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Autore: Trick    17/03/2014    2 recensioni
«Il mondo non è diviso in brava gente e Mangiamorte».
Raccolta di drabble, flash-fic e one-shot di mediocre pretesa spudoratamente a caso.
Genere: Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Un po' tutti
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Più contesti
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Scritta per l'iniziativa Lá Fhéile Pádraig indetta da Pseudopolis Yard. Il prompt che ho scelto è la meravigliosa canzone dei Modena City Ramblers «Qualche splendido giorno».
(:




*
Qualche splendida speranza
Remus/Tonks
1925 parole

«Ci troveremo ancora, sai,
in qualche splendido giorno».
(Qualche splendido giorno, Modena City Ramblers)


Aveva chiuso la valigia con un colpo pigro della bacchetta. Non c'era nient'altro da portare con sé: pochi abiti logori e sdruciti di cui vergognarsi, qualche vecchio libro dalle pagine ingiallite e un vecchio acquario vuoto.
Era solo un uomo di seconda mano, lui.
Guardò la stanza umida che aveva occupato durante l'anno appena trascorso con uno sguardo imperscrutabile. Osservò il comodino traballante, il letto su cui aveva dormito, le tende scure e sciupate che ondeggiavano lievi. L'aria di Londra che si insinuava dalla finestra appena dischiuse regalava la sensazione piacevole dell'estate ormai alle porte. Eppure lui restava lì, immobile, con l'espressione appassita di chi si era perduto anche il passaggio della primavera.
Era stato un anno impossibile.
Il ritorno di Sirius, i tentativi di riesumare lo spettro di un'amicizia lasciata a marcire per dodici anni, Grimmauld Place e l'Ordine, la feroce convinzione di essere ancora utile a qualche scopo, di poter valere qualcosa – essere più di un uomo con una vecchia valigia.
«Remus?».
L'improvvisa intromissione della voce di Tonks nel suo silenzio lo fece sobbalzare. Strinse addolorato gli occhi, chiuse la finestra e si preparò ad andarsene con l'intenzione di non voltarsi più. Non avrebbe funzionato, lo sapeva bene: aveva tentato di non voltarsi a guardare ogni cosa che aveva dovuto abbandonarsi alle spalle, ma il mondo era rotondo e prima o poi si ricongiungeva tutto. Le sue erano solo fughe senza destinazioni.
La voce titubante di Tonks lo richiamò al di là della porta socchiusa.
«Remus, dobbiamo andare. Mi dispiace».
Prese la valigia e l'acquario e uscì dalla stanza senza dire nulla. Tonks era appoggiata alla parete del corridoio con le mani sprofondate nelle tasche dei jeans: i segni del combattimento nell'Ufficio Misteri non erano ancora del tutto svanite dal suo volto a forma di cuore. C'erano ombre scure sotto ai suoi occhi brillanti, ogni traccia della sua spavalda vitalità pareva svanita. La guerra si protraeva in silenzio da più di un anno, ma Remus sapeva che Tonks non aveva ancora avuto la sfortuna di comprenderla, di viverla, di farsi annientare da essa.
Il suo battesimo era appena terminato. Non riusciva a pensarlo senza provare un moto di rabbia nel sapersi tanto incapace dinanzi all'accaduto. Non c'era nulla da dire, nulla da fare... Tonks avrebbe dovuto reagire da sé o non avrebbe più reagito.
«Posso aiutarti?» gli chiese.
Remus scosse appena il capo e iniziò a scendere le scale. Tonks lo seguì senza aggiungere altro.
«Credo che lascerò quest'acquario in cucina» le disse poi. «Non è di alcuna utilità».
«Un giorno tornerai a prenderlo».
Sulle sue labbra si dipinse un sorriso mesto. Forse lo avrebbe fatto o forse no. Al momento la fiducia sbiadita di Tonks non era in grado di sfiorarlo. Entrò in cucina, appoggiò l'acquario accanto al caminetto spento e fece un sospiro stanco. Sentiva lo sguardo di Tonks penetrargli la nuca.
«Non aver paura di dire la cosa sbagliata» le suggerì con voce gentile. «In questi momenti non ci sono cose giuste da dire».
«Una volta un uomo saggio mi ha consigliato di tacere, se si crede di poter dire una cosa sbagliata».
Remus camuffò una risata sarcastica in un soffio stretto fra i denti. Gliel'aveva detto lui diversi mesi prima, quando lei era rimasta sconcertata di scoprire la sua vera natura. Ricordava quella sera con vivida intensità: Tonks era l'unico membro dell'Ordine a ignorare che fosse un Lupo Mannaro, e per qualche strana ragione la sola idea di rivelarglielo gli aveva causato notevoli patimenti.
Eppure la giovane non aveva mostrato alcun timore, né disgusto – qualcosa di cui gli sarebbe sempre stato grato – ma lo stupore le aveva impedito di parlare per diversi minuti. Le aveva assicurato che non aveva bisogno di sentire alcuna risposta... e lei era scoppiata a ridere. Sei il licantropo meno credibile che io abbia mai visto, lo aveva preso in giro. Come puoi dirmi una cosa del genere e aspettarti che io non rida di te?
Le era grato anche per quella risata, per le prese in giro e gli scherzi che ne erano seguiti, per tutte quelle settimane trascorse a minimizzare la sua maledizione. Non rideva dei pleniluni da quando aveva terminato Hogwarts e i Malandrini avevano avuto il loro battesimo, l'ultimo e definitivo addio all'adolescenza.
Si voltò verso di lui con un sorriso storto.
«Forse non era così saggio come hai creduto. Di' qualcosa, il silenzio è insopportabile».
«L'ultimo album delle Sorelle Stravagarie è orribile».
«Bene a sapersi, eviterò di comprarlo».
«Tu odi le Sorelle Stravagarie».
«Affatto» replicò piano mentre si avvicinava a lei con passi lenti. «Mi è solo difficile comprendere la sottile differenza che corre fra la musica e il rumore».
«Ho preso a calci uomini per aver detto eresie meno imperdonabili, Remus».
Lui inarcò appena un sopracciglio.
«Sono stato preso a calci da donne per aver detto eresie anche più perdonabili, se puoi crederlo».
Tonks si lasciò finalmente andare a una risata di sincera allegria; per un secondo Remus si illuse che l'ultima settimana non fosse mai accaduta, che nulla fosse successo, che Sirius fosse ancora malamente seduto nella poltrona di Orion Black a biascicare calunnie e improperi a Piton, che lui e Tonks si stessero semplicemente preparando per un altro turno di guardia all'Ufficio Misteri.
Si unì a lei in quel vago tentativo di lasciare un po' di amarezza al passato, ma la loro risata si spense troppo in fretta e il silenzio tornò a divorarlo. Tonks sollevò lo sguardo su di lui e rimase ferma per qualche istante, scrutandolo con una smorfia strana.
Fu più lesta di quanto Remus non avrebbe mai potuto pensare: si mosse verso di lui, si sollevò sulle punte dei piedi e gli lasciò un bacio intoccabile a fior di labbra, rapido e innocente quanto quello dei bambini. Riuscì a sconvolgerlo più di quanto non avesse mai fatto nessun altra donna. Era lui, ora, quello senza nulla da dire.
«L'uomo saggio mi ha detto di tacere» ripeté in fretta Tonks. Sulle sue gote si stava diffondendo un timido rossore. «Ma non mi ha detto di non farmi capire».
Remus aveva capito fin troppo bene. Lo aveva già capito ben prima che lei lo baciasse, ben prima che iniziassero ad attardarsi dopo i turni di guardia solo per chiacchierare un po' di più... lo aveva capito, sì, ma aveva cercato di non farlo.
Una volta, quasi per caso, Sirius gli aveva domando se si sentisse attratto da lei. Aveva mentito, ma Sirius non l'aveva bevuta e aveva riso di lui per dieci minuti.
L'attrazione si era trasformata ben presto in un altro segreto da nascondere al mondo. Si domandò se lei lo avesse capito. Magari no. Magari era solo una giovane con più avventatezza di quanta lui non avesse conservato.
Lo aveva appena baciato. In quel momento avrebbe preferito che lo avesse davvero preso a calci. Sospirò dolorosamente.
«Ninfadora, io...».
«Non dire niente, ti prego» lo interruppe lei con tono afflitto. «Ho già capito».
«No, non puoi aver capito».
Si sforzò di trovare le parole adatte con cui spiegarle ciò che dubitava potesse davvero capire. La maledizione, la guerra, lui e lei... non c'era nulla di appropriato. La guardò con folle intensità, desiderando per l'ennesima volta poter essere qualcun altro. La amava? Se lo era chiesto al punto tale da dimenticare quando quel pensiero avesse iniziato a tormentarlo. Forse era semplicemente così che iniziava l'amore, con infinite domande alle quali non si ha il coraggio di rispondere.
Non le rispose.
Sollevò una mano e le accarezzò delicato il volto pallido, la fissò chiudere gli occhi e inspirare come se in quella cucina fosse appena passato l'aroma dei fiori sollevato dal vento. Si chinò sulle sue labbra e la baciò piano, intrecciando le dita fra i suoi capelli rosa senza pensare a nient'altro. Solo per quel momento, solo per quella volta... un cervello finalmente libero e silenzioso. Sentire le mani di Tonks appoggiarsi sulle sue spalle e intrecciarsi dietro al suo collo era di certo la sensazione più dirompente che avesse mai provato.
Per un attimo si sentì felice.
Quando si scostò da lei, fu come precipitare in un abisso di desolazione.
«Non posso farlo».
Tonks aggrottò la fronte senza capire.
«Non posso» ripeté ancora lui, senza togliere la mano dal suo viso. «Meriti molto meglio di ciò che non potrei mai offrirti».
Nei suoi occhi balenò una luce risentita.
«Va' al diavolo: stai ricominciando con le stupidaggini. Credevo le avessi lasciate indietro».
Stupidaggini. È così che le aveva sempre definite. Era lo stesso modo con cui le chiamavano James e Lily e Sirius. Stupidaggini e niente più dell'insano desiderio di uno sciocco di restare da solo. Nessuno di loro aveva mai capito. Non James, non Lily, non Sirius.
Non Tonks.
«Silente ha bisogno che qualcuno si infiltri nei bassifondi abitati dagli uomini di Greyback» le comunicò con spietata franchezza. «Sono l'unico che può farlo».
Tonks dischiuse appena le labbra, si scostò dal suo tocco e scosse il capo come se non credesse a quanto aveva udito.
«Ma tornerai...».
«Non lo so».
«Non era una domanda».
«Meritavi comunque una risposta». Deglutì a fatica e non fu più capace di sostenere il peso del suo sguardo accusatorio. Si affrettò a voltarle le spalle per raggiungere la porta e aggiunse: «Ti prego. Lascia perdere».
Tonks non si lasciò abbandonare. Gli corse dietro e lo afferrò con brutale decisione per un polso.
«La guerra finirà e il mondo sarà un posto migliore. Dimmi che ci credi».
«Non importa» mormorò, voltandosi con forza verso di lei. «Il mio mondo resterà un posto del quale non vorrei facessi parte. Sono un Lupo Mannaro. Alla gente non interesserà altro e non gli interesserà nulla di te... ti faranno ciò che mi hanno fatto. Non posso permetterlo».
«Non quando tutta questa storia sarà finita» rimarcò ancora Tonks. La stretta della sua dita si fece più serrata. «La gente cambierà, cambieranno le leggi e il mondo e... ti prego. Se non ci credi, ti distruggeranno».
«Tu non sai nulla di guerra e distruzione, Ninfadora».
«No, ma so che senza speranza potrai solo morire...». Si conficcò i denti nel labbro inferiore, tremando appena. «Voglio che tu sappia che hai un motivo per cui vale la pena tornare vivo. Voglio che torni da me».
Remus tacque ancora.
«Io ti amo» confessò semplicemente Tonks, scrollando le spalle con un vago sorriso. «Non ti basta?».
Aveva ragione. Avevano bisogno di un motivo per il quale rimanere vivi. Ne aveva bisogno lui e ne aveva bisogno lei – più di quanto lei stessa non credesse. Era giovane e abile, ma l'inesperienza aveva già rischiato di ucciderla. Menti, sussurrò una voce lesta nella sua mente. Menti e dalle una possibilità.
«Tornerò» le rispose con un'ultima carezza. «Te lo prometto».
«Tornerai da me... o tornerai e basta?».
Dalle una possibilità.
«Tornerò da te».
Tonks sorrise con più serenità e intrecciò le dita con le sue. Remus si sentiva schiacciato dal rimpianto. No, non sarebbe tornato, ma lei non doveva saperlo. Aveva davvero ragione: in quei tempi disillusi avevano tutti bisogno di sperare.
E lei... lei era una sua priorità – l'unica, grande priorità. Era ciò che più di ogni altra persona avrebbe protetto.
Un giorno, forse, in uno di quei splendidi giorni a venire in cui lei tanto credeva, Tonks avrebbe capito.
   
 
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