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Autore: rossella0806    10/05/2015    3 recensioni
Piemonte, inizi del 1900.
Adele ha appena vent'anni quando è costretta a sposare il visconte Malgari di Pierre Robin, di quindici anni più vecchio, scelto in circostanze non chiarite dal padre di lei, dopo la chiusura in convento di Umberto, il ragazzo amato da Adele.
I genitori del giovane, infatti, in seguito ad una promessa fatta a Dio per risparmiarlo dalla tubercolosi, non ebbero alcun dubbio a sacrificare il figlio ad una vita di clausura, impedendogli di scegliere una strada alternativa.
Sono passati due anni dal matrimonio e dall'allontanamento forzato da Umberto, e Adele si è in parte rassegnata a condurre quell'esistenza tra Italia e Francia, circondata da persone che non significano nulla per lei, in balia di un marito che non ama, fino a quando, una sera di marzo, giunge a palazzo una lettera di Umberto, che le confessa di essere scappato dal convento di monaci e che presto la raggiungerà per portarla via.
Genere: Avventura, Drammatico, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Incompiuta | Contesto: Contesto generale/vago, Storico
Capitoli:
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La prima cosa che Adele vide, quando si risvegliò, fu la figura lievemente offuscata di una suora, l'abito bianco, il grembiule e l’ampio copricapo del medesimo colore.
“Dove sono?” biascicò incerta la ragazza: era sdraiata su un letto di ferro, incredibilmente stretto e con le sbarre alzate.
Le pareti della stanza erano asetticamente incolori, lunghe e larghe,
illuminate dalla luce del sole che filtrava da un’ampia finestra, le tende lattescenti tirate.
Un paravento di un beige sbiadito la separava dagli altri pazienti.
“Siete in ospedale” le rispose dolcemente la donna, gli occhi azzurri calmi ed espressivi: doveva avere trent’anni, non di più, era alta e magra, con le mani calde che sfiorarono con timidezza quelle fredde e pallide della giovane, abbandonate fuori dal lenzuolo altrettanto candido ma ruvido.
“Perché? Cosa mi è successo?” s’informò Adele, anche se non le importava veramente sentire la risposta, però desiderava che quella suora, dall’apparenza amichevole, rimanesse ancora per qualche istante lì con lei, a farle compagnia.
“Vi hanno portata qui martedì pomeriggio: il nostro ginecologo vi ha operata non appena ha visto la condizione in cui versavate …” e d’improvviso si bloccò, indecisa se continuare.
“A cosa vi state riferendo?” faticò a domandare la ragazza, deglutendo e chiudendo per un secondo gli occhi  “ditemi la verità, per favore ...”
“Avete avuto un’emorragia, un’emorragia molto importante. Purtroppo non siamo riusciti a salvare i vostri piccoli … mi dispiace, mi dispiace infinitamente, cara” concluse con la voce incrinata la suora, posando nuovamente le sue mani su quelle della paziente.
“Quali piccoli?”
Uno sguardo interrogativo fece capolino sul bel volto dell’altra donna che, imbarazzata, domandò:
“Non sapevate di essere in stato interessante?”
“Sì, certo, ma perché avete parlato al plurale?” adesso Adele vedeva con chiarezza la figura immacolata di fronte a lei, tanto che cercò di sollevarsi a sedere, ma una fitta dolorosa e incredibilmente viva– completamente diversa da quelle che l’avevano colpita il giorno precedente- le trafisse il basso ventre.
“Non dovete fare movimenti di vostra iniziativa: è troppo prematuro” continuò l'altra donna, rimboccandole il lenzuolo e sprimacciandole con cura il cuscino, quindi proseguì:
“Erano due le creature che portavate in grembo. Purtroppo non vi so dire se fossero maschio o femmina, perché era ancora presto. Il medico ha potuto solo arrestare l’emorragia …”
Dovrei piangere, come ogni madre farebbe al posto mio. Eppure non provo nulla, anzi, mi sento libera, sgravata da un peso di cui credevo non avrei mai potuto liberarmi.
“Per quanto tempo ho dormito?” domandò semplicemente, senza fare alcun cenno a quello che le aveva appena rivelato la suora.
“Due giorni … da quando vi hanno portata qui non avete più ripreso conoscenza” le rispose, adducendo lo strano comportamento della giovane donna all’immenso e inaspettato dramma che l’aveva colpita.
“Chi mi ha portato qui?” s’informò trepidante Adele, mentre il cuore riprendeva a battere con foga.
“Vostro marito e un ragazzo …”
“E’ qui, adesso?” domandò speranzosa la giovane.
“Oh no, cara. L’orario di visita non è ancora iniziato. Sono appena le tre, ma appena arriverà, dirò a vostro marito che vi siete svegliata e …”
La suora annuì convinta, regalando un sorriso di comprensione alla paziente davanti a lei.
“No! Io non intendevo lui! Umberto, il ragazzo che era con lui, è qui?!”
Era certa, infatti, che fosse stato lui a portarla in ospedale, colpito dai rimorsi per il modo in cui l’aveva trattata.
La giovane suora aggrottò leggermente le sopracciglia sottili e, scuotendo la testa, le spiegò con voce palesemente imbarazzata:
Ha atteso fino a tarda sera che l’operazione finisse, poi se ne è andato, ma prima mi ha pregato di lasciarvi un messaggio, cara: ha chiesto di dirvi di perdonarlo, che la colpa è stata solo sua e che vi vuole molto bene”
Di certo non avrebbe potuto dirle che aveva confessato in lacrime di amare quella sfortunata ragazza, perché lei era già sposata con il signor visconte, un uomo di una squisita gentilezza che, per di più, non aveva replicato alle insensate parole dell'altro uomo; la suora era infatti convinta che avesse udito la fremente conversazione tra lei ed Umberto, eppure aveva avuto la galanteria di non ribattere.
“Non è mai venuto a trovarmi in questi due giorni?”
continuò con voce infantile, riprendendo a guardare la donna in piedi davanti a lei.
“Vostro marito ha espressamente vietato qualsiasi visita oltre alla sua e a quella del dottor Franzini, che ho saputo essere il marito di vostra sorella. Ma state tranquilla: adesso, la cosa fondamentale, è che vi rimettiate! Ora devo andare, cara. Chiamerò il medico perché vi visiti. Se avete bisogno di me, chiedete di suor Eleonora”
Adele chiuse gli occhi e sorrise, cercando di stringere a pugno le mani deboli e indolenzite: voleva al più presto riappropiarsi del proprio corpo per ritornare a casa, da Umberto, e sentire di possedere ancora un minimo di forza, la rincuorava, facendola ben sperare che sarebbe uscita presto da lì.


Stava sognando due bambini, un maschio e una femmina di quattro o forse cinque anni, che giocavano a rincorrersi in una distesa di tulipani.
I gambi dei fiori erano incredibilmente alti, tanto che lei non riusciva a vederne i corpi, ma solo i visi, paffuti e rosei, circondati da ricci castani.
Differivano solo per il colore degli occhi: il bambino li aveva color ambra, come la madre, la bambina invece aveva gli occhi verdi del padre.
“Adele …” la voce preoccupata di Francesco la riportò alla realtà.
Non voleva vederlo, né tantomeno parlargli, ma il tocco fastidioso delle sue mani su una guancia, la costrinse a scuotere il capo.
“Cosa volete? Non pensate di avermi fatto abbastanza male?”
La giovane sposa si sentiva di nuovo fisicamente debole ma mentalmente forte: non aveva più paura delle conseguenze delle sue parole e dei suoi gesti, perché adesso era libera, semplicemente libera da ogni obbligo che comportino le definizioni di madre e di buona moglie.
“Vi prego, non parlate in questo modo. Io non ho colpa, voi lo sapete! La disperazione per la perdita dei nostri figli vi annebbia la razionalità …” tentò di giustificarla, seduto su una sedia misteriosamente comparsa di fianco al letto.
“Non sono pazza, e nemmeno addolorata! Avete sempre saputo che non volevo questa gravidanza! Adesso non fate il padre addolorato, perché è un ruolo che …” la stessa fitta dolorosa che aveva provato un paio di ore prima, mentre parlava con la suora, si fece risentire “non vi si addice” concluse stancamente.
“Io desideravo con tutto me stesso questo figlio! L'ho amato appena ho saputo che eravate incinta e, se fossero nati entrambi, la nostra felicità sarebbe cresciuta ancora di più! Non potete e non dovete permettervi di trattarmi come un mostro, Adele, non lo merito, e voi lo sapete!”
“Ma voi siete un mostro! Mi avete distrutto la vita! Siete stato capace solo di trattarmi come qualcosa di vostra proprietà, mai come una moglie: realmente amata, rispettata, condividente le vostre gioie, le vostre preoccupazioni … ” la voce di Adele era bassa e strascicata, perché aveva la bocca secca e quasi corrosa da tutta la ruggine che aveva covato in quegli anni.
“Non vi siete mai chiesta perché vi ho sposata?” domandò
l’uomo, un lampo di malvagità negli occhi.
“Cosa c’entra questo con quello di cui stiamo … parlando?” concluse flebilmente la moglie, cercando di sistemarsi più comodamente nel letto.
Un sorriso di beffa incurvò le labbra ben disegnate del visconte, poco prima di spiegarle con un lampo di rivincita negli occhi:
“Immagino che vostro padre non vi abbia mai rivelato nulla! D’altronde, non è qualcosa di cui andare fieri …”
La ragazza deglutì, un’espressione di stupore mal celato sul volto smunto e sofferente:
“Parlate! Detesto questi stupidi giri di parole!”
Francesco annuì, serio e vendicativo allo stesso tempo:
“Vi ho vinto, cara Adele, vi ho vinto ad un tavolo da gioco! Vostro padre ha deciso di cedervi quando non gli è rimasto più nulla da scommettere!”
Lei si guardò intorno incredula, nella vana speranza che entrasse la dolce suora a proteggerla e a mandar via quel maledetto demonio.
“Credo sapeste,
quando ci siamo sposati, che la vostra famiglia non versasse in condizioni finanziarie particolarmente agiate: vostro padre aveva preso la sfortunata abitudine di giocare parte delle rendite delle proprietà a carte, solo che non aveva fatto i conti con gli avversari più forti che avrebbe poturo incontrare!”
L’uomo distolse per un istante gli occhi dalla moglie, abbassandoli verso il pavimento immacolato, per poi rialzarli e riprendere con la stessa boriosa sicurezza di poco prima:
“Devo ammettere che ho sempre goduto di una più che discreta abilità nel gioco d’azzardo e, quello che
poi è successo, ha confermato quanto vi sto dicendo!”
Una rabbia crescente offuscò la mente di Adele, che cominciò a stringere i pugni, le cui nocche si tinsero di bianco per la forza che stava lentamente recuperando.
“Ebbene: una di queste sere, alla terza mano –me lo ricordo ancora, sapete?- vostro padre non aveva più nemmeno una moneta da puntare! Credo fosse talmente disperato, talmente incredulo, che la prima cosa che pronunciò per uscire con eleganza, se così si può dire, fu questa:
“Vi cedo mia figlia, signor visconte, ma vi prego, non chiedetemi di proseguire oltre, perché non ho più niente.”
Proprio così ha detto, mia cara! Io lì per lì ero convinto scherzasse: insomma, quale padre degno di tale nome avrebbe osato vendere il suo bene più prezioso ad uno sconosciuto?! Eppure, lui l’ha fatto, ha avuto il coraggio di farmi questa … offerta! Comunque sia, da gentiluomo quale sono, ho subito accettato, naturalmente! Così me ne sono tornato in Francia e, dopo un paio di giorni, il vostro generoso genitore mi ha scritto per chiedermi di incontrarvi! Il resto della storia la sapete, mia cara!”
Ad Adele vennero in mente, come il lampo di un temporale estivo che squarcia improvvisamente il cielo calmo e immobile, le parole di suo cognato Alexander, il fratello di quel maledetto del marito, che gli era stato di grande compagnia durante le due settimane trascorse in Francia dalla suocera, ormai un mese addietro.
Aveva ragione, pensò, quando mi parlava della misteriosa lettera che aveva fatto partire così repentinamente questo mostro!
Poi, a voce alta e sicura, domandò:
“Perché mi state raccontando tutto questo? Proprio adesso, proprio qui? Appena qualche giorno fa avete detto di amarmi, ma questa non è una dimostrazione di … amore. Voi mi odiate per quello che ho fatto, ma io invece sono felice, sono tremendamente felice, perché i figli che aspettavo non saranno mai vostri! Non avrete più nulla da me, ve lo giuro!”
“Lo so” rispose asciutto l’uomo, senza sforzarsi di far trapelare alcuna emozione “ma ormai non mi interessa. Siete libera, se è questo che volete: potrete abbandonare il palazzo, andare dove desiderate! Ho sprecato due anni ad amarvi, a cercare di farvelo capire e ad accontentarvi: ho fallito, lo ammetto, e adesso mi tiro indietro”.
Adele non era sicura di aver sentito bene: eppure le parole le apparivano sincere, crude e spietate, ma sinceramente autentiche.
“State dicendo sul serio? Mi lascerete in pace, permetterete che viva la mia vita con chi voglio e dove desidero?!” domandò con una punta di sorpresa la giovane, affondando i pugni nelle lenzuola.
Francesco annuì: prese tra le sue le mani della moglie, adesso stranamente calde dopo molto tempo.
Le baciò con delicatezza, poi si alzò dalla sedia –anch’essa bianca come ogni cosa in quella stanza- e avvicinò il viso alla bocca di lei.
“Non vi sto prendendo in giro. Addio, Adele, siate felice”.
La prima cosa che le venne in mente quando Francesco varcò la porta per uscire, fu quella di scrivere una lettera per la signorina Felicita, per avvisarla che il giorno successivo non avrebbe potuto andare al mercato a ritirare le sottogonne, come avevano pattuito la settimana precedente.
Se suor Eleonora aveva detto la verità, da quando era stata male erano passati già due giorni, quindi oggi dovrebbe essere giovedì, stava riflettendo la ragazza.
Sì, non c’era altro tempo da perdere: cercò a tastoni un campanello per chiamare qualcuno che potesse scrivere quelle poche righe al suo posto.
Quando lo trovò, fece ondeggiare il minuscolo oggetto per un paio di volte, con tutte le forze che, a fatica, stava lentamente recuperando.



Il visconte percorse a passo spedito il corridoio e la scalinata, il cappello blu scuro stropicciato tra le mani.
Una volta uscito nell’androne del palazzo che ospitava l’ospedale, respirò profondamente l’aria di aprile del tardo pomeriggio, passandosi una mano tra i folti capelli neri.
Rimase in piedi, appoggiando la schiena avvolta dalla giacca dello stesso colore del copricapo allo stipite dell’ingresso, per lasciar passare un gruppo di suore e di medici.
Due giorni prima, mentre stava fronteggiando Umberto, si era subito accorto della presenza discreta di Adele che, sempre più pallida, nel giro di pochi minuti, era crollata sul pavimento, priva di sensi.
Lui le si era subito avvicinato, prendendole il volto tra le mani e, schiaffeggiandola delicatamente, aveva cercato di soccorrerla, facendole riprendere conoscenza, ma inutilmente.
Quel damerino le si affannava intorno come un bambino attaccato alle gonne della madre. Se non lo avessi spronato a reagire, a quest’ora quella sciocca sarebbe morta dissanguata!
In realtà, Francesco aveva intralciato qualsiasi atteggiamento di aiuto che il rivale gli porgesse, perché sperava che, al risveglio della moglie, questa lo ringraziasse, dimenticandosi una volta per tutte di Umberto.
La perdita dei figli che già pregustava di veder crescere, era stato un colpo molto duro da digerire, a cui non riusciva ancora a rassegnarsi completamente.
Sapeva che, appena avesse aperto bocca, avrebbe potuto avere uno stuolo di donne a supplicarlo di fare un figlio con lui, tuttavia era una questione di onore: si sentiva punto nel vivo, nell’orgoglio di nobiluomo che era sempre riuscito ad ottenere ogni cosa volesse.
Non era più sicuro dell’amore che aveva declamato a gran voce appena una settimana prima, quando la moglie gli aveva confessato di non amarlo, di detestare la vita matrimoniale che le aveva offerto in quei due anni; era indubbiamente attratto dall’ingenua e candida bellezza fisica di Adele, per questo si era sforzato di aspettare che gli si concedesse, eppure provava anche pena per l’infelicità a cui, involontariamente, l’aveva sottoposta per tutto quel tempo.
Se solo lei avesse provato a volermi bene, a quest’ora sarebbe ancora incinta, e io non le avrei mai rivelato di quella sera, quando quello stupido del padre me l’ha ceduta a carte!”.
Non era abituato a piangersi addosso: aveva tutto un mondo a palazzo ad attenderlo, i suoi cani e il gatto, che aveva sempre amato più di ogni altra cosa, poi c'erano le proprietà di famiglia di cui occuparsi, i libri da sfogliare e assaporare, la musica da gustare ai concerti, i quadri da ammirare alle mostre d'arte, le feste a cui Adele si faceva sempre supplicare per farsi portare ...
Abbandonò la postazione che aveva privilegiato per riflettere sugli avvenimenti che avevano caratterizzato gli ultimi giorni: si mise il cappello in testa e, calpestando il viale in fondo a cui il signor Caccia lo stava aspettando, salì in carrozza.
“Oh, signor visconte, siete già di ritorno! Come sta vostra moglie?” s’informò il cocchiere, rivolgendo un sorriso in direzione del padrone.
“Bene, si è completamente ristabilita. Andiamo, si è fatto tardi …”
“Ma … questo significa che tornerà presto a casa?” cercò di replicare il vetturino, imbarazzato per la strana reazione dell’uomo.
“Ho detto che possiamo andare, Caccia! E questo è tutto!”
Francesco lanciò un’occhiata di sfida verso le finestre del secondo piano dello stabile.
Si lasciò andare sullo schienale imbottito e chiuse gli occhi.
   
 
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