò al di là
della porta socchiusa.
«Remus,
dobbiamo andare. Mi dispiace».
Prese
la valigia e l'acquario e uscì dalla stanza senza dire
nulla. Tonks
era appoggiata alla parete del corridoio con le mani sprofondate
nelle tasche dei jeans: i segni del combattimento nell'Ufficio
Misteri non erano ancora del tutto svanite dal suo volto a forma di
cuore. C'erano ombre scure sotto ai suoi occhi brillanti, ogni
traccia della sua spavalda vitalità pareva svanita. La
guerra si
protraeva in silenzio da più di un anno, ma Remus sapeva che
Tonks
non aveva ancora avuto la sfortuna di comprenderla, di viverla, di
farsi annientare da essa.
Il
suo battesimo era appena terminato. Non riusciva a pensarlo senza
provare un moto di rabbia nel sapersi tanto incapace dinanzi
all'accaduto. Non c'era nulla da dire, nulla da fare... Tonks avrebbe
dovuto reagire da sé o non avrebbe più reagito.
«Posso
aiutarti?» gli chiese.
Remus
scosse appena il capo e iniziò a scendere le scale. Tonks lo
seguì
senza aggiungere altro.
«Credo
che lascerò quest'acquario in cucina» le disse
poi. «Non è di
alcuna utilità».
«Un
giorno tornerai a prenderlo».
Sulle
sue labbra si dipinse un sorriso mesto. Forse lo avrebbe fatto o
forse no. Al momento la fiducia sbiadita di Tonks non era in grado di
sfiorarlo. Entrò in cucina, appoggiò l'acquario
accanto al
caminetto spento e fece un sospiro stanco. Sentiva lo sguardo di
Tonks penetrargli la nuca.
«Non
aver paura di dire la cosa sbagliata» le suggerì
con voce gentile.
«In questi momenti non ci sono cose giuste da
dire».
«Una
volta un uomo saggio mi ha consigliato di tacere, se si crede di
poter dire una cosa sbagliata».
Remus
camuffò una risata sarcastica in un soffio stretto fra i
denti.
Gliel'aveva detto lui diversi mesi prima, quando lei era rimasta
sconcertata di scoprire la sua vera natura. Ricordava quella sera con
vivida intensità: Tonks era l'unico membro dell'Ordine a
ignorare
che fosse un Lupo Mannaro, e per qualche strana ragione la sola idea
di rivelarglielo gli aveva causato notevoli patimenti.
Eppure
la giovane non aveva mostrato alcun timore, né disgusto
– qualcosa
di cui gli sarebbe sempre stato grato – ma lo stupore le
aveva
impedito di parlare per diversi minuti. Le aveva assicurato che non
aveva bisogno di sentire alcuna risposta... e lei era scoppiata a
ridere. Sei il licantropo meno credibile che io abbia mai
visto,
lo aveva preso in giro. Come puoi dirmi una cosa del genere e
aspettarti che io non rida di te?
Le
era grato anche per quella risata, per le prese in giro e gli scherzi
che ne erano seguiti, per tutte quelle settimane trascorse a
minimizzare la sua maledizione. Non rideva dei pleniluni da quando
aveva terminato Hogwarts e i Malandrini avevano avuto il loro
battesimo, l'ultimo e definitivo addio all'adolescenza.
Si
voltò verso di lui con un sorriso storto.
«Forse
non era così saggio come hai creduto. Di' qualcosa, il
silenzio è
insopportabile».
«L'ultimo
album delle Sorelle Stravagarie è
orribile».
«Bene
a sapersi, eviterò di comprarlo».
«Tu
odi le Sorelle Stravagarie».
«Affatto»
replicò piano mentre si avvicinava a lei con passi lenti.
«Mi è
solo difficile comprendere la sottile differenza che corre fra la
musica e il rumore».
«Ho
preso a calci uomini per aver detto eresie meno imperdonabili,
Remus».
Lui
inarcò appena un sopracciglio.
«Sono
stato preso a calci da donne per aver detto eresie anche più
perdonabili, se puoi crederlo».
Tonks
si lasciò finalmente andare a una risata di sincera
allegria; per un
secondo Remus si illuse che l'ultima settimana non fosse mai
accaduta, che nulla fosse successo, che Sirius fosse ancora malamente
seduto nella poltrona di Orion Black a biascicare calunnie e
improperi a Piton, che lui e Tonks si stessero semplicemente
preparando per un altro turno di guardia all'Ufficio Misteri.
Si
unì a lei in quel vago tentativo di lasciare un po' di
amarezza al
passato, ma la loro risata si spense troppo in fretta e il silenzio
tornò a divorarlo. Tonks sollevò lo sguardo su di
lui e rimase
ferma per qualche istante, scrutandolo con una smorfia strana.
Fu
più lesta di quanto Remus non avrebbe mai potuto pensare: si
mosse
verso di lui, si sollevò sulle punte dei piedi e gli
lasciò un
bacio intoccabile a fior di labbra, rapido e innocente quanto quello
dei bambini. Riuscì a sconvolgerlo più di quanto
non avesse mai
fatto nessun altra donna. Era lui, ora, quello senza nulla da dire.
«L'uomo
saggio mi ha detto di tacere» ripeté in fretta
Tonks. Sulle sue
gote si stava diffondendo un timido rossore. «Ma non mi ha
detto di
non farmi capire».
Remus
aveva capito fin troppo bene. Lo aveva già capito
ben prima
che lei lo baciasse, ben prima che iniziassero ad attardarsi dopo i
turni di guardia solo per chiacchierare un po' di più... lo
aveva
capito, sì, ma aveva cercato di non farlo.
Una
volta, quasi per caso, Sirius gli aveva domando se si sentisse
attratto da lei. Aveva mentito, ma Sirius non l'aveva bevuta e aveva
riso di lui per dieci minuti.
L'attrazione
si era trasformata ben presto in un altro segreto da nascondere al
mondo. Si domandò se lei lo avesse capito. Magari no. Magari
era
solo una giovane con più avventatezza di quanta lui non
avesse
conservato.
Lo
aveva appena baciato. In quel momento avrebbe preferito che lo avesse
davvero preso a calci. Sospirò dolorosamente.
«Ninfadora,
io...».
«Non
dire niente, ti prego» lo interruppe lei con tono afflitto.
«Ho già
capito».
«No,
non puoi aver capito».
Si
sforzò di trovare le parole adatte con cui spiegarle
ciò che
dubitava potesse davvero capire. La maledizione, la guerra, lui e
lei... non c'era nulla di appropriato. La guardò con folle
intensità, desiderando per l'ennesima volta poter essere
qualcun
altro. La amava? Se lo era chiesto al punto tale da dimenticare
quando quel pensiero avesse iniziato a tormentarlo. Forse era
semplicemente così che iniziava l'amore, con infinite
domande alle
quali non si ha il coraggio di rispondere.
Non
le rispose.
Sollevò
una mano e le accarezzò delicato il volto pallido, la
fissò
chiudere gli occhi e inspirare come se in quella cucina fosse appena
passato l'aroma dei fiori sollevato dal vento. Si chinò
sulle sue
labbra e la baciò piano, intrecciando le dita fra i suoi
capelli
rosa senza pensare a nient'altro. Solo per quel momento, solo per
quella volta... un cervello finalmente libero e silenzioso. Sentire
le mani di Tonks appoggiarsi sulle sue spalle e intrecciarsi dietro
al suo collo era di certo la sensazione più dirompente che
avesse
mai provato.
Per
un attimo si sentì felice.
Quando
si scostò da lei, fu come precipitare in un abisso di
desolazione.
«Non
posso farlo».
Tonks
aggrottò la fronte senza capire.
«Non
posso» ripeté ancora lui, senza togliere la mano
dal suo viso.
«Meriti molto meglio di ciò che non potrei mai
offrirti».
Nei
suoi occhi balenò una luce risentita.
«Va'
al diavolo: stai ricominciando con le stupidaggini. Credevo le avessi
lasciate indietro».
Stupidaggini.
È così che le aveva sempre definite. Era lo
stesso modo con cui le
chiamavano James e Lily e Sirius. Stupidaggini e niente più
dell'insano desiderio di uno sciocco di restare da solo. Nessuno di
loro aveva mai capito. Non James, non Lily, non Sirius.
Non
Tonks.
«Silente
ha bisogno che qualcuno si infiltri nei bassifondi abitati dagli
uomini di Greyback» le comunicò con spietata
franchezza. «Sono
l'unico che può farlo».
Tonks
dischiuse appena le labbra, si scostò dal suo tocco e scosse
il capo
come se non credesse a quanto aveva udito.
«Ma
tornerai...».
«Non
lo so».
«Non
era una domanda».
«Meritavi
comunque una risposta». Deglutì a fatica e non fu
più capace di
sostenere il peso del suo sguardo accusatorio. Si affrettò a
voltarle le spalle per raggiungere la porta e aggiunse: «Ti
prego.
Lascia perdere».
Tonks
non si lasciò abbandonare. Gli corse dietro e lo
afferrò con
brutale decisione per un polso.
«La
guerra finirà e il mondo sarà un posto migliore.
Dimmi che ci
credi».
«Non
importa» mormorò, voltandosi con forza verso di
lei. «Il mio mondo
resterà un posto del quale non vorrei facessi parte. Sono un
Lupo
Mannaro. Alla gente non interesserà altro e non gli
interesserà
nulla di te... ti faranno ciò che mi hanno fatto. Non posso
permetterlo».
«Non
quando tutta questa storia sarà finita»
rimarcò ancora Tonks. La
stretta della sua dita si fece più serrata. «La
gente cambierà,
cambieranno le leggi e il mondo e... ti prego. Se
non ci
credi, ti distruggeranno».
«Tu
non sai nulla di guerra e distruzione, Ninfadora».
«No,
ma so che senza speranza potrai solo morire...». Si
conficcò i
denti nel labbro inferiore, tremando appena. «Voglio che tu
sappia
che hai un motivo per cui vale la pena tornare vivo.
Voglio
che torni da me».
Remus
tacque ancora.
«Io
ti amo» confessò semplicemente Tonks, scrollando
le spalle con un
vago sorriso. «Non ti basta?».
Aveva
ragione. Avevano bisogno di un motivo per il quale rimanere vivi. Ne
aveva bisogno lui e ne aveva bisogno lei – più di
quanto lei
stessa non credesse. Era giovane e abile, ma l'inesperienza aveva
già
rischiato di ucciderla. Menti, sussurrò
una voce lesta nella
sua mente. Menti e dalle una possibilità.
«Tornerò»
le rispose con un'ultima carezza. «Te lo prometto».
«Tornerai
da me... o tornerai e basta?».
Dalle
una possibilità.
«Tornerò
da te».
Tonks
sorrise con più serenità e intrecciò
le dita con le sue. Remus si
sentiva schiacciato dal rimpianto. No, non sarebbe tornato, ma lei
non doveva saperlo. Aveva davvero ragione: in quei tempi disillusi
avevano tutti bisogno di sperare.
E
lei... lei era una sua priorità – l'unica, grande
priorità. Era
ciò che più di ogni altra persona avrebbe
protetto.
Un
giorno, forse, in uno di quei splendidi giorni a venire in cui lei
tanto credeva, Tonks avrebbe capito.
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