That
Love is All There is
Terre_del_Nord
Slytherin's Blood
Habarcat - I.020
- Una Settimana e un Giorno
Meissa
Sherton
Ospedale San Mungo, Londra - lun. 23 agosto 1971
“Che
succede, Deidra? Una nuova fitta?”
Stavo sonnecchiando col capo appoggiato sul letto di mia madre, in
quell’afoso tardo pomeriggio di fine agosto, quando la voce
preoccupata di mio padre mi riportò in me: dalla nostra
partenza da Herrengton, avevo voluto passare tutto il tempo in quella
camera riservata del San Mungo, con la mamma, ribellandomi
all’idea di essere mandata dagli zii a Doire, con Wezen, e
rifiutando di seguire papà e Rigel quando andavano a fare
acquisti in giro per Londra. Mio fratello, al contrario, usciva spesso
e passava le notti a Grimmauld Place, ospite dei Black: la nostra casa
londinese non era ancora pronta e mio padre non poteva rispedire Rigel
ad Amesbury, da solo, di notte, tantomeno aveva intenzione di
allontanarsi da mia madre solo per lui. Finora, i miei genitori avevano
sempre preferito che noi nascessimo a casa, ma dopo
l’esperienza di Wezen, l’anno prima, avevano deciso
di non voler correre rischi inutili e di far ricoverare la mamma alle
prime avvisaglie. Nonostante questo io non ero per niente tranquilla, e
non volevo mai staccarmi da lei.
“Ci siamo, Al… si
sono appena rotte le acque.”
Mia madre guardò con calma prima me, che di sicuro a quelle
parole ero sbiancata di colpo, poi papà, che non
poté fare a meno di rivolgerle il suo più bel
sorriso d’incoraggiamento e, avvicinandosi ancora di
più, le strinse forte la mano nella sua.
”Bene, allora diamoci da
fare…”
Toccò il suo anello e Doimòs si
materializzò nella nostra stanza. Sapevo che cosa
significava: dovevamo, io e Rigel, toglierci dai piedi, e per questo
mio padre consegnò all’elfo una lettera per Orion
Black, poi si rivolse a noi.
“Vi ho già detto
quello che dovete fare, vi prego di comportarvi come si deve, intesi?
Non date modo a Walburga Black di spettegolare, per favore…
ora salutate la mamma.”
Io e Rigel ci scambiammo un cenno d'intesa e papà ci
guardò entrambi con fare molto serio. Mi avvicinai a lei e
la baciai, mentre una sua smorfia mi faceva capire che stava
sopportando stoicamente, solo per non spaventarci, una nuova fitta.
“Non ci vorrà
molto, stavolta… Andate... Entro domattina saremo di nuovo
tutti insieme… Non preoccupatevi e… fate i
bravi...”
Mio padre le rivolse un altro sorriso, a metà tra lo
speranzoso e l’interrogativo, e la mamma annuì con
la testa, confermando quello che aveva appena previsto. Due secondi
dopo, il tocco energico di Orion Black alla porta ci
confermò che era il momento di andare. Il Medimago capo
entrò con lui e ci fece cenno di uscire tutti, ma
papà non volle sentire ragioni, non avrebbe lasciato la
mamma nemmeno se fosse stato a rischio di una maledizione senza perdono.
“Manderò un gufo
appena ci saranno novità… ora andate...”
Orion si avvicinò e mise qualcosa in mano a mio padre.
“Usa questo, è
più rapido… A Grimmauld Place non ci sono le
barriere di Herrengton... ragazzi, forza, andiamo…”
Non volevo andarmene con Orion, nemmeno l’idea di rivedere
Sirius e Regulus mi sembrava soddisfacente in quel momento, ma il
signor Black mi prese con decisione la mano e, di fatto, mi
trascinò via senza tanti riguardi, sotto gli occhi
autorevoli di mio padre. Era ridicolo che ci pensassi in quel momento,
visto che da lì a una settimana sarei partita per Hogwarts,
ma mi resi conto che, per la prima volta, stavo lasciando i miei
genitori, per seguire quello che in fondo era un estraneo… e
il cuore mi mancò un colpo…Mi stavo allontanando
dalla mia famiglia e l’unico legame che avevo con loro era
mio fratello Rigel, l'unico con cui avessi un pessimo rapporto. Eppure,
quando mi prese la mano e mi guardò incoraggiante, compresi
che da quel momento, con lui, tutto sarebbe presto cambiato...
***
Meissa
Sherton
12, Grimmauld Place, Londra - lun. 23 agosto 1971
La cena a casa Black fu a dir poco sontuosa, ma io e mio fratello non
onorammo adeguatamente la cucina dei nostri ospiti, come avrebbe
previsto l’etichetta, troppo ansiosi di sapere come stavano
procedendo le cose all'Ospedale.
“Non dovete preoccuparvi,
ragazzi, andrà tutto bene, il San Mungo è una
struttura all’avanguardia e di certo, con tutte le ricche
donazioni di vostro padre, vostra madre e vostro "fratello" saranno
trattati con ogni riguardo e avranno tutte le attenzioni del
mondo...”
Rigel rivolse un sorriso speranzoso a Orion Black, che davvero stava
facendo l'impossibile per farci coraggio, ma io non riuscivo a staccare
gli occhi dal mio piatto in cui campeggiava un'immensa fetta di vitello
arrosto… Mi risuonavano nelle orecchie le voci dei Medimaghi
allarmati, del'anno precedente a Herrengton, non potevo fare a meno di
trattenere il respiro... Ero preoccupata per la mamma ma anche per me
stessa: era l'ultima possibilità, se fosse nato un altro
maschio, tutte le mie speranze di felicità sarebbero morte
quella notte. Sentii una mano posarsi sulla mia e di colpo smisi di
fissare l’arrosto e osservai quelle dita, così
eleganti, curate, adorne di bellissimi anelli, ma gelide come gli
occhi, come tutto il resto di Walburga Black.
“Stai tranquilla, Meissa,
andrà tutto bene…”
Le sorrisi e mi persi in quei meravigliosi occhi azzurri, ma per quanto
li scrutassi, non riuscivo a vedervi nessuna emozione. Come faceva a
nascondere così bene i suoi pensieri? In quel momento la
invidiavo, sembrava che nulla riuscisse mai a scalfire
quell’immagine di totale perfezione e superiorità.
“Se vuoi andare a riposarti e
riprenderti un pò… Kreacher ha già
sistemato tutto nella tua stanza… Domattina, se vorrai,
potremmo andare a Diagon Alley, un pò di distrazione ti
farà bene…”
“Voglio andare dalla mamma,
domattina…”
“Meissa…”
Rigel mi stava riprendendo per la mia risposta lamentosa, con uno
sguardo duro, degno di papà, ma Orion si mise subito dalla
mia parte.
“Hai ragione, Meissa, ti
porterò personalmente al San Mungo, domattina, appena ti
sarai svegliata e avrai mangiato qualcosa… Sono certo che,
prima di mezzogiorno, ci sarà già questa nuova
piccola canaglia di uno Sherton a cui far visita…”
Ridacchiò e alzò il bicchiere in un brindisi a
mia madre e a nostro "fratello". Sorrisi incerta e per la prima volta,
durante quella cena, i miei occhi si spostarono su Sirius e Regulus che
mi risposero immediatamente con sguardi carichi di ottimismo e di
sostegno.
“Nessuno di noi ha sonno,
stasera, meglio passare il tempo in allegria: ragazzi, invitate i
nostri ospiti a giocare nella Sala dell'Arazzo, e fate vedere loro che
siete dei veri Black!"
Orion apostrofò i figli in modo da non ammettere repliche,
io ero davvero sfinita e avrei preferito non dover affrontare l'intera
famiglia Black ancora a lungo, anche perchè ero troppo
distratta per sostenere senza rischi una conversazione a cui, di
sicuro, Walburga Black avrebbe assistito con le orecchie tese.
Chissà quali nuove macchinazioni la tenevano impegnata, ora
che aveva avuto il resoconto di quei mesi estivi in Scozia dai suoi
figli… Sirius mi porse subito la mano e mi fece strada fino
al salotto dell’arazzo, anticipando suo fratello, sotto gli
occhi curiosi di sua madre, Rigel e Regulus ci seguirono poco dopo.
Giocammo a scacchi, ma nonostante le buone intenzioni dei Black, la mia
voglia di parlare fu pari a zero per tutto il tempo, nessuno di loro
però parve offendersi, anzi, sembrarono tutti piuttosto
comprensivi nei miei confronti e lasciarono correre, destinando tutte
le attenzioni a mio fratello e discutendo con lui della misteriosa
ragazza di Mirzam. Erano ormai le 23, ero tanto esausta da voler solo
svenire sul mio letto, quando Orion balzò su dalla poltrona
accanto al caminetto su cui sedeva ed estrasse, allarmato, un piccolo
specchio dal suo panciotto: era illuminato da una fluorescente luce
verde, lo guardò con insistenza, si capiva dagli angoli
della bocca, indubbiamente all'insù, che stava faticando non
poco per non esplodere in una grassa risata, osservò di
nuovo lo specchio, poi guardò tutti noi, che ormai stavamo
pendendo dalle sue labbra, e alla fine, da attore navigato, ci diede le
dovute spiegazioni.
“Per Merlino Santissimo e per
tutti gli stramaledetti Slytherins di Scozia… Allora ho
davvero letto bene! È appena nata una bambina! Avete una
sorella!”
“Non posso
crederci…"
Io e Rigel avremmo voluto festeggiare saltando in braccio a Orion, ma
la sorpresa e la gioia lasciarono immediatamente posto allo stupore nel
vedere la reazione di Walburga Black, una reazione incredibile, per una
donna di ghiaccio come lei. La strega si era alzata in piedi di scatto,
si era tolta gli occhiali e aveva puntato i cupi occhi azzurri sul viso
raggiante del marito, le labbra erano appena increspate da una risata
feroce che ormai tratteneva a stento: si leccava le labbra quasi
golosamente, e sembrava non curarsi affatto che io e mio fratello
fossimo ospiti nella loro casa, che fossimo testimoni delle sue parole.
"La maledizione è finita,
è finita davvero, stavolta! E lei è libera!
Già immagino che faccia farà quel maledetto
Malfoy, quando lo saprà! Orion ti rendi conto? Settecento
anni di macchinazioni annullati da due bambine! Kreacher, porta
champagne elfico, oggi è un giorno radioso per tutti noi,
dobbiamo festeggiare!”
Rimanemmo tutti impietriti a quelle esternazioni, nemmeno Orion
sembrava capacitarsi di quanto la moglie avesse perso il controllo. Una
volta che riuscii a raggiungere la mia stanza, parecchio tempo
più tardi, sapevo benissimo che Morfeo non mi avrebbe
accolto tra le sue braccia, quella notte, benchè il mio
letto fosse straordinariamente comodo e sfarzoso, nella più
bella camera degli ospiti di Grimmauld Place: riflettei a lungo, sulle
parole di Walburga e su altro ancora, senza riuscire a metterne a fuoco
appieno tutti i significati. No, non avrei dormito quella notte,
c'erano almeno duemila domande che veleggiavano turbinose nella mia
mente. Ero felice, avevo più motivi degli altri per esserlo,
eppure sembrava che Walburga fosse addirittura più contenta
di me. Forse aveva scommesso dei soldi sul sesso del bambino e aveva
vinto... Chissà...
***
Sirius
Black
12, Grimmauld Place, Londra - lun. 23/24 agosto
1971
"Meissa?"
"Sirius?"
Ero sceso nel salone in cui pranzavamo, per mangiare qualcosa, come
ormai facevo sempre, da quando ero tornato dalla Scozia. Già
dalle scale avevo notato la debole luce di una candela sul tavolo, a
rischiarare appena l'oscurità, e una figura seduta nella
penombra: non poteva essere mio fratello, né Rigel Sherton,
troppo alto per rimandare indietro un’ombra come quella.
Entrai e cercai di accendere un altro lume, ma Meissa mi prese la mano,
impedendomelo. Mi sedetti vicino a lei, portava una vestaglia verde
scuro, sopra un pigiama di taglio maschile, nero, con inserti
argentati. Le strinsi la mano e le sorrisi, aveva la pelle morbida e le
dita già lunghe e affusolate da ragazzina, lei rispose con
energia alla stretta; avrei voluto baciarla e riprendere i discorsi
interrotti alcune sere prima, ma capii che non era il momento
né il luogo adatto per fare una delle mie stupidaggini, era
ancora scossa dall’ondata di emozioni di quella giornata.
“Perché vaghi per
casa a quest’ora della notte?”
“Non avevo sonno, anzi, avevo
addirittura fame… E tu? Tanto curiosa per la bambina da non
avere sonno?”
Mi guardò per secondi interminabili, fissandomi a lungo
negli occhi e con difficoltà riuscii a resistere
all’istinto di abbassarli, poi lasciò scorrere lo
sguardo sulla mia faccia e sul mio corpo, fissandomi le mani e poi
tornando a guardarmi negli occhi. Io mi sentii il viso in fiamme e lei
sorrise con più calore: non avevo mai preso la buona
abitudine di gironzolare per casa, di notte, con una giacca da camera,
e ora mi ritrovavo lì, davanti a lei, bellissima come
sempre, con solo i miei pantaloni del pigiama addosso. Sentivo le
guance ribollirmi dalla vergogna.
“È meglio se
torniamo nelle nostre stanze, Sir, non credo sia una buona idea restare
qui… se qualcuno si accorgesse che siamo quaggiù,
da soli…”
Guardò seriamente alle mie spalle e fece per alzarsi.
“No, aspetta… mio
padre, quando dorme, non lo svegliano nemmeno le cannonate... e la
mamma è talmente eccitata per domani, per la bambina, per
tutto… Resta a parlare con me…”
La vidi esitante, ma alla fine cedette, conoscendo i suoi rapporti con
Rigel, sapevo che le avrebbe fatto bene sfogarsi con qualcuno.
“Posso chiederti
perché è tanto importante che sia nata una
femmina? D’accordo, sono nate poche bambine nel passato, ma
adesso… che cosa importa?”
Sospirò; capii che avevo toccato un tasto dolente e mi morsi
la mia dannata linguaccia.
“Scusami... io…
Sono mesi che ne sento parlare a mezza bocca, di profezie,
maledizioni… non ci ho capito nulla, a parte che
c’entra in qualche modo Malfoy…”
Meissa alzò di colpo gli occhi febbricitanti su di me, le
guance erano color porpora: era preda dell’ira, proprio come
qualche sera prima, quando avevo detto quella stupida parola che aveva
quasi rovinato tutto. Le presi la mano e con sollievo vidi che si
lasciava toccare, ma i suoi occhi, sempre così vitali, ora
erano carichi di tristezza e rassegnazione.
“Scusami… A Yule
hai detto a tuo padre di Lucius, vero? Non gli permetterà di
comportarsi ancora in quel modo, vedrai…”
Mi stavo infervorando nel perorare la sua causa, come mai avevo fatto
in vita mia, nemmeno per me stesso, ma Mey non sembrava in nessun modo
rianimata dal mio entusiasmo.
“Mio padre sa tutto,
Sirius… ma non c’è nulla che possa
fare…”
La guardai con occhi sbarrati, non potevo crederci.
“Vuoi dirmi che non ha fatto
nulla? Non gli interessa che Lucius si sia comportato così
male con te?”
“Cosa dovrebbe fare,
Sirius?”
“Innanzitutto potrebbe parlare
con Abraxas Malfoy e dirgli che suo figlio è un idiota! E se
non bastasse, picchiarlo per quello che ha fatto!”
Mey mi rivolse un ghigno di sufficienza, proprio come si fa con un
bambino sciocco che crede di poter raggiungere la luna con una scala.
“Credi che Abraxas non ne
sappia nulla? Credi che Lucius si sarebbe comportato così
con me, se non avesse suo padre a sostenerlo? Sono settecento anni che
ci pugnalano alle spalle!”
“Tuo
padre…”
“Sirius… Questa
storia è vecchia come la terra, forse cambierà
qualcosa solo se io o Adhara finiremo a serpeverde, e comunque non
è escluso che poi... che poi non ci facciano la guerra
apertamente…”
“Ma questi sono discorsi da
adulti, che devono risolversi tra loro, cosa c’entri
tu?”
Mi sconvolgeva sentirla parlare di cose che a malapena capivo, di
storie che non avrebbero dovuto toccarci per molti anni
ancora… ma eravamo destinati a crescere in fretta, troppo in
fretta, e se non ne ero ancora consapevole, era solo perché
avevo una madre che m’imponeva di vivere in un mondo
inesistente, fatto solo di facezie.
“Io c’entro, Sirius,
perché il mio destino è stato deciso molti anni
prima che nascessi. Elija Sherton, il mio bisnonno, ha avuto bisogno di
un grosso favore dai Malfoy: non so di che crimine si fosse macchiato,
so solo che per salvarsi dalla forca, ha dovuto accordarsi con il nonno
di Abraxas Malfoy, che all’epoca era a capo del Wizengamot.
Il patto è stato consacrato con il matrimonio tra Elija e
Artemis, la sorella di Malfoy… non conosco tutte le clausole
di quel contratto, solo mio padre le conosce, ma so che una di esse
stabilisce che ci dovrà essere un matrimonio tra un Malfoy e
la prima figlia femmina nata in casa Sherton dopo la firma di quel
contratto. La disgrazia ha voluto che la prima a nascere fossi
io…”
"Non è possibile…
Non ci credo... tuo padre non lascerà mai…"
Davanti a me vedevo aprirsi un baratro spaventoso, era una storia
terribile, sia perché i Malfoy erano esseri orrendi, sia
perché per la prima volta percepivo un vero ostacolo sulla
strada che sentivo essere la mia. Da quel giorno, a Spinner's End,
quando avevo compreso che in fondo mi bastava poco per essere felice,
nella mia mente aleggiava un pensiero ancora informe, in cui
l’unico punto fisso che brillava, vivido e sicuro come la
stella polare, e già chiaramente riconoscibile, era Meissa.
Ero certo che si sarebbe messa a piangere, avrei volutopiangere anche
io, la abbracciai: ora iniziavo a capire tante cose, l’alone
di mistero e paura che le vedevo addosso, il nervosismo di Alshain...
“Scusa…. Ti prego,
non dirlo a nessuno, io non ho il permesso di piangere di fronte agli
estranei…”
“Ancora mi consideri un
estraneo?”
Le porsi un mio fazzolettino e lei mi guardò dietro un velo
di lacrime, spostai lo sguardo perché non doveva esserle
facile lasciarsi andare e Merlino solo sapeva se non ne avesse davvero
bisogno.
“Ma ora che è nata
Adhara, cambierà qualcosa, no? Se c’è
lei, non dovrai più finire in pasto a Malfoy,
vero?”
“Il vecchio Malfoy era
convinto che non sarebbero nate bambine per molto tempo: questa
condizione avrebbe reso sempre inadempiente la mia famiglia,
costringendoci a cedergli in cambio qualcos’altro; una volta
che fosse nata quella bambina, inoltre, la sua famiglia si sarebbe
avvantaggiata sulle altre, perché la discendenza avrebbe
avuto il sangue di Salazar e perché i Malfoy sarebbero
entrati nella linea di successione per ottenere Herrengton. La famiglia
Sherton ha sempre un solo ramo, se capitasse qualcosa a
quell’unico ramo…”
“… la famiglia che
fosse legata a voi, prenderebbe tutto… Per Malfoy quel patto
ha un valore grandissimo, quindi farà di tutto per farvelo
rispettare…”
Tremai, ora capivo anche perché mia madre ci tenesse tanto a
incastrare Meissa con mio fratello: di noi due era quello
più malleabile, quello che avrebbe fatto tutto quello che
voleva lei, quello che non le avrebbe negato nulla. Strinsi i pugni
senza rendermene quasi conto, non era possibile che capitasse tutto
questo, che capitasse adesso...che capitasse proprio a lei...
“C’è
un’unica condizione per sciogliere legalmente il patto,
firmata e controfirmata da Elija e Malfoy: il venir meno della
famigerata "maledizione delle figlie femmine". Secondo una profezia, la
maledizione si sarebbe rotta quando fosse nata una femmina nel giorno
di Habarcat: da quel momento le bambine sarebbero nate di nuovo
più frequentemente e soprattutto sarebbero di nuovo entrate
a serpeverde, a dimostrazione che siamo sempre la famiglia dei
prediletti. Oggi è nata mia sorella, la maledizione
sembrerebbe rotta, ma serve la prova più importante
…
“…devi entrare a
serpeverde… beh allora dovresti smettere di avere paura,
Mey, perché da quanto ho visto quest’estate, tu
sei una slytherin perfetta!”
“Lo so che vuoi solo farmi
coraggio…”
“No, io lo credo
davvero… e spero davvero che i Malfoy siano così
leali da rispettare quel patto, una volta che sarà
legalmente sciolto… perché…”
La strinsi a me più forte, ci guardammo per un istante solo
e rividi la bella luce di Herrengton nel suo sguardo.
"Mey, io…"
“Lo so… ma non
dirlo adesso… per favore...”
Non potevo fare altro che abbracciarla e farle sapere che sarei stato
al suo fianco, sempre… non potevo prometterle nulla che non
fosse in grado di assicurarle nemmeno suo padre. Mi sentivo abbattuto,
impotente: la persona che più avevo nel cuore soffriva per
cose talmente più grandi di noi, ed io non potevo fare
nulla, non sapevo come esserle d’aiuto. In che modo potevo
assicurarle di entrare a serpeverde e allontanare da lei la minaccia
dei Malfoy? Dimostrandomi convinto che ce l'avrebbe fatta, potevo darle
almeno la speranza. Mey divenne rosso porpora e si staccò da
me, finì di asciugarsi il viso e poi si guardò la
punta dei piedi. Sembrava si fosse resa conto solo in quel momento che
non avevo la giacca e che mi aveva abbracciato lo stesso. Capire il
motivo del suo imbarazzo mise in difficoltà anche me.
"Ti riaccompagno di sopra,
d’accordo?"
La presi per mano e in silenzio tornammo verso le scale, ogni tanto le
lanciavo delle occhiate furtive e la vedevo sempre con lo sguardo
mesto, che guardava davanti a sé.
Arrivati al secondo piano, le diedi un bacio sulla fronte e la guardai
entrare nella sua stanza, poi salii fino all’ultimo piano:
ero arrabbiato con Alshain, non potevo credere che un uomo della sua
forza e del suo carisma non riuscisse a mettere un freno in modo
definitivo alle angherie di suo nipote; patto o non patto, non poteva
sacrificare Meissa in quel modo. Ora capivo quanto fosse importante il
risultato di quello smistamento, e quanto fossi stato idiota a non
prenderlo seriamente. Ora capivo che per lei avrei fatto qualsiasi cosa.
***
Meissa
Sherton
Amesbury, Wiltshire - giov. 26 agosto 1971
Ormai contavo i giorni che mi separavano dalla partenza per la scuola.
E non facevo altro che pensare a Sirius Black. Avevo raccontato tutto a
mia madre, la sera del nostro litigio: lei aveva già capito
qualcosa, non so se perché aveva letto nel mio futuro, o
semplicemente perché era mia madre. Quella sera mi aveva
accolta nel letto, accanto a sé, aveva sofferto tutto il
giorno per la gravidanza, eppure era riuscita a trovare le forze per
ridarmi un po’ di serenità, mi aveva fatto
ripetere quello che mi aveva detto Sirius, e mi aveva fatto capire che
la sua non era una stupida scusa, ma probabilmente la
verità. Aveva un modo di consolarmi e ridarmi fiducia che
era molto diverso da quello di papà: era come se il suo
cuore riuscisse a parlare direttamente al mio, senza dover usare le
spiegazioni logiche, come faceva mio padre. Le avevo detto tutto alla
fine, anche del cinema di Spinner’s End, e lei aveva sorriso,
mentre diventavo color pomodoro fino alla punta delle orecchie. Mi
aveva abbracciato e accarezzato i capelli, io la guardai: era felice
per me, dopo tutti quei pensieri tristi e le mie malinconie, dopo tutto
il terrore che provavo sempre, per colpa di Lucius.
“Però non devi
lasciarti distrarre siamo intesi?”
“Sì...”
“Ne parlerò io con
tuo padre, certo è presto… ma visto che per noi
conta il tuo parere… è bene che sappia fin da ora
cosa provi, così che faccia prima di tutto, sempre, i tuoi
interessi…”
Divenni porpora e mi accoccolai al suo fianco, sfinita, dopo una
giornata davvero pesante. Quando poco più tardi era salito
in camera, mio padre mi aveva trovata lì, mezza
addormentata, come un cucciolo, non disse nulla, anche se di solito non
era disposto a cedere quel posto nemmeno a uno dei suoi figli: lo
intravidi (o fu un sogno?) fermarsi ad ammirare le due donne della sua
vita che stavano abbracciate, arricciando le labbra in un sorriso
d’amore profondo per poi sdraiarsi sul divano in fondo al
letto, anche lui stanchissimo. Mi rigirai nel letto, non riuscivo a
trovare pace: mancavano pochi giorni, poi il mio destino si sarebbe
compiuto: presto sarei diventata come mia madre, avrei smesso di essere
impacciata e insicura, ma prima di tutto questo, c’era lo
smistamento e, benché ormai fosse nata Adhara, non riuscivo
a vivere serena.
“Posso entrare?”
Ormai, da quel giorno, mio padre usava quella formula, oltre a bussare
alla mia porta, quando voleva entrare nella mia stanza. Mia madre mi
aveva spiegato che molte cose sarebbero cambiate: il mio aspetto, il
mio carattere, i miei interessi… sarebbe cambiato anche il
modo in cui gli altri mi avrebbero trattato, a partire dai miei
fratelli e da mio padre… Non sarei stata più solo
una figlia e una sorella, sarei stata ai loro occhi anche una piccola
donna: mi avrebbero rispettato di più, in un certo senso, ma
avrei perso un po’ di quella confidenza e immediatezza che
c’era sempre stata tra noi. Perchè mi avrebbero
visto diversa dalla bambina che ero sempre stata. Mi odiavo: non volevo
che mio padre si comportasse in modo diverso, non volevo crescere, se
questo significava che non mi sarebbe più stato accanto come
prima, se mi avesse trattato come una femminuccia rammollita, invece
che come sua figlia. Andai ad aprire con la faccia funerea,
intercettando lo sguardo interrogativo di papà.
“Che cosa succede Meissa? Non
penserai ancora allo smistamento…”
“No…”
Non dissi altro, solo un no ostile… mi voltai e raccolsi
rapida una lacrima. Per fortuna mio padre non si accorse di nulla. O
piuttosto finse di non accorgersi di nulla.
“Come promesso, oggi faremo
tutto quello che desideri, Meissa, ma prima devi concedermi un paio
d’ore, perché dobbiamo fare una cosa molto
importante…”
Aveva attirato come sempre la mia curiosità, mi avvicinai
contenta, si prospettava un'altra giornata affascinante e avventurosa.
I miei malumori si sciolsero come neve al sole.
“Hai undici anni da cinque
mesi e non hai ancora una bacchetta… ti sei mai chiesta il
perché?”
“No… non ci ho mai
pensato… non mi è mai servita con te...”
Sorrise, rilanciandomi uno sguardo divertito.
“Esattamente…
Ricordati di non farlo capire agli estranei, quando sarai a scuola, e
nella vita, nessuno sa che non abbiamo assolutamente bisogno delle
bacchette… Ora, però, per le apparenze e per la
scuola, dobbiamo provvedere a procurartene una".
“Andiamo a Londra?”
“Non oggi… la tua
prima bacchetta ce l’ho già io… tutto
sta a riconoscerla...”
“Non
capisco…“
“La nostra prima bacchetta noi
non la compriamo, la ereditiamo: ti ricordi quella scatola che ho
consegnato a Doimòs, ordinandogli di trattarla con tutti i
riguardi, quando siamo partiti? Lì ci sono tutte le
bacchette dei nostri antenati, sceglierai la tua tra quelle e se vorrai
te ne racconterò la storia… Non sono
molte… le bacchette sono sempre le stesse, ce le passiamo da
secoli, sempre tra noi…”
“Ma…. Mi avevi
detto che le bacchette vanno conquistate...”
“Certo… ma una
bacchetta si conquista in molti modi, non solo con la
violenza… vieni con me…”
Scendemmo nei sotterranei, dove fino a quel momento non avevo mai avuto
l'occasione di essere invitata: mio padre si avvicinò al
caminetto, mosse un paio di pietre dal pavimento, estrasse la scatola
dorata che avevo visto svanire nelle mani di Doimòs e
aprendola dispose alla mia vista un centinaio di bacchette, custodite
ciascuna in una custodia ricercata. Le bacchette erano state di
proprietà degli Sherton e delle loro mogli, alcune venivano
direttamente dalla notte dei tempi, altre erano molto più
recenti, lunghezza, fattura e materiali erano tra loro diversissimi, ma
tutte avevano una caratteristica precisa: erano sempre state
proprietà di un singolo mago, o strega, e dei discendenti
che le avevano ereditate.
"Prendine una...senza tirarla fuori
dalla custodia... Non devi scegliere... Lei ti aspetta, e tu sei qui
per lei... Si farà riconoscere appena la tua mano si
avvicinerà a lei..."
Passai la mano sopra quelle custodie, senza però sentire
un'attrazione particolare per nessuna di loro.
"Non ti allarmare, stanno ancora
dormendo... se fossimo a Herrengton sarebbero già pronte per
te..."
"Forse questa..."
"Sei sicura?"
"E' l'unica che... ho voglia di vederla
fuori dalla custodia..."
"Bene, vuol guardarti negli occhi...
Estraila e provala!"
Quando tirai fuori la bacchetta, una bella bacchetta non molto antica,
di dodici pollici, fatta di ontano, con un'anima di corde di cuore di
drago, mio padre sembrò riconoscerla all'istante e sorrise
incerto sotto i baffi. Appena l'afferrai, sentii subito che era la mia,
muovendola, pur non avendo mai provato prima le bacchette, la sentivo
fluida e precisa, agitai piano il polso, recitando un incantesimo di
appello che avevo studiato quell'estate, e un vecchio tomo di erbologia
di mio padre si staccò dalla libreria per venire a posarsi
di fronte a me.
"E anche questa è fatta...
ora possiamo andare a pescare come ti avevo promesso..."
"Di chi è questa bacchetta?"
"Ho sempre dato questa risposta ai tuoi
fratelli nella mia prima lettera dopo lo smistamento, ma se lo
preferisci te lo dico adesso..."
"No... Rispettiamo le tradizioni..."
Mio padre sorrise della mia superstizione, risistemò le
bacchette nella scatola e la scatola sotto il pavimento, mi prese poi
per mano e ci smaterializzammo sulle rive del lago, la nostra
destinazione per quel giorno. Passai la maggior parte del tempo a
giochicchiare con la bacchetta, provandola, mentre mio padre pescava
secondo i metodi babbani, rilassato, sotto un platano. Ogni tanto mi
gettava un'occhiata divertita, felice che i miei malumori non
sembrassero più toccarmi.
"La tua bacchetta a chi apparteneva?"
Mi andai a sedere sul plaid accanto a lui, curiosa di saperne qualcosa
di più.
"Era di Artemis..."
"Hai la bacchetta dei Malfoy!?"
"Sì... tuo nonno me l'ha
detto dopo lo smistamento, da allora lo faccio per scaramanzia
anch'io... Buffo no? Tuo nonno l'ha rubata sul letto di morte di sua
madre, prima che i Malfoy se ne riappropriassero, in qualche modo,
sostituendola con una bacchetta simile... Non devi mai perdere la tua
bacchetta, Meissa, per questo ne compreremo una di scarsa importanza a
Diagon Alley, tra qualche giorno."
"Si assumono le qualità del
precedente proprietario, vero?"
"Alcune..."
"La mia bacchetta è quella di
Ryanna Meyer... non è così?"
Mio padre non rispose, ma non era necessario. Ormai sapevo che sarei
finita a Corvonero...
***
Severus Snape
Spinner's End, località ignota - ven.
27 agosto 1971
Il sole stava tramontando sul fiume sonnolento, il
disco ripeteva all’infinito la canzone ed io rimanevo disteso
a occhi chiusi sul mio letto… Dal cortile salivano le voci
dei ragazzini che si rincorrevano dietro il pallone… che
stupido spreco di tempo e di energie! Aprii gli occhi, lasciai
scivolare il mio sguardo su quei mobili ammantati di penombra, su
quelle pareti dalla vernice in parte scrostata. Ormai era rimasta una
semplice stanza spoglia, non raccontava più quasi nulla di
me: avevo preso le mie cose, quelle che non mi servivano
più, quelle che odiavo: se non fossero costate sacrificio e
sudore a mia madre, le avrei volentieri bruciate… invece le
avevo chiuse nel baule, le avevo nascoste in soffitta, lontano dagli
occhi di mio padre… Avevo già messo nel cassetto
la mia stupida vita da babbano… Ancora pochi
giorni… Ancora poche ore… Richiusi gli occhi,
pensando alla giornata appena trascorsa. Avevo corso sui terrapieni
della ferrovia, con i soliti mastini alle calcagna, ma non avevo
più paura, perché sapevo che era
l’ultima volta che mi mettevano in fuga. E poi, alla fine
della corsa, come al solito, c’era lei, ad aspettarmi. In
fondo era stata una magnifica estate: pomeriggi interi passati nel
parco, a parlare del nostro futuro radioso, lontani da queste
meschinerie, da questa miseria di vita… Saremmo diventati
grandi, insieme. Saremmo stati felici, insieme. Me lo sentivo. Le avevo
raccontato tutto di Hogwarts e lei era felice, felice come me: era
talmente emozionata, talmente entusiasta che, alla fine, perfino
quell’odiosa ciabatta di sua sorella aveva scritto a
Dumbledore, supplicandolo perché prendesse anche
lei… Sorrisi tra me, alzando appena l’angolo
sinistro delle mie labbra sottili, in un ghigno perfido:
chissà dove voleva andare quella stupida babbana…
Avevamo scoperto per caso quella lettera, un pomeriggio: di solito, ai
babbani, non venivano spedite lettere di quel genere…
Così l’aprimmo e, in effetti, scoprimmo che il
preside le aveva risposto di no…
Tornai al presente, dal piano di sotto le urla arrivavano ovattate, ed
io più volte avevo alzato il volume per non sentire: non
sapevo perché negli ultimi giorni gli Sherton non fossero
più venuti, non sapevo perché mia madre non si
stesse difendendo, da sola... lui le urlava ogni genere
d’insulto ed io alzavo ancora di più il
volume… Non volevo sentire, volevo annullarmi…
Dovevo resistere, fingere di non sentire, mi aveva supplicato di fare
questo, mia madre.
“…
Resisti per me… Severus… Ancora poche
ore… Poi questa vita sarà finita…Per
sempre…”
Chiusi gli occhi…
…Yes, 'n' how many times can a man turn his head,
Pretending he just doesn't see?... (1)
***
Meissa
Sherton
Amesbury, Wiltshire - sab. 28 agosto 1971
“Entra pure Meissa”
Doimòs mi aveva avvertito che mio padre mi stava aspettando
nel suo studio: non era strano che mi chiamasse lì, ma quel
giorno, lo sapevo, c’era Orion Black con lui. Mi avviai
incuriosita e anche un po’ preoccupata, non avevo nulla da
temere, certo, ma forse Orion aveva saputo in qualche modo
dell’incontro tra me e Sirius a Grimmauld Place, quella
notte, anche se non era stato qualcosa di voluto. Entrai, un
po’ in ansia: mio padre era in piedi davanti alla finestra,
col suo solito sigaro e una bellissima toga tradizionale da mago, verde
smeraldo, Orion era seduto alla scrivania, come se fosse la sua stanza,
tanta era la naturalezza della sua postura. Era da un po’ che
non lo osservavo con attenzione, di certo a casa sua non avevo proprio
avuto la prontezza di guardarlo, ma in quel momento mi rendevo conto
che era dimagrito ulteriormente, rispetto al giorno del matrimonio di
sua nipote: speravo fosse un vezzo, non un sintomo di scarsa salute,
sapevo quanto fosse nel cuore di mio padre. Ed anche nel mio.
“Siediti per
favore…”
Li guardai entrambi, incuriosita e un po’ preoccupata, la
situazione era davvero nuova per me.
“Tuo padre ed io vorremmo che
provassi a… che t’infilassi
questo…”
Orion mi passò una piccola scatolina che mio padre aveva
preso da un cassetto della scrivania. L’aprii curiosa e mi
trovai davanti un anello noto, un anello simile a quello che a volte
avevo visto sulle dita di mio padre, una piccola verghetta di ferro.
Orion a sua volta prese dal panciotto una piccola bustina di seta,
riversò il contenuto sul tavolo e ai miei occhi apparve un
piccolo smeraldo.
“Uniscili.”
La voce di mio padre, secca e imperiosa, non mostrava affatto
l’abituale gentilezza, sembrava piuttosto animata da una
certa ansia e da molta preoccupazione.
“Non capisco, padre.”
Presi la piccola pietra e l’avvicinai
all’incastonatura vuota che, annerita dai secoli, sembrava
attendere di ritrovare il suo piccolo gioiello, ma sapevo che senza il
lavoro di un mastro gioielliere quelle due parti non si sarebbero unite
mai. Fu con sorpresa che, invece, vidi la verghetta serrarsi con labbra
fameliche intorno al bordo frastagliato della pietra, impedendo che lo
smeraldo sfuggisse alla sua presa.
“Che
cosa…”
“Direi che hai indovinato di
nuovo, Alshain…”
Mio padre sorrise al suo amico e mi prese la mano,
m’infilò l’anello, troppo grande per le
mie dita da ragazzina, all’anulare destro e mi meravigliai
che si adattasse perfettamente e magicamente alle dimensioni della mia
mano. Orion accese un lume sullo scrittoio con un incantesimo
silenzioso, per guardare con attenzione il piccolo anello e la
pietruzza verde a una luce più vivida di quella del sole,
ormai prossimo al tramonto. Non capivo cosa stessero cercando ancora,
era già stranissimo che il ferro si fosse ritratto fino a
ridimensionarsi sulle mie forme.
“Quanto pensi ci
vorr…”
“Ahi!!”
Ritrassi la mano dalla presa di mio padre, una goccia di sangue, color
rubino, andò a infrangersi sul legno nobile della sua
scrivania.
“Resta ferma,
Meissa.”
Guardai l’anello: la fedina aveva assunto, sotto i miei
occhi, la forma di un serpente d’argento, la sua bocca teneva
stretta la pietra, ma i dentini argentei avevano anche morso la mia
pelle, procurando delle ferite infinitamente piccole. Incuriosita, lo
rigirai, sotto gli occhi attenti di mio padre e del mio padrino: al
variare della luce riflessa sulla superficie della pietra, mi accorsi,
con ulteriore stupore, che la sua forma mutava, fino ad aprirsi,
lasciando cadere un piccolissimo libricino magicamente nascosto
all’interno. Il libro, con una consunta copertina di pelle su
cui era stampata in lettere dorate la scritta “Draco Dormiens
Nunquam Titillandus”, assunse delle dimensioni normali appena
lo presi in mano e ne lessi la scritta. Lo sfogliai rapidamente,
curiosa: raccoglieva migliaia e migliaia di formule, di pozioni magiche
e d’incantesimi, e sul frontespizio portava la firma di
Salazar Slytherin in persona. Era la raccolta di appunti personali del
grande mago dell’antichità.
“Padre!”
Ero al tempo stesso entusiasta e terrorizzata.
“Che cosa succede, Alshain,
perchè quel libro ha le pagine tutte bianche?”
“No, Orion, ti sbagli:
è solo che nessuno che non conosca il serpentese
può vedere né tantomeno leggere quelle
formule…”
Li guardai incredula. Avevo ormai da mesi un rapporto continuo con la
magia, ma quello che stavo vivendo quel pomeriggio andava al di
là persino delle mie fantasie più sfrenate.
“Alshain, questa è
davvero una sorpresa anche per me, io credevo…”
Orion era stupefatto, non potevo ancora saperlo, ma aveva passato gli
ultimi tre mesi a cercare per il suo amico quella pietra senza mai
sospettarne la vera natura. Guardai ancora il libro, che con una
semplice carezza sul serpente stampato sul dorso, tornò
all’interno dell’anello.
“Anello e Pietra sono di nuovo
uniti dopo secoli, grazie a te, amico mio… Essi furono
donati da Salazar in persona al suo primo discepolo, Hifrig, il nostro
antenato, come dono di nozze. Da allora sono appartenuti alla nostra
famiglia per diverse generazioni, poi sono stati separati e sottratti
passando gli ultimi secoli in mani mercenarie: lontano dalla nostra
famiglia e dalla sua pietra, l’anello è sempre
stato considerato una semplice verghetta di ferro, in quanto il suo
prezioso contenuto si mostra solo ai membri della nostra famiglia. Da
alcune settimane è tornato a casa, ma… non era
completo senza la pietra, così come la pietra era
inutilizzabile senza il suo anello. Il tuo padrino ed io te lo doniamo,
Meissa, che ti sia accanto per il resto della tua vita e che passi,
attraverso te, ai futuri custodi di Herrengton. Non è stato
facile ritrovarlo e riaverlo, abbine cura e apprendi quanto puoi da
esso. Tieni il libro nascosto nell’anello, come hai appena
visto, lui saprà tornare nel suo giaciglio. E non temere, la
sua natura gli consente di mimetizzarsi, occhi che non devono conoscere
i suoi segreti non riusciranno a vederlo né ad avvicinarsi,
se non sarai tu a volerlo.”
Quindi mi congedò, evidentemente aveva molto da dire al suo
amico, a quel punto. Uscii e mi diressi nella mia stanza, rimirando
alla luce del tramonto il nuovo regalo di mio padre. Mi chiedevo
perché, tra tanti figli, l’avesse cercato con
tanto ardore proprio adesso, per donarlo proprio a me.
***
Alshain
Sherton
Amesbury, Wiltshire - sab. 28 agosto 1971
"Alshain… ma è
proprio il libro che…”
“Sì
Orion…”
“Ma ti sembra il caso
di… di darlo a lei, proprio ora che parte per la
scuola…”
“Non temere, non
c’è luogo più sicuro di Hogwarts per
quel libro, almeno finché Dumbledore ne sarà il
preside…”
“Non capisco… tu
non vuoi che ne resti preside, fai fuoco e fiamme da anni…
che intenzioni hai?”
“Dumbledore deve assolutamente
restare preside di Hogwarts almeno finché i nostri figli non
ne saranno usciti, Orion… dovrò recitare bene la
mia parte, e agire nell’ombra in difesa del vecchio pazzo,
per il bene dei ragazzi…”
“Credevo che, per te,
Dumbledore fosse la peggiore minaccia per i nostri
figli…”
“A quanto pare
c’è un mezzosangue anche più pericoloso
di Dumbledore, Orion… non è più in
ballo solo la loro purezza, amico mio, qui in ballo
c’è la loro stessa vita… la
sopravvivenza di tutti noi…”
“Credo che tu stia
esagerando…”
“Io invece temo che tu ti stia
sbagliando, Orion… i segni parlano chiaramente, siamo
all’alba di una guerra, una guerra lunga e
sanguinosa…”
Orion bevve tutto d’un sorso il vino che aveva nel suo calice
e rimase a rimirare la nobile fattura di quei cristalli, a
lungo… Avrei dato molto dell’oro conservato nella
mia camera di sicurezza alla Gringott per sapere con certezza cosa
stesse elaborando in quel momento il suo cervello operoso.
“Sei proprio deciso ad andare
da Malfoy, la sera del primo?”
Avevamo poco tempo per accordarci su aspetti così
importanti, vedevo che all’avvicinarsi del giorno fissato,
Black diventava anche più agitato di me.
“Sì, ci
andrò, poi ti riferirò
tutto…”
“Ho deciso di venirci
anch’io, ne ho già parlato con
Abraxas…”
Lo disse asciutto, senza guardarmi negli occhi.
“Sei impazzito?!”
Orion sembrava non dar peso al mio sguardo preoccupato.
“Orion, ti prego,
rifletti...”
Ma non mi stava ascoltando, non sembrava curarsi della nota urgente,
inconsueta, nella mia voce.
“Non credo sia una buona
idea… Non so cosa ti abbia promesso Malfoy per convincerti a
unirti a noi, ma non credo sia una buona idea che ti butti a capofitto
anche tu in questa brutta storia”.
“Non si tratta di promesse, lo
sai, non sono in vendita.”
Mi guardò, quegli occhi chiari non mi avevano mentito mai.
“Non sto dicendo questo. Lo
sai. È troppo presto, Orion… Dovresti essere tu a
convincermi a uscirne… non credi?”
Orion mi sorrise, come faceva sempre, gli occhi erano sempre gli stessi
da quando era un ragazzo, limpidi e sinceri.
“So quello che sto facendo,
devo impedirti di cacciarti nei guai… sono
trent’anni che ti salvo le chiappe… Per quale
altro motivo pensi che potrei mettermi in mezzo?”
“Orion… Merlino
santissimo… Stavolta è diverso!”
“Sì, stavolta
rischi davvero di rimetterci le penne… quindi non riuscirai
a convincermi a lasciarti andare da solo…”
“Salazar… Voglio la
tua parola, Orion: se quello che vedrò non mi
convincerà, voglio che tu mi ascolti e rifletta sulle mie
impressioni e te ne vada senza tante storie, hai capito? Uno di noi due
deve restarne fuori, per i ragazzi…”
“Sì, lo so
benissimo, e tu sai che io non sono votato al martirio, non
farò sciocchezze, ma sai anche quanto sono bravo a
mercanteggiare… può tornarti utile...”
“Con Lui non puoi fare le cose
di nascosto, non puoi fare giochi, Orion! Sarebbe anche più
pericoloso, non devi metterti nelle condizioni di fargli credere che lo
stai ingannando…”
Mi sorrise, gli stessi occhi carichi di complicità che
conosceva dai tempi di Hogwarts.
“Alshain, mi conosci, non ho
né la tua fede, né il tuo coraggio… lo
sanno tutti, se mi tirassi indietro, se alla fine non mi esponessi,
nessuno crederebbe che li sto ingannando, penserebbero soltanto che
sono il solito Orion "cuor di coniglio" Black.”
Brindò, guardandomi leggero, come se stessimo complottando
ai danni dei Grifondoro, come ai bei vecchi tempi. Lo stomaco mi si
contrasse dalla paura, era tutto sbagliato, non stavamo affrontando la
situazione con la giusta serietà.
“Ognuno di noi
concorrerà con le arti che gli sono più
congeniali, Alshain, ma è presto per tutto questo,
c’è ancora molto da fare. Ed è in
questo frangente che la mia opinione ti sarà molto utile: tu
sei sempre dannatamente coinvolto, in tutto ciò che fai,
procedi sempre a testa basta, impulsivamente. Io, invece, riesco a
mantenere un distacco sufficiente a capire la situazione nel suo
insieme. Ti sto offrendo la mia capacità di analizzare i
suoi giochi, di comprenderli, perché non mi perdonerei mai
se il tuo maledetto eroismo ti portasse ad Azkaban o, peggio ancora,
sotto terra!”
Mi raggiunse alla finestra e mi mise una mano sulla spalla, odiavo
quando aveva ragione.
“Orion... Fai in modo che
Walburga m’incontri con i ragazzi il trenta, voglio Sirius e
Regulus qui ad Amesbury prima della partenza…”
Sospirò.
“Sei ancora
d’accordo, vero Orion?”
“Sì,
naturalmente…”
Mi salutò con un abbraccio, come faceva sempre da quando
c’eravamo conosciuti, erano passati oramai quasi trenta anni:
per entrambi la famiglia e gli amici erano sullo stesso piano, molto al
di sopra di tutto il resto. Ma per la prima volta sentii quanto gli
pesasse mantenere una promessa che mi aveva fatto.
***
Meissa
Sherton
Diagon Alley, Londra - lun. 30 agosto 1971
Quella mattina andammo a Diagon Alley, per fare gli ultimi acquisti per
la scuola: finalmente avrei comprato i miei nuovi libri, la mia divisa
e alcuni vestiti che mia madre aveva commissionato alla sarta, Madame
O. Ma soprattutto, finalmente, avrei fatto visita ai famosi negozi di
Herrolabius e Dulcitus. Mia madre non venne con noi ed io ne rimasi
profondamente dispiaciuta, ma sia lei sia la bambina avevano bisogno di
riposo e non c’era nulla di meglio, per loro, della pace di
Amesbury. In quel momento eravamo sulla scalinata d’ingresso
della Gringott, la banca dei maghi, e stavo letteralmente scalpitando
nella speranza di andare presto a comprare dei dolci, ma mio padre
s’intratteneva a lungo, troppo per i miei gusti, con Abraxas
e Lucius Malfoy.
“Non è
più possibile continuare in questo modo, ne parleremo meglio
la sera del primo da te, Abraxas…”
Mio padre sorrise mellifluo e sprezzante a suo cugino, Malfoy rispose
con un ghigno che non prometteva nulla d buono. Ero impegnata a
osservare il via vai per la strada, ma sentivo gli occhi di Lucius su
di me, inquietanti come sempre, mi voltai e lo fissai a lungo, a mia
volta: di solito ero intimidita da lui, ma ero stanca di abbassare
sempre lo sguardo, d’ora in poi non sarei più
stata soltanto una sciocca e impacciata bambina, stavo per diventare
una vera, giovane strega. Era finita l’epoca delle fughe e
l’avrebbe capito, presto, anche lui. Inoltre, vedevo
benissimo negli occhi inquieti e inquietanti di Abraxas che stava
venendo loro meno quell’aria di superiorità che
avevano da sempre: lo smistamento era diventato importante anche per
loro, con la nascita di Adahara, nemmeno i Malfoy avevano
più delle salde certezze. Abraxas notò le
occhiatacce che mi scambiavo con Lucius e si mise a ridere, suscitando
la curiosità un po’ infastidita di mio padre, che,
al contrario, preso com’era dalla perorazione della sua
causa, non si era accorto di nulla e ora ci guardava a metà
tra lo scocciato e il dubbioso.
“Oh, scusami, Alshain, ma
questi ragazzi insieme sono davvero fenomenali!”
Papà lo guardò interrogativo.
“Non ho mai visto qualcuno
sostenere lo sguardo di mio figlio con un tale coraggio da metterlo in
difficoltà!”
Lo "zio" si chinò ad accarezzarmi affettuoso la guancia,
sotto gli occhi alterati di Lucius e quelli preoccupati di mio padre,
poi però anche papà rise di cuore, avendo capito
dallo sguardo carico d’odio del giovane Malfoy che cosa era
accaduto. Abraxas mi prese il viso e alzò il mio mento, per
osservarmi meglio alla luce del sole.
“Brava Meissa, fai vedere a
tutti di che pasta sei fatta! Sei la degna figlia di tuo padre,
indomita e fiera, e sei anche bella come tua madre, per la perdizione
completa del mondo! Saresti la moglie perfetta per Lucius, un giorno,
lo sai?”
“NO! Io non voglio!”
Mi divincolai dalla sua presa, lasciandolo basito: la sola idea mi
faceva inorridire. Per fortuna non tremai, ma di sicuro ero diventata
più pallida anche dei due Malfoy. Mio padre mi
circondò le spalle con un braccio, come per mettermi al
sicuro, difendendomi da suo cugino.
“Non mi convincono i matrimoni
con differenza d’età così forte,
Abraxas, lo sai… ma ho promesso a Meissa che
accetterò la sua volontà, quindi, se Lucius tra
una decina d’anni sarà ancora libero e
sarà diventato tanto premuroso da conquistare il cuore di
Mey, non avrò motivi per oppormi…”
“Dieci anni? Starai
scherzando! Si sposeranno appena sarà maggiorenne! Non vedo
l’ora di stringere tra le braccia dei nipotini di
così alto lignaggio!”
Mio padre, sentendo che iniziavo a tremare, mi strinse ancora di
più, fulminando con odio suo cugino.
“Al contrario di te, prima di
pensare al pedigree dei miei nipoti, io penso a cosa desidera mia
figlia, e a fare di tutto per renderla felice…
Perciò il discorso è chiuso, Malfoy!”
Abraxas tornò serio, annuì controvoglia, si
capiva che non era il tipo di risposta che voleva sentirsi dare, ma non
era il luogo né il momento di fare storie: per dissimulare
il malcontento abbracciò Alshain, sotto gli occhi sempre
più foschi di Lucius che, benché chiamato in
causa come me, si era ben guardato dal proferire verbo. Mi chiedevo se,
al di là delle sue spacconate, non avesse schifo anche lui,
come me, verso tutta quell’assurda storia. Ma sapevo anche,
dalle storie che sentivo raccontare dalle mie zie, che spesso i maghi
si curavano solo di avere un degno erede, ricercando poi soddisfazioni
e felicità al di fuori del matrimonio. Una tristezza
profonda mi pervase l’anima.
“A presto, salutami Deidra!
Verremo a farle visita quanto prima!”
“Vi aspettiamo entrambi con
gioia!”
Abraxas si diresse verso Nocturn Alley, seguito da un Lucius che ci
lanciò un ultimo sguardo malevolo.
“Mi dispiace per quello che
è successo, Mey, ma sono anche molto orgoglioso di te! Hai
fatto bene a far vedere che non hai paura di dire quello che pensi, non
come quel dannato damerino che si nasconde dietro suo padre…
Lucius imparerà a stare al suo posto, con te, non temere, e
così Abraxas! Sono pronto a dar loro una lezione una volta
per tutte, se non ti porteranno il rispetto che meriti!”
Poi, appoggiandomi la mano sulla spalla, mi accompagnò
dentro la banca dei folletti: ero felice che avesse detto parole
così dirette a entrambi, ma, in cuor mio, sapevo che non
sarebbe bastato quel discorso a evitarmi altri momenti di autentico
panico, almeno fino a che non fosse arrivata la sera del primo
settembre. La sera della verità.
*
Dopo la visita alla sarta e a Dulcitus, dove avevamo incontrato i
Black, invitandoli poi a passare quei due ultimi giorni di vacanza ad
Amesbury, ci dirigemmo al negozio di libri.
Rigel ci lasciò subito, per andare ad ammirare la nuova
scopa da Quidditch esposta in un negozio là vicino, insieme
con un gruppo di suoi amici serpe verde: mio fratello era ormai preda
del massimo entusiasmo perchè la minaccia di mio padre di
non regalargli una scopa nuova era decaduta e questo voleva dire che,
entro la fine della mattinata, si sarebbe ritrovato proprio con la
scopa dei suoi sogni in mano. In cambio, così avevo capito,
avrebbe dovuto fare a papà un piccolo e misterioso favore.
Lasciati tre degli elfi domestici ad occuparsi del trasporto di libri,
calderone e ingredienti vari, mio padre ed io entrammo dal signor
Ollivander per acquistare la famosa bacchetta fittizia e per
un’ultima commissione prima di tornare a casa. Appena
entrammo, un vecchio mago dagli occhi vacui e inquietanti ci venne
incontro.
“Signor Sherton, che
onore!”
“Signor Ollivander, come sta?
Oggi siamo qui per la mia Meissa”.
Mi spinse avanti, mentre estasiata da quelle file continue di cassetti,
armadi e scaffali contenenti scatole e scatoline di varia foggia e
fattura, mi stavo perdendo in quell’ambiente oscuro, eppure
magicamente affascinante
“Molto lieto, signorina
Sherton, immagino che sarà emozionata, oggi
incontrerà la sua prima bacchetta. L’aspettavo
dalla scorsa primavera, a dire il vero…”
“Come sa, Ollivander, noi
Sherton erditiamo la prima bacchetta dai nostri antenati, e Meissa ha
assunto quella di mia madre, come era ragionevole e giusto…"
“Capisco…Prego
seguitemi”
Ci introdusse nella parte più intima e raccolta del suo
negozio, dove si trovavano le bacchette più elaborate,
più ricche, di più nobile fattura. Ero
letteralmente senza parole, mi sentivo in un luogo sacro.
“Signor Ollivander, per non
farle perdere tempo, credo ci servirà una dodici pollici, di
ontano con tendine di drago.”
“Certamente, dovrei averne
ancora una .. spero sia all’altezza della signorina..."
Salì sul gradino più alto della scala e
tirò fuori una scatola polverosa, con il coperchio di pelle
antica e le lettere dorate impresse a descrizione della natura del
contenuto: era rimasta una sola bacchetta. Me la porse e subito si
notò l’energia sprigionarsi da quella simbiosi.
“Eccellente, è
proprio la sua bacchetta: che combinazione eccentrica,
però!”
Ollivander era seriamente incuriosito, più per il destino di
una delle sue creature, che non per quello della ragazzina che aveva di
fronte.
“Tutte le bacchette di mia
madre erano fatte con ontano e tendine di drago e Meissa, a quanto
pare, le assomiglia non solo fisicamente… “
Mio padre sorrideva, come se si trovasse a dover spiegare il fatto
più comune che potesse capitare sulla terra, quasi come il
sorgere del sole.
“Capisco. Allora signorina,
è soddisfatta della sua bacchetta? Se non le piace posso
preparargliene un’altra. O riponiamo questa in una bella
custodia?”
Mi guardò con gentilezza e un certo affetto, sembrava che il
legame amorevole che lo legava alla bacchetta che aveva creato, si
fosse propagato anche alla persona che da quel momento ne era diventata
proprietaria. Desiderai subito quella bacchetta: il fatto che fosse
rimasta solo quella, in tutto il negozio, mi dava l’idea che
mi stesse attendendo da tempo, che quello fosse un segno, il segno che
stavo andando incontro al mio destino. Ollivander la avvolse in un
panno di velluto e la mise in una lunga e sottile scatola dorata, poi
la porse a mio padre.
“Ha bisogno di qualcosa anche
lei, signor Sherton?”
“Sì, in effetti
vorrei lasciarle la mia, la sento poco bilanciata, riuscirebbe a
sistemarmela per dopodomani?”
Il vecchio mago prese in mano la bacchetta e la soppesò a
lungo, mostrando però di riconoscerla immediatamente.
“Oh, sì,
eccola… la ricordo così bene: questa è
la sua prima bacchetta, dopo tutti questi anni è ancora
bellissima e forte, piena di energia, sì, crine di unicorno,
13 pollici, del salice più pregiato. Ricordo che vi siete
riconosciuti subito e vedo che c’è ancora una
simbiosi perfetta, ma… sì, è vero, qui
c’è questa piccola e vecchissima scalfittura, che
provoca una leggera distorsione: nulla di irreparabile, stia
tranquillo, sarà pronta anche domani, signor
Sherton...”
Depose la bacchetta nella sua custodia e la fece scivolare in un
cassetto dietro di sé.
“La ringrazio, Ollivander,
come sempre lei è una garanzia, ci vediamo il primo
settembre, dopo che avrò portato i ragazzi a
King’s Cross.”
“Troppo onorato, signor
Sherton... A presto!”
S'inchinò, visibilmente compiaciuto. Appena usciti,
raggiungemmo Rigel da Herrolabius, dove mio padre mi permise di passare
una buona mezzora alla ricerca di giochi e altre cose sfiziose che
desideravo da tempo, poi, finalmente, recuperati anche i Black e
salutata Walburga senza trattenerci troppo con lei, facemmo ritorno a
casa.
***
Meissa
Sherton
Amesbury, Wiltshire - mar. 31 agosto 1971
Quei due giorni ad Amesbury furono stupendi: il parco
risuonò delle risate di noi ragazzi, papà ci
istruì sull’uso della scopa da Quidditch,
ricordando i trucchi dei suoi tempi memorabili da cercatore di
Serpeverde, con gli occhi di Rigel, Regulus e Sirius puntati addosso,
sognanti. Io aveva dapprima aderito controvoglia all’invito
ad unirmi a loro, ma le cose cambiarono quando, dopo le numerose
insistenze, salii sulla vecchia scopa di Rigel e fu chiaro a tutti
quello che io e mio padre avevamo già scoperto da soli
alcune settimane prima: ero nata per starci sopra.
“Eccellente, siete tutti
talmente portati che potremmo mettere su una squadra tutta nostra, non
appena avremo trovato un altro paio di elementi!”
“Signore, lei potrebbe sempre
fare per quei due che mancano!”
Regulus lo stava letteralmente adorando, come sempre.
“Grazie della fiducia, Reg, ma
ormai inizio ad avere una certa età, sai…"
Sorrise, andando a scompigliargli i capelli e circondandogli le spalle
col suo forte abbraccio. Regulus sembrava prendere vita, ogni volta che
mio padre gli rivolgeva un sorriso non sembrava affatto il figlio di
Walburga Black.
"Bene, ora fatevi un ultimo volo, poi
tutti a mettere qualcosa sotto i denti, è ormai ora di cena.
Forza!”
Mi avviai per riporre la scopa, ne avevo davvero abbastanza, al
contrario di tutti gli altri, non vedevo l'ora di ritornare a casa.
“Mey, tu dovresti portare a
scuola la vecchia scopa di Rigel, tanto a lui non serve più,
ora che ha la nuova: penso proprio che ti farà
comodo!”
Mio padre era entusiasta, probabilmente già immaginava i
suoi due figli nella squadra di Quidditch di Serpeverde. Peccato che io
fossi destinata a Corvonero. Mi ripresi dai miei pensieri e feci un
cenno di assenso. Gli altri si fecero rapidamente intorno: mio padre
aveva promesso un racconto attorno al fuoco, ma ci aveva anche imposto
di andare a dormire presto, perché l’indomani
sarebbe stata una lunga giornata per la maggior parte di noi. Vidi
subito lo sguardo di Regulus perdere la leggiadra spensieratezza di
quei giorni: era l'unico che sarebbe rimasto a Londra e di certo non
l'invidiavo, visto che sarebbe rimasto, da solo, con la sua tetra madre
in quella casa da incubo. Papà prese la scopa usata da
Sirius ma attese invece di avviarsi verso casa, lasciò che i
ragazzi lo precedessero, commentando tra loro il pomeriggio appena
trascorso.
"Mey, resta, per favore, devo
parlarti..."
Corsi trotterellando verso di lui, con la scopa di Rigel ancora sulle
spalle: papà la fece levitare davanti a noi, fino a casa,
poi si mise seduto su un tronco e mi fece cenno di sedermi sulle sue
ginocchia. Sorrisi, come al solito aveva capito che lo desideravo
tanto, lui mi diede un bacio sulla fronte e lasciò con
pazienza che gli rispondessi con un bacio a schiocco sulla guancia.
Rise.
"C’è qualcosa che
vuoi chiedermi, Meissa? Per domani? Hai ancora paura?"
"Un po’..."
"Perché?"
"Perché sono sicura che
entrerò a Corvonero, ho anche la bacchetta della
nonna…"
"E allora? Per entrare a Corvonero
servono qualità eccezionali, sai? Mica possono entrarci
tutti... Te l’ho detto, non devi farti rovinare questi anni
così belli per te da queste sciocchezze, d’accordo
Mey? Quanto ai Malfoy…"
Chinai subito il capo, rossa in viso… E visto come mi teneva
stretta a sé, sicuramente aveva sentito che il mio cuore
aveva mandato un colpo a vuoto.
"Se Lucius prova a darti fastidio anche
solo un’altra volta, non finirai nemmeno di dire "padre" che
io sarò già lì a frustargli quelle
mosce chiappe bianche, siamo intesi?"
Risi, al pensiero delle chiappe bianche di Malfoy jr., e mio padre
sembrò sollevato nel vedermi ridere.
“Seriamente... Non devi
curarti di loro: so che hai sentito storie tremende, ed è
per questo che temi tanto il risultato dello smistamento. Ma sono io
tuo padre, tu ormai mi conosci: non farei mai qualcosa che ti faccia
soffrire e se ti dico di fidarti di me, puoi farlo… se ti
dico di non aver paura, non devi averne... perchè, a meno
che non sia tu un giorno a volerlo, quel patto resterà carta
straccia... Anche se non finissi a Serpeverde, perme vale quanto carta
straccia. Quando ho accettato di tornare a Herrengton, l’ho
fatto a certe condizioni: ho detto a mio padre che avrei onorato solo
gli impegni che avessi preso di persona, non quelli che stavo
ereditando dalla nostra famiglia. Non giocherò mai con la
vita dei miei figli. Perciò ti chiedo di vivere tranquilla:
quando sarà il momento, sceglierai un mago purosangue che
abbia l’animo così nobile da meritare il tuo amore
e che sappia renderti felice. Tutto qua."
“Credevo che dovessi comunque
stringere un patto per me, secondo la tradizione dei maghi del
Nord...”
"Sarebbe bello se un giorno scegliessi
spontaneamente qualcuno a cui sono legato da affetto e amicizia, ma la
vita è la tua, le scelte sono le tue. Io, per me, ho voluto
la libertà e questo è quanto di più
importante ho da darvi... ma voglio essere onesto con te, se
sarà necessario, se vedrò che è la
cosa migliore per te, firmerò per te un patto di facciata,
da cui saresti però libera a 17 anni… solo un
patto di facciata…”
Mi prese la mano destra con la propria, me la baciò e se la
portò al cuore, come a suggellare quelle parole, quelle
promesse e quelle richieste, in un sacro giuramento.
"Voglio che mi scrivi tutti i giorni,
Meissa, ho deciso di regalarti Ginevra, per questo... Poi ricordati...
io nn posso soffrire Dumbledore, per ragioni mie, ma è un
uomo onesto e saggio, se avrai bisogno di un consiglio ti
saprà ben indirizzare e lo stesso vale per Sloughorn, anche
se... beh, sai cosa penso di lui... Gli altri insegnanti... porta
rispetto a tutti loro, apprendi quanto più possibile, non
curarti delle loro debolezze, non fare confronti tra te e gli altri,
non cercare di emergere troppo, attireresti invidie e malevolenza..."
"E gli altri studenti? Devo fare
amicizia per forza con i figli di determinate famiglie?"
"Tu sarai amica di chi vorrai...Tu
conosci la storia di Eileen Prince, ora sai perchè ti ho
mandato a Spinner's End durante questi mesi…"
"Sì…ma…"
"Mey… Ti ho già
fatto quel discorso, alla prova dei fatti lo capirai da te, lo noterai
da te... il sangue non è qualcosa che tu possa ignorare, le
vedrai da te le differenze e capirai da te… Quanto ai
ragazzi… anche se tu lo volessi e anche se io fossi
così pazzo da permetterlo, tu non potrai mai avere a che
fare con Mezzosangue e Babbani, c’è una magia
antica su di te che porterebbe alla follia e alla morte il tuo
compagno, l’ha messa Salazar stesso sulla nostra famiglia:
sarà sufficiente questo a non farti fare scelte sbagliate..."
"Ma questa magia, come la chiami tu, non
terrà lontano da me Malfoy o altri purosangue, anche se non
fossero degni…"
"A questo ci penserò
io… Malfoy avrà altro di cui occuparsi, sono
già all’opera con Orion…"
Sorrise, con una nota maliziosa nello sguardo.
"Ma Orion Black cosa vorrà in
cambio da te?"
"Nulla… o al massimo qualcosa
che tu saresti contenta di dargli, almeno stando a tua madre..."
Divenni color porpora, papà rise e mi diede un altro bacio
sulla fronte. Poi ridivenne molto serio.
"Non voglio sentire questi discorsi
almeno per altri sei anni, siamo intesi? Pensa a divertirti e a
imparare, in quella scuola! In questa testolina circolano pensieri da
persona adulta, invece devi goderti l’età che hai!
Promettimelo..."
"Sì padre..."
"Ricordalo sempre… non ti
farei mai qualcosa che non ho accettato per me..."
Avrei voluto piangere per la felicità, ma sapevo che avrei
rimediato una punizione, mi accontentai di gettargli le braccia al
collo e stringermi a lui ancor più di quanto stessi
già facendo: mi immersi nel buon profumo che emanavano i
suoi capelli, mi scostai e strusciai la faccia sulla sua barba morbida,
perdendomi nei suoi occhi d'acciaio vivo.
"Mi mancherai da impazzire, Mey, sei
quanto di più bello sono riuscito a creare finora... e forse
non riuscirò mai a fare nulla di altrettanto buono e giusto
nella mia vita..."
"Avete appena fatto Adhara, tu e la
mamma…"
Sorrise.
"Già... ma la vita
è talmente ingiusta, Mey, che nonostante tutta la tua buona
volontà, non puoi impedire che un figlio ti entri
nell’anima più di tutti gli altri..."
Mi accarezzò i capelli e mi baciò di nuovo, sulla
punta del naso, espandendo il suo calore dai miei occhi a tutta la
testa, come una morbida carezza d’amore.
***
Sirius
Black
Amesbury, Wiltshire - mar. 31 agosto 1971
Mey era scivolata via dal suo letto qualche minuto prima e mi aveva
raggiunto sul terrazzo, dove stavo ammirando il cielo stellato sopra la
tenuta: era il primo momento passato da soli dalla nascita di Adhara e
avevo tante domande da farle su quegli ultimi giorni. A cena lei e suo
padre erano arrivati un po’ in ritardo, ma sembrava che
fossero entrambi incredibilmente sereni, probabilmente si erano
salutati con grazia prima della partenza per la scuola, non come avevo
fatto io con mio padre. Sospirai, mentre la brezza di quella sera di
fine agosto mi accarezzava la pelle nuda della schiena.
"Sei pronta?"
“Nemmeno un
po’… E tu?"
"Io non vedo l’ora di essere
lì, il più lontano possibile dalla mia
famiglia..."
Lei si avvicinò e mi prese la mano, mi voltai e la vidi
simile a una fata della notte, con la sua vestaglia smeraldo, i capelli
raccolti in una treccia e le pantofoline, buffe, di pelo.
"Mi sei mancato, Black”
Mi guardò, seria.
"Anche tu... E’ stato proprio
un ritorno all’inferno, queste settimane, sai?"
“I tuoi ti hanno tenuto sempre
in punizione, vero?”
“Già, ma non
è solo quello, mia madre sta complottando da tempo qualcosa
che non mi piace..."
"Di che genere?"
"Ha detto di nuovo a mio padre che ti
vedrebbe bene con Reg..."
Mey fece cadere la mia mano di colpo, un’ombra scura le si
stagliò addosso.
"Qualsiasi cosa intrugli tua madre,
Sirius, mio padre mi ha promesso che deciderò io della mia
vita, ho già tanti pensieri all’idea che per un
anno dovrò vedere Lucius Malfoy di continuo… non
farmi pensare che ora devo pure preoccuparmi per tua madre, e per
quello che potrebbe combinare in nostra assenza..."
"Scusami, non ti volevo spaventare..."
"Non sono spaventata, Sirius, sono
furiosa!"
Rimanemmo in silenzio per un pò
"Comunque mio fratello è
meglio di Lucius..."
Non so cosa mi passò per la testa per dire quelle parole, e
ancor meno come mi uscì un sorriso: Mey prima mi
guardò come se fossi un idiota, poi si mise a ridere.
"Mio padre ha detto che se Malfoy prova
a rompermi di nuovo le scatole, lui frusterà a sangue le sue
mosce chiappe bianche!"
Risi come un pazzo, immaginando la scena: conoscendolo sapevo che non
era un'eventualità poi tanto fuori dal mondo.
"Promettimi che qualsiasi cosa
succederà domani sera saremo sempre amici, Sir..."
"Te lo prometto!"
"Anche se sarò
un’insulsa Corvonero e tu un Serpeverde, d’accordo?"
"Qualsiasi cosa saremo, saremo sempre
Sir e Mey, solo questo. Promettimelo anche tu..."
Fece un cenno di assenso e mi abbracciò, io mi sentii quasi
svenire, quando percepii la pressione del suo abbraccio, il suo profumo
e il suo calore.
"Credo sia meglio se torniamo
dentro,Sir, prima che prendiamo freddo e che qualcuno si accorga di
noi..."
"In bocca al lupo Mey!"
Si voltò, come se fosse rimasta colpita da quelle parole
così normali, una luce strana nello sguardo.
"In bocca al lupo, Sir!"
La guardai rientrare in casa, scivolare nel buio squarciato dalla luce
delle fiaccole distribuite nel corridoio e svanire lungo la scala che
l’avrebbe portata di sopra. Entrai a mia volta nella stanza
in cui io e mio fratrello eravamo ospitati: lo guardai, abbandonato tra
le lenzuola, sembrava un angelo addormentato. Sospirai e mi misi a
osservare la luna steso sul mio letto. Ancora poche ore e insieme alla
libertà avrei abbracciato il mio destino. E alla fine mi
addormentai, stringendo in mano l’anello che Alshain Sherton
mi aveva regalato quella sera. Mi aveva detto di non separarmene mai.
*fine
della prima parte*
NdA:
Ringrazio quanti hanno letto, hanno aggiunto a preferiti/seguiti/ecc,
hanno recensito e/o hanno proposto/votato questa FF per il concorso sui
migliori personaggi originali indetto da Erika di EFP (maggio 2010).
Finisce qui la prima parte della storia, dal prossimo capitolo
troverete un breve intermezzo su Orion Black, poi la narrazione si
sposterà a Hogwarts, anche se non in maniera esclusiva.
Spero che la storia fin qui vi sia piaciuta e di continuare a
incuriosirvi.
1) Versi tratti da "Blowin’in the wind" di Bob Dylan
Valeria
Scheda
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