La prima cosa che Adele vide, quando si
risvegliò, fu la figura lievemente offuscata di una suora,
l'abito bianco, il grembiule e l’ampio copricapo del medesimo
colore.
“Dove sono?” biascicò incerta la
ragazza: era sdraiata su un letto di ferro, incredibilmente stretto e
con le sbarre alzate.
Le pareti della stanza erano asetticamente incolori, lunghe e larghe,
illuminate dalla luce del sole che filtrava da
un’ampia finestra, le tende lattescenti tirate.
Un paravento di un beige sbiadito la separava dagli altri pazienti.
“Siete in ospedale” le rispose dolcemente la donna,
gli occhi azzurri calmi ed espressivi: doveva avere
trent’anni, non di più, era alta e magra, con le
mani calde che sfiorarono con timidezza quelle fredde e pallide della
giovane, abbandonate fuori dal lenzuolo altrettanto candido ma ruvido.
“Perché? Cosa mi è successo?”
s’informò Adele, anche se non le importava
veramente sentire la risposta, però desiderava che quella
suora, dall’apparenza amichevole, rimanesse ancora per
qualche istante lì con lei, a farle compagnia.
“Vi hanno portata qui martedì pomeriggio: il
nostro ginecologo vi ha operata non appena ha visto la condizione in
cui versavate …” e d’improvviso si
bloccò, indecisa se continuare.
“A cosa vi state riferendo?” faticò a
domandare la ragazza, deglutendo e chiudendo per un secondo gli occhi
“ditemi la verità, per favore
...”
“Avete avuto un’emorragia, un’emorragia
molto importante. Purtroppo non siamo riusciti a salvare i vostri
piccoli … mi dispiace, mi dispiace infinitamente,
cara” concluse con la voce incrinata la suora, posando
nuovamente le sue mani su quelle della paziente.
“Quali piccoli?”
Uno sguardo interrogativo fece capolino sul bel volto
dell’altra donna che, imbarazzata, domandò:
“Non sapevate di essere in stato interessante?”
“Sì, certo, ma perché avete parlato al
plurale?” adesso Adele vedeva con chiarezza la figura
immacolata di fronte a lei, tanto che cercò di sollevarsi a
sedere, ma una fitta dolorosa e incredibilmente viva–
completamente diversa da quelle che l’avevano colpita il
giorno precedente- le trafisse il basso ventre.
“Non dovete fare movimenti di vostra iniziativa: è
troppo prematuro” continuò l'altra donna, rimboccandole il
lenzuolo e sprimacciandole con cura il cuscino, quindi
proseguì:
“Erano due le creature che portavate in grembo. Purtroppo non
vi so dire se fossero maschio o femmina, perché era ancora
presto. Il medico ha potuto solo arrestare l’emorragia
…”
Dovrei piangere, come
ogni madre farebbe al posto mio. Eppure non provo nulla, anzi, mi sento
libera, sgravata da un peso di cui credevo non avrei mai potuto
liberarmi.
“Per quanto tempo ho dormito?” domandò
semplicemente, senza fare alcun cenno a quello che le aveva appena
rivelato la suora.
“Due giorni … da quando vi hanno portata qui non
avete più ripreso conoscenza” le rispose,
adducendo lo strano comportamento della giovane donna
all’immenso e inaspettato dramma che l’aveva
colpita.
“Chi mi ha portato qui?”
s’informò trepidante Adele, mentre il cuore
riprendeva a battere con foga.
“Vostro marito e un ragazzo …”
“E’ qui, adesso?” domandò
speranzosa la giovane.
“Oh no, cara. L’orario di visita non è
ancora iniziato. Sono appena le tre, ma appena arriverà,
dirò a vostro marito che vi siete svegliata e
…”
La suora annuì convinta, regalando un sorriso di
comprensione alla paziente davanti a lei.
“No! Io non intendevo lui! Umberto, il ragazzo che era con
lui, è qui?!”
Era certa, infatti, che fosse stato lui a portarla in ospedale, colpito
dai rimorsi per il modo in cui l’aveva trattata.
La giovane suora aggrottò leggermente le sopracciglia
sottili e, scuotendo la testa, le spiegò con voce
palesemente imbarazzata:
“Ha atteso fino a tarda sera che
l’operazione finisse, poi se ne è andato, ma prima
mi ha pregato di lasciarvi un messaggio,
cara: ha chiesto di dirvi di perdonarlo, che la colpa
è stata solo sua e che vi vuole molto bene”
Di certo non avrebbe potuto dirle che aveva confessato in lacrime di
amare quella sfortunata ragazza, perché lei era
già sposata con il signor visconte, un uomo di una squisita
gentilezza che, per di più, non aveva replicato alle
insensate parole dell'altro uomo; la suora era infatti convinta che
avesse udito la fremente conversazione tra lei ed Umberto,
eppure aveva avuto la galanteria di non ribattere.
“Non è mai venuto a trovarmi in questi due
giorni?” continuò con voce
infantile, riprendendo a guardare la donna in piedi davanti a lei.
“Vostro marito ha espressamente vietato qualsiasi visita
oltre alla sua e a quella del dottor Franzini, che ho saputo essere il
marito di vostra sorella. Ma state tranquilla: adesso, la cosa
fondamentale, è che vi rimettiate! Ora devo andare, cara.
Chiamerò il medico perché vi visiti. Se avete
bisogno di me, chiedete di suor Eleonora”
Adele chiuse gli occhi e sorrise, cercando di
stringere a pugno le mani deboli e indolenzite: voleva al
più presto riappropiarsi del proprio corpo per ritornare a
casa, da Umberto, e sentire di possedere ancora un minimo di forza, la
rincuorava, facendola ben sperare che sarebbe uscita presto da
lì.
Stava sognando due bambini, un maschio e una femmina di quattro o forse
cinque anni, che giocavano a rincorrersi in una distesa di tulipani.
I gambi dei fiori erano incredibilmente alti, tanto che lei non
riusciva a vederne i corpi, ma solo i visi, paffuti e rosei, circondati
da ricci castani.
Differivano solo per il colore degli occhi: il bambino li aveva color
ambra, come la madre, la bambina invece aveva gli occhi verdi del padre.
“Adele …” la voce preoccupata di
Francesco la riportò alla realtà.
Non voleva vederlo, né tantomeno parlargli, ma il tocco
fastidioso delle sue mani su una guancia, la costrinse a scuotere il
capo.
“Cosa volete? Non pensate di avermi fatto abbastanza
male?”
La giovane sposa si sentiva di nuovo fisicamente debole ma mentalmente
forte: non aveva più paura delle conseguenze delle sue
parole e dei suoi gesti, perché adesso era libera,
semplicemente libera da ogni obbligo che comportino le definizioni di
madre e di buona moglie.
“Vi prego, non parlate in questo modo. Io non ho colpa, voi
lo sapete! La disperazione per la perdita dei nostri figli vi annebbia
la razionalità …” tentò di
giustificarla, seduto su una sedia misteriosamente comparsa di fianco
al letto.
“Non sono pazza, e nemmeno addolorata! Avete sempre saputo
che non volevo questa gravidanza! Adesso non fate il padre addolorato,
perché è un ruolo che …” la
stessa fitta dolorosa che aveva provato un paio di ore prima, mentre
parlava con la suora, si fece risentire “non vi si
addice” concluse stancamente.
“Io desideravo con tutto me stesso questo figlio! L'ho amato
appena ho saputo che eravate incinta e, se fossero nati entrambi, la
nostra felicità sarebbe cresciuta ancora di più!
Non potete e non dovete permettervi di trattarmi come un mostro, Adele,
non lo merito, e voi lo sapete!”
“Ma voi siete un mostro! Mi avete distrutto la vita! Siete
stato capace solo di trattarmi come qualcosa di vostra
proprietà, mai come una moglie: realmente amata, rispettata,
condividente le vostre gioie, le vostre preoccupazioni …
” la voce di Adele era bassa e strascicata, perché
aveva la bocca secca e quasi corrosa da tutta la ruggine che aveva
covato in quegli anni.
“Non vi siete mai chiesta perché vi ho
sposata?” domandò l’uomo,
un lampo di malvagità negli occhi.
“Cosa c’entra questo con quello di cui stiamo
… parlando?” concluse flebilmente la moglie,
cercando di sistemarsi più comodamente nel letto.
Un sorriso di beffa incurvò le labbra ben disegnate del
visconte, poco prima di spiegarle con un lampo di rivincita
negli occhi:
“Immagino che vostro padre non vi abbia mai rivelato nulla!
D’altronde, non è qualcosa di cui andare fieri
…”
La ragazza deglutì, un’espressione di stupore mal
celato sul volto smunto e sofferente:
“Parlate! Detesto questi stupidi giri di parole!”
Francesco annuì, serio e vendicativo allo stesso tempo:
“Vi ho vinto,
cara Adele, vi ho vinto
ad un tavolo da gioco! Vostro padre ha deciso di cedervi quando non gli
è rimasto più nulla da scommettere!”
Lei si guardò intorno incredula, nella vana speranza che
entrasse la dolce suora a proteggerla e a mandar via quel maledetto
demonio.
“Credo sapeste, quando ci siamo
sposati, che la vostra famiglia non versasse
in condizioni finanziarie particolarmente agiate: vostro padre
aveva preso la sfortunata abitudine di giocare parte delle rendite
delle proprietà a carte, solo che non aveva fatto i conti
con gli avversari più forti che avrebbe poturo
incontrare!”
L’uomo distolse per un istante gli occhi dalla moglie,
abbassandoli verso il pavimento immacolato, per poi rialzarli e
riprendere con la stessa boriosa sicurezza di poco prima:
“Devo ammettere che ho sempre goduto di una più
che discreta abilità nel gioco d’azzardo e, quello
che poi è
successo, ha confermato quanto vi sto dicendo!”
Una rabbia crescente offuscò la mente di Adele, che
cominciò a stringere i pugni, le cui nocche si tinsero di
bianco per la forza che stava lentamente recuperando.
“Ebbene: una di queste sere, alla terza mano –me lo
ricordo ancora, sapete?- vostro padre non aveva più nemmeno
una moneta da puntare! Credo fosse talmente disperato, talmente
incredulo, che la prima cosa che pronunciò per uscire con
eleganza, se così si può dire, fu questa:
“Vi cedo mia
figlia, signor visconte, ma vi prego, non chiedetemi di proseguire
oltre, perché non ho più niente.”
Proprio così ha detto, mia cara! Io lì per
lì ero convinto scherzasse: insomma, quale padre degno di
tale nome avrebbe osato vendere il suo bene più prezioso ad
uno sconosciuto?! Eppure, lui l’ha fatto, ha avuto il
coraggio di farmi questa … offerta! Comunque sia, da
gentiluomo quale sono, ho subito accettato, naturalmente!
Così me ne sono tornato in Francia e, dopo un paio di
giorni, il vostro generoso genitore mi ha scritto per chiedermi di
incontrarvi! Il resto della storia la sapete, mia cara!”
Ad Adele vennero in mente, come il lampo di un temporale estivo che
squarcia improvvisamente il cielo calmo e immobile, le parole di suo
cognato Alexander, il fratello di quel maledetto del marito, che gli
era stato di grande compagnia durante le due settimane trascorse in
Francia dalla suocera, ormai un mese addietro.
Aveva ragione,
pensò, quando
mi parlava della misteriosa lettera che aveva fatto partire
così repentinamente questo mostro!
Poi, a voce alta e sicura, domandò:
“Perché mi state raccontando tutto questo? Proprio
adesso, proprio qui? Appena qualche giorno fa avete detto di amarmi, ma
questa non è una dimostrazione di … amore. Voi mi
odiate per quello che ho fatto, ma io invece sono felice, sono
tremendamente felice, perché i figli che aspettavo non
saranno mai vostri! Non avrete più nulla da me, ve lo
giuro!”
“Lo so” rispose asciutto l’uomo, senza
sforzarsi di far trapelare alcuna emozione “ma ormai non mi
interessa. Siete libera, se è questo che volete: potrete
abbandonare il palazzo, andare dove desiderate! Ho sprecato due anni ad
amarvi, a cercare di farvelo capire e ad accontentarvi: ho fallito, lo
ammetto, e adesso mi tiro indietro”.
Adele non era sicura di aver sentito bene: eppure le parole le
apparivano sincere, crude e spietate, ma sinceramente autentiche.
“State dicendo sul serio? Mi lascerete in pace, permetterete
che viva la mia vita con chi voglio e dove desidero?!”
domandò con una punta di sorpresa la giovane, affondando i
pugni nelle lenzuola.
Francesco annuì: prese tra le sue le mani della moglie,
adesso stranamente calde dopo molto tempo.
Le baciò con delicatezza, poi si alzò dalla sedia
–anch’essa bianca come ogni cosa in quella stanza-
e avvicinò il viso alla bocca di lei.
“Non vi sto prendendo in giro. Addio, Adele, siate
felice”.
La prima cosa che le venne in mente quando Francesco varcò
la porta per uscire, fu quella di scrivere una lettera per la signorina
Felicita, per avvisarla che il giorno successivo non avrebbe potuto
andare al mercato a ritirare le sottogonne, come avevano pattuito la
settimana precedente.
Se suor Eleonora aveva detto la verità, da quando era stata
male erano passati già due giorni, quindi oggi dovrebbe essere
giovedì, stava riflettendo la ragazza.
Sì, non c’era altro tempo da perdere:
cercò a tastoni un campanello per chiamare qualcuno che
potesse scrivere quelle poche righe al suo posto.
Quando lo trovò, fece ondeggiare il minuscolo oggetto per un
paio di volte, con tutte le forze che, a fatica, stava lentamente
recuperando.
Il visconte percorse a passo spedito il corridoio e la scalinata, il
cappello blu scuro stropicciato tra le mani.
Una volta uscito nell’androne del palazzo che ospitava
l’ospedale, respirò profondamente l’aria
di aprile del tardo pomeriggio, passandosi una mano tra i folti capelli
neri.
Rimase in piedi, appoggiando la schiena avvolta dalla giacca dello
stesso colore del copricapo allo stipite dell’ingresso, per
lasciar passare un gruppo di suore e di medici.
Due giorni prima, mentre stava fronteggiando Umberto, si era subito
accorto della presenza discreta di Adele che, sempre più
pallida, nel giro di pochi minuti, era crollata sul pavimento, priva di
sensi.
Lui le si era subito avvicinato, prendendole il volto tra le mani e,
schiaffeggiandola delicatamente, aveva cercato di soccorrerla,
facendole riprendere conoscenza, ma inutilmente.
“Quel damerino
le si affannava intorno come un bambino attaccato alle gonne
della madre. Se non lo avessi spronato a reagire, a quest’ora
quella sciocca sarebbe morta dissanguata!”
In realtà, Francesco aveva intralciato qualsiasi
atteggiamento di aiuto che il rivale gli porgesse, perché
sperava che, al risveglio della moglie, questa lo ringraziasse,
dimenticandosi una volta per tutte di Umberto.
La perdita dei figli che già pregustava di veder crescere,
era stato un colpo molto duro da digerire, a cui non riusciva ancora a
rassegnarsi completamente.
Sapeva che, appena avesse aperto bocca, avrebbe potuto avere uno stuolo
di donne a supplicarlo di fare un figlio con lui, tuttavia era una
questione di onore: si sentiva punto nel vivo, nell’orgoglio
di nobiluomo che era sempre riuscito ad ottenere ogni cosa volesse.
Non era più sicuro dell’amore che aveva declamato
a gran voce appena una settimana prima, quando la moglie gli aveva
confessato di non amarlo, di detestare la vita matrimoniale che le
aveva offerto in quei due anni; era indubbiamente attratto
dall’ingenua e candida bellezza fisica di Adele, per questo
si era sforzato di aspettare che gli si concedesse, eppure provava
anche pena per l’infelicità a cui,
involontariamente, l’aveva sottoposta per tutto quel tempo.
“Se solo lei
avesse provato a volermi bene, a quest’ora sarebbe ancora
incinta, e io non le avrei mai rivelato di quella sera, quando quello
stupido del padre me l’ha ceduta a carte!”.
Non era abituato a piangersi addosso: aveva tutto un mondo a palazzo ad
attenderlo, i suoi cani e il gatto, che aveva sempre amato
più di ogni altra cosa, poi c'erano le proprietà
di famiglia di cui occuparsi, i libri da sfogliare e assaporare, la
musica da gustare ai concerti, i quadri da ammirare alle mostre d'arte,
le feste a cui Adele si faceva sempre supplicare per farsi portare ...
Abbandonò la postazione che aveva privilegiato per
riflettere sugli avvenimenti che avevano caratterizzato gli ultimi
giorni: si mise il cappello in testa e, calpestando il viale in fondo a
cui il signor Caccia lo stava aspettando, salì in carrozza.
“Oh, signor visconte, siete già di ritorno! Come
sta vostra moglie?” s’informò il
cocchiere, rivolgendo un sorriso in direzione del padrone.
“Bene, si è completamente ristabilita. Andiamo, si
è fatto tardi …”
“Ma … questo significa che tornerà
presto a casa?” cercò di replicare il vetturino,
imbarazzato per la strana reazione dell’uomo.
“Ho detto che possiamo andare, Caccia! E questo è
tutto!”
Francesco lanciò un’occhiata di sfida verso le
finestre del secondo piano dello stabile.
Si lasciò andare sullo schienale imbottito e chiuse gli
occhi.
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