CAP.17
GELOSIA ____
- Nath? -
Mi
chiamò e ripresi un po’ di lucidità. Mi
accorsi che
eravamo nella sua camera, più precisamente io alla porta e
lei dentro. La stavo
fissando da qualche minuto mentre lei era in attesa di una mia mossa.
Ero
perfettamente conscio di ciò che sarebbe successo di
lì a poco, eppure non ero
per nulla agitato. Anzi, ero calmissimo. Allora perché ero
lì imbambolato? Leah
inclinò la testa di lato e mi sorrise. Poi alzò
una mano e si sciolse i
capelli, liberando i ricci che ricaddero sulle spalle. Si
liberò anche degli
orecchini ma non della collana. La mia collana a forma di tigre, che si
era
messa poco prima di entrare in casa. Le donava davvero molto.
Allungò la mano
verso di me invitandomi ad entrare. La afferrai e lei
intrecciò le sue dita
alle mie. Appoggiò la mano libera sul mio petto facendola
scorrere verso la
spalla e liberandola dalla giacca, poi iniziò a sbottonarmi
la camicia. La
guardai slacciare i bottoni, ma la poca luce che filtrava dalla
finestra, non
mi permise di vedere bene il suo viso. Alzò lo sguardo
accorgendosi che la
stavo osservando.
-
Che c’è? -
Scossi
la testa e sorrisi accarezzandole il volto.
-
Nulla. -
E
la baciai stringendola a me. Mi liberai della giacca e
iniziai a slacciale la cintura che le legava la vita mentre lei finiva
di
sbottonarmi la camicia per poi togliermela. Una volta che le tolsi la
cintura, le
accarezzai i fianchi e la feci voltare con lo scopo di slacciarle il
tubino.
Percorsi la schiena con una mano mentre col l’altra le
spostavo i capelli di
lato, liberandole il collo ma, soprattutto, il neo. Ci appoggiai le
labbra
sopra e la sentì rabbrividire. Mi spostai dal collo
all’orecchio,
mordicchiandolo appena, mentre con l’altra mano le abbassavo
la zip del tubino,
ma fui interrotto. Mi spinse delicatamente col bacino, facendomi
indietreggiare
di qualche passo. La guardai interrogativo e lei mi rispose con un
sorriso
voltando appena il viso verso di me, senza girarsi del tutto. Le
osservai la
schiena, appena visibile, e ritrovai il tatuaggio che scorsi appena
quel giorno
nella palestra della scuola. Erano tre ideogrammi giapponesi, uno in
fila
all’altro in verticale, lungo tutta la colonna vertebrale
lombare. Non le
chiesi cosa volessero dire, non era il momento. Oltretutto, si era
appena tolta
il tubino restando in intimo e in autoreggenti ….
autoreggenti …. nere …. e
intimo nero …. però! La sentì ridere
per la mia espressione e, finalmente, si
voltò permettendomi di vederla. Era bellissima. Si
avvicinò a me e iniziò a
slacciarmi i pantaloni. La lasciai fare.
-
Leah? -
-
Mh? -
-
…. No, nulla. -
Non
saprei dire da quanto tempo aspettavo questo momento:
il momento in cui avrei potuto sentirla mia. Era come se stessi vivendo
un
sogno. Avevo la mente offuscata, non riuscivo a pensare razionalmente e
mi
stavo abbandonando all’istinto. La vista era annebbiata, solo
il suo viso mi
era del tutto chiaro. Vedevo e sentivo solo lei, solo la sua voce e il
calore
della sua pelle. Il suo respiro e il mio erano mescolati, non saprei
distinguerli. Anche l’ambiente intorno a noi non aveva
più un senso. Ero sopra
di lei, nel letto, che la baciavo con foga, che percorrevo il suo corpo
con una
mano, afferrandole una coscia e sollevandola facendola incastrare
nell’incavo
del mio gomito, mentre con l’altra giocavo coi suoi seni, per
poi scendere.
Sempre più giù, fino a trovare la sua
intimità e iniziare a giocare anche con
quella. Lei respirava affannosamente. Mi stringeva a sé
intrecciando le dita
nei miei capelli mentre con l’altra mano mi afferrava una
spalla. Dopo poco,
inarcò la schiena e liberò le labbra dalla mie,
in modo da dar sfogo al piacere
mentre io continuavo e le baciavo il collo e la spalla. Un gemito
più forte, mi
fece perdere la testa e non resistetti più. Entrai in lei,
afferrandole con una
mano il bacino e spingendolo di più contro il mio. Ed
iniziai a muovermi. Dopo
qualche minuto, si liberò dalla mia presa con
agilità e invertì le posizioni.
Stavolta ero io sotto di lei. Rimase ferma, a cavalcioni, a guardarmi
per un
istante. Io capì e mi misi a sedere, aiutandola ad
intrecciare le gambe dietro
la mia schiena. I nostri visi erano ad un soffio di distanza
l’uno dall’altra.
Le liberai il viso da una ciocca di capelli, accarezzandola dolcemente.
Era
coperta di sudore, ma era sempre bella. Le sorrisi e lei anche.
Baciandola, le
afferrai la schiena con una mano, in modo da non farle perdere
l’equilibrio e
ripresi a muovermi. I gemiti di entrambi, divennero sempre
più insistenti,
veloci ma ritmici. All’unisono. E sempre
all’unisono, raggiungemmo l’apice.
Mi
rivestì, poiché, senza rendermene conto, erano
arrivate le 3 di notte. Dopo aver finito di fare l’amore, io
e Leah
chiacchierammo a lungo del più e del meno per poi
addormentarci abbracciati l’uno
all’altra. Quando mi svegliai e controllai l’ora
alla sveglia posta sul
comodino, mi alzai e iniziai a vestirmi sperando di non svegliarla.
Cosa che
non avvenne.
-
Stai andando via? -
Mi
voltai verso di lei e le sorrisi. La ragazza si mise a
sedere e accese l’abat-jour, accecandomi per un istante.
-
Sì. Si è fatto tardi. -
-
Ho visto. Aspetta, ti stai allacciando male la camicia.
-
E
si alzò, avvicinandosi a me per allacciarmi meglio la
camicia. Arrossì e distolsi lo sguardo da lei mentre
procedeva ad allacciarli.
-
Ah… grazie. -
-
Prego. -
Strano.
Non dovrei sentirmi in imbarazzo, dopo quello che
è successo. Proprio no! Eppure… al solo pensare
quello che era successo,
sentivo la faccia in fiamme. Sentì Leah darmi una pacca
sulla spalla e tornai a
guardarla.
-
Fatto. Ora puoi andare. -
-
Ok. -
Raccolsi
la giacca e la indossai. Poi scesi al piano di
sotto, accompagnato da Leah e recuperai anche il cappotto, indossandolo.
-
Allora, ci vediamo domani? -
-
Domai? Ormai è già domani. -
-
Oh… si, in effetti… -
Rise.
Risi anch’io, imbarazzato, e mi grattai la nuca. Lei
mi guardò sorridente, piegando la testa di lato.
-
Sarò in ospedale tutto il giorno. Raggiungici verso
sera, se vuoi. Fanno i fuochi d’artificio a mezzanotte e
dalla balconata dell’ospedale
si vedono bene. -
-
Già. È capodanno. Va bene, vi
raggiungerò. -
Sorrise
e si avvicinò per baciarmi. Mi chinai e ricambiai
il bacio, accarezzandole il viso. Dopo esserci staccati,
afferrò il colletto
della camicia facendomi chinare ancora di più e avvicinando
le labbra al mio
orecchio.
-
Questa camicia la dovrai indossare solo in mia
presenza. Intesi? -
Deglutì.
- V-va bene. -
La
sentì sorridere e mi leccò l’orecchio,
per poi
allontanarsi.
-
Vai a casa, ora. -
La
guardai. Poi risi e mi avvicinai a lei. Stranamente,
lei indietreggiò ma venne bloccata dal muro. Le
impedì ogni via di fuga
poggiando le braccia al muro dietro di lei e guardandola intensamente
senza
smettere di sorridere. Sarà da differenza di altezza (ero
più alto di lei di
tutta la testa), sarà per l’intensità
del mio sguardo, ma finalmente, fui io a
farla arrossire. E non per l’imbarazzo. Mi avvicinai ad un
soffio dalle sue
labbra.
-
È gelosia la tua? -
-
Proprio per niente. -
Sorrisi
ancora. Poi la baciai di sfuggita e uscì.
La
felicità e la perfezione di quel momento non durarono
molto. Purtroppo per me, venni destato dal mio brodo di giuggiole da
Ambra. La mia
adorata sorellina mi aveva aspettato per tutta la notte seduta sulla
poltrona
in sala e mi raggiunse in corridoio non appena varcai la soglia di
casa.
-
E tu che ci fai ancora sveglia? -
-
Silenzio! Qui le domande le faccio io. Ti sembra questa
l’ora di rientrare a casa? -
Sospirai
infastidito e mi tolsi il cappotto appendendolo
all’attaccapanni.
-
Piantala, Ambra. Non sei nelle condizioni di farmi la
predica. -
-
Oh si invece, dato che in questa casa sono l’unica a
cui interessa la vita privata di mio fratello! -
-
Ecco, appunto. Vedi di farti gli affari tuoi e fila a
letto. -
La
scostai non troppo gentilmente e feci per dirigermi in
camera mia, ma Ambra mi si piazzò davanti mettendosi nella
sua classica posa di
sfida: peso su una gamba, una mano sul fianco e con l’altra
prima si scostò una
ciocca di capelli per poi puntarmi il dito contro.
-
Mi sto facendo gli affari miei! Non posso permettere
che mio fratello vada in giro a fare chissà cosa fino alle
tre di notte con una
poco di buono! -
“Una
poco di buono”? Aggrottai le sopracciglia e sentì
il
sangue iniziare a ribollirmi nelle vene.
-
Finiscila qui, Ambra, prima che sia tardi. -
-
O-oh! Altrimenti che fai? Mi metti le mani
addosso? Ma che
diavolo, Nath! È da un po’
che ti comporti in modo strano! È colpa di questa qua? Eh?!
Ti sei fatto
abbindolare dalla prima che passa?! Chi diavolo è questa
puttana con cui ti
vedi?! -
Fino
a qualche mese fa, non avrei reagito alle sue
provocazioni. L’avrei lasciata sbraitare ignorandola.
Finchè se la prende con
me, va bene. La lascio parlare. Ma non deve osare nominare Leah.
Soprattutto con
certi termini. Infatti, non ci vidi più. E con sua enorme
sorpresa, le afferrai
il colletto del pigiama e la sbattei al muro. Dovetti farle male,
perché la
sentì gemere e quando riaprì gli occhi, la sua
espressione mutò. L’aria di
sfida si tramutò in terrore. Aveva paura di me.
-
Devi stare zitta. Non nominarla. Non pensarla nemmeno. Prova
un’altra volta a parlar male di lei, anche solo una, e ti
giuro che non avrai
più un bel visino. Intesi? -
Non
urlai. La mia voce era calma. Ferma. Forse fu questo
a far paura ad Ambra, che annuì con le lacrime agli occhi.
La guardai ancora
per qualche secondo, poi la lasciai ed entrai in camera mia chiudendo
la porta
ed impedendo al suo sguardo di seguirmi ancora.
Note:
Che dire… assolutamente niente! Questo capitolo mi
è piaciuto molto scriverlo. Nathaniel
è… ditemelo voi com’è.
Fatemi sapere cosa
ne pensate, di lui, di Leah, di Ambra e della situazione che si
è creata. Così
potrò capire se sono riuscita a farvi conoscere il mio Nath
e la sua storia ^^
un bacio. Ciao ciao e alla prossima! Grazie per aver letto!
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