CAP 20 -veleno di luna: driade dei fiori polari
“
Io, ti adoro al pari della volta notturna,
o vaso di
tristezza, o grande taciturna,
e
t’amo tanto più che mi sfuggi , bella,
e tanto che
mi sembri, ornamento delle mie notti,
accumulare
più ironicamente le leghe
che
separano le mie braccia dalle immensità azzurre.”
(
C. Baudelaire)
C’era una volta, nel grande Nord degli oceani
ventosi e algidi, una
landa sconfinata e muta.
Nessun lacrima di vita osava nascere in quella marea bianca di morte e
verginità d’inedia…L’oblio
fiaccava speranze di fantasia abbracciandosi a un
cielo che rendeva il Sole un viandante inaffidabile…Durante
le estati il giorno
si oppiava in un sonnambulismo rosato e spoglio di canzoni
dorate…Durante gli
inverni la notte gocciolava una salatura d’aceto che flautava
per giorni
interminabili…
- Guarda,
piccola…guarda questi colori…non
sono incredibili?
Pericle
coccolava i
boccioli dei roseti con mano delicata e possente…
La figlioletta era
innamorata del suo viso di latte fresco, assottigliato da una fatica
cristallina,
accaldato da un sorriso di falegname…Non
esistevano che quegli occhi marrone scuro come castagne montane, che
quel naso
solido e un pochino arcuato di dantesca malinconia…Non
esistevano che quei
capelli lunghi rosso sangue, corde di un mandolino acuto e frangibile.
Un giorno un uomo dalla
bellezza
imponente, esausta e perspicace decise
di soverchiare le leggi del gelo e della morte.
Egli era medico, botanico, mago. Era uno scienziato rivoluzionario.
Proveniva dall’Islanda dei vulcani bianchi ma aveva appreso
le sue conoscenze
nella terra dei numi d'Olimpo: la Grecia che regnava sul turchese Egeo.
Nel curare le genti delle steppe, residenti in villaggi dalle tende
emaciate, bramò di creare una città
nuova… Un paradiso di verdi meraviglie.
Nel cielo si
fluidificavano
il blu e il nero della notte polare, eppure le rose erano incandescenti
nelle
loro lamelle da conchiglie bianche, rosse, gialle che piangevano
neonate…Le
foglie dei cespugli mostravano tumidi
disegni di striature, lische di pesci smeraldini e
paffuti…La bambina si
divertiva a crederli copri capi di
selvaggi che
ascoltavano il papà, il
sovrano di quel giardino concepito con aritmetica armonia…
- Questi
profumi non puoi vederli – rivelò
Pericle – non
puoi toccarli ma volano
nell’aria troppo fredda e portano luce.
La piccola lo studiava in
silenzio, con la coda di cavallo che guizzava in un instabile splendore
scarlatto.
I suoi iridi chiarissimi
erano stagni argentati di comete che
tastavano ogni meraviglia, ogni respiro che si elevava
misterioso sotto
la volta della Groenlandia.
Si grattava le guance
lunari e finemente floride per scrollarsi un pulviscolo di
perplessità…Voleva
avvicinarsi al padre, vedere il giardino dalla prospettiva trionfale
della sua
altezza…
Si sentiva smarrita immersa
in quegli enormi bulbi contaminati dalle camme delle rose, girandole di
fazzoletti che non spiegavano ancora ricami
ammorbidenti…
Era
quello lo scopo della
bellezza? Colmare l’animo d’ infinito per svelare
la piccolezza delle mani che
non afferrano mai pienamente?
Il
nobile Archiatra chiamò altri sapienti e abili artigiani e,
assieme
alle loro maestrie, prese a erigere, sulle spianate ibernate ,
luccicanti
palazzi e dimore: stradine perfette e vellutate tracciarono il suolo e
robusti mattoni offrirono
mura in cui
scaldarsi e gioire.
Il miracolo che sfavillò al di sopra di ogni sogno fu la
creazione di
un’immensa struttura, un tempio a cielo aperto che
cullò impensabili organismi…
Un diadema di giardini lasciò schiudere
etnie floreali, lacrime di
arcobaleno che rifulgevano le cromature più disparate. In
quel tripudio
d’anomala primavera, spiccavano principesse dalle
impareggiabili vesti
olezzanti…
Erano le rose, gonfie e insaziabili di morbidezza.
-
Papà…voglio vedere tutto il giardino!
Pericle
si avvicinò alla
figlia e la sollevò imprimendole un bacio sul viso.
Lei gli avvolse il
braccino attorno alle forti spalle e
finalmente poté
contemplare quella selva
che si stendeva a forma di falce similare a un maremoto di pacifico
silenzio… All’orizzonte,
su una collina cotonata di quadrifogli e menta, si ergeva un tempio
latteo
dalle colonne corinzie e ioniche…Sotto il tetto, di tegole e
coppi rosati,
sonnecchiava una nicchia in quarzite che ospitava una statua di
Artemide, la
gemella di Apollo regina dei boschi e della luna
- Allora?
– domandò l’uomo alla piccina
–
come ti sembrano le rose adesso?
- Sono tante chiocciole
che dormono e che
hanno il colore della frutta e delle
farfalle…C’è rosso, giallo, rosa,
bianco…
La
bimba girava il faccino
da una parte all’altra incantata ma al contempo buffamente
dispiaciuta…Tentava
di scrutare qualcosa che non riusciva a materializzarsi…
Il padre la scosse con
tenera curiosità:
- Cosa cerchi, tesoro?
Pari preoccupata.
La
figlia piegò la bocca
severamente.
- Mancano le rose blu.
Il mago dell'Islanda coltivò la corolla di ciascun fiore
affinché la
gente potesse gustarne gli aromi e proteggersi dai malanni
corporali…Nei petali
e negli steli ricavava la linfa di efficienti decotti e unguenti
trovando le
somme per comporre note sconfinate di profumi…
Il più speciale lo creò dall’essenza di
virgulti caldi di uno spessore
che pareva fatto di glassa ma anche dell'asprezza tersa del
vetro…Donò la
fragranza delle rose blu all’unico astro che mai si spegneva:
la sposa che
attendeva l’arrivo
della loro piccola.
Pericle rise uguale a
un
ruscello che rabbrividisce tra la primavera e l’inverno, con
la brizzolata
gioia di trascinare petali o satinarsi di ghiaccio.
- Il blu
è il tuo colore preferito?
-
Beh…- rispose la piccolina- non
proprio…tutte le luci profumano e quando giochi con loro
nessuna è identica
all’altra…il blu però è la
pittura più strana.
-
Perché?
- Brilla
molto ma è un po’ triste…è
lo
stesso di quando tu chiudi le finestre della mia camera e dai la
buonanotte…non
ci sei più e rimango sveglia…poi sento il rumore
del mare che spacca le rocce e
ho paura.
Il
padre pizzicò la gota
alla bimba:
- Il blu è un
colore un po’ difficile da
capire.
- Secondo te nasconde
qualcosa, papà?
- Chissà…può
darsi…a me piace immaginarlo
come la sera.
- Cioè?
- È dolce
visto che non ha il nero della
notte più buia ma…devo ammettere che ha anche la
freschezza dell’aurora…sorride
dopo che il sole va a dormire e piange prima che lui spunti.
- Ma allora il blu ha
paura del mattino?!
- In un certo
senso…teme di sbiadire, di
sciogliersi.
- Tale e quale a un lago
che si secca?
- Già…oppure
può somigliare ad una
galassia che si ritrova senza stelle.
- Che si deve fare per
tranquillizzarlo?
- Fargli vedere fiamme
senza bruciarlo,
fargli sentire solo caldo e lasciarlo giocare con l’oro delle
candele.
- Crescono
così le rose blu?
- Sì.
- La mamma faceva come te?
- La mamma…era
una rosa blu.
Aspasia fu la prima che
godette della magia di quel fiore un po’
inquieto, indeciso di folgorare oltre il crepuscolo o al confine
dell’alba…Era
di un colorito cupo, abbacinante , di una liscezza antica e vagamente
impolverata.
Incuteva ansia ma amore illimitato…Profondo:
l’immensità affaticata e
devota del marito.
La giovane donna non cessò mai di aspergersi di
quell’aroma,
accompagnare con i suoi incantesimi, l’impossibile
città di fiori
che si plasmava contro ogni perturbazione
d’atomi congelanti.
Adorava il suo Archiatra e la gemma che custodiva nel grembo.
- Vieni,
piccola…credevi mi fossi dimenticato
del tuo regalo?
Pericle
solcò i flussi maculati
dei fiori, beccheggiando nella sfocatura luminosa di una tela
impressionista. Nessun
petalo si fendeva o precipitava dagli steli…La sua pesante
tunica opalina
frusciava quasi impercettibile, cospargendo un gratinato odore di
mandorla e
cera di candele.
La figlia monitorava
quella remata refrigerante, con l’entusiastica illusione di
volare tra lo
spettro terrestre e celeste simile a una farfalla di brina.
Intanto il tempio di Artemide
si avvicinava leggerissimo, di una nebbiosità farinacea,
d’ovatta…
- Mi stai accompagnando
dalla mamma?
L’uomo
ombreggiò con
dolcezza le sopracciglia.
- A quanto pare hai
scoperto dove la
proteggo.
- Vedo che ogni mattina
porti delle
ampolle speciali…le stesse che usi per innaffiare i fiori
più rari.
- Posso o
non posso creare il tuo giardino degli
incantesimi?
La
piccina abbassò lo
sguardo con un’afflizione imbarazzata.
- È per non
farla piangere, vero?
- Cosa vorresti dire?
Aerarono attimi di
silenzio.
Solo le gambe lunghe di
Pericle crepitavano tra i fiori, giungendo al pronao del santuario
selenico.
- Papà…è
colpa mia?
L’uomo
posò a terra la
bambina…la guardò sospirando con delicata
severità, posando le mani sui fianchi:
- Quante volte ti ho
ripetuto che non devi
dire queste cose?
La
figlia si attorcigliò i
capelli attorno alle dita per legare i tremolii che le peregrinavano
dentro.
- Non voglio che la mamma
sia arrabbiata
con me.
- La mamma ti ama tanto.
- Ma io…le ho
avvelenato la pancia.
Nel mese
di marzo, sotto il candore pietrificato del sole primaverile,
la giovane avvertì la bambina agitarsi impaziente…
Era giunto il momento.
L’addome cercò di cullare il dolore, accogliere le
spinte soffici della
nuova vita ma qualcosa di sinistramente
corrodente inquinò quella discesa.
Un profumo pungigliato di foglie frastagliate, petali che evaporavano e
si materializzavano sericei in una squartante
ariosità…
Frastuoni liquefatti, magmatici e annichilenti come la leggerezza
tramortente dell’assenzio trivellarono
la
linfa del ventre…
L’Archiatra, disperato, si vide sfuggire dalle mani la luce
argentata
degli occhi di Aspasia: il talento lenitivo che gli scorreva
nell’animo si
congiunse al ruscello di lei che s’essiccava eguale ad una
sirena moribonda su
una baia.
Una creatura di
piangente veleno affiorò
dalla
soave spelonca martoriata.
- Tu non puoi avvelenare
la vita. La
difendi.
Pericle
sorrise alla
figlia chinandosi e
afferrandole il
visetto tra le mani.
- Il mio
sangue…- balbettò lei – ha il
veleno…e io…io… posso fare male alle
persone.
- Il tuo sangue
è speciale e io lo sto
trasformando…Diventerà presto dolce
perché ha la brillantezza delle rose…il
loro potere.
- E
…guarirò?
- Tu non sei malata.
- Che cosa
c’ho, allora?!
- Una bellezza da
liberare. Un profumo che
diventerà blu e volerà
bianco.
La bimba si lasciò
prendere dalla mano del padre che la guidò sotto la volta
cassettata della
navata centrale.
Sotto il naos di
Artemide, stava una
botola che respirava
acqua tremolante che in realtà era una scacchiera sudante di
quarzi blu.
Pericle
tracciò su di essa
un’invisibile linea d’aria…
Le pietre si sciolsero in
un ingorgo scuro che svanì per far comparire una rampa di
scale granitiche.
La piccola venne accompagnata
adagio nel silenzio scrosciante di marmo lucido.
Al
termine della gradinata
si aprì un immenso atrio circolare: un lago che
s’opacizzava in schiuma
lattescente per tornare a farfugliare note limpide…mare che
si mischiava a
panna disciolta, crema di ghiaccio che si fondeva a lacrime
adamantine…Al centro
un piedistallo cilindrico con la statua in alabastro di una bellissima
donna: Aspasia-Artemide, una creatura dai lunghi
capelli avvoltolati
in una treccia ventosa e un viso dagli occhi grandi, obliqui,
leggermente
proiettati verso i riflessi dell’acqua..
La
tessitura più
spettacolare era data dalla
rigonfia
cintura di rose blu che orlavano il bordo del bacino simili a gusci di
molluschi di zaffiro o a trombe di tritoni…
Alcuni boccioli parevano
muoversi come ieratiche membra di mantidi, altri si vergognavano a
schiudere le
loro vellutate sottane…
La bambina si accorse che
dalle colonne corinzie che reggevano il soffitto pendevano
strascichi di edera e altre rose
blu…tante driadi che scuotevano chiome ornate di fermagli
preziosi…Parevano
sporgersi dolcemente per darle il benvenuto e giocare nella fragranza
misteriosa delle corolle.
La cupola della stanza era
di vetro possente ricamata con l’effige di una rosa
geometrica che orientava le
cromature della notte e dell’aurora
boreale.
Pericle
vezzeggiò i
capelli della figlia:
- Nel tuo sangue
c’è il veleno, è vero…ma
il rosso userà il suo profumo per proteggere le cose belle e
la luce.
- Ma sarò
sempre…velenosa?
- Tu sei una rosa e
dovrai usare le spine
per difendere le persone…il veleno sarà veleno
solo per chi vorrà fare del
male.
- Riuscirò a
far nascere fiori?
La
bambina sorrise ansiosa
e un po’ oscillante…
Il padre rispose con un
calore enigmatico e sidereo.
- Tu continuerai a far
nascere i fiori…sei
bianca come la luna e ti muovi guardando il sole e correndo attorno
alla
terra…tu sei Artemis. La mia Artemis…la driade
delle rose.
La fiaba terminava e lei
imbruniva d’immobilità…
La fiaba scoloriva e lei smarriva neve nella gola…
Il passato era fantasia
boreale: elettroni di sole si scontravano con
la ionosfera terrestre per folgorare strascichi fluorescenti e disgregarsi nel nero.
Compariva il vero suolo, il
vero ghiaccio…
Una lapide luccicava con un altorilievo che rappresentava una rosa e
due asfodeli intrecciati ad essa.
E lei tornava.
Senza riverberi. Senza ritornelli da cantare.
Lontana…
Era la custode di una canzone vecchia che ripeteva
nella mente per
imbrattarsi di una luce divenuta menzognera: il desiderio
di incontrare suo padre…suo padre
troppo sottoterra e troppo in cielo per prenderla in braccio.
Ormai era una regina. Un demone dalle ossa di quarzo
latteo, dal sangue
di sulfuree bacche, dalla pelle di serica
nebbiosità…
Era una dea con una maschera azzurra e bianca come urla acquatiche di
geyser…Gli stessi riflessi ruscellavano lungo le superfici
piallate di una
panoplia d’argento: un bustino ornato da vortici
d’ulivo rinchiudeva un torace
sottile; una cintura di sibilanti foglie d’eucalipto si
avviticchiava alla
pendenza sinuosa di fianchi fermi ma danzanti;
gambali a forma di felci avvolgevano, simili a code di
pavoni , due
cosce da silfide ; un paio di parastinchi, che riproducevano ventagli
d’acanto,
esaltavano l’esilità dei polpacci e delle caviglie.
Erano una guaina di sovrannaturale e salina
angelicità… Un’opera che
lumeggiava tra il medievale arabismo veneziano e la finezza
dell’algidità romanica.
L’armatura della Driade Polare.
Lo splendore insonoro e affilato che rivestiva un nome.
Un’anima trasmigrata in brume di cenere:
Artemis.
Ormai era una regina.
La protettrice di una città in rovina.
Il paradiso costruito da Pericle , con miracolosa e devota fatica, era
stato devastato sette anni prima dalla
selvatica ingordigia di tribù rivali: guerrieri accecati da
un cinico
pragmatismo di conquista, incuranti dell’essenza veritiera
della
bellezza…Assassini immuni ai bagliori di un regnante che
come armi adoperava la
musica dei fiori e l’intelligenza delle parole più
solide.
“
Padre…” rifletté baritonale
la ragazza “la tua nobiltà non
è
servita a salvare Calleos, te, me…mi hai dato la tua anima
creando un paradiso,
sei stato un faro fondamentale per Aphrodite, cercavi di erigere dighe
per
stagnare il dolore e allontanarlo da noi…Tu eri il primo a
ingannare. Volevi
essere speranzoso ma
dentro non hai mai
scordato la rassegnazione di vivere in un mondo controverso. Hai solo
trasmesso
sogni per fuggire.”
Il Palazzo della Neve
d’Oro, il centro cardiaco di Calleos, bruciava il cristallino
scheletro di
architravi gotiche e colonne floreali…Le fiamme azzannavano
le pareti simili a
caimani preistorici lacerandone la carne calcarea, ondeggiando grida di
carbone
tartareo …Prendevano le sembianze di una folla fanatica di
preganti che si
piegavano e si alzavano ai ritmi di una folle invocazione di
distruzione…
I legni carbonizzati
crollavano analoghi a carogne di nibbi fulminati.
La coltre di fumo
strangolava ogni urlo violentando l’aria che tentava di
evacuare dai polmoni…Un
grigiore intenso s’infilava nelle narici ingrassando il
sangue, scotennando le
cellule della testa…
Una narcosi di panico si
dipanava verso le alture offuscate del cielo.
Un
uomo e due ragazzini
tentavano di difendere
quell’ultimo
pezzo di muscolo della città.
- Artemis! Aphrodite!
Fuggite!
Pericle
s’inginocchiò sul
pavimento della sala centrale.
La vista gli traballava
anche se riusciva a distinguere le macchie del suo sangue che
chiazzavano le
mattonelle spaccate.
- Padre!
- Basileus!
Immediatamente
la figlia e
l’apprendista cavaliere lo
affiancarono
per sollevarlo...
Le loro mani si lordarono
dei macabri rantoli che il torace carpiva
dal
cuore…l’ultima sonata che
si preparava ad esplodere…
- Stanno facendo a pezzi
tutto…- balbettò
il ferito- è incredibile che la stupidità
rachitica riesca a distruggere un
universo…ma sono stato io il primo imbecille a
dimenticare che gli uomini adorano essere bestie...
-
Padre! Penseremo io e il mio allievo a
distruggere la Tribù di Danzica!
- Artemis…non
ce la potete fare…è inutile.
Aphrodite,
pervaso dallo
spavento e dal coraggio, protestò:
- Signore! Io e la
Maestra Artemis creeremo
una marea di rose velenose contro i nemici! Moriranno tutti!
- Custodite il vostro
veleno per curare i
sopravvissuti…
Artemis
si strinse di più
al padre, esclamando:
-
Calleos
sta per morire!
-
Gli
uragani non si possono fermare…sono
vento ottuso, cieco…credi guarderanno due poveri fiori che
tentano di difendere
una serra di cristallo?
L’apprendista
cavaliere
sgranò gli occhi azzurri in una glaciazione luttuosa .
- Allora…è
stupido combattere?
Pericle
reclinò il capo in
avanti, cercando di suggere un ossigeno ormai affranto…
Artemis gli raccoglieva
moribonde salivate di luce dagli
occhi.
- È stupido
avere delle rose? – insisté il
ragazzino – le piante che abbiamo fatto
nascere…sono roba stupida che non è
capace di resistere a niente?!
- Stai zitto! –
esclamò la fanciulla –
abbiamo versato tanta acqua per far sbocciare microbi
senz’anima?! Non dire idiozie e
aiutami a mettere al sicuro il nostro re!
- Andatevene
via…Artemis…
L’uomo
allontanò con aspra
e dolce premura la figlia e l’allievo.
- Non fermatevi
– fece con voce ingrinzita
dal gelo – lottate…lottate senza diventare
assassini…senza diventare giudici
sleali…Siate guerrieri, non selvatici
tagliagole…i vostri veleni sono farmaci
che devono debellare ogni male…
Un’
aureola rossa prese a
vorticare tra le mani dell’archiatra come un pesce dalla
lunghissima coda
fiammeggiata.
- I fiori appassiscono e
rinascono…i
colori tornano nell’arcobaleno dopo la pioggia…La
vendetta non è il soffio
vitale di alcun suolo…se continuerete a raccogliere i
riflessi dell’aurora tutto
ricrescerà.
- Padre!
- Soffio
scarlatto di ponente!
Un
mulinello di petali e
foglie sanguigne avvolse Artemis e Aphrodite, conducendoli via in
piroette che
musicavano odore di requiem demolente.
“
Ti
sei distrutto per annullare la sterilità delle tenebre,
continuando a sentire
la paura di non risolvere niente…Non capisco, padre: ti
angosciava tanto l’idea
di non credere? Desideravi nutrirti di fantasia anche se in fondo ti
torturava
la rinuncia al realismo? Cos’è che non mi hai
rivelato della bellezza? Che è
una rosa che si attorciglia nell’attesa di morire? “
La sacerdotessa
s’inginocchiò accarezzando la lastra
sepolcrale…tastò i
fiori scolpiti che abbarbagliavano della
scartavetrata umidezza dell'inverno.
“
L’uomo non è perfetto eppure riesce a produrre
arte perfetta: è un dono crudele
per renderlo un dio incompiuto? Questo è incoerenza, mistero
malvagio…ma non
importa.”
Si alzò
con la coda di capelli che gorgogliava simile ad un succo di ciliegie
appassito .
“ Continuerò a
sollevare ogni maceria, a
coltivare ogni pianta…C’è la tua
tristezza tra le rovine, la tua ansia…i
battiti del tuo cuore che mi hanno appannato, nutrita, abbracciata al
di là del
cielo. “
Si diresse verso l’uscita della necropoli
dove svettava all’orizzonte
una strana cinta di simulacri, un baluardo di spade anoressiche,
arrugginite,
ornate da protuberanze di miceti malarici strizzati da vipere spinate.
“ Papà…ho
infranto il tuo patto. Non ho voluto
mantenere nessuna promessa...”
Giunse davanti la
barricata che delimitava il cimitero.
Titaniche croci infilzavano la
pelliccia calcificata del suolo.
Teschi , dalla corteccia di fanghiglia rattrappita, si
raggrumavano attorno ai fusti di
legname…erano collane abbrustolite di spettrale cannibalismo
stordite da un viluppo
di arterie ossidate. Rovi verdastri intrappolavano quei residui umani,
soffocando le orbite vacue e le mascelle di gridi muti
con rose nere e rosse: una natura morta
che iniettava tenebre aromatizzate di maggio nella mummificazione delle
asme
invernali.
Quell’intelaiatura
di spappolamento floreale non era che opera della
vendetta.
L’impastatura incenerita e scuoiata dei nemici di Calleos.
“
Lo so
che non accetterai mai la mia guerra…lo so che sei
disgustato…non ti chiedo né
di perdonarmi, né di comprendermi.
Voglio solo dirti che ti ho amato tanto e che ti amo anche
senza più
lacrime da bere…è orribile che il tuo sogno
prosegua in questo
modo…Credimi…almeno potrà diventare
immortale al contrario di questi luridi
mucchi d’ossa, potrà diventare reale per me che
sono sepolta…per Aphrodite che
non riesce a comporre la propria anima. “
Osservò con incantato ribrezzo la
lasciva seraficità delle rose che
vampireggiavano sui cadaveri: un sublime e beffardo insulto al
decadimento, una
strafottenza incosciente verso il sudiciume della disgregazione.
I petali esplodevano con
spudorata dolcezza da bocche di dentature striate di carie, da occhi
ormai
sbriciolati…
Era incredibile di come il cavaliere dei Pesci riuscisse a emanare il
suo spettro seducente su una scultura piena di bollature marcescenti.
“
Già…Aphrodite…è tutto
terribilmente sconnesso…Non so se in questi anni ci siamo
avvicinati di più o terrorizzati a vicenda…Ogni
nostro sguardo è una sfida che
resta incompiuta, inacidita. Dovresti vederlo
papà…è un bellissimo ragazzo.
Ricordi che quando era piccolo dicevamo che somigliava ad Eros? Con
quei
boccoli che non sai se si dissolvono in foschia o si polverizzano in
duri
lapislazzuli, con quegli occhi azzurri infiniti , deperibili come il
mattino…Le
sue labbra hanno poi sfumature così
instabili: sanno inumidirsi di un rosa scuro e assiderarsi
in un cobalto
pallidissimo. “
Si strinse le braccia con sensuale e iraconda
vergogna, simile alla dea
Artemide sorpresa nell’intimità di un bagno.
Sentì la testa incendiarsi al pensiero di quel duello
d’addestramento
avvenuto a fine settembre, prima che l’allievo partisse per
raggiungere Death
Mask in Sicilia*…
Un silenzio cristallifero
alcalinizzava l’asprezza della pietra tesa…
L’Odeon delle Ninfe balenava
tra substrati indorati e cenerognoli…
Statue di fanciulle semi
velate, dai calidi sorrisi infantili e dai riccioli di letizia
corinzia, reggevano
calderoni di cipree
decorando l’anello
superiore dell'arena.
Gli
allievi erano assisi
sulle gradinate di ghiaccio rigate da tendini cerulei: irrorati dalle
aureole
acquitrinose delle fiaccole parevano un collegio di angeli di cera,
sculture di
un altare barocco che si deificavano in una dolce e luttuosa
ansietà di
chiaroscuri.
La luna polare si era
impadronita dell'orizzonte da quasi un mese, col suo diametro di
cartone
platinato, col suo incantesimo anacronistico di rimestare le ore del
giorno e
del buio in una pozione di minuti scombuiati.
Al centro della scena
innevata si fronteggiavano un androgino fante di velluto e una fata
mascherata
dalla chioma
rosseggiante.
Potevano essere eroi
malinconici di un dipinto preraffaellita, talmente erano pregni di un
medievalismo arboreo, di un’opalescenza traslucida.
Aphrodite
fissava la
Maestra Artemis con freddezza eterea e inebriante, lasciando che
l’azzurro
degli occhi limasse saette d’effervescenza: le pupille nere
si ferivano contro
la fosforescenza degli iridi chiari mentre la ciglia nere
suggevano,taglienti e
flessuose, bagliori ghiacciati…Le belle labbra erano
sigillate in una
lattescenza perlacea quasi stessero attendendo un bacio più
intenso delle
emorragie del vespro.
I lunghi capelli cerulei
venivano scossi dall’aridità argentea del vento
artico, preservando la bacchica
sinuosità delle onde.
Una cotta d’addestramento
attillata, color rosso cupo, proteggeva il corpo alto, snello del
giovane
tingendolo di una ieraticità profana decorata da linee
vegetali ocra, ciocche
di amadriadi che gli avvolgevano languenti il torace e
l’addome.
Due corazze bronzee
forgiate a mo’ di foglie venate, marcavano
l’elegante quadratura delle spalle e
parastinchi e gambali, di doratura annottata, coprivano le gambe
slanciate e
aggraziate.
Artemis
si preparava a
saggiare le capacità dell'allievo con un
‘acuminata placidità da puma, guardando
da dietro la maschera che la rendeva un fantasma di ceramica nevosa.
L’imbalsamante alienazione
che espandeva il manufatto s’infrangeva, tuttavia, con la morbida e venefica
austerità delle
sue movenze.
Una leggera armatura
grigio tenue e turchese le inondava di liquidità ibernante
le membra: spalliere
a forma di petali vestivano gli omeri, un sobrio corpetto disegnava le
rotondità piccole e tenere del seno,la piattezza del ventre
e la sofficità dei
fianchi…un paio di lunghi gambali blu, intarsiati da serpi
d’edera, celavano le
cosce e le tibie da cerva.
Molti uomini si
tormentavano cercando il modo più realistico e perfetto di
scolpire la sua
immagine . Solo le ancelle più intime l’avevano
vista senza veli e ne
narravano, invidiose e stregate, lo splendore immacolato.
Una simile creatura non
poteva che avere come discepolo il custode della costellazione dei
Pesci, il
demone dall’inquietante soavità bisessuale che
turbava animi femminili e
maschili.
Camminando
lento, con fine
e leggiadra prepotenza, levò il braccio destro…
Fece danzare la mano quasi
stesse coccolando i capelli di una donna d’incenso…
Una
spuma rossa maculò
l’aria volteggiando eguale al velo ricamato di una danzatrice
ispanica che
dilata profumo.
- Royal
demon rose!
L’adolescente
si fletté in
uno scatto atletico estendendo una girandola di diademi sanguigni, una
ragnatela verde imperlata di rubini che trafisse la basicità
dell'attesa.
Artemis
fulminò in alto
disegnando anelli inargentati e celesti di capriole.
- Twilight
crying rose!
Una
falce di un blu
luminoso squarciò improvvisamente gli strati delle nubi e
una cascata di aculei
spumeggianti sgorgò dai lembi del taglio.
L’arena
si trasformò in un
oceano ansimante e carbonifero di flutti di petali: il cremisi e il blu
s’incrociavano,
si mordevano, si carezzavano in schizzate di selvaggia
raffinatezza…Sembrava
che l’imperatore Eliogabalo avesse deciso
d’annegare gli ospiti di un banchetto
in una doccia di letale lussuria.
I
duellanti si
proiettarono l’uno verso l’altra emergendo e
sparendo tra le ventilate dei
coaguli delle rose.
Simili agli zefiri che
avevano accolto la nascita di Venere, accesero cerchi di frenetico
bolero scagliando
siluri spinati: sibili di
tormentata primavera che si sfioravano e si sfregiavano.
- Sunshine
breath!
La
guerriera spinse in
avanti gli avambracci tuonando bionde rose accecanti, screziate di
bianco,
quasi stesse eruttando i filamenti del dna dell'aurora.
L’Odeon delle Ninfe venne
innaffiato da sventagliate d’arcobaleno metallico.
- Piranan
rose!
Aphrodite
soffiò uno
sciame monacale di corolle nere, falene di seta funebre
che ruotarono sbavando foschia
d’ossidiana…
Un’enorme arteria frantumò
le catene dorate creando un pulviscolo d’eclisse vulcanica,
brincello di cenere
e biglie di lucciole che si stordirono nell’aura.
Artemis interruppe il
farfugliamento dei fumi analoga ad un cigno di sangue e gelo.
- Snowy
rose flood!
Una
burrasca di molecole
di lanosa lindezza sbiancò il cielo, stridendo come un
esercito di rapaci
bianchi.
Aculei di lattescente
gesso precipitarono sull’apprendista che si
schermò innalzando lunghissimi boa
di rovi dal ghiaccio…
Miriadi
di spruzzi candidi
balzarono sul gomitolo dei pungiglioni.
La
sacerdotessa guerriero
stette per infliggere un altro colpo quando , tutto ad un tratto, un
brivido
non la trapassò dal cranio alle viscere.
Una gigantesca fitta
all’addome la svuotò e le pareti delle interiora
parvero diventare le
mattonelle vizze di un deserto.
Ansò di
delirante
secchezza, con l’aria nelle arterie che si cristallizzava
nella gola del sonno…
Aphrodite dissolse la
barriera di spini e le corse incontro mentre la realtà s’adombrava in un
nugolo silenziatore.
Trascorse un’ora di sorda
cecità…
Solo i palpiti del
cuore e
il sangue che circolava nel cervello tracciavano macchie violacee,
ectoplasmatiche che razzolavano sotto le palpebre…
Niente sogni ma solo aloni
soffusi di nausea…
- Divina
Artemis…Divina Artemis…
- Signora…riuscite
a sentirci?
La
ragazza riuscì a
captare in modo disciolto le voci delle ancelle senza ancora aprire gli
occhi…
Avvertì sotto il dorso la
lieve solidezza di un letto tiepido…
Si accorse che le avevano
tolto la maschera e la corazza:a coprirla solo la calzamaglia e uno
scamiciato
di fine lanugine.
- Do…dove m-mi
trovo? – balbettò.
- Siete nel vostro
palazzo… nella camera
delle Felci Albine…
Era
l’antro destinato al
rilassamento e alle cure rigenerative…
La giovane aprì
pesantemente lo sguardo.
- Vi ha portata qui il
vostro allievo
Aphrodite – continuò la serva.
- Sta attendendo fuori-
mormorò un’altra.
- Insiste nel
vedervi…è molto preoccupato.
La sacerdotessa si mise a
sedere lentamente,
ancora un po’ frastornata.
- Vi
ringrazio…- rispose flebile – direi
che potete ritirarvi e andare a riposare…credo di riuscire a rialzarmi…
- Non è meglio
se vi accompagniamo nella
stanza da letto?
- No…tranquillizzatevi…fate
entrare Aphrodite e
lasciateci un attimo soli.
Ordinò
la maschera e celò
il bianco viso stanco: una patina d’imperturbabile argento
che si sovrappose ad
un’esangue patina di durezza.
- Maestra Artemis!
Le
servitrici aprirono la
porta al ragazzo: si era tolto la cotta e
le spalliere d’addestramento per restare con una blusa
bordò.
Si avvicinò al giaciglio
dove sedeva la fanciulla.
- Mi dispiace rinviare il
nostro
addestramento, Aphrodite…- espresse ella delusa e
rammaricata – abbiamo
trascorso giorni e giorni a prepararci…è molto
importante. Questo duello fa
parte dei tuoi ultimi esercizi da apprendista…
- L’unica cosa
che conta adesso è come ti
senti! Sei svenuta di colpo e il tuo cosmo non presentava alcuna lacuna
degenerativa! È stato un lampo! L’energia
ti è svanita alla velocità del suono!
Si
chinò di fronte alla
donna prendendole le mani.
- E’ veramente strano,
Maestra…sei sicura di stare bene…sul
serio?
- Non occorre allarmarsi
più di tanto.
Con
rigidezza infastidita,
la sacerdotessa si sottrasse dall’apprensiva stretta del
ragazzo.
- Maestra. Cosa ti sta
succedendo?
- È stato
soltanto uno spossamento.
Ultimamente il cosmo che sfrutto per curare le piante morte è parecchio…Sto
rivitalizzando la cinta
dell'est per ripristinare la vecchia barriera difensiva. Possono
capitare
questi ammanchi. È normale.
Si
alzò dal letto facendo
echeggiare i passi sul pavimento laccato di verde leggero.
Il giovane la squadrò
scettico e mordace incrociando le braccia sul
petto.
- Certo. È
normale adoperare il proprio
potere per salvaguardare un equilibrio…ma tu lo non stai
adoperando. Lo stai
massacrando e non per restaurare una barriera protettiva.
La
ragazza si bloccò
voltandosi con cupa lentezza.
- Hai intenzione di
allestirmi un processo?
Lo
svedese aggrottò
irosamente le sopracciglia:
- Sono stufo delle tue
sparizioni! È da
mesi che ti rechi, la sera, al tempio di Selene e ti incarceri per ore!
Non
capisco che combini!
- Ah. Ora fai le prediche
alla tua Maestra?
- Puoi pure non
raccontarmi e non farmi
vedere nulla ma dentro di me scorre anche il tuo sangue. Ti sei
scordata che ci
scambiammo a vicenda le nostre linfe nei Rituali delle Primavere
Scarlatte?!
Hai giurato di guidarmi, donarmi la tua
continuità…legarmi alla tua luna!
La
driade fronteggiò
l’interlocutore con aria da Circe canzonatrice.
- È stata la
prassi dei miei obblighi
ragazzetto. Per Selene e per Atena devo formare il dodicesimo cavaliere
dorato,
renderlo potente e completo. È sorprendente la tua
abilità di rimbecillimento:
confondi la sacralità dei doveri con sciocche promesse
d’amore. Sfiata le tue
dichiarazioni romantiche altrove. Non hai l’imbarazzo della
scelta con tutte le
sgualdrine che ti fanno divertire tanto?
- Il tuo canovaccio da
guerriera fiera e
surgelata è alquanto scadente. Sei una patetica ballista.
- Ricorda il tuo ruolo,
idiota.
Aphrodite
si avvicinò pallidamente
minatorio:
- Ricorda la
verità, maledetta! Tutto il
mio addestramento, qui a Calleos, non è stata solo una
strada divina! Tu e tuo
padre siete stati la mia seconda famiglia, l’unica che avrei
mai voluto
possedere, amare! Per me tornare in Svezia era ed è un
supplizio. Adoro mia
madre ma non mi fido di lei, delle sue parole. Conosce l’arte
ma non è degna di
essere ritratta su alcuna tela. Mi accarezza e copre gli occhi.
Tradisce quel
deficiente di mio padre e potrebbe rubare mariti a tutte le donne del
mondo...
Mi ha stordito con la sua seduzione, con l’insegnamento di
catturare la
certezza breve ma intensa del godimento. Lei è come “ La
Traviata” Violetta con la differenza che
non si è mai ammalata d’amore…
È rimasta incompleta, sottosviluppata. Non
capirebbe quello che provo per te.
La
vestale gli diede
spregiativamente le spalle.
- Le tue lamentazioni
sono sempre commoventi.
Le conosco bene. Ora lasciami. Ho bisogno di riposare.
- Finiscila di chiuderti
nel tuo stupido
guscio! Il tuo sangue urla dentro di me, urla di dolore!
Anch’io sto malissimo,
Artemis! Dimmi che succede nel Tempio di Selene! Dimmelo, adesso!
Il
ragazzo la ghermì efferatamente
per un braccio.
- Basta! –
esclamò lei – Silver
specturm thorn!
Aphrodite
scansò la raffica di spine adamantine e scagliò
velocissimo un dardo olezzante di
sottigliezza smeraldina.
La
maschera della ragazza roteò scheggiata nell’aria.
Una
rosa dai palpitanti petali vermigli si era incastrata nel pavimento.
- Allora, Maestra? La
pelle del tuo viso
non respira più libera?
Artemis
si coprì con
repentino e cereo tremore il volto. I capelli le scivolarono innanzi
con sinuosità
spaesata , bagnati da una pioggia gelata e
invisibile.
L’allievo le si accostò
con rancore commisto a mesta passione, con l’angoscia che
turbinava dentro una
sete carnale di protezione.
- Artemis! Piantala!
Guardami negli occhi!
La
scosse convulsamente
per i polsi ma ella gli sferrò una tremenda ginocchiata nel
ventre.
- Nessuno deve vedermi
– sibilò
incollerita – non sarò prigioniera dell'animo di
nessuno.
L’apprendista
ridacchiò:
- Hai ragione. Sei
già prigioniera di te
stessa. Non ti servono altre catene per strangolarti.
Si
rialzò per tornare
all’assalto ma la giovane esclamò:
- Blinding
blossom echo!
Due
sottilissimi nastri di
petali trapassarono , con uno scroscio acido e ustionante, la retina
dell'’adolescente che gridò…
Nonostante la vista momentaneamente ferita e fischiante
riuscì ad avventarsi
contro la Maestra e ad intrappolarla tra le braccia.
- Lasciami, imbecille!
levami le mani di
dosso o t’ammazzo!
Aphrodite
allacciò
violentemente le labbra a quelle della ragazza, annientandole il
respiro
citrico delle parole, l’anidride soffocante della
razionalità…
Le cinse la vita e il
torace imprimendola contro le lande riarse e tese dei propri muscoli
che
coprivano i rigonfiamenti del costato che ruggiva.
La sacerdotessa gli piantò
le unghie nelle spalle, scosse le anche nell’illusione di
dimenarsi, opporre
resistenza. Per alcuni secondi si convinse della sua rabbia, del suo
orgoglio
terrorizzato ma il veleno della bocca di lui le scivolò tra
la lingua e il
palato annegandola in una nebulosa di latte mandorlato. Immerse una
mano tra
i capelli
dell'invasore indecisa se
stracciare quelle filature di cielo o se
fingere d’arare l’oppio dell'eden.
Era
rinchiusa nell’anello
del desiderio.
Non doveva farlo.
Portava il nome della
casta Artemide e aveva promesso brutalmente di preservare incontaminato
e
incancrenito il proprio ventre.
Si
stava assuefacendo tra
le braccia di un uomo per giunta suo allievo.
Era una sacerdotessa
guerriero. Non una donna che navigava al sicuro sotto i raggi del sole.
Era l’ombra di un
involucro femminile. Non contava la torchiatura del cuore, quanto la
deprimente
contentezza di non
curarsi delle
trebbiature terrene.
Stava
disintegrando tutto.
Era tramortita dalla morsa
forte di quel lottatore che scomponeva e derideva
il mosaico dei suoi principi.
- Aphrodite – annaspò agitata svincolandosi
– vattene o sei finito!
Lui
sorrise dissuadendo tentativi di fuga. Con dolcezza demoniaca,
la spinse addosso una grande
colonna.
- Minacciami quanto vuoi,
Artemis –
rispose rauco e carbonifero- muoio ogni giorno quando penso che deridi la mia anima e la mia pelle.
Le
solleticò con logorata
voluttuosità una gota leccandole lievemente la bocca.
Le addossò il proprio
calore esasperato in un tenero e dispotico tentativo di custodirla dal
silenzio
che albeggiava usurante sui marmi. Premette il bacino tra le sue cosce
consumando carezze curiose e frustrate sulla
calzamaglia…spostò i palmi delle
mani solcando i fianchi con l’affanno di rorida argilla di un
vasaio.
Artemis
avvertiva le
catene delle vertebre fondersi nella pietra del pilastro, nella
gelatura di
grigiore smorto...Il suo addome veniva oppresso da quello del cavaliere
che
scottava la stoffa della camicia…Tra la sua batteria
sanguigna e il
marmo minacciosamente massiccio, non
definiva più gli sgocciolii della propria voce: erano gemiti
d’arrendevole
liberazione o singulti puerili che non accettavano fendenti erotici?
Braccata
dalle stelle
taglienti e tagliate d’Aphrodite e dalle scannellature
graffianti della
colonna,la sacerdotessa tentava di riconoscere la sua
spelonca…Perché si
lasciava malmenare da quell’uragano? Si era consacrata al
bianco della luna, a
quel satellite depurato da tempeste, da colori, butterato da crateri
scarniti
di lava e zolfo.
Era stato chiarissimo:
servire due dee sorelle, proteggere la sopravvivenza delle persone,
uccidere
nemici ripudiando amnistie e misericordia. Portare acqua a valle
restando la
fonte ibernata di un monte.
Non
aveva desiderato più
seguire stormi d’uccelli che inondavano di suoni le
città alla ricerca di
calore.
Si era esiliata nel
polline dei fiori polari: né la
tensione
umana doveva corromperla, né la gioiosa sofferenza di un
amplesso resuscitarla.
Quella purezza che
corazzava l’utero era l’alone di
un’innocenza irrecuperabile e svalutata, la
bambina che mai si sarebbe venduta per abbandonare l’amore
del padre.
La
bocca di Aphrodite
remava sul collo contaminando la pelle di sogni repressi e la sua mano
stava
slabbrando la scollatura della casacca per rapire i sussulti turgidi
dei seni.
- Bloody
rose!
Una
corolla candida si
infilzò nel
petto del ragazzo.
Con slancio spietato
Artemis si affrancò da quel fuoco illuminante.
- Pensi di finirla
così, Artemis?!- urlò
lui –
pensi di nasconderti? So com’è il
tuo sangue! Lo so!
Si
strappò via la rosa
mentre la Maestra si affrettò a rimettersi la maschera.
- Questo fiore bastardo non è
sporco solo del mio sangue…c’è
anche il tuo….
La
donna lo strattonò
per i capelli.
- Avvelena di
più il tuo veleno. Nutriti
d’aria se ami digiunare continuamente credendo
d’inghiottire qualcosa. Sogna,
Aphrodite, sogna.
Il
ragazzo si accorse che
la vista si risanava lentamente come l’acqua sabbiosa di un
fiume che torna a
colmare un letto sassoso.
- “
E’ vero” – scandì appesantito
– “ io
parlo dei sogni, che sono figli di un cervello ozioso, generati da
nient’altro
che da una vana fantasia, la quale è di una sostanza sottile
come l’aria e più
incostante del vento “ *
Sì…è così quando non posso
vedere il tuo viso… Erano
questi i versi che Pericle aveva terrore di recitare perché
sapeva che la sua
città sarebbe stata distrutta e ti saresti dissanguata
dietro quella maschera?
- Bada a come parli!
Sarai la più bella
rosa dell'Elisio ma preferisci ingurgitare vino piuttosto che acqua trasparente! I
tuoi petali sono
rossi per le sbornie e non certo perché brillano. Hai paura
di crescere
sull’orlo di un burrone per guardare giù, nelle
profondità che non riesci a vedere.
Aphrodite
deglutì
l’umidità che gli invadeva la bocca:
- Farò
ribrezzo, Maestra. Chiamami
smidollato, cretino, puttaniere. Non nego nulla. Conosco bene il mio
riflesso.
Sappi però che non ho paura di crescere sull’orlo
di un burrone. Io sono già
piantato nel buio dei fondali. Ormai ho capito che l’unica
stagione reale è
l’inverno e tu non sei una luna, ma polvere di luna. Neve che
resta schiacciata
al suolo.
Rimosse le lacrime che
infettavano d’afa gli iridi.
Si allontanò barcollando,
cercando di tornare diritto, scorrendo tra i riflessi delle penombre
notturne.
Non
appena se ne fu
andato, Artemis cadde su una panca strappandosi la
maschera.
I rantolii del pianto
bussarono alle porte degli occhi ardendo in gorghi di tenebra innevata.
“
Quel
dannatissimo idiota…Adora prostituirsi gratis, ridere e
poi… piange quando
ormai ha mandato da
secoli sul lastrico
la sua doratura. “
La sacerdotessa
chiuse le dita pensando a quando lo svedese non fosse
più il bimbo dal visetto viziato ma argutamente ingenuo che
le era stato
presentato undici anni prima…I coniugi Servansen si erano
degnati di lasciare
Stoccolma e assaporare i sessanta gradi sotto zero
del Polo Nord portando il
luccicante e
impertinente figlio di sei anni: un
angioletto che si trasformava in diavolo
quando le cose non gli andavano giù.
Per una ragazzina di dieci anni, introversa,
pacifica e soprattutto rigorosa neo
sacerdotessa, introdurre quel moccioso all’ardua via del
cavaliere sarebbe stato
un calvario…tra l’altro non era il massimo della
serenità neuronale sorbire le
ansiogene raccomandazioni del Signor Servansen, presuntuoso ex
guerriero
d’argento che aveva sempre fallito gli addestramenti per
l’armatura d’oro.
Fortunatamente Pericle era stato abile nel gestire quel delicato e
quasi comico disagio creando un’armonia insperata. Artemis
aveva addestrato
Aphrodite senza
ricevere interferenze
inopportune e senza essere abbandonata a se stessa. Aveva corso con il
suo
discepolo facendo germogliare anche il proprio spirito, affezionandosi,
amando…Amando
pari ad una sorella madre e infine…a una perduta maga
castigatrice.
Rovinando, precipitando, estraniandosi.
“
Il
suo splendore è andato a crescere in modo
destabilizzante, come una sindrome
letale. Gli apprendisti lo ammirano e lo odiano perché le
sue rose hanno rotte
impossibili da rintracciare con coordinate geografiche e lui solo le
carezza e
le domina.”
In Artemis riaffiorarono i
momenti in cui spiava
il guerriero che
dormiva esausto dopo gli addestramenti…
Soleva scorgere oltre le ciglia chiuse, oltre le membra
da Endimione, quel bambino che
inciampava tra i suoi piedi quando giocava al principe che la faceva danzare come
sua dama…
La trovava quella dolcezza acerba che illuminava la stanchezza del
sonno, che le sopracciglia e la bocca disegnavano disinquinate da ogni
furba
malizia.
“
Ho
calpestato e intrappolato il suo amore per me. Un amore che detesto,
che
credevo una fiammella adolescenziale e che invece è una
patologia
devastante…Soffocherei quell’essere nel suo stesso
veleno, gonfierei la sua
gola e ogni vena dei
suoi polmoni con
acido solforico ma… che diritto ne ho? Io ho pensato a
quadrare la mia
equazione chimica, a giustificare il mio autolesionismo.“
A passi grevi, che sbriciolarono intirizziti la
neve, la fanciulla
abbandonò la necropoli.
“
Sono
io che non l’ho più purificato, che l’ho
stretto alla mia vendetta, che ho
sfruttato la sua rabbia di smarrirsi in una famiglia che lo
delude…Non vedo
l’ora che prenda l’armatura dei Pesci e se ne vada
ad Atene. Non sopporterei
più il suo profumo e il suo viso magnifico. La mia missione
è quasi compiuta ma
ho l’impressione di dover
ancora franare dalle
montagne. “
Si fermò un istante tentando di salire
una scala incorporea che la
portasse al sicuro sulla luna.
“
Padre… Vedo il mio cuore su un tavolo chirurgico e non
esistono anestesie, né
farmaci per una morte anticipata”.
Un latrato vigoroso, di vecchio argento interruppe
le sue
elucubrazioni.
Distinse una creatura immacolata, sbuffante di setole arieggianti e
ribelli, che le
stava venendo incontro.
- Eryx!
Lo splendido
samoiedo la raggiunse continuando ad abbaiare allarmato,
saltando, posandole le zampe sulle spalle.
Era uno degli animali più anziani e perspicaci di Calleos:
ricopriva il
ruolo alfa nel traino delle slitte e nelle battaglie veniva temuto per
la sua
nobile ferocia.
Al polo nord i cani non erano vezzeggiati infantilmente ma temprati
secondo
le leggi della sopravvivenza. Nei periodi estivi venivano lasciati in
un aspro
isolotto dalle risorse limitate e al ritorno dell'autunno gli esemplari
più
forti erano
prelevati e addestrati per
supportare i guerrieri.
Eryx era stato un cucciolo
scampato alla crudeltà famelica dei lupi
adulti. Aphrodite e Artemis se ne erano innamorati e
l’avevano allevato con
cura evitando d’ infrangere l’asimmetria tra
padrone e animale, tra capobranco
e subordinato.
- Ehi! –
insisté Artemis cercando di placarlo –
perché sei così agitato?
All’orizzonte
comparvero tre
sagome fulminee e slanciate: giovani guerrieri appartenenti ai Cervi
Bianchi,
l’elite più
forte dell'esercito
selenico.
- Divina
Artemis! Divina Artemis!
I ragazzi giunsero
al cospetto del loro capo trafelati e gravi.
- Nikita!
Roalh! Toma! – è accaduto qualcosa a Calleos?
Nikita era un
russo ventitreenne, dal bell’incarnato bruno sul quale
fulminavano due occhi di
titanio
turchese. Aveva una gonfia zazzera di rugose trecce
biondissime che inselvatichivano un viso dai
contorni di mandorla e il garbo
e
l’agilità del corpo atletico.
- Signora –
spiegò – un’orda di soldati è
riuscita a invadere il porto distruggendo la
fortezza dell'est. Non sappiamo come abbiano fatto ad attraccare senza
far
percepire i loro cosmi! Abbiamo sorvegliato le coste di continuo e vi
garantiamo che non abbiamo visto nessuna nave sospetta fino a qualche
ora fa!
Artemis non si
scompose ma dentro ribolliva adrenalina.
- Il fattore
più strano è che l’imbarcazione pare
invisibile – aggiunse Roalh – ci siamo
visti attaccare da questi uomini all’improvviso. Alcuni
civili sono rimasti
feriti ma siamo riusciti a metterli al sicuro. Gli invasori non hanno
ancora
raggiunto il centro di Calleos. Le altre reti resistono ma dobbiamo
preparare
un piano d’attacco e subito!
La spigolosa e
rauca voce del
venticinquenne danese ben si armonizzava col suo fisico
dalla
muscolatura nervosa e potente. Il volto , dai magri e allungati
contorni, lasciava
rifulgere un’occhiata freddante e
austera di mogano mentre una capigliatura spinosa , di un bruno
erubescente, volteggiava
sul collo e sulle gote simile
ad un piumaggio d’ airone.
- Abbiamo il
sospetto che questi guerrieri non servano una particolare
divinità – continuò –
le loro armature sono scure ma non appartengono alle milizie di Ade.
Artemis
domandò raggelata:
- Che si
tratti di Cavalieri Neri*?! Stelle mercenarie rinnegate?
- È
probabile…ma non è tutto.
A rispondere con
tono dolce ma robusto era stato il quindicenne Toma,
l’unico asiatico che viveva in Groenlandia . Giapponese
d’origine, era
il più piccolo dei Cervi ma possedeva
strabilianti capacità belliche. Malgrado il viso efebico
dagli occhi cobalto e
i gassosi capelli rossicci che puerilmente non si riordinavano sulle
spalle,
aveva una snellezza resistentissima e una mesta severità da
adulto. Tutti lo stimavano
anche se lo rimproveravano per la scintillante emotività
e gli isolamenti scontrosi.
- Ci sono
due soggetti pericolosissimi e diversi dagli altri
– rivelò ansioso – Uno sembra avere
un’armatura di bronzo!
Un’armatura d’Atena!
- Com’è
possibile? – esclamò Artemis –
è un traditore!
- Il peggio
è che l’altro ha…una
corazza che un
essere umano non potrebbe mai
indossare però…
non si capisce se sia
propriamente divina!
- Quell’uomo
deve essere il capo della
spedizione! – aggiunse Nikita – è
lui a
manovrare le pareti dello spazio e a mettere in atto strambe magie!
- Chiamate le
truppe di Selene! – ordinò glaciale Artemis – Nikita, prenderai la
divisione dell'Est,
Roalh… comanderai il contingente del nord, Toma tu guiderai
il corpo
dell'Ovest…io quello del sud. Accerchieremo i nemici e li
spingeremo nel centro
di Calleos. Dentro le mura più interne.
- Ma è
rischioso! – obiettò Toma – se
invadessero il Palazzo della Neve D’oro sarebbe
la fine!
- Si tratta
del punto nevralgico della città –
appoggiò Roalh – non firmeremmo la nostra
condanna?
La sacerdotessa si
distaccò dal gruppo guardando in lontananza le mura
del regno.
Alzò le braccia circondandosi di
turbini di comete cilestrine
e ferrigne.
-
Non
saremo
noi a firmare la nostra condanna – pronunciò
pietrosa – saranno loro ad essere
condannati…Chi mira al cuore, mira all’occhio
dell'uragano. La gola della morte
è aperta.
Una fascio di luce bianca s’elevò dal centro della
polis per dissolversi
in un sublime stridore d’argento…
L’incantesimo era riuscito.
Il ciclo dei tetri sacrifici che ella compieva nel tempio di Selene
dava risultati eccelsi….doveva solo sperare di non crollare
di nuovo…di non
esporre gli strati più martoriati delle sue fibre, delle sue
viscere. …Si
sperimentava in veste di cavia in un silenzio agonizzante.
- Non temete.
Il cuore di Calleos è più al sicuro di quanto
pensiate. È pronto ad accogliere
le malarie delle ombre e divorarle…presto,
andiamo.
La driade, i tre guerrieri ed Eryx cominciarono a correre
ma si arrestarono di colpo.
Avvertirono un
cosmo avvampare
velocissimo.
Pareva dardeggiasse magma,
luce
sanguinante di febbre solare.
- Hoyoku
Tensho!
Una grandiosa fenice detonò tra il cielo
di china e le dune di
screpolature lunari.
Gridando acciaio spettrale travolse i cavalieri in un tellurico
incendio dorato.
Note
interne al cap e ai cap precedenti:
* “
prima che l’allievo partisse per raggiungere Death Mask in
Sicilia…” : CAP
7: la rosa e il teschio; CAP 19: la
deriva dell'’innocenza.
*“ E’
vero…io parlo di sogni…” : Shakespeare
“ Romeo
e Giulietta”.
* “ Cavalieri
neri ? “ : CAP 19: la deriva dell'innocenza
Note personali:
Ciao a tutti!! :D è da tanto che non ci
si vede! Perdonatemi se non
sono riuscita a mantenere l’impegno di aggiornare “
L’occhio dell'Ariete” a
giugno…sono in tremendo ritardo!!! Sto anche proseguendo con
lo spin off “ Io,
figlio dell'Inferno”…a fine giugno ho avuto due
esami, poi sono stata in
vacanza con una connessione internet un po’ schifosa e
inaffidabile e ho
iniziato una fic sul fandom di Lady Oscar...ormai mi sto disgregando in
queste
due sezioni ma darò la precedenza a Saint Seiya
perché mancano non molti
capitoli alla conclusione dell'Occhio…certo, dovrete
pazientare, ma abbiamo
superato la metà della storia ^^
Finalmente compare Artemis!! La misteriosa Maestra di Aphro
che avevo
citato nel cap 5 ( conchiglie di storie: tra le rovine dell'Acropoli) , nel 7
“ La rosa e il teschio”, nel 15
“ Celeste immenso” …era stata soltanto
nominata e ora eccola!!
Ho ripreso alcuni elementi da Lost Canvas, o meglio il fatto del sangue
velenoso ( che ammorba il povero Albafica) e del riferimento al rituale
dello
scambio delle linfe tra allievo e Maestro . Questo viene narrato nel
volume
speciale della Teshirogi, l’ 1, quello in cui compare Rugonis, la guida del
cavaliere dei
Pesci…Anche l’armatura della driade l’ho
ripresa da questo contesto ( la
indossa il fratello gemello di Rugonis anche se l’ho
modificata al livello di
design.)
A differenza dello sfortunato Albafica , che non poteva toccare
nessuno, Artemis è stata “ guarita” da
Pericle che, per garantirle una vita
normale, è riuscito a scongiurare l’effetto
nefasto del veleno nel sangue.
Grazie a tale incantesimo Aphrodite ha ricevuto i globuli rossi della
Maestra
senza subire danni di“ vivibilità “
sociale...
Ora c’è da spiegare il misterioso rituale che la
sacerdotessa compie
nel tempio di Selene e pare risucchiarle pericolosamente
l’energia…beh…questo
lo scoprirete nella seconda parte di questo capitolo :P altri
chiarimenti sulla
natura del sangue di Aphro verranno forniti strada facendo…(
ho citato
involontariamente Baglioni XD)
Ultima cosa:
Nikita, Roalh e Toma…
Avete compreso chi sono..o meglio chi saranno???
Vi ricordate gli Angeli di Artemide del film “ Alle porte del
paradiso”
? ih!ih!ih! Teseo…Odisseo…Icaro….
Eh!eh!eh!
Anche questo mistero sarà raccontato…
Ultimissima e piccola cosa:
Eryx compare anche in “ Io, figlio
dell'’inferno” cap 3 ^^ è ancora
cucciolo X3
Curiosità: il cagnetto porta il nome di uno dei figli della
dea
Afrodite, quindi non è stato scelto a caso!
Dopo questo
papirone mi congedo ^^
Mi vedrete con “ Io, figlio dell'inferno”
…( si spera fine settembre/
ottobre -.- ) cercherò di essere puntuale…
Scusatemi e
arrivederci!!
queste tre sono
illustrazioni che ho fatto con Artemis e Aphrodite ^^
http://libra-marig.deviantart.com/gallery/42852544/Saint-Seiya-illustrations-Devious-Folder?offset=24#/art/Artemis-ka-selene-364327820?_sid=5897ec1e
http://libra-marig.deviantart.com/gallery/42852544/Saint-Seiya-illustrations-Devious-Folder?offset=24#/art/Trouble-362687609?_sid=64e4c40b
http://libra-marig.deviantart.com/gallery/42852544/Saint-Seiya-illustrations-Devious-Folder?offset=48#/art/Aphrodite-ed-Artemis-361919610?_sid=5a8514d5
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