MSC 29
fragolottina's time
non credevo di arrivare fin qui, ma, signori e signore, ce l'abbiamo fatta.
dichiaro "Il Mitronio di Synt" ufficialmente chiuso.
leggete che ci vediamo più giù!
30.
Epilogo
Zach
aspettò di essere sicuro che sua madre e suo padre dormissero
prima di saltare giù dal letto. Si infilò le scarpe da
ginnastica ed il giubbotto sopra il pigiama, poi, silenzioso,
uscì in corridoio. Scivolò fuori di casa e
scavalcò la staccionata che divideva il suo giardino da quello
dei vicini.
Jamie era già lì, seduto su una delle sdraio che
costeggiavano la piscina esterna. «Ciao, Zachy. È bello
sapere che funzioni ancora.» lo salutò con un mezzo
sorriso.
«Ciao.» Zach si sedette vicino a lui. «Papà
dice che Sean è morto.» disse deglutendo, si morse le
labbra prima di continuare. «Ma non può essere,
vero?» domandò speranzoso. Zach lo sentì trattenere
il fiato, poi lasciarlo lentamente andare; più che abbassarsi le
sua spalle sprofondarono.
«Sean è morto per davvero.»
Zach lo spinse. «Non è vero.»
Jamie incassò. «Sì.»
«No, sei un bugiardo.»
«L’ho seppellito.»
Zach rimase immobile, come aspettando che la terra improvvisamente
inghiottisse anche lui, poi strizzò gli occhi e si tolse le
lacrime dalle guance con un gesto furioso. «Perché tu non
hai fatto niente se eri con lui?» pianse spingendolo ancora.
«Perché quel figlio di puttana l’aveva visto e mi ha
drogato.» rispose con semplicità, si strinse nelle spalle.
«Pardon, è anche tua madre.»
Zach rimase in silenzio tanto a lungo che pensò di essersi
dimenticato come si facesse a parlare. «Come?»
domandò poi.
«Una bomba è esplosa.»
«Chi ce l’aveva messa?»
Jamie rimase in silenzio, parve pensarci; lo guardò.
«Eravamo in guerra, in guerra accadono cose brutte, le persone
muoiono, non c’è un colpevole, non cercarlo.»
ripeté come se stesse leggendo un discorso già scritto.
«Sono le stesse cose che ha detto la mamma.»
«Per questo te lo dico anche io.»
Zach gli afferrò il braccio scrollandolo, frustrato, arrabbiato,
furioso come solo la disperazione lo poteva rendere; ma finì per
appoggiarci la fronte e piangere.
«Devo portarti via di qui.» disse Jamie più a sé stesso che a Zach.
Nate si decise ad aprire la busta
gialla che era stata chiusa sulla sua scrivania tutto il giorno. Gliela
aveva consegnata Jean, era tra le poche lettere cartacee che ancora le
arrivavano; niente timbro postale, niente mittente, solo il suo nome,
scritto sopra con un segno frettoloso di pennarello nero.
La aprì piano e tirò fuori il contenuto.
Era un rapporto
sanitario dell’esercito, lesse la lista dei paesi interessati:
buona parte dell’Africa Mediterranea e Centrale veniva indicata
come zona rossa; Siria, Turchia ed Irak erano zona nera.
Nate
continuò a leggere senza capire di cosa si parlasse,
analizzò i numeri, si contavano migliaia di morti, nessun
guarito.
“I soggetti beta mostrano la completa immunità al virus”.
Virus? Era di un virus che si parlava? Perché non ne sapeva niente?
Il fascicolo che
seguiva era una collezione di macabre foto di cadaveri. Le vittime di
quel virus apparivano estremamente sciupate e sgonfiate in qualche
modo, come se fossero state consumate dall’interno. Erano coperti
da macchie nere e rosse sui bordi, come lividi, ma molto più
scuri e pronunciati.
Corse a leggere il fascicolo che descriveva quel virus e gli stadi del contagio.
Congestione delle vie respiratorie superiori.
Iniziava come un
raffreddore e rimaneva raffreddore per un tempo variabile che andava
dai cinque agli otto giorni. Poi l’infezione scendeva ed
interessava bronchi, polmoni, iniziando a penetrare le vie circolatorie
periferiche; si indebolivano e si rompevano facilmente, da lì le
macchie nere, accumuli di sangue. A mano a mano che la malattia
progrediva il virus si faceva strada sempre più in
profondità sfruttando la circolazione sanguigna. Nel frattempo
la vittima accusava emorragie, spossatezza, tosse con sangue, per non
parlare del fatto che il sangue raggrumato in macchie nere provocava
infezioni. Due erano le principali cause della morte: emorragia interna
o arresto cardiaco.
Il contagio avveniva maggiormente durante la prima fase, con le stesse modalità di un raffreddore.
Nate rimase a pensare per alcuni secondi: quanto avrebbe impiegato ad attraversare l’Atlantico?
Tra i vari
fascicoli c’era anche un’altra busta, quello però
era il rapporto di un medico specializzato in epidemie –
quella parola gli mise i brividi – e c’era una fiala di
sangue. Per un lungo momento, Nate non ebbe il coraggio di toccarla,
terrorizzato all’idea di potersi contagiare. Ma sopra la fiala
c’era un’etichetta: “Sei un soggetto beta”.
Tirò fuori la fiala, poi tutto il resto, compresa una lettera.
“Puoi fare niente?”.
Nate non lo sapeva.
Ero di nuovo seduta ad un tavolo
davanti agli agenti dell’ADP. Wood era dall’altra del vetro
insieme a Jean. Mi avevano già interrogata molte volte ed io
avevo dato la stessa versione dei fatti che avevo raccontato a Jean, al
cimitero, davanti alla tomba di Josh.
Da quando Wood era arrivato a Synt erano pochi i posti davvero sicuri.
«E quindi,
Vegliante Farrel, ci dica ancora una volta perché è scesa
nei garage dell’ospedale?»
Alzai gli occhi
al cielo, stanca di sentirmi porre sempre le stesse domande.
Aspettavano che mi contradicessi da sola per cogliermi in fallo, ma non
l’avrei mai fatto.
«Stavano
trascinando Zach, dovevano avere un’auto ad aspettarli, non
potevano fare molta strada tenendolo tra le braccia.» dissi
pratica.
«Perché non ha sparato?»
«C’era Zach, avevo paura di colpirlo.» ripetei
annoiata. «Esattamente come l’ultima volta che ve
l’ho detto.»
«Eppure le sue pistole erano cariche di sedativo o Mitronio, non pericolose per Zach.»
Sospirai. «Ma era stato molto male, avevo paura di peggiorare la sua situazione.»
«Capisco.» disse uno degli agenti. «Crede che i Veggenti gli faranno del male?»
Mi strinsi nelle spalle. «Non posso saperlo.»
«A lei non ne hanno fatto.» ricordò l’altro.
«No.»
«Perché dovrebbero farne a lui?»
«Ha ucciso
molti più Veggenti di me.» spiegai, poteva essere
un’ottima motivazione, in realtà lo era.
«Crede che
i Veggenti possano raccontare abbastanza bugie a Zach da convincerlo a
passare dalla loro parte.»
«No.» dissi.
«Sa come potremmo fermarlo in quel caso.»
Mi incupii. «Ho risposto di no.»
«Se si sbagliasse…» insinuarono.
«Non mi sbaglio.»
«Mattiamo
che Zach riuscisse a scappare dalla prigionia dei Veggenti.»
intervenne l’altro agente. «Se fosse in lui, dove si
nasconderebbe?»
Per alcuni
secondi rimasi zitta, pensai a Zach, a quello che era ed a quello che
sarebbe stato. Lanciai un’occhiata a Jean e la vidi stringere le
labbra in una linea severa, sapeva che le mie parole, seppur
pronunciate con leggerezza, avevano un peso enorme.
Una dichiarazione di guerra in pentametri giambici è se pur sempre una dichiarazione di guerra.
«Se io
fossi lui…» finsi di pensarci poi risi. «Se io fossi
lui non mi nasconderei.»
Zach aveva tirato per la stanza
tutto quello a cui arrivava. Aveva ribaltato il letto, ogni singolo
piatto che gli avevano portato, anche il secchio che gli avevano
indicato come bagno. Aveva pisciato in un angolo perché voleva
essere infantile e fastidioso. Non aveva buttato l’acqua
perché non era stupido.
Quella notte
però quando aprì gli occhi, accartocciato sul materasso
contro un angolo, la porta era aperta. Non sapeva che ore fossero,
aveva cercato di tenere regolarizzate le ore di sonno e di veglia, in
modo da poter essere sicuro dello scorrere del tempo, ma a volte,
nonostante fosse guarito, si sentiva ancora spossato e non riusciva a
rimanere sveglio fino all’ora della nanna.
Zach si
sollevò sui gomiti, osservandola come la trappola che doveva
essere: perché rapirlo se non volevano tenerselo?
Anche se non
sarebbe stato il primo con cui lo facevano: Becky era tornata, ma
evidentemente se l’erano tenuta abbastanza per plagiarla.
Si alzò
ed afferrò la bottiglia d’acqua, ne prese un lungo sorso,
non sapeva se gli sarebbe potuta servire come arma e non voleva stare
lì a rimuginarci in quel caso.
Dovunque si
trovasse sembrava una specie di ospedale in disuso, c’erano una
miriade di stanze, lui provò ad aprirle tutte, ma solo alcune
erano state lasciate aperte: c’era un posto preciso dove volevano
che andasse. Decise di seguire il percorso che gli avevano lasciato,
più veloce che poteva.
In qualche modo i corridoi lo portarono sotto terra, in una serie di cunicoli dall’aria intricata.
Attraversò varie gallerie prima di trovarsi all’interno
del pozzo di luce – forse un lampione – di un tombino. Si
aggrappò alla scala e spinse per sollevare il coperchio di
ferro, si issò nella strada deserta di una Synt sotto
coprifuoco. Era nella Zona Gialla e pensò con nostalgia a Nate,
si allontanò da loro non appena il ricordo di Becky
rischiò di affiorare nella superficie di delusione fangosa in
cui l’aveva seppellita.
Per un po’
rimase fermo in mezzo alla strada, era stato molto motivato nella fuga,
ma a quel punto non sapeva bene dove andare.
La caserma gli sembrò l’unica opzione possibile.
C’erano Veglianti ovunque, non ne conosceva nessuno.
Gli sembrava di
ricordarsi di alcuni, forse li aveva incontrati all’Asta, ma
erano ospiti. Erano goffi e rumorosi, Jean non li avrebbe mai portati a
casa. Si ricordava gli allenamenti che faceva con Courtney: uno dei due
si bendava e l’altro doveva avvicinarsi il più possibile
senza farsi sentire. Quelli sarebbero stati semplici da trovare anche
per una mezza cheerleader come Becky.
Per un po’
rimase nascosto ad osservarli, indeciso; si sentiva stranamente
disorientato: quella era la sua città e quelli, anche se non
facevano parte della sua squadra, erano Veglianti, dovevano essere
colleghi… no? Un paio di volte fu sul punto di fare un passo in
avanti, uscire dall’ombra, mostrarsi. Lo cercavano perché
erano preoccupati per lui.
Non ci
riuscì, ogni volta che si immaginava farlo i suoi battiti
acceleravano e sentiva il panico mordergli lo stomaco, la cicatrice
lasciata da Romeo pulsare come un avvertimento.
Alla fine si arrese a strisciare di soppiatto verso la caserma.
Scese
all’interno del palazzo di fronte perché gli sembrò
l’unico modo di sbirciare la situazione all’interno.
Ricordava a memoria tutti gli appartamenti vuoti. Si infilò in
una camera da letto abbandonata da tempo, rimaneva soltanto lo
scheletro di un letto, un materasso puzzolente e macchiato ed uno
specchio mezzo rotto.
Vedeva il corridoio del primo piano, le loro camere.
Vedeva Becky.
Camminava a
testa alta. Cercò nella propria mente la ragazzina che aveva
tenuto per mano il giorno dell’Asta e la stessa che rispondeva
male al soldatino dentro la scatola, straordinariamente due facce della
stessa medaglia; gli era piaciuta per quello, l’aveva fatto
ridere e… sì, se Jean avesse saputo che aveva portato a
casa una recluta perché lo aveva fatto ridere gli avrebbe dato
un cazzotto, ma Josh gli aveva sempre detto di prendere le cose che lo
colpivano.
Una ragazza
ispanica le si affiancò con aria determinata, aveva l’aria
familiare, ma non se la ricordava esattamente.
Becky si fermò e per un attimo gli sembrò turbata, ma poi si girò ad affrontarla.
La ragazza la
spinse, le disse qualcosa. All’inizio Becky gli sembrò
dispiaciuta, andò addosso al muro come una bambolina di pezza,
ma rimase in piedi. La ragazza continuò a parlare, Zach
poté leggere nella sua espressione il momento in cui disse
troppo: Becky strinse i pugni e sollevò il viso, il suo sguardo
conteneva la consapevolezza di poter vincere, sempre.
La ragazza
tirò indietro il pugno per darle un cazzotto, ma
all’ultimo Becky si abbassò e la ragazza colpì il
muro con abbastanza forza da rompersi qualcosa se non avesse stretto
bene. Becky non aveva finito: a terra si appoggiò sulle mani ed
allungò una gamba dietro le sue, indovinando che sarebbe
indietreggiata. La ragazza cadde goffamente sulla schiena.
Becky si
alzò e si guardò intorno tirandosi indietro i capelli,
assicurandosi che non l’avesse vista nessuno; poi si sporse a
guardare la sua avversaria a terra.
«”E
ringrazia che Wood mi fa consegnare le pistole”.» disse una
voce alle spalle di Zach.
Lui continuò a guardare Becky infilarsi nella sua camera, poi si voltò a fronteggiare Romeo.
«Era
Amanda Martinez, Iago era suo fratello.» spiegò
recuperando un pacchetto di sigarette dalla tasca, ne prese una, poi lo
lanciò verso Zach che lo prese al volo. «Becky l’ha
ucciso e lei ha detto che per vendetta avrebbe ucciso te.»
Zach rimase
guardingo per alcuni secondi, poi ne prese una a sua volta; se la porto
alle labbra leccando la parte posteriore del filtro come faceva sempre.
Tornò a guardare verso la caserma.
«Affascinante, vero?» indovinò Romeo. «Becky
al momento è tipo una lampadina a basso voltaggio: si sta
accendendo ed ogni momento che passa brilla un po’ di
più.»
Zach
continuò a pensarci, era stata brava, intelligente. Era sempre
la stessa Becky, non molto forte e poco portata al combattimento corpo
a corpo, ma era stata abbastanza sveglia da sfruttare l’impeto e
la rabbia cieca della sua avversaria a suo favore. Magari però
la prossima volta se ne sarebbe occupato lui…
«Non si fa
del male ai Veglianti.» Romeo irruppe nei suoi pensieri come se
avesse parlato a voce alta. Gli si avvicinò e continuò.
«Per quanto possibile, non ci piace nemmeno farci catturare o
bistrattare, ma… sono come noi e non lo sanno, sarebbe sleale
prendersela con loro. Non sono il nemico.»
«Io non sono il nemico?» chiese a Romeo, scettico mentre si voltava a guardarlo.
Lui scosse la testa.
«E chi è allora?»
Romeo ci
pensò. «È un po’ più complicato di
così, ma posso spiegartelo.» propose. «Però
ho bisogno di sapere che vuoi fare.»
«Che voglio fare?» domandò Zach confuso lanciandogli appena un’occhiata.
«Posso
farti andare via da qui, trasferirti in un posto dove nessuno ti
cercherà, farti sparire. Non sei obbligato a restare.»
Zach si
concentrò sulla caserma, appoggiò le braccia
all’intelaiatura, ormai vuota, della finestra e buttò
fuori una boccata di fumo che guardò salire in alto. Le luci
iniziavano a spegnersi, non li vedeva più, ma sapeva che dentro
c’erano i suoi amici, gli unici che avesse mai avuto; loro
sarebbero rimasti, avrebbero lottato. Guardò Romeo, sospettoso.
«Sai cosa ti risponderò, vero?»
Lui rise. «Posso dirti di no se la cosa ti fa sentire meglio.»
Zach alzò
gli occhi al cielo e scosse la testa, poi tornò a qualcosa che
Romeo gli aveva detto poco prima. «Sono come te?»
Romeo lo
guardò. «Quasi, mi somigli parecchio e sai fare quello che
faccio io.» indicò con un cenno del capo la caserma alle
sue spalle. «Loro sono esattamente come me.»
«Anche Becky?»
«Sì.»
Zach si sentiva
disorientato, non tanto per quello che Romeo gli stava dicendo, quanto
per il come: niente indovinelli, niente frasi a metà, niente
misteri; la verità, tutta la verità, era semplicemente
alla portata delle sue domande.
Lo guardò come se improvvisamente stesse ricordando qualcosa. «Io però non vedo.»
«Vedrai.» promise Romeo. «Anzi, credo che tu abbia
già iniziato a sognare qualcosina.»
Zach non si sbilanciò, non disse niente.
«Comunque, io torno a casa, ti ricordi la strada?» gli domandò.
«Non hai paura che scappi? Non vuoi riportarmi con te?»
Romeo si
stiracchiò. «Non stai scappando e non credo che lo
farai.» osservò prima di scuotere la testa con aria
stanca. «E poi fai casino se ti teniamo dentro. Oh, ti conviene
pulire il bordello che hai lasciato perché quella
continuerà ad essere la tua stanza.» lo rimproverò.
«Se resto.» puntualizzò.
Romeo lo
congedò con appena lo sventolio di una mano mentre si dirigeva
verso la porta. «Sì, sì, come ti pare.
L’ultima nave parte domani all’alba quindi sbrigati a
prendere una decisione ovvia.» si raccomandò. «Una
volta fatto passa a trovare Ryan, non si combattono i Veglianti armati
di Wood a mani nude.»
«E si mi prendono?»
Romeo rise.
«Prenderti? Tu non sei mai riuscito a prendermi.» gli
ricordò, poi fece una smorfia. «Solo, attento a non far
arrabbiare Becky perché lei ci spara davvero.»
«Sì, me lo ricordo.» borbottò Zach contrariato.
Due giorni dopo
che Jamie aveva cercato di farlo uscire dal paese con dei documenti
falsi, Logan Douquette salì le scale diretto in camera di suo
figlio. Dhelia era sul divano al piano di sotto, presente solo a
metà, troppo stordita dai calmanti per avere davvero coscienza
di sé: la morte di Sean e la successiva quasi scomparsa di Zach
le avevano causato un crollo nervoso.
Suo figlio era seduto per terra, con la schiena contro il letto.
«Zach?» lo chiamò osservandolo, aveva gli occhi
chiusi, ma gli sembrava piuttosto inusuale che si fosse addormentato in
quel modo.
«Zachy, stai bene?» chiese ancora.
Zach aprì gli occhi e lo fissò, Logan Douquette fece un
passo indietro con un brivido; erano i suoi occhi, ma Zach lo guardava
con lo stesso sguardo di sfida di Sean.
«Ce l’hai messa tu quella bomba.» disse, non aveva
l’intonazione di una domanda, anzi, da come venne posta, sembrava
che il primo sorpreso fosse lui.
«Cosa?»
«Sei stato tu ad uccidere Sean.»
Logan rimase zitto, poi aggrottò le sopracciglia.
«È stato Jamie a dirti una cosa simile?» gli chiese.
Zach si alzò in piedi, aveva il manico della mazza da baseball
che gli aveva regalato stretto in un pugno. Scosse la testa in lacrime.
«L’ho visto.»
Logan trascinò Zach al pronto soccorso e lo scaricò come
immondizia, sopra una brandina. Urlava ancora, aveva urlato per tutto
il tempo, tossendo e bussando sul portabagagli. Non si era fatto
impietosire, non era un bambino vero, era troppo pericoloso lasciarlo
diventare tanto consapevole di sé stesso. Sean aveva fatto un
casino.
«Rimettetelo apposto, dategli tutto il Mitronio che riesce a
reggere e chiamate Dawn Dandley: non voglio che ricordi niente di questa notte.»
ordinò ai medici che vennero a soccorrerlo.
«Anzi…» si corresse fissando gli occhi di suo figlio
spalancati ed impauriti. «Fate in modo che ricordi un pochino,
che sappia che non può fare di testa sua, che gli ordini li do
io.»
«Io non dimenticherò.» promise Zach, la voce arrochita per aver strillato tanto.
Logan si chinò su di lui. «Certo che lo farai. E nessuno
potrà ricordarti come sei: Sean è morto, Jamie non
può rientrare nello stato senza essere arrestato, tua madre sta
lentamente andando fuori di testa: sei solo. Chi ti
aiuterà?»
Lui deglutì e cercò
arrivando più lontano che poté, trovando aiuto nel futuro
visto che non poteva averne nel presente. Sorrise. «Un Vegliante
dai capelli rossi.»
eccomi...
oddio, ce l'ho fatta!!
e ad un prima occhiata mi pare che quadra tutto!!
dunque procediamo con i ringraziamenti.
come sempre ringrazio di cuore le prime recensitrici, quelle che hanno
preso la mia storia, sconosciuta, potenzialmente folle e decisamente
lunga - il primo capitolo conta 4642 parole, rendiamoci conto - e mi
hanno detto: Daje! grazie, siete state fondamentali!
poi un grazie a tutte quelle che in queste anni - no, dico, parliamo di
anni - mi hanno supportata, voluto bene, incoraggiata, aspettata. siete
state dolci, pazienti, educate e gentili quando sbagliavo, piene di
cose carine da dirmi anche quando qualcosa non vi convinceva.
spero di essere stata in grado di ricambiare tanto affetto. tirate
fuori il meglio di me, mi fate venir voglia di scrivere sempre meglio,
di offrirvi letture sempre più interessanti, perchè ve lo
meritate.
e, oh, nel caso io fossi stata poco gentile qualche volta, chiedo
scusa: ho anche io le mie giornate no ed anche io posso essere di
cattivo umore, ma sappiate che niente di quello che mi avete detto
è stato soffiato al vento.
progetti futuri.
allora, mi fermerò un pochino per due motivi: primo, devo
strutturare la trama del secondo capitolo della saga e se non vogliamo
impiccarci in buchi logici impossibili da sbrogliare, bisogna fare un
lavoro minuzioso; secondo, non ridete, voglio aggiustare il Mitronio e
mandarlo a qualche casa editrice, tanto per vedere che fa.
non ridete, c'ho pensato tanto. la prima a credere che non sia
abbastanza buono sono io, fidatevi, è che ho pensato che ci ho
lavorato tanto - e ci lavorerò tanto - e tutto sommato a
provarci non perdo niente, no?
se voleste incrociare le dita per me non sarebbe male!
le dolenti note.
furbette, dopo essermi fatta una cultura sul sito della SIAE ed aver
chiesto al mio avvocato tutto quello che potevo in merito, ho
scoperto questo: rendere on-line e fruibile una storia su un sito
pubblico, rappresenta già di per sè una dichiarazione di
proprietà. questa storia e tutte le altre sono legalemente mie.
risparmiatevi l'umiliazione di dire alle vostre lettrici "Mi fate i complimenti per una storia non scritta da me".
in questo, lettrucciole, vi chiedo aiuto. sono presente e lo
sarò nonostante il mio periodo di pausa, ma siccome non sono in
tutti i luoghi e in tutti i laghi, a differenza di Valerio Scanu, non posso esserlo, nel caso vediate
cose sospette, storie che vi puzzano, idee che non vi sembrano proprio
originali e soprattutto il copia/incolla, vi prego, segnalate a chi di
dovere ed avvertitemi, ve lo chiedo come favore personale.
anche perchè, come scritto sulla mia pagina personale, non
autorizzo riproduzioni della mia storia, in nessuna lingua ed in nessun
sito. le mie storie sono a mio nome e pubblicate su EFP, tutto quello
che trovere al di fuori non ha la mia autorizzazione.
vi lascio i miei contatti: Fragolottinasfanpage e Twitter
sappiate che potete cercarmi per ogni cosa, ispirazioni, consigli su
tutto quello che vi viene in mente di chiedermi consiglio - a vostro
richio e pericolo obviously!
vi voglio bene!
baci
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