L’altalena
cigolava piano in quel parco deserto, sottofondo adatto
all’umore dei tre ragazzi.
Temari sollevò la terra con la punta dei lunghi stivali,
facendo sollevare il bordo della ridicola minigonna scura.
Gaara, stringendo i pugni alle catene dell’altalena, le
lanciò un’occhiata assassina, continuando a darsi
leggere spinte.
Il cigolio si interruppe per un attimo, come deviato dai suoi occhi
chiari.
Kankuro si pentì di non aver portato il pacchetto di
sigarette, nascosto abilmente nel fondo della valigia, tra il
bagnoschiuma e i calzini puliti.
Sbuffò infastidito.
C’erano tante cose che detestava al mondo.
E da quando era entrato nel fatato mondo dell’adolescenza
ogni disturbo era andato moltiplicandosi esponenzialmente.
Guardò trucemente Temari passarsi la mano sotto la palpebra,
trascinando via il mascara colato.
Odiava vederla ridotta in quello stato.
Aveva smesso di arrabbiarsi al solo sentirla chiamare puttana, troia,
sgualdrina.
Sapeva che Temari non lo fosse.
Questo gli bastava, a modo suo.
E sapeva anche che un giorno si sarebbe guardata alle spalle e che si
sarebbe pentita dei suoi errori.
Sarebbe stato allora che avrebbe cancellato Hidan dalla sua vita.
Ma forse era ancora
troppo presto.
- odio questo posto –
sbottò improvvisamente la ragazza, sbilanciandosi sulla
panchina gelida.
Gaara sollevò gli occhi al cielo, sempre silenzioso sulla
sua altalena.
Kankuro si puntellò sul cavallo a dondolo, poggiando una
mano sul manico scrostato – e dove avresti voluto passare il
Natale, è Tem? – ingoiò la bile
– magari con il tuo albino del cazzo? –
L’altalena
riprese a cigolare, sempre più forte.
La ragazza sollevò un sopracciglio, stringendosi nella
giacca di pelle – e che ti frega? –
sibilò poi – sono grande abbastanza da poter
scegliere della mia vita –
Il cigolio
aumentò d’intensità.
L’altro avvertì la solita scossa di corrente
attraversargli la schiena – ma zitta, hai diciassette anni,
che gran donna che sei! –
Temari socchiuse gli occhi, sussurrando un insulto a mezza bocca.
Il cigolio si interruppe.
- chiudete quella bocca – Gaara
li fissò, nello sguardo il puro nulla – dovrei
essere io a lamentarmi, passare una settimana con voi è
l’ultima cosa che vorrei al mondo –
Temari si morse un labbro, gli occhi che si inumidirono spaventosamente
rapidi.
L’altro fratello ignorò la bile che gli si era
riversata in gola e soffocò il grido che gli era montato
alle labbra.
In fondo era sicuro di
aver perso Gaara tanto tempo prima.
Temari lottò silenziosamente con le lacrime calde, per poi
sistemarsi uno dei codini.
Nervosa, come i fratelli.
- è desolato questo posto -
disse poi, come a voler cancellare con una spugna il commento del
minore.
Kankuro la fissò, orgoglioso del suo tentativo.
Se c’era
qualcuno che ci provava ancora, questa era proprio Temari.
- Suna non è questo paese
ridente – sussurrò di risposta, porgendole
idealmente una mano – è un deserto del cazzo
– aggiunse poi, osservando di sottecchi le reazioni dei
fratelli.
Gaara continuò a fissarli impassibile, chiudendosi nel suo
abituale rancore.
Quello del figlio
demonio.
Quello di chi non si era
sentito mai amato.
Forse a torto, forse a
ragione.
Temari reagì con un sorriso forzato –
già, qui non c’è nulla, però
ricordo che da piccoli ci piaceva passare qui le vacanze –
Da piccoli.
Quando Karura era ancora viva, quindi.
Kankuro osservò le dita di Gaara sbiancare sotto la
pressione dei pugni stretti.
Abbassò lo sguardo, incerto tra compassione e rabbia.
- vi avevo pregato di stare zitti, sapete
che non amo ripetermi - sibilò il più piccolo, lo
sguardo ceruleo piantato tra i piedi impolverati.
Kankuro si grattò una guancia – con il carattere
che ti ritrovi, capisco perché la settimana scorsa Naruto e
Sasuke volessero darti una bella lezione –
sussurrò, le labbra che si muovevano impercettibilmente.
Temari quasi sbiancò, attaccandosi allo schienale della
panchina.
Tra Gaara e Hidan conosceva bene cosa volesse dire “reazione
violenta”.
E ora la temeva con
tutta sé stessa.
Il rosso incrociò gli occhi del fratello, gelido –
non ti ho chiesto io di venire a
difendermi
– mormorò, rabbioso – oltre
tutto sono stato io a doverti tirare fuori dalla rissa,
idiota -
Kankuro avvertì nuovamente il sapore della bile in gola
– quindi la prossima volta preferisci essere picchiato da due
ragazzini piuttosto che accettare il mio aiuto? – ridusse gli
occhi a fessura – mi terrò lontano allora.
E con piacere
–
Temari chiuse gli occhi, serrandosi nel suo giacchetto.
Kankuro si morse la lingua, pentendosi di aver parlato.
Fu allora che Gaara parlò.
- non potete credere di comportarvi da
famiglia con me, non lo siamo mai stati –
E fu quel plurale a farli rabbrividire.
- non è questione di volerlo o no, Gaara – Temari
socchiuse le palpebre – non possiamo scegliere di amarci,
anche se vorremmo non farlo –
Anche lei parlò al plurale, attraverso le labbra screpolate.
Dai baci e dagli
schiaffi di Hidan.
- non puoi chiederci di abbandonarti al
tuo destino, neanche se è quello che hai scelto per te,
Gaara – si aggiunse Kankuro – non mi fa piacere,
davvero, ma devo farlo –
Gaara li guardò, nello sguardo confusione e distacco
– nessuno vi costringe – per poi riprendere a
oscillare sull’altalena.
I tre rimasero in silenzio, mentre il vento freddo riprendeva a
sollevare sabbia attorno a loro.
Solo un cigolio.
Poi qualche parola.
Ed infine anche una
risata.
Timida, ma era pur
sempre una risata.
- non possiamo
abbandonarti al tuo destino –