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Autore: Terre_del_Nord    05/01/2009    24 recensioni
Sirius Black e la sua Nobile Casata; gli Sherton e la Confraternita del Nord; l’Ascesa di Lord Voldemort e dei suoi Mangiamorte; gli Intrighi di Lestrange e Malfoy; le leggende di Potere e Sangue risalenti a Salazar Slytherin. E Hogwarts, i primi passi dei Malandrini e di chi, Amico o Nemico, condivise la loro Storia. UNA STORIA DI AMORE E DI GUERRA.
Anni 70. Il Mondo Magico, alle prese con Lord Voldemort, sempre più potente e feroce, farà da sfondo dark a storie d'amicizia per la vita, a un complicato rapporto tra un padre e i suoi figli, a vicende di fratelli divisi dalle scelte e dal sangue, a storie d'amore romantiche e avventurose. Gli eventi sono narrati in 1° persona da vari personaggi, canon e originali. "Nuovo Personaggio" indica la famiglia Sherton e altri OC.
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HABARCAT (Chap. 1/20) *** ORION (Chap. 21/24) *** HOGWARTS (Chap. 25/39) *** MIRZAM (Chap. 40/52) *** STORM IN HEAVEN (Chap. 53/62) *** CHAINS (Chap. 63/X) *** FEAR (Chap.97/) ***
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VINCITRICE 1° TURNO "Harry Potter Final Contest"
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Genere: Avventura, Drammatico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: I Malandrini, Mangiamorte, Nuovo personaggio, Regulus Black, Sirius Black
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Malandrini/I guerra magica
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- Questa storia fa parte della serie 'That Love is All There is' Questa storia è tra le Storie Scelte del sito.
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That Love is All There is

Terre_del_Nord

Slytherin's Blood

Habarcat - I.020 - Una Settimana e un Giorno

I.020


Meissa Sherton
Ospedale San Mungo, Londra - lun. 23 agosto 1971

    “Che succede, Deidra? Una nuova fitta?”

Stavo sonnecchiando col capo appoggiato sul letto di mia madre, in quell’afoso tardo pomeriggio di fine agosto, quando la voce preoccupata di mio padre mi riportò in me: dalla nostra partenza da Herrengton, avevo voluto passare tutto il tempo in quella camera riservata del San Mungo, con la mamma, ribellandomi all’idea di essere mandata dagli zii a Doire, con Wezen, e rifiutando di seguire papà e Rigel quando andavano a fare acquisti in giro per Londra. Mio fratello, al contrario, usciva spesso e passava le notti a Grimmauld Place, ospite dei Black: la nostra casa londinese non era ancora pronta e mio padre non poteva rispedire Rigel ad Amesbury, da solo, di notte, tantomeno aveva intenzione di allontanarsi da mia madre solo per lui. Finora, i miei genitori avevano sempre preferito che noi nascessimo a casa, ma dopo l’esperienza di Wezen, l’anno prima, avevano deciso di non voler correre rischi inutili e di far ricoverare la mamma alle prime avvisaglie. Nonostante questo io non ero per niente tranquilla, e non volevo mai staccarmi da lei.

    “Ci siamo, Al… si sono appena rotte le acque.”

Mia madre guardò con calma prima me, che di sicuro a quelle parole ero sbiancata di colpo, poi papà, che non poté fare a meno di rivolgerle il suo più bel sorriso d’incoraggiamento e, avvicinandosi ancora di più, le strinse forte la mano nella sua.

    ”Bene, allora diamoci da fare…”

Toccò il suo anello e Doimòs si materializzò nella nostra stanza. Sapevo che cosa significava: dovevamo, io e Rigel, toglierci dai piedi, e per questo mio padre consegnò all’elfo una lettera per Orion Black, poi si rivolse a noi.

    “Vi ho già detto quello che dovete fare, vi prego di comportarvi come si deve, intesi? Non date modo a Walburga Black di spettegolare, per favore… ora salutate la mamma.”

Io e Rigel ci scambiammo un cenno d'intesa e papà ci guardò entrambi con fare molto serio. Mi avvicinai a lei e la baciai, mentre una sua smorfia mi faceva capire che stava sopportando stoicamente, solo per non spaventarci, una nuova fitta.

    “Non ci vorrà molto, stavolta… Andate... Entro domattina saremo di nuovo tutti insieme… Non preoccupatevi e… fate i bravi...”

Mio padre le rivolse un altro sorriso, a metà tra lo speranzoso e l’interrogativo, e la mamma annuì con la testa, confermando quello che aveva appena previsto. Due secondi dopo, il tocco energico di Orion Black alla porta ci confermò che era il momento di andare. Il Medimago capo entrò con lui e ci fece cenno di uscire tutti, ma papà non volle sentire ragioni, non avrebbe lasciato la mamma nemmeno se fosse stato a rischio di una maledizione senza perdono.

    “Manderò un gufo appena ci saranno novità… ora andate...”

Orion si avvicinò e mise qualcosa in mano a mio padre.

    “Usa questo, è più rapido… A Grimmauld Place non ci sono le barriere di Herrengton... ragazzi, forza, andiamo…”

Non volevo andarmene con Orion, nemmeno l’idea di rivedere Sirius e Regulus mi sembrava soddisfacente in quel momento, ma il signor Black mi prese con decisione la mano e, di fatto, mi trascinò via senza tanti riguardi, sotto gli occhi autorevoli di mio padre. Era ridicolo che ci pensassi in quel momento, visto che da lì a una settimana sarei partita per Hogwarts, ma mi resi conto che, per la prima volta, stavo lasciando i miei genitori, per seguire quello che in fondo era un estraneo… e il cuore mi mancò un colpo…Mi stavo allontanando dalla mia famiglia e l’unico legame che avevo con loro era mio fratello Rigel, l'unico con cui avessi un pessimo rapporto. Eppure, quando mi prese la mano e mi guardò incoraggiante, compresi che da quel momento, con lui, tutto sarebbe presto cambiato...

***

Meissa Sherton
12, Grimmauld Place, Londra - lun. 23 agosto 1971

La cena a casa Black fu a dir poco sontuosa, ma io e mio fratello non onorammo adeguatamente la cucina dei nostri ospiti, come avrebbe previsto l’etichetta, troppo ansiosi di sapere come stavano procedendo le cose all'Ospedale.

    “Non dovete preoccuparvi, ragazzi, andrà tutto bene, il San Mungo è una struttura all’avanguardia e di certo, con tutte le ricche donazioni di vostro padre, vostra madre e vostro "fratello" saranno trattati con ogni riguardo e avranno tutte le attenzioni del mondo...”

Rigel rivolse un sorriso speranzoso a Orion Black, che davvero stava facendo l'impossibile per farci coraggio, ma io non riuscivo a staccare gli occhi dal mio piatto in cui campeggiava un'immensa fetta di vitello arrosto… Mi risuonavano nelle orecchie le voci dei Medimaghi allarmati, del'anno precedente a Herrengton, non potevo fare a meno di trattenere il respiro... Ero preoccupata per la mamma ma anche per me stessa: era l'ultima possibilità, se fosse nato un altro maschio, tutte le mie speranze di felicità sarebbero morte quella notte. Sentii una mano posarsi sulla mia e di colpo smisi di fissare l’arrosto e osservai quelle dita, così eleganti, curate, adorne di bellissimi anelli, ma gelide come gli occhi, come tutto il resto di Walburga Black.

    “Stai tranquilla, Meissa, andrà tutto bene…”

Le sorrisi e mi persi in quei meravigliosi occhi azzurri, ma per quanto li scrutassi, non riuscivo a vedervi nessuna emozione. Come faceva a nascondere così bene i suoi pensieri? In quel momento la invidiavo, sembrava che nulla riuscisse mai a scalfire quell’immagine di totale perfezione e superiorità.

    “Se vuoi andare a riposarti e riprenderti un pò… Kreacher ha già sistemato tutto nella tua stanza… Domattina, se vorrai, potremmo andare a Diagon Alley, un pò di distrazione ti farà bene…”
    “Voglio andare dalla mamma, domattina…”
    “Meissa…”

Rigel mi stava riprendendo per la mia risposta lamentosa, con uno sguardo duro, degno di papà, ma Orion si mise subito dalla mia parte.

    “Hai ragione, Meissa, ti porterò personalmente al San Mungo, domattina, appena ti sarai svegliata e avrai mangiato qualcosa… Sono certo che, prima di mezzogiorno, ci sarà già questa nuova piccola canaglia di uno Sherton a cui far visita…”

Ridacchiò e alzò il bicchiere in un brindisi a mia madre e a nostro "fratello". Sorrisi incerta e per la prima volta, durante quella cena, i miei occhi si spostarono su Sirius e Regulus che mi risposero immediatamente con sguardi carichi di ottimismo e di sostegno.

    “Nessuno di noi ha sonno, stasera, meglio passare il tempo in allegria: ragazzi, invitate i nostri ospiti a giocare nella Sala dell'Arazzo, e fate vedere loro che siete dei veri Black!"

Orion apostrofò i figli in modo da non ammettere repliche, io ero davvero sfinita e avrei preferito non dover affrontare l'intera famiglia Black ancora a lungo, anche perchè ero troppo distratta per sostenere senza rischi una conversazione a cui, di sicuro, Walburga Black avrebbe assistito con le orecchie tese. Chissà quali nuove macchinazioni la tenevano impegnata, ora che aveva avuto il resoconto di quei mesi estivi in Scozia dai suoi figli… Sirius mi porse subito la mano e mi fece strada fino al salotto dell’arazzo, anticipando suo fratello, sotto gli occhi curiosi di sua madre, Rigel e Regulus ci seguirono poco dopo. Giocammo a scacchi, ma nonostante le buone intenzioni dei Black, la mia voglia di parlare fu pari a zero per tutto il tempo, nessuno di loro però parve offendersi, anzi, sembrarono tutti piuttosto comprensivi nei miei confronti e lasciarono correre, destinando tutte le attenzioni a mio fratello e discutendo con lui della misteriosa ragazza di Mirzam. Erano ormai le 23, ero tanto esausta da voler solo svenire sul mio letto, quando Orion balzò su dalla poltrona accanto al caminetto su cui sedeva ed estrasse, allarmato, un piccolo specchio dal suo panciotto: era illuminato da una fluorescente luce verde, lo guardò con insistenza, si capiva dagli angoli della bocca, indubbiamente all'insù, che stava faticando non poco per non esplodere in una grassa risata, osservò di nuovo lo specchio, poi guardò tutti noi, che ormai stavamo pendendo dalle sue labbra, e alla fine, da attore navigato, ci diede le dovute spiegazioni.

    “Per Merlino Santissimo e per tutti gli stramaledetti Slytherins di Scozia… Allora ho davvero letto bene! È appena nata una bambina! Avete una sorella!”
    “Non posso crederci…"

Io e Rigel avremmo voluto festeggiare saltando in braccio a Orion, ma la sorpresa e la gioia lasciarono immediatamente posto allo stupore nel vedere la reazione di Walburga Black, una reazione incredibile, per una donna di ghiaccio come lei. La strega si era alzata in piedi di scatto, si era tolta gli occhiali e aveva puntato i cupi occhi azzurri sul viso raggiante del marito, le labbra erano appena increspate da una risata feroce che ormai tratteneva a stento: si leccava le labbra quasi golosamente, e sembrava non curarsi affatto che io e mio fratello fossimo ospiti nella loro casa, che fossimo testimoni delle sue parole.

    "La maledizione è finita, è finita davvero, stavolta! E lei è libera! Già immagino che faccia farà quel maledetto Malfoy, quando lo saprà! Orion ti rendi conto? Settecento anni di macchinazioni annullati da due bambine! Kreacher, porta champagne elfico, oggi è un giorno radioso per tutti noi, dobbiamo festeggiare!”

Rimanemmo tutti impietriti a quelle esternazioni, nemmeno Orion sembrava capacitarsi di quanto la moglie avesse perso il controllo. Una volta che riuscii a raggiungere la mia stanza, parecchio tempo più tardi, sapevo benissimo che Morfeo non mi avrebbe accolto tra le sue braccia, quella notte, benchè il mio letto fosse straordinariamente comodo e sfarzoso, nella più bella camera degli ospiti di Grimmauld Place: riflettei a lungo, sulle parole di Walburga e su altro ancora, senza riuscire a metterne a fuoco appieno tutti i significati. No, non avrei dormito quella notte, c'erano almeno duemila domande che veleggiavano turbinose nella mia mente. Ero felice, avevo più motivi degli altri per esserlo, eppure sembrava che Walburga fosse addirittura più contenta di me. Forse aveva scommesso dei soldi sul sesso del bambino e aveva vinto... Chissà...

***

Sirius Black
12, Grimmauld Place, Londra - lun. 23/24 agosto 1971

    "Meissa?"
    "Sirius?"

Ero sceso nel salone in cui pranzavamo, per mangiare qualcosa, come ormai facevo sempre, da quando ero tornato dalla Scozia. Già dalle scale avevo notato la debole luce di una candela sul tavolo, a rischiarare appena l'oscurità, e una figura seduta nella penombra: non poteva essere mio fratello, né Rigel Sherton, troppo alto per rimandare indietro un’ombra come quella. Entrai e cercai di accendere un altro lume, ma Meissa mi prese la mano, impedendomelo. Mi sedetti vicino a lei, portava una vestaglia verde scuro, sopra un pigiama di taglio maschile, nero, con inserti argentati. Le strinsi la mano e le sorrisi, aveva la pelle morbida e le dita già lunghe e affusolate da ragazzina, lei rispose con energia alla stretta; avrei voluto baciarla e riprendere i discorsi interrotti alcune sere prima, ma capii che non era il momento né il luogo adatto per fare una delle mie stupidaggini, era ancora scossa dall’ondata di emozioni di quella giornata.

    “Perché vaghi per casa a quest’ora della notte?”
    “Non avevo sonno, anzi, avevo addirittura fame… E tu? Tanto curiosa per la bambina da non avere sonno?”

Mi guardò per secondi interminabili, fissandomi a lungo negli occhi e con difficoltà riuscii a resistere all’istinto di abbassarli, poi lasciò scorrere lo sguardo sulla mia faccia e sul mio corpo, fissandomi le mani e poi tornando a guardarmi negli occhi. Io mi sentii il viso in fiamme e lei sorrise con più calore: non avevo mai preso la buona abitudine di gironzolare per casa, di notte, con una giacca da camera, e ora mi ritrovavo lì, davanti a lei, bellissima come sempre, con solo i miei pantaloni del pigiama addosso. Sentivo le guance ribollirmi dalla vergogna.

    “È meglio se torniamo nelle nostre stanze, Sir, non credo sia una buona idea restare qui… se qualcuno si accorgesse che siamo quaggiù, da soli…”

Guardò seriamente alle mie spalle e fece per alzarsi.

    “No, aspetta… mio padre, quando dorme, non lo svegliano nemmeno le cannonate... e la mamma è talmente eccitata per domani, per la bambina, per tutto… Resta a parlare con me…”

La vidi esitante, ma alla fine cedette, conoscendo i suoi rapporti con Rigel, sapevo che le avrebbe fatto bene sfogarsi con qualcuno.

    “Posso chiederti perché è tanto importante che sia nata una femmina? D’accordo, sono nate poche bambine nel passato, ma adesso… che cosa importa?”

Sospirò; capii che avevo toccato un tasto dolente e mi morsi la mia dannata linguaccia.

    “Scusami... io… Sono mesi che ne sento parlare a mezza bocca, di profezie, maledizioni… non ci ho capito nulla, a parte che c’entra in qualche modo Malfoy…”

Meissa alzò di colpo gli occhi febbricitanti su di me, le guance erano color porpora: era preda dell’ira, proprio come qualche sera prima, quando avevo detto quella stupida parola che aveva quasi rovinato tutto. Le presi la mano e con sollievo vidi che si lasciava toccare, ma i suoi occhi, sempre così vitali, ora erano carichi di tristezza e rassegnazione.

    “Scusami… A Yule hai detto a tuo padre di Lucius, vero? Non gli permetterà di comportarsi ancora in quel modo, vedrai…”

Mi stavo infervorando nel perorare la sua causa, come mai avevo fatto in vita mia, nemmeno per me stesso, ma Mey non sembrava in nessun modo rianimata dal mio entusiasmo.

    “Mio padre sa tutto, Sirius… ma non c’è nulla che possa fare…”
La guardai con occhi sbarrati, non potevo crederci.

    “Vuoi dirmi che non ha fatto nulla? Non gli interessa che Lucius si sia comportato così male con te?”
    “Cosa dovrebbe fare, Sirius?”
    “Innanzitutto potrebbe parlare con Abraxas Malfoy e dirgli che suo figlio è un idiota! E se non bastasse, picchiarlo per quello che ha fatto!”

Mey mi rivolse un ghigno di sufficienza, proprio come si fa con un bambino sciocco che crede di poter raggiungere la luna con una scala.

    “Credi che Abraxas non ne sappia nulla? Credi che Lucius si sarebbe comportato così con me, se non avesse suo padre a sostenerlo? Sono settecento anni che ci pugnalano alle spalle!”
    “Tuo padre…”
    “Sirius… Questa storia è vecchia come la terra, forse cambierà qualcosa solo se io o Adhara finiremo a serpeverde, e comunque non è escluso che poi... che poi non ci facciano la guerra apertamente…”
    “Ma questi sono discorsi da adulti, che devono risolversi tra loro, cosa c’entri tu?”

Mi sconvolgeva sentirla parlare di cose che a malapena capivo, di storie che non avrebbero dovuto toccarci per molti anni ancora… ma eravamo destinati a crescere in fretta, troppo in fretta, e se non ne ero ancora consapevole, era solo perché avevo una madre che m’imponeva di vivere in un mondo inesistente, fatto solo di facezie.

    “Io c’entro, Sirius, perché il mio destino è stato deciso molti anni prima che nascessi. Elija Sherton, il mio bisnonno, ha avuto bisogno di un grosso favore dai Malfoy: non so di che crimine si fosse macchiato, so solo che per salvarsi dalla forca, ha dovuto accordarsi con il nonno di Abraxas Malfoy, che all’epoca era a capo del Wizengamot. Il patto è stato consacrato con il matrimonio tra Elija e Artemis, la sorella di Malfoy… non conosco tutte le clausole di quel contratto, solo mio padre le conosce, ma so che una di esse stabilisce che ci dovrà essere un matrimonio tra un Malfoy e la prima figlia femmina nata in casa Sherton dopo la firma di quel contratto. La disgrazia ha voluto che la prima a nascere fossi io…”
    "Non è possibile… Non ci credo... tuo padre non lascerà mai…"

Davanti a me vedevo aprirsi un baratro spaventoso, era una storia terribile, sia perché i Malfoy erano esseri orrendi, sia perché per la prima volta percepivo un vero ostacolo sulla strada che sentivo essere la mia. Da quel giorno, a Spinner's End, quando avevo compreso che in fondo mi bastava poco per essere felice, nella mia mente aleggiava un pensiero ancora informe, in cui l’unico punto fisso che brillava, vivido e sicuro come la stella polare, e già chiaramente riconoscibile, era Meissa. Ero certo che si sarebbe messa a piangere, avrei volutopiangere anche io, la abbracciai: ora iniziavo a capire tante cose, l’alone di mistero e paura che le vedevo addosso, il nervosismo di Alshain...

    “Scusa…. Ti prego, non dirlo a nessuno, io non ho il permesso di piangere di fronte agli estranei…”
    “Ancora mi consideri un estraneo?”

Le porsi un mio fazzolettino e lei mi guardò dietro un velo di lacrime, spostai lo sguardo perché non doveva esserle facile lasciarsi andare e Merlino solo sapeva se non ne avesse davvero bisogno.

    “Ma ora che è nata Adhara, cambierà qualcosa, no? Se c’è lei, non dovrai più finire in pasto a Malfoy, vero?”
    “Il vecchio Malfoy era convinto che non sarebbero nate bambine per molto tempo: questa condizione avrebbe reso sempre inadempiente la mia famiglia, costringendoci a cedergli in cambio qualcos’altro; una volta che fosse nata quella bambina, inoltre, la sua famiglia si sarebbe avvantaggiata sulle altre, perché la discendenza avrebbe avuto il sangue di Salazar e perché i Malfoy sarebbero entrati nella linea di successione per ottenere Herrengton. La famiglia Sherton ha sempre un solo ramo, se capitasse qualcosa a quell’unico ramo…”
    “… la famiglia che fosse legata a voi, prenderebbe tutto… Per Malfoy quel patto ha un valore grandissimo, quindi farà di tutto per farvelo rispettare…”

Tremai, ora capivo anche perché mia madre ci tenesse tanto a incastrare Meissa con mio fratello: di noi due era quello più malleabile, quello che avrebbe fatto tutto quello che voleva lei, quello che non le avrebbe negato nulla. Strinsi i pugni senza rendermene quasi conto, non era possibile che capitasse tutto questo, che capitasse adesso...che capitasse proprio a lei...

    “C’è un’unica condizione per sciogliere legalmente il patto, firmata e controfirmata da Elija e Malfoy: il venir meno della famigerata "maledizione delle figlie femmine". Secondo una profezia, la maledizione si sarebbe rotta quando fosse nata una femmina nel giorno di Habarcat: da quel momento le bambine sarebbero nate di nuovo più frequentemente e soprattutto sarebbero di nuovo entrate a serpeverde, a dimostrazione che siamo sempre la famiglia dei prediletti. Oggi è nata mia sorella, la maledizione sembrerebbe rotta, ma serve la prova più importante …
    “…devi entrare a serpeverde… beh allora dovresti smettere di avere paura, Mey, perché da quanto ho visto quest’estate, tu sei una slytherin perfetta!”
    “Lo so che vuoi solo farmi coraggio…”
    “No, io lo credo davvero… e spero davvero che i Malfoy siano così leali da rispettare quel patto, una volta che sarà legalmente sciolto… perché…”

La strinsi a me più forte, ci guardammo per un istante solo e rividi la bella luce di Herrengton nel suo sguardo.

    "Mey, io…"
    “Lo so… ma non dirlo adesso… per favore...”

Non potevo fare altro che abbracciarla e farle sapere che sarei stato al suo fianco, sempre… non potevo prometterle nulla che non fosse in grado di assicurarle nemmeno suo padre. Mi sentivo abbattuto, impotente: la persona che più avevo nel cuore soffriva per cose talmente più grandi di noi, ed io non potevo fare nulla, non sapevo come esserle d’aiuto. In che modo potevo assicurarle di entrare a serpeverde e allontanare da lei la minaccia dei Malfoy? Dimostrandomi convinto che ce l'avrebbe fatta, potevo darle almeno la speranza. Mey divenne rosso porpora e si staccò da me, finì di asciugarsi il viso e poi si guardò la punta dei piedi. Sembrava si fosse resa conto solo in quel momento che non avevo la giacca e che mi aveva abbracciato lo stesso. Capire il motivo del suo imbarazzo mise in difficoltà anche me.

    "Ti riaccompagno di sopra, d’accordo?"

La presi per mano e in silenzio tornammo verso le scale, ogni tanto le lanciavo delle occhiate furtive e la vedevo sempre con lo sguardo mesto, che guardava davanti a sé.
Arrivati al secondo piano, le diedi un bacio sulla fronte e la guardai entrare nella sua stanza, poi salii fino all’ultimo piano: ero arrabbiato con Alshain, non potevo credere che un uomo della sua forza e del suo carisma non riuscisse a mettere un freno in modo definitivo alle angherie di suo nipote; patto o non patto, non poteva sacrificare Meissa in quel modo. Ora capivo quanto fosse importante il risultato di quello smistamento, e quanto fossi stato idiota a non prenderlo seriamente. Ora capivo che per lei avrei fatto qualsiasi cosa.

***

Meissa Sherton
Amesbury, Wiltshire - giov. 26 agosto 1971

Ormai contavo i giorni che mi separavano dalla partenza per la scuola. E non facevo altro che pensare a Sirius Black. Avevo raccontato tutto a mia madre, la sera del nostro litigio: lei aveva già capito qualcosa, non so se perché aveva letto nel mio futuro, o semplicemente perché era mia madre. Quella sera mi aveva accolta nel letto, accanto a sé, aveva sofferto tutto il giorno per la gravidanza, eppure era riuscita a trovare le forze per ridarmi un po’ di serenità, mi aveva fatto ripetere quello che mi aveva detto Sirius, e mi aveva fatto capire che la sua non era una stupida scusa, ma probabilmente la verità. Aveva un modo di consolarmi e ridarmi fiducia che era molto diverso da quello di papà: era come se il suo cuore riuscisse a parlare direttamente al mio, senza dover usare le spiegazioni logiche, come faceva mio padre. Le avevo detto tutto alla fine, anche del cinema di Spinner’s End, e lei aveva sorriso, mentre diventavo color pomodoro fino alla punta delle orecchie. Mi aveva abbracciato e accarezzato i capelli, io la guardai: era felice per me, dopo tutti quei pensieri tristi e le mie malinconie, dopo tutto il terrore che provavo sempre, per colpa di Lucius.

    “Però non devi lasciarti distrarre siamo intesi?”
    “Sì...”
    “Ne parlerò io con tuo padre, certo è presto… ma visto che per noi conta il tuo parere… è bene che sappia fin da ora cosa provi, così che faccia prima di tutto, sempre, i tuoi interessi…”

Divenni porpora e mi accoccolai al suo fianco, sfinita, dopo una giornata davvero pesante. Quando poco più tardi era salito in camera, mio padre mi aveva trovata lì, mezza addormentata, come un cucciolo, non disse nulla, anche se di solito non era disposto a cedere quel posto nemmeno a uno dei suoi figli: lo intravidi (o fu un sogno?) fermarsi ad ammirare le due donne della sua vita che stavano abbracciate, arricciando le labbra in un sorriso d’amore profondo per poi sdraiarsi sul divano in fondo al letto, anche lui stanchissimo. Mi rigirai nel letto, non riuscivo a trovare pace: mancavano pochi giorni, poi il mio destino si sarebbe compiuto: presto sarei diventata come mia madre, avrei smesso di essere impacciata e insicura, ma prima di tutto questo, c’era lo smistamento e, benché ormai fosse nata Adhara, non riuscivo a vivere serena.

    “Posso entrare?”

Ormai, da quel giorno, mio padre usava quella formula, oltre a bussare alla mia porta, quando voleva entrare nella mia stanza. Mia madre mi aveva spiegato che molte cose sarebbero cambiate: il mio aspetto, il mio carattere, i miei interessi… sarebbe cambiato anche il modo in cui gli altri mi avrebbero trattato, a partire dai miei fratelli e da mio padre… Non sarei stata più solo una figlia e una sorella, sarei stata ai loro occhi anche una piccola donna: mi avrebbero rispettato di più, in un certo senso, ma avrei perso un po’ di quella confidenza e immediatezza che c’era sempre stata tra noi. Perchè mi avrebbero visto diversa dalla bambina che ero sempre stata. Mi odiavo: non volevo che mio padre si comportasse in modo diverso, non volevo crescere, se questo significava che non mi sarebbe più stato accanto come prima, se mi avesse trattato come una femminuccia rammollita, invece che come sua figlia. Andai ad aprire con la faccia funerea, intercettando lo sguardo interrogativo di papà.

    “Che cosa succede Meissa? Non penserai ancora allo smistamento…”
    “No…”

Non dissi altro, solo un no ostile… mi voltai e raccolsi rapida una lacrima. Per fortuna mio padre non si accorse di nulla. O piuttosto finse di non accorgersi di nulla.

    “Come promesso, oggi faremo tutto quello che desideri, Meissa, ma prima devi concedermi un paio d’ore, perché dobbiamo fare una cosa molto importante…”

Aveva attirato come sempre la mia curiosità, mi avvicinai contenta, si prospettava un'altra giornata affascinante e avventurosa. I miei malumori si sciolsero come neve al sole.

    “Hai undici anni da cinque mesi e non hai ancora una bacchetta… ti sei mai chiesta il perché?”
    “No… non ci ho mai pensato… non mi è mai servita con te...”

Sorrise, rilanciandomi uno sguardo divertito.

    “Esattamente… Ricordati di non farlo capire agli estranei, quando sarai a scuola, e nella vita, nessuno sa che non abbiamo assolutamente bisogno delle bacchette… Ora, però, per le apparenze e per la scuola, dobbiamo provvedere a procurartene una".
    “Andiamo a Londra?”
    “Non oggi… la tua prima bacchetta ce l’ho già io… tutto sta a riconoscerla...”
    “Non capisco…“
    “La nostra prima bacchetta noi non la compriamo, la ereditiamo: ti ricordi quella scatola che ho consegnato a Doimòs, ordinandogli di trattarla con tutti i riguardi, quando siamo partiti? Lì ci sono tutte le bacchette dei nostri antenati, sceglierai la tua tra quelle e se vorrai te ne racconterò la storia… Non sono molte… le bacchette sono sempre le stesse, ce le passiamo da secoli, sempre tra noi…”
    “Ma…. Mi avevi detto che le bacchette vanno conquistate...”
    “Certo… ma una bacchetta si conquista in molti modi, non solo con la violenza… vieni con me…”

Scendemmo nei sotterranei, dove fino a quel momento non avevo mai avuto l'occasione di essere invitata: mio padre si avvicinò al caminetto, mosse un paio di pietre dal pavimento, estrasse la scatola dorata che avevo visto svanire nelle mani di Doimòs e aprendola dispose alla mia vista un centinaio di bacchette, custodite ciascuna in una custodia ricercata. Le bacchette erano state di proprietà degli Sherton e delle loro mogli, alcune venivano direttamente dalla notte dei tempi, altre erano molto più recenti, lunghezza, fattura e materiali erano tra loro diversissimi, ma tutte avevano una caratteristica precisa: erano sempre state proprietà di un singolo mago, o strega, e dei discendenti che le avevano ereditate.

    "Prendine una...senza tirarla fuori dalla custodia... Non devi scegliere... Lei ti aspetta, e tu sei qui per lei... Si farà riconoscere appena la tua mano si avvicinerà a lei..."

Passai la mano sopra quelle custodie, senza però sentire un'attrazione particolare per nessuna di loro.

    "Non ti allarmare, stanno ancora dormendo... se fossimo a Herrengton sarebbero già pronte per te..."
    "Forse questa..."
    "Sei sicura?"
    "E' l'unica che... ho voglia di vederla fuori dalla custodia..."
    "Bene, vuol guardarti negli occhi... Estraila e provala!"

Quando tirai fuori la bacchetta, una bella bacchetta non molto antica, di dodici pollici, fatta di ontano, con un'anima di corde di cuore di drago, mio padre sembrò riconoscerla all'istante e sorrise incerto sotto i baffi. Appena l'afferrai, sentii subito che era la mia, muovendola, pur non avendo mai provato prima le bacchette, la sentivo fluida e precisa, agitai piano il polso, recitando un incantesimo di appello che avevo studiato quell'estate, e un vecchio tomo di erbologia di mio padre si staccò dalla libreria per venire a posarsi di fronte a me.

    "E anche questa è fatta... ora possiamo andare a pescare come ti avevo promesso..."
    "Di chi è questa bacchetta?"
    "Ho sempre dato questa risposta ai tuoi fratelli nella mia prima lettera dopo lo smistamento, ma se lo preferisci te lo dico adesso..."
    "No... Rispettiamo le tradizioni..."

Mio padre sorrise della mia superstizione, risistemò le bacchette nella scatola e la scatola sotto il pavimento, mi prese poi per mano e ci smaterializzammo sulle rive del lago, la nostra destinazione per quel giorno. Passai la maggior parte del tempo a giochicchiare con la bacchetta, provandola, mentre mio padre pescava secondo i metodi babbani, rilassato, sotto un platano. Ogni tanto mi gettava un'occhiata divertita, felice che i miei malumori non sembrassero più toccarmi.

    "La tua bacchetta a chi apparteneva?"

Mi andai a sedere sul plaid accanto a lui, curiosa di saperne qualcosa di più.

    "Era di Artemis..."
    "Hai la bacchetta dei Malfoy!?"
    "Sì... tuo nonno me l'ha detto dopo lo smistamento, da allora lo faccio per scaramanzia anch'io... Buffo no? Tuo nonno l'ha rubata sul letto di morte di sua madre, prima che i Malfoy se ne riappropriassero, in qualche modo, sostituendola con una bacchetta simile... Non devi mai perdere la tua bacchetta, Meissa, per questo ne compreremo una di scarsa importanza a Diagon Alley, tra qualche giorno."
    "Si assumono le qualità del precedente proprietario, vero?"
    "Alcune..."
    "La mia bacchetta è quella di Ryanna Meyer... non è così?"

Mio padre non rispose, ma non era necessario. Ormai sapevo che sarei finita a Corvonero...

***

Severus Snape

Spinner's End, località ignota - ven. 27 agosto 1971

Il sole stava tramontando sul fiume sonnolento, il disco ripeteva all’infinito la canzone ed io rimanevo disteso a occhi chiusi sul mio letto… Dal cortile salivano le voci dei ragazzini che si rincorrevano dietro il pallone… che stupido spreco di tempo e di energie! Aprii gli occhi, lasciai scivolare il mio sguardo su quei mobili ammantati di penombra, su quelle pareti dalla vernice in parte scrostata. Ormai era rimasta una semplice stanza spoglia, non raccontava più quasi nulla di me: avevo preso le mie cose, quelle che non mi servivano più, quelle che odiavo: se non fossero costate sacrificio e sudore a mia madre, le avrei volentieri bruciate… invece le avevo chiuse nel baule, le avevo nascoste in soffitta, lontano dagli occhi di mio padre… Avevo già messo nel cassetto la mia stupida vita da babbano… Ancora pochi giorni… Ancora poche ore… Richiusi gli occhi, pensando alla giornata appena trascorsa. Avevo corso sui terrapieni della ferrovia, con i soliti mastini alle calcagna, ma non avevo più paura, perché sapevo che era l’ultima volta che mi mettevano in fuga. E poi, alla fine della corsa, come al solito, c’era lei, ad aspettarmi. In fondo era stata una magnifica estate: pomeriggi interi passati nel parco, a parlare del nostro futuro radioso, lontani da queste meschinerie, da questa miseria di vita… Saremmo diventati grandi, insieme. Saremmo stati felici, insieme. Me lo sentivo. Le avevo raccontato tutto di Hogwarts e lei era felice, felice come me: era talmente emozionata, talmente entusiasta che, alla fine, perfino quell’odiosa ciabatta di sua sorella aveva scritto a Dumbledore, supplicandolo perché prendesse anche lei… Sorrisi tra me, alzando appena l’angolo sinistro delle mie labbra sottili, in un ghigno perfido: chissà dove voleva andare quella stupida babbana… Avevamo scoperto per caso quella lettera, un pomeriggio: di solito, ai babbani, non venivano spedite lettere di quel genere… Così l’aprimmo e, in effetti, scoprimmo che il preside le aveva risposto di no…
Tornai al presente, dal piano di sotto le urla arrivavano ovattate, ed io più volte avevo alzato il volume per non sentire: non sapevo perché negli ultimi giorni gli Sherton non fossero più venuti, non sapevo perché mia madre non si stesse difendendo, da sola... lui le urlava ogni genere d’insulto ed io alzavo ancora di più il volume… Non volevo sentire, volevo annullarmi… Dovevo resistere, fingere di non sentire, mi aveva supplicato di fare questo, mia madre.

    “… Resisti per me… Severus… Ancora poche ore… Poi questa vita sarà finita…Per sempre…”

Chiusi gli occhi…

    …Yes, 'n' how many times can a man turn his head,
    Pretending he just doesn't see?... (1)

***

Meissa Sherton
Amesbury, Wiltshire - sab. 28 agosto 1971

    “Entra pure Meissa”

Doimòs mi aveva avvertito che mio padre mi stava aspettando nel suo studio: non era strano che mi chiamasse lì, ma quel giorno, lo sapevo, c’era Orion Black con lui. Mi avviai incuriosita e anche un po’ preoccupata, non avevo nulla da temere, certo, ma forse Orion aveva saputo in qualche modo dell’incontro tra me e Sirius a Grimmauld Place, quella notte, anche se non era stato qualcosa di voluto. Entrai, un po’ in ansia: mio padre era in piedi davanti alla finestra, col suo solito sigaro e una bellissima toga tradizionale da mago, verde smeraldo, Orion era seduto alla scrivania, come se fosse la sua stanza, tanta era la naturalezza della sua postura. Era da un po’ che non lo osservavo con attenzione, di certo a casa sua non avevo proprio avuto la prontezza di guardarlo, ma in quel momento mi rendevo conto che era dimagrito ulteriormente, rispetto al giorno del matrimonio di sua nipote: speravo fosse un vezzo, non un sintomo di scarsa salute, sapevo quanto fosse nel cuore di mio padre. Ed anche nel mio.

    “Siediti per favore…”

Li guardai entrambi, incuriosita e un po’ preoccupata, la situazione era davvero nuova per me.

    “Tuo padre ed io vorremmo che provassi a… che t’infilassi questo…”

Orion mi passò una piccola scatolina che mio padre aveva preso da un cassetto della scrivania. L’aprii curiosa e mi trovai davanti un anello noto, un anello simile a quello che a volte avevo visto sulle dita di mio padre, una piccola verghetta di ferro. Orion a sua volta prese dal panciotto una piccola bustina di seta, riversò il contenuto sul tavolo e ai miei occhi apparve un piccolo smeraldo.

    “Uniscili.”

La voce di mio padre, secca e imperiosa, non mostrava affatto l’abituale gentilezza, sembrava piuttosto animata da una certa ansia e da molta preoccupazione.

    “Non capisco, padre.”

Presi la piccola pietra e l’avvicinai all’incastonatura vuota che, annerita dai secoli, sembrava attendere di ritrovare il suo piccolo gioiello, ma sapevo che senza il lavoro di un mastro gioielliere quelle due parti non si sarebbero unite mai. Fu con sorpresa che, invece, vidi la verghetta serrarsi con labbra fameliche intorno al bordo frastagliato della pietra, impedendo che lo smeraldo sfuggisse alla sua presa.

    “Che cosa…”
    “Direi che hai indovinato di nuovo, Alshain…”

Mio padre sorrise al suo amico e mi prese la mano, m’infilò l’anello, troppo grande per le mie dita da ragazzina, all’anulare destro e mi meravigliai che si adattasse perfettamente e magicamente alle dimensioni della mia mano. Orion accese un lume sullo scrittoio con un incantesimo silenzioso, per guardare con attenzione il piccolo anello e la pietruzza verde a una luce più vivida di quella del sole, ormai prossimo al tramonto. Non capivo cosa stessero cercando ancora, era già stranissimo che il ferro si fosse ritratto fino a ridimensionarsi sulle mie forme.

    “Quanto pensi ci vorr…”
    “Ahi!!”

Ritrassi la mano dalla presa di mio padre, una goccia di sangue, color rubino, andò a infrangersi sul legno nobile della sua scrivania.

    “Resta ferma, Meissa.”

Guardai l’anello: la fedina aveva assunto, sotto i miei occhi, la forma di un serpente d’argento, la sua bocca teneva stretta la pietra, ma i dentini argentei avevano anche morso la mia pelle, procurando delle ferite infinitamente piccole. Incuriosita, lo rigirai, sotto gli occhi attenti di mio padre e del mio padrino: al variare della luce riflessa sulla superficie della pietra, mi accorsi, con ulteriore stupore, che la sua forma mutava, fino ad aprirsi, lasciando cadere un piccolissimo libricino magicamente nascosto all’interno. Il libro, con una consunta copertina di pelle su cui era stampata in lettere dorate la scritta “Draco Dormiens Nunquam Titillandus”, assunse delle dimensioni normali appena lo presi in mano e ne lessi la scritta. Lo sfogliai rapidamente, curiosa: raccoglieva migliaia e migliaia di formule, di pozioni magiche e d’incantesimi, e sul frontespizio portava la firma di Salazar Slytherin in persona. Era la raccolta di appunti personali del grande mago dell’antichità.

    “Padre!”

Ero al tempo stesso entusiasta e terrorizzata.

    “Che cosa succede, Alshain, perchè quel libro ha le pagine tutte bianche?”
    “No, Orion, ti sbagli: è solo che nessuno che non conosca il serpentese può vedere né tantomeno leggere quelle formule…”

Li guardai incredula. Avevo ormai da mesi un rapporto continuo con la magia, ma quello che stavo vivendo quel pomeriggio andava al di là persino delle mie fantasie più sfrenate.

    “Alshain, questa è davvero una sorpresa anche per me, io credevo…”

Orion era stupefatto, non potevo ancora saperlo, ma aveva passato gli ultimi tre mesi a cercare per il suo amico quella pietra senza mai sospettarne la vera natura. Guardai ancora il libro, che con una semplice carezza sul serpente stampato sul dorso, tornò all’interno dell’anello.

    “Anello e Pietra sono di nuovo uniti dopo secoli, grazie a te, amico mio… Essi furono donati da Salazar in persona al suo primo discepolo, Hifrig, il nostro antenato, come dono di nozze. Da allora sono appartenuti alla nostra famiglia per diverse generazioni, poi sono stati separati e sottratti passando gli ultimi secoli in mani mercenarie: lontano dalla nostra famiglia e dalla sua pietra, l’anello è sempre stato considerato una semplice verghetta di ferro, in quanto il suo prezioso contenuto si mostra solo ai membri della nostra famiglia. Da alcune settimane è tornato a casa, ma… non era completo senza la pietra, così come la pietra era inutilizzabile senza il suo anello. Il tuo padrino ed io te lo doniamo, Meissa, che ti sia accanto per il resto della tua vita e che passi, attraverso te, ai futuri custodi di Herrengton. Non è stato facile ritrovarlo e riaverlo, abbine cura e apprendi quanto puoi da esso. Tieni il libro nascosto nell’anello, come hai appena visto, lui saprà tornare nel suo giaciglio. E non temere, la sua natura gli consente di mimetizzarsi, occhi che non devono conoscere i suoi segreti non riusciranno a vederlo né ad avvicinarsi, se non sarai tu a volerlo.”

Quindi mi congedò, evidentemente aveva molto da dire al suo amico, a quel punto. Uscii e mi diressi nella mia stanza, rimirando alla luce del tramonto il nuovo regalo di mio padre. Mi chiedevo perché, tra tanti figli, l’avesse cercato con tanto ardore proprio adesso, per donarlo proprio a me.

***

Alshain Sherton
Amesbury, Wiltshire - sab. 28 agosto 1971

    "Alshain… ma è proprio il libro che…”
    “Sì Orion…”
    “Ma ti sembra il caso di… di darlo a lei, proprio ora che parte per la scuola…”
    “Non temere, non c’è luogo più sicuro di Hogwarts per quel libro, almeno finché Dumbledore ne sarà il preside…”
    “Non capisco… tu non vuoi che ne resti preside, fai fuoco e fiamme da anni… che intenzioni hai?”
    “Dumbledore deve assolutamente restare preside di Hogwarts almeno finché i nostri figli non ne saranno usciti, Orion… dovrò recitare bene la mia parte, e agire nell’ombra in difesa del vecchio pazzo, per il bene dei ragazzi…”
    “Credevo che, per te, Dumbledore fosse la peggiore minaccia per i nostri figli…”
    “A quanto pare c’è un mezzosangue anche più pericoloso di Dumbledore, Orion… non è più in ballo solo la loro purezza, amico mio, qui in ballo c’è la loro stessa vita… la sopravvivenza di tutti noi…”
    “Credo che tu stia esagerando…”
    “Io invece temo che tu ti stia sbagliando, Orion… i segni parlano chiaramente, siamo all’alba di una guerra, una guerra lunga e sanguinosa…”

Orion bevve tutto d’un sorso il vino che aveva nel suo calice e rimase a rimirare la nobile fattura di quei cristalli, a lungo… Avrei dato molto dell’oro conservato nella mia camera di sicurezza alla Gringott per sapere con certezza cosa stesse elaborando in quel momento il suo cervello operoso.

    “Sei proprio deciso ad andare da Malfoy, la sera del primo?”

Avevamo poco tempo per accordarci su aspetti così importanti, vedevo che all’avvicinarsi del giorno fissato, Black diventava anche più agitato di me.

    “Sì, ci andrò, poi ti riferirò tutto…”
    “Ho deciso di venirci anch’io, ne ho già parlato con Abraxas…”

Lo disse asciutto, senza guardarmi negli occhi.

    “Sei impazzito?!”

Orion sembrava non dar peso al mio sguardo preoccupato.

    “Orion, ti prego, rifletti...”

Ma non mi stava ascoltando, non sembrava curarsi della nota urgente, inconsueta, nella mia voce.

    “Non credo sia una buona idea… Non so cosa ti abbia promesso Malfoy per convincerti a unirti a noi, ma non credo sia una buona idea che ti butti a capofitto anche tu in questa brutta storia”.
    “Non si tratta di promesse, lo sai, non sono in vendita.”

Mi guardò, quegli occhi chiari non mi avevano mentito mai.

    “Non sto dicendo questo. Lo sai. È troppo presto, Orion… Dovresti essere tu a convincermi a uscirne… non credi?”

Orion mi sorrise, come faceva sempre, gli occhi erano sempre gli stessi da quando era un ragazzo, limpidi e sinceri.

    “So quello che sto facendo, devo impedirti di cacciarti nei guai… sono trent’anni che ti salvo le chiappe… Per quale altro motivo pensi che potrei mettermi in mezzo?”
    “Orion… Merlino santissimo… Stavolta è diverso!”
    “Sì, stavolta rischi davvero di rimetterci le penne… quindi non riuscirai a convincermi a lasciarti andare da solo…”
    “Salazar… Voglio la tua parola, Orion: se quello che vedrò non mi convincerà, voglio che tu mi ascolti e rifletta sulle mie impressioni e te ne vada senza tante storie, hai capito? Uno di noi due deve restarne fuori, per i ragazzi…”
    “Sì, lo so benissimo, e tu sai che io non sono votato al martirio, non farò sciocchezze, ma sai anche quanto sono bravo a mercanteggiare… può tornarti utile...”
    “Con Lui non puoi fare le cose di nascosto, non puoi fare giochi, Orion! Sarebbe anche più pericoloso, non devi metterti nelle condizioni di fargli credere che lo stai ingannando…”

Mi sorrise, gli stessi occhi carichi di complicità che conosceva dai tempi di Hogwarts.

    “Alshain, mi conosci, non ho né la tua fede, né il tuo coraggio… lo sanno tutti, se mi tirassi indietro, se alla fine non mi esponessi, nessuno crederebbe che li sto ingannando, penserebbero soltanto che sono il solito Orion "cuor di coniglio" Black.”

Brindò, guardandomi leggero, come se stessimo complottando ai danni dei Grifondoro, come ai bei vecchi tempi. Lo stomaco mi si contrasse dalla paura, era tutto sbagliato, non stavamo affrontando la situazione con la giusta serietà.

    “Ognuno di noi concorrerà con le arti che gli sono più congeniali, Alshain, ma è presto per tutto questo, c’è ancora molto da fare. Ed è in questo frangente che la mia opinione ti sarà molto utile: tu sei sempre dannatamente coinvolto, in tutto ciò che fai, procedi sempre a testa basta, impulsivamente. Io, invece, riesco a mantenere un distacco sufficiente a capire la situazione nel suo insieme. Ti sto offrendo la mia capacità di analizzare i suoi giochi, di comprenderli, perché non mi perdonerei mai se il tuo maledetto eroismo ti portasse ad Azkaban o, peggio ancora, sotto terra!”

Mi raggiunse alla finestra e mi mise una mano sulla spalla, odiavo quando aveva ragione.

    “Orion... Fai in modo che Walburga m’incontri con i ragazzi il trenta, voglio Sirius e Regulus qui ad Amesbury prima della partenza…”

Sospirò.

    “Sei ancora d’accordo, vero Orion?”
    “Sì, naturalmente…”

Mi salutò con un abbraccio, come faceva sempre da quando c’eravamo conosciuti, erano passati oramai quasi trenta anni: per entrambi la famiglia e gli amici erano sullo stesso piano, molto al di sopra di tutto il resto. Ma per la prima volta sentii quanto gli pesasse mantenere una promessa che mi aveva fatto.

***

Meissa Sherton
Diagon Alley, Londra - lun. 30 agosto 1971

Quella mattina andammo a Diagon Alley, per fare gli ultimi acquisti per la scuola: finalmente avrei comprato i miei nuovi libri, la mia divisa e alcuni vestiti che mia madre aveva commissionato alla sarta, Madame O. Ma soprattutto, finalmente, avrei fatto visita ai famosi negozi di Herrolabius e Dulcitus. Mia madre non venne con noi ed io ne rimasi profondamente dispiaciuta, ma sia lei sia la bambina avevano bisogno di riposo e non c’era nulla di meglio, per loro, della pace di Amesbury. In quel momento eravamo sulla scalinata d’ingresso della Gringott, la banca dei maghi, e stavo letteralmente scalpitando nella speranza di andare presto a comprare dei dolci, ma mio padre s’intratteneva a lungo, troppo per i miei gusti, con Abraxas e Lucius Malfoy.

    “Non è più possibile continuare in questo modo, ne parleremo meglio la sera del primo da te, Abraxas…”

Mio padre sorrise mellifluo e sprezzante a suo cugino, Malfoy rispose con un ghigno che non prometteva nulla d buono. Ero impegnata a osservare il via vai per la strada, ma sentivo gli occhi di Lucius su di me, inquietanti come sempre, mi voltai e lo fissai a lungo, a mia volta: di solito ero intimidita da lui, ma ero stanca di abbassare sempre lo sguardo, d’ora in poi non sarei più stata soltanto una sciocca e impacciata bambina, stavo per diventare una vera, giovane strega. Era finita l’epoca delle fughe e l’avrebbe capito, presto, anche lui. Inoltre, vedevo benissimo negli occhi inquieti e inquietanti di Abraxas che stava venendo loro meno quell’aria di superiorità che avevano da sempre: lo smistamento era diventato importante anche per loro, con la nascita di Adahara, nemmeno i Malfoy avevano più delle salde certezze. Abraxas notò le occhiatacce che mi scambiavo con Lucius e si mise a ridere, suscitando la curiosità un po’ infastidita di mio padre, che, al contrario, preso com’era dalla perorazione della sua causa, non si era accorto di nulla e ora ci guardava a metà tra lo scocciato e il dubbioso.

    “Oh, scusami, Alshain, ma questi ragazzi insieme sono davvero fenomenali!”

Papà lo guardò interrogativo.

    “Non ho mai visto qualcuno sostenere lo sguardo di mio figlio con un tale coraggio da metterlo in difficoltà!”

Lo "zio" si chinò ad accarezzarmi affettuoso la guancia, sotto gli occhi alterati di Lucius e quelli preoccupati di mio padre, poi però anche papà rise di cuore, avendo capito dallo sguardo carico d’odio del giovane Malfoy che cosa era accaduto. Abraxas mi prese il viso e alzò il mio mento, per osservarmi meglio alla luce del sole.

    “Brava Meissa, fai vedere a tutti di che pasta sei fatta! Sei la degna figlia di tuo padre, indomita e fiera, e sei anche bella come tua madre, per la perdizione completa del mondo! Saresti la moglie perfetta per Lucius, un giorno, lo sai?”
    “NO! Io non voglio!”

Mi divincolai dalla sua presa, lasciandolo basito: la sola idea mi faceva inorridire. Per fortuna non tremai, ma di sicuro ero diventata più pallida anche dei due Malfoy. Mio padre mi circondò le spalle con un braccio, come per mettermi al sicuro, difendendomi da suo cugino.

    “Non mi convincono i matrimoni con differenza d’età così forte, Abraxas, lo sai… ma ho promesso a Meissa che accetterò la sua volontà, quindi, se Lucius tra una decina d’anni sarà ancora libero e sarà diventato tanto premuroso da conquistare il cuore di Mey, non avrò motivi per oppormi…”
    “Dieci anni? Starai scherzando! Si sposeranno appena sarà maggiorenne! Non vedo l’ora di stringere tra le braccia dei nipotini di così alto lignaggio!”

Mio padre, sentendo che iniziavo a tremare, mi strinse ancora di più, fulminando con odio suo cugino.

    “Al contrario di te, prima di pensare al pedigree dei miei nipoti, io penso a cosa desidera mia figlia, e a fare di tutto per renderla felice… Perciò il discorso è chiuso, Malfoy!”

Abraxas tornò serio, annuì controvoglia, si capiva che non era il tipo di risposta che voleva sentirsi dare, ma non era il luogo né il momento di fare storie: per dissimulare il malcontento abbracciò Alshain, sotto gli occhi sempre più foschi di Lucius che, benché chiamato in causa come me, si era ben guardato dal proferire verbo. Mi chiedevo se, al di là delle sue spacconate, non avesse schifo anche lui, come me, verso tutta quell’assurda storia. Ma sapevo anche, dalle storie che sentivo raccontare dalle mie zie, che spesso i maghi si curavano solo di avere un degno erede, ricercando poi soddisfazioni e felicità al di fuori del matrimonio. Una tristezza profonda mi pervase l’anima.

    “A presto, salutami Deidra! Verremo a farle visita quanto prima!”
    “Vi aspettiamo entrambi con gioia!”

Abraxas si diresse verso Nocturn Alley, seguito da un Lucius che ci lanciò un ultimo sguardo malevolo.

    “Mi dispiace per quello che è successo, Mey, ma sono anche molto orgoglioso di te! Hai fatto bene a far vedere che non hai paura di dire quello che pensi, non come quel dannato damerino che si nasconde dietro suo padre… Lucius imparerà a stare al suo posto, con te, non temere, e così Abraxas! Sono pronto a dar loro una lezione una volta per tutte, se non ti porteranno il rispetto che meriti!”

Poi, appoggiandomi la mano sulla spalla, mi accompagnò dentro la banca dei folletti: ero felice che avesse detto parole così dirette a entrambi, ma, in cuor mio, sapevo che non sarebbe bastato quel discorso a evitarmi altri momenti di autentico panico, almeno fino a che non fosse arrivata la sera del primo settembre. La sera della verità.

*

Dopo la visita alla sarta e a Dulcitus, dove avevamo incontrato i Black, invitandoli poi a passare quei due ultimi giorni di vacanza ad Amesbury, ci dirigemmo al negozio di libri.
Rigel ci lasciò subito, per andare ad ammirare la nuova scopa da Quidditch esposta in un negozio là vicino, insieme con un gruppo di suoi amici serpe verde: mio fratello era ormai preda del massimo entusiasmo perchè la minaccia di mio padre di non regalargli una scopa nuova era decaduta e questo voleva dire che, entro la fine della mattinata, si sarebbe ritrovato proprio con la scopa dei suoi sogni in mano. In cambio, così avevo capito, avrebbe dovuto fare a papà un piccolo e misterioso favore. Lasciati tre degli elfi domestici ad occuparsi del trasporto di libri, calderone e ingredienti vari, mio padre ed io entrammo dal signor Ollivander per acquistare la famosa bacchetta fittizia e per un’ultima commissione prima di tornare a casa. Appena entrammo, un vecchio mago dagli occhi vacui e inquietanti ci venne incontro.

    “Signor Sherton, che onore!”
    “Signor Ollivander, come sta? Oggi siamo qui per la mia Meissa”.

Mi spinse avanti, mentre estasiata da quelle file continue di cassetti, armadi e scaffali contenenti scatole e scatoline di varia foggia e fattura, mi stavo perdendo in quell’ambiente oscuro, eppure magicamente affascinante

    “Molto lieto, signorina Sherton, immagino che sarà emozionata, oggi incontrerà la sua prima bacchetta. L’aspettavo dalla scorsa primavera, a dire il vero…”
    “Come sa, Ollivander, noi Sherton erditiamo la prima bacchetta dai nostri antenati, e Meissa ha assunto quella di mia madre, come era ragionevole e giusto…"
    “Capisco…Prego seguitemi”

Ci introdusse nella parte più intima e raccolta del suo negozio, dove si trovavano le bacchette più elaborate, più ricche, di più nobile fattura. Ero letteralmente senza parole, mi sentivo in un luogo sacro.

    “Signor Ollivander, per non farle perdere tempo, credo ci servirà una dodici pollici, di ontano con tendine di drago.”
    “Certamente, dovrei averne ancora una .. spero sia all’altezza della signorina..."

Salì sul gradino più alto della scala e tirò fuori una scatola polverosa, con il coperchio di pelle antica e le lettere dorate impresse a descrizione della natura del contenuto: era rimasta una sola bacchetta. Me la porse e subito si notò l’energia sprigionarsi da quella simbiosi.

    “Eccellente, è proprio la sua bacchetta: che combinazione eccentrica, però!”

Ollivander era seriamente incuriosito, più per il destino di una delle sue creature, che non per quello della ragazzina che aveva di fronte.

    “Tutte le bacchette di mia madre erano fatte con ontano e tendine di drago e Meissa, a quanto pare, le assomiglia non solo fisicamente… “

Mio padre sorrideva, come se si trovasse a dover spiegare il fatto più comune che potesse capitare sulla terra, quasi come il sorgere del sole.

    “Capisco. Allora signorina, è soddisfatta della sua bacchetta? Se non le piace posso preparargliene un’altra. O riponiamo questa in una bella custodia?”

Mi guardò con gentilezza e un certo affetto, sembrava che il legame amorevole che lo legava alla bacchetta che aveva creato, si fosse propagato anche alla persona che da quel momento ne era diventata proprietaria. Desiderai subito quella bacchetta: il fatto che fosse rimasta solo quella, in tutto il negozio, mi dava l’idea che mi stesse attendendo da tempo, che quello fosse un segno, il segno che stavo andando incontro al mio destino. Ollivander la avvolse in un panno di velluto e la mise in una lunga e sottile scatola dorata, poi la porse a mio padre.

    “Ha bisogno di qualcosa anche lei, signor Sherton?”
    “Sì, in effetti vorrei lasciarle la mia, la sento poco bilanciata, riuscirebbe a sistemarmela per dopodomani?”

Il vecchio mago prese in mano la bacchetta e la soppesò a lungo, mostrando però di riconoscerla immediatamente.

    “Oh, sì, eccola… la ricordo così bene: questa è la sua prima bacchetta, dopo tutti questi anni è ancora bellissima e forte, piena di energia, sì, crine di unicorno, 13 pollici, del salice più pregiato. Ricordo che vi siete riconosciuti subito e vedo che c’è ancora una simbiosi perfetta, ma… sì, è vero, qui c’è questa piccola e vecchissima scalfittura, che provoca una leggera distorsione: nulla di irreparabile, stia tranquillo, sarà pronta anche domani, signor Sherton...”

Depose la bacchetta nella sua custodia e la fece scivolare in un cassetto dietro di sé.

    “La ringrazio, Ollivander, come sempre lei è una garanzia, ci vediamo il primo settembre, dopo che avrò portato i ragazzi a King’s Cross.”
    “Troppo onorato, signor Sherton... A presto!”

S'inchinò, visibilmente compiaciuto. Appena usciti, raggiungemmo Rigel da Herrolabius, dove mio padre mi permise di passare una buona mezzora alla ricerca di giochi e altre cose sfiziose che desideravo da tempo, poi, finalmente, recuperati anche i Black e salutata Walburga senza trattenerci troppo con lei, facemmo ritorno a casa.

***

Meissa Sherton
Amesbury, Wiltshire - mar. 31 agosto 1971

Quei due giorni ad Amesbury furono stupendi: il parco risuonò delle risate di noi ragazzi, papà ci istruì sull’uso della scopa da Quidditch, ricordando i trucchi dei suoi tempi memorabili da cercatore di Serpeverde, con gli occhi di Rigel, Regulus e Sirius puntati addosso, sognanti. Io aveva dapprima aderito controvoglia all’invito ad unirmi a loro, ma le cose cambiarono quando, dopo le numerose insistenze, salii sulla vecchia scopa di Rigel e fu chiaro a tutti quello che io e mio padre avevamo già scoperto da soli alcune settimane prima: ero nata per starci sopra.

    “Eccellente, siete tutti talmente portati che potremmo mettere su una squadra tutta nostra, non appena avremo trovato un altro paio di elementi!”
    “Signore, lei potrebbe sempre fare per quei due che mancano!”

Regulus lo stava letteralmente adorando, come sempre.

    “Grazie della fiducia, Reg, ma ormai inizio ad avere una certa età, sai…"

Sorrise, andando a scompigliargli i capelli e circondandogli le spalle col suo forte abbraccio. Regulus sembrava prendere vita, ogni volta che mio padre gli rivolgeva un sorriso non sembrava affatto il figlio di Walburga Black.

    "Bene, ora fatevi un ultimo volo, poi tutti a mettere qualcosa sotto i denti, è ormai ora di cena. Forza!”

Mi avviai per riporre la scopa, ne avevo davvero abbastanza, al contrario di tutti gli altri, non vedevo l'ora di ritornare a casa.

    “Mey, tu dovresti portare a scuola la vecchia scopa di Rigel, tanto a lui non serve più, ora che ha la nuova: penso proprio che ti farà comodo!”

Mio padre era entusiasta, probabilmente già immaginava i suoi due figli nella squadra di Quidditch di Serpeverde. Peccato che io fossi destinata a Corvonero. Mi ripresi dai miei pensieri e feci un cenno di assenso. Gli altri si fecero rapidamente intorno: mio padre aveva promesso un racconto attorno al fuoco, ma ci aveva anche imposto di andare a dormire presto, perché l’indomani sarebbe stata una lunga giornata per la maggior parte di noi. Vidi subito lo sguardo di Regulus perdere la leggiadra spensieratezza di quei giorni: era l'unico che sarebbe rimasto a Londra e di certo non l'invidiavo, visto che sarebbe rimasto, da solo, con la sua tetra madre in quella casa da incubo. Papà prese la scopa usata da Sirius ma attese invece di avviarsi verso casa, lasciò che i ragazzi lo precedessero, commentando tra loro il pomeriggio appena trascorso.

    "Mey, resta, per favore, devo parlarti..."

Corsi trotterellando verso di lui, con la scopa di Rigel ancora sulle spalle: papà la fece levitare davanti a noi, fino a casa, poi si mise seduto su un tronco e mi fece cenno di sedermi sulle sue ginocchia. Sorrisi, come al solito aveva capito che lo desideravo tanto, lui mi diede un bacio sulla fronte e lasciò con pazienza che gli rispondessi con un bacio a schiocco sulla guancia. Rise.

    "C’è qualcosa che vuoi chiedermi, Meissa? Per domani? Hai ancora paura?"
    "Un po’..."
    "Perché?"
    "Perché sono sicura che entrerò a Corvonero, ho anche la bacchetta della nonna…"
    "E allora? Per entrare a Corvonero servono qualità eccezionali, sai? Mica possono entrarci tutti... Te l’ho detto, non devi farti rovinare questi anni così belli per te da queste sciocchezze, d’accordo Mey? Quanto ai Malfoy…"

Chinai subito il capo, rossa in viso… E visto come mi teneva stretta a sé, sicuramente aveva sentito che il mio cuore aveva mandato un colpo a vuoto.

    "Se Lucius prova a darti fastidio anche solo un’altra volta, non finirai nemmeno di dire "padre" che io sarò già lì a frustargli quelle mosce chiappe bianche, siamo intesi?"

Risi, al pensiero delle chiappe bianche di Malfoy jr., e mio padre sembrò sollevato nel vedermi ridere.

    “Seriamente... Non devi curarti di loro: so che hai sentito storie tremende, ed è per questo che temi tanto il risultato dello smistamento. Ma sono io tuo padre, tu ormai mi conosci: non farei mai qualcosa che ti faccia soffrire e se ti dico di fidarti di me, puoi farlo… se ti dico di non aver paura, non devi averne... perchè, a meno che non sia tu un giorno a volerlo, quel patto resterà carta straccia... Anche se non finissi a Serpeverde, perme vale quanto carta straccia. Quando ho accettato di tornare a Herrengton, l’ho fatto a certe condizioni: ho detto a mio padre che avrei onorato solo gli impegni che avessi preso di persona, non quelli che stavo ereditando dalla nostra famiglia. Non giocherò mai con la vita dei miei figli. Perciò ti chiedo di vivere tranquilla: quando sarà il momento, sceglierai un mago purosangue che abbia l’animo così nobile da meritare il tuo amore e che sappia renderti felice. Tutto qua."
    “Credevo che dovessi comunque stringere un patto per me, secondo la tradizione dei maghi del Nord...”
    "Sarebbe bello se un giorno scegliessi spontaneamente qualcuno a cui sono legato da affetto e amicizia, ma la vita è la tua, le scelte sono le tue. Io, per me, ho voluto la libertà e questo è quanto di più importante ho da darvi... ma voglio essere onesto con te, se sarà necessario, se vedrò che è la cosa migliore per te, firmerò per te un patto di facciata, da cui saresti però libera a 17 anni… solo un patto di facciata…”

Mi prese la mano destra con la propria, me la baciò e se la portò al cuore, come a suggellare quelle parole, quelle promesse e quelle richieste, in un sacro giuramento.

    "Voglio che mi scrivi tutti i giorni, Meissa, ho deciso di regalarti Ginevra, per questo... Poi ricordati... io nn posso soffrire Dumbledore, per ragioni mie, ma è un uomo onesto e saggio, se avrai bisogno di un consiglio ti saprà ben indirizzare e lo stesso vale per Sloughorn, anche se... beh, sai cosa penso di lui... Gli altri insegnanti... porta rispetto a tutti loro, apprendi quanto più possibile, non curarti delle loro debolezze, non fare confronti tra te e gli altri, non cercare di emergere troppo, attireresti invidie e malevolenza..."
    "E gli altri studenti? Devo fare amicizia per forza con i figli di determinate famiglie?"
    "Tu sarai amica di chi vorrai...Tu conosci la storia di Eileen Prince, ora sai perchè ti ho mandato a Spinner's End durante questi mesi…"
    "Sì…ma…"
    "Mey… Ti ho già fatto quel discorso, alla prova dei fatti lo capirai da te, lo noterai da te... il sangue non è qualcosa che tu possa ignorare, le vedrai da te le differenze e capirai da te… Quanto ai ragazzi… anche se tu lo volessi e anche se io fossi così pazzo da permetterlo, tu non potrai mai avere a che fare con Mezzosangue e Babbani, c’è una magia antica su di te che porterebbe alla follia e alla morte il tuo compagno, l’ha messa Salazar stesso sulla nostra famiglia: sarà sufficiente questo a non farti fare scelte sbagliate..."
    "Ma questa magia, come la chiami tu, non terrà lontano da me Malfoy o altri purosangue, anche se non fossero degni…"
    "A questo ci penserò io… Malfoy avrà altro di cui occuparsi, sono già all’opera con Orion…"

Sorrise, con una nota maliziosa nello sguardo.

    "Ma Orion Black cosa vorrà in cambio da te?"
    "Nulla… o al massimo qualcosa che tu saresti contenta di dargli, almeno stando a tua madre..."

Divenni color porpora, papà rise e mi diede un altro bacio sulla fronte. Poi ridivenne molto serio.

    "Non voglio sentire questi discorsi almeno per altri sei anni, siamo intesi? Pensa a divertirti e a imparare, in quella scuola! In questa testolina circolano pensieri da persona adulta, invece devi goderti l’età che hai! Promettimelo..."
    "Sì padre..."
    "Ricordalo sempre… non ti farei mai qualcosa che non ho accettato per me..."

Avrei voluto piangere per la felicità, ma sapevo che avrei rimediato una punizione, mi accontentai di gettargli le braccia al collo e stringermi a lui ancor più di quanto stessi già facendo: mi immersi nel buon profumo che emanavano i suoi capelli, mi scostai e strusciai la faccia sulla sua barba morbida, perdendomi nei suoi occhi d'acciaio vivo.

    "Mi mancherai da impazzire, Mey, sei quanto di più bello sono riuscito a creare finora... e forse non riuscirò mai a fare nulla di altrettanto buono e giusto nella mia vita..."
    "Avete appena fatto Adhara, tu e la mamma…"

Sorrise.

    "Già... ma la vita è talmente ingiusta, Mey, che nonostante tutta la tua buona volontà, non puoi impedire che un figlio ti entri nell’anima più di tutti gli altri..."

Mi accarezzò i capelli e mi baciò di nuovo, sulla punta del naso, espandendo il suo calore dai miei occhi a tutta la testa, come una morbida carezza d’amore.

***

Sirius Black
Amesbury, Wiltshire - mar. 31 agosto 1971

Mey era scivolata via dal suo letto qualche minuto prima e mi aveva raggiunto sul terrazzo, dove stavo ammirando il cielo stellato sopra la tenuta: era il primo momento passato da soli dalla nascita di Adhara e avevo tante domande da farle su quegli ultimi giorni. A cena lei e suo padre erano arrivati un po’ in ritardo, ma sembrava che fossero entrambi incredibilmente sereni, probabilmente si erano salutati con grazia prima della partenza per la scuola, non come avevo fatto io con mio padre. Sospirai, mentre la brezza di quella sera di fine agosto mi accarezzava la pelle nuda della schiena.

    "Sei pronta?"
    “Nemmeno un po’… E tu?"
    "Io non vedo l’ora di essere lì, il più lontano possibile dalla mia famiglia..."

Lei si avvicinò e mi prese la mano, mi voltai e la vidi simile a una fata della notte, con la sua vestaglia smeraldo, i capelli raccolti in una treccia e le pantofoline, buffe, di pelo.

    "Mi sei mancato, Black”

Mi guardò, seria.

    "Anche tu... E’ stato proprio un ritorno all’inferno, queste settimane, sai?"
    “I tuoi ti hanno tenuto sempre in punizione, vero?”
    “Già, ma non è solo quello, mia madre sta complottando da tempo qualcosa che non mi piace..."
    "Di che genere?"
    "Ha detto di nuovo a mio padre che ti vedrebbe bene con Reg..."

Mey fece cadere la mia mano di colpo, un’ombra scura le si stagliò addosso.

    "Qualsiasi cosa intrugli tua madre, Sirius, mio padre mi ha promesso che deciderò io della mia vita, ho già tanti pensieri all’idea che per un anno dovrò vedere Lucius Malfoy di continuo… non farmi pensare che ora devo pure preoccuparmi per tua madre, e per quello che potrebbe combinare in nostra assenza..."
    "Scusami, non ti volevo spaventare..."
    "Non sono spaventata, Sirius, sono furiosa!"

Rimanemmo in silenzio per un pò

    "Comunque mio fratello è meglio di Lucius..."

Non so cosa mi passò per la testa per dire quelle parole, e ancor meno come mi uscì un sorriso: Mey prima mi guardò come se fossi un idiota, poi si mise a ridere.

    "Mio padre ha detto che se Malfoy prova a rompermi di nuovo le scatole, lui frusterà a sangue le sue mosce chiappe bianche!"

Risi come un pazzo, immaginando la scena: conoscendolo sapevo che non era un'eventualità poi tanto fuori dal mondo.

    "Promettimi che qualsiasi cosa succederà domani sera saremo sempre amici, Sir..."
    "Te lo prometto!"
    "Anche se sarò un’insulsa Corvonero e tu un Serpeverde, d’accordo?"
    "Qualsiasi cosa saremo, saremo sempre Sir e Mey, solo questo. Promettimelo anche tu..."

Fece un cenno di assenso e mi abbracciò, io mi sentii quasi svenire, quando percepii la pressione del suo abbraccio, il suo profumo e il suo calore.

    "Credo sia meglio se torniamo dentro,Sir, prima che prendiamo freddo e che qualcuno si accorga di noi..."
    "In bocca al lupo Mey!"

Si voltò, come se fosse rimasta colpita da quelle parole così normali, una luce strana nello sguardo.

    "In bocca al lupo, Sir!"

La guardai rientrare in casa, scivolare nel buio squarciato dalla luce delle fiaccole distribuite nel corridoio e svanire lungo la scala che l’avrebbe portata di sopra. Entrai a mia volta nella stanza in cui io e mio fratrello eravamo ospitati: lo guardai, abbandonato tra le lenzuola, sembrava un angelo addormentato. Sospirai e mi misi a osservare la luna steso sul mio letto. Ancora poche ore e insieme alla libertà avrei abbracciato il mio destino. E alla fine mi addormentai, stringendo in mano l’anello che Alshain Sherton mi aveva regalato quella sera. Mi aveva detto di non separarmene mai.


*fine della prima parte*



NdA:
Ringrazio quanti hanno letto, hanno aggiunto a preferiti/seguiti/ecc, hanno recensito e/o hanno proposto/votato questa FF per il concorso sui migliori personaggi originali indetto da Erika di EFP (maggio 2010). Finisce qui la prima parte della storia, dal prossimo capitolo troverete un breve intermezzo su Orion Black, poi la narrazione si sposterà a Hogwarts, anche se non in maniera esclusiva. Spero che la storia fin qui vi sia piaciuta e di continuare a incuriosirvi.
1) Versi tratti da "Blowin’in the wind" di Bob Dylan
Valeria


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