Capitolo
trentatrè
Leggera
come la neve
Lou alzò lo sguardo al
cielo non appena
mise fuori il naso dal Museo. Tornò a sorridere: la neve
preannunciata quel
pomeriggio ora cadeva in maniera così perfetta e armoniosa,
come una danza
lenta.
Lasciò che
le si posasse sul viso.
Non aveva nessuna
voglia di tornare al
chiuso tra quattro mura, così prese a camminare senza una
meta precisa.
La sensazione di
felicità serena che
provava dopo tanto tempo nel ritrovarsi a camminare per la
città che amava e
che aveva sempre portato nel cuore, la riscaldava e attutiva il freddo
pungente
che le si infilava sotto gli strati dei vestiti. Camminò per
le strade che
conosceva bene, ascoltando il rumore del traffico moderato, le voci
basse e
contenute dei passanti. Le sembrò così strano
risentire quella lingua quasi
aliena che non somigliava a nessun’altra al mondo.
Nessuno si curava di
lei e del suo
sorriso ebete stampato sul viso dal momento in cui aveva rimesso piede
in terra
finlandese: altra cosa che amava.
Infilò le
mani nelle capienti tasche del
suo piumino e rallentò ancora di più il passo.
Avrebbe voluto
fermare il tempo.
Aveva il quadro del
sig. Korhonen
davanti agli occhi. Quella versione di se stessa che era un tempo e che
l’uomo
aveva colto, la Lou che non era più e i desideri che
l’artista aveva saputo
mettere su tela, le gravavano addosso: ne era schiacciata e oppressa.
Eppure,
ad ogni passo che faceva nella neve soffice e fresca, quel peso andava
via via alleggerendosi.
Come se tutti gli anni passati a tormentarsi stessero depositandosi ai
suoi
piedi insieme alla neve.
Si sentiva leggera
come la neve.
Era curiosa e allo
stesso tempo
spaventata dal contenuto del pacchetto lasciatole dal sig. Korhonen:
stava
rimandando il momento in cui avrebbe dovuto aprirlo e scoprire cosa il
suo
amico aveva voluto dirle come ultima cosa.
Si fermò
di colpo davanti ad una
struttura in legno chiaro che lei ricordava ancora incompleta quando
era andata
via. Spuntava quasi dal nulla a lato della piazza Kamppi, quasi
nascosta e
dimessa: strideva con i centri commerciali, le insegne luminose dei
negozi
dell’ampio spazio commerciale.
Sembrava una
gigantesca arca: Lou
sorrise e si avviò all’entrata, come se i piedi
prendessero decisioni per conto
proprio. Il tepore improvviso all’interno la
stordì, così come l’immediato
silenzio che l’accolse.
La Cappella del
Silenzio. Un nome più
che appropriato.
Si slacciò
la sciarpa e tolse il
cappello prima di iniziare a sudare e si sedette su una panca.
Oltre lei,
c’era soltanto una vecchietta
dai capelli candidi che sorrideva ad occhi chiusi e un ragazzo
inginocchiato,
intento a pregare.
Il rumore
dell’esterno era totalmente
annullato tanto che lei aveva quasi paura di respirare, temendo di
disturbare. C’era
odore di legno e cera: aveva trovato un angolo di pace in mezzo al
rumore della
città.
Cercò di
svuotare la testa da ogni
pensiero godendosi quel momento, ma una vocina le ricordava
incessantemente il
pacco dentro la sua borsa. Resistette ancora per un minuto o due, poi
lo tirò
fuori rassegnata. Lisciò la carta morbida e vellutata e
slacciò il nastro che
la teneva ferma.
Ancora due forme
piatte e rettangolari:
una la riconobbe immediatamente.
Era la scatola di
velluto blu scuro con
gli angoli consunti che conteneva la collana di Maili. Ne
sollevò il coperchio
con mani tremanti ed eccola lì: bellissima e luminosa come
l’ultima volta che
l’aveva vista.
Perché il
Sig. Korhonen l’aveva lasciata
a lei? Non la meritava affatto dopo aver deluso le aspettative che il
suo amico
riponeva in lei, dopo aver tradito la sua fiducia. Sfiorò
con un dito la pietra
blu sfaccettata e con la mente tornò al giorno in cui
l’aveva indossata,
nell’attesa di Ville, in quella notte tempestosa che aveva
sancito l’inizio dei
mille dubbi sul loro rapporto. O meglio, soltanto sulle proprie
sicurezze. Sospirò
rumorosamente e la signora dai capelli bianchi seduta tre panche
davanti a lei,
si girò.
Contrariamente a
quanto si aspettava–
ricordò la donna italiana in metropolitana di qualche mese
prima- quella
davanti a lei le rivolse uno sguardo comprensivo e dolce. Il ragazzo
invece non
aveva dato segno di aver notato nulla.
Affondò di
nuovo gli occhi all’interno
della scatola pensando con una stretta al cuore che non poteva
ringraziare il
Sig. Korhonen: le aveva regalato qualcosa di prezioso per lui, qualcosa
che
aveva un valore sentimentale anche per lei.
Quel ciondolo era un
dono che non
sentiva di meritare eppure in un angolo del suo cuore, sapeva anche che
in
qualche modo le apparteneva. Era come se il Sig. Korhonen
l’avesse tenuta da
parte per così tanti anni in attesa che qualcuno potesse
indossarlo con lo
stesso sentimento della sua amata Maili.
Richiuse con cura la
scatola e passò
all’altro involucro. Era molto più voluminoso ma
più leggero rispetto a quello
precedente. Era un sacchetto di velluto che conteneva a sua volta altro
velluto
intorno all’oggetto. Lo svolse con maggior
curiosità. Il gemito stupefatto che
le scappò quando si trovò davanti il quadro di
Chagall che era stato un dono
per celebrare l’amore di un caro amico, questa volta
disturbò anche il ragazzo.
Entrambi la guardarono preoccupati.
Lei
sollevò lo sguardo chiedendo scusa
silenziosamente, per poi tornare a guardare senza fiato la piccola
tela. Sfiorò
con un dito tremante le due figure volteggianti, il cielo, la luna.
Deglutì
rumorosamente. Non riusciva
ancora a credere ai suoi occhi: quel regalo era quanto di
più prezioso qualcuno
le avesse mai regalato in vista sua.
Probabilmente nessuno
avrebbe mai potuto
eguagliarlo.
Un misto di
felicità per quel dono
inaspettato che si alternava al rimpianto di aver deluso il suo vecchio
e caro
Sig. Korhonen, la stavano sopraffacendo. Sentiva il cuore rullare
impazzito.
Sollevò il
quadro per osservarlo meglio
e così facendo le scivolò sulle gambe una piccola
busta color crema, sigillata
con della ceralacca rossa.
La prese
immediatamente e la aprì con
attenzione.
“Mia
cara bambina, l’amore non ha tempo, non ha luogo, non ha
scuse. L’amore è
l’unica cosa che continuerà a muovere il mondo
intero, a farci battere il cuore
anche quando penseremo che non sarà più
possibile. A farci fare le cose più
folli e meravigliose. A farci rischiare di perdere tutto o al
contrario,
trovare tutto.
Presto
sarò di nuovo con la mia Maili e vorrei che fossi tu la
custode del nostro
amore: so che è in buone mani.
E
quando
sarai pronta, riporta il tuo cuore “a casa”.
È sempre stato lì ad aspettarti.
Non avere paura.
Con
affetto, Aappo.”
*****
Con la borsa stretta
contro il petto,
quasi aggrappata ad essa come se fosse una zattera di salvataggio, Lou
camminava svelta da ore nella neve.
Non sentiva
più il freddo riscaldata
com’era dalle parole del suo Sig. Korhonen. Aveva gli stivali
zuppi e il naso
così ghiacciato che non lo sentiva più, ma la sua
anima era in fiamme. Era
uscita dalla Cappella del Silenzio in fretta, mossa da una smania che
non
sentiva da anni. Le mani intirizzite indovinavano i contorni del
minuscolo
quadro di Chagall attraverso la stoffa; ne accarezzava i bordi cercando
conforto
nella poesia e amore e magia così sapientemente condensate
in pennellate di
colore di anni e anni prima.
Aveva preso a
camminare senza meta
girando in tondo, presa nei pensieri e nei dubbi; nei sentimenti a
lungo
trattenuti e che ora risalivano in superficie tutti insieme. Si era
ritrovata
all’improvviso davanti alla Cattedrale Bianca ancora
più bella e maestosa di
quanto ricordasse, offuscata appena dai fiocchi di neve sempre
più fitti.
La sovrastava eppure
era come un candido
abbraccio che le dava di nuovo il benvenuto. Salì
rapidamente gli scalini di
pietra senza prendere respiro arrivando in cima senza fiato e si
girò a
guardare la piazza e parte della città che si srotolava
davanti ai suoi occhi.
Respirò a
bocca aperta l’aria gelida,
sentendosi viva dopo un tempo che le sembrava infinito.
Ogni parola scritta a
mano dal suo
vecchio amico apriva una nuova breccia nel suo cuore. Le sembrava che
si stesse
sciogliendo di minuto in minuto. Se avesse potuto esprimere a parole o
a gesti
la tempesta emotiva che le si stava scatenando dentro, qualcuno avrebbe
potuto
prenderla per pazza.
Non che la sua faccia
stravolta facesse
meno effetto, del resto. Non le importava. Non le importava di quello
che la
gente poteva pensare e credere di lei.
A quel punto non le
importava più di
nulla tranne che i tonfi del suo cuore impazzito.
Con un ultimo sguardo
alla città scese
con decisione gli scalini, incurante della neve mista a ghiaccio che li
ricoprivano.
“Lou,
vedi di non romperti l’osso del collo proprio ora!”, si disse in un
impeto d’ironia.
I suoi piedi avevano
deciso di seguire
il suggerimento del cuore questa volta.
Cinque chilometri a
piedi, quasi
un’ora.
Avrebbe avuto tutto
il tempo per trovare
le parole giuste da dire, prepararsi a qualsiasi cosa avesse trovato.
Un rifiuto,
indifferenza, il vuoto. Era
pronta a tutto ormai.
Lo doveva al Sig.
Korhonen che aveva avuto
una fiducia incrollabile in lei, lo doveva alla giovane donna dipinta
del suo
quadro.
Lo doveva a Mara che
le aveva detto fino
alla fine di correre a riprendersi il proprio cuore.
Lo doveva a se
stessa.
Lo doveva alla Lou di
quasi cinque anni
prima.
Alla bambina di tre
anni con la bocca
sporca di marmellata alle ciliegie, imbronciata e con la palla in mano,
che
sognava l’amore vero ballando con i piccoli piedini sopra
quelli del papà.
Era pronta a tutto.
Non aveva più senso
avere paura.
*****
Tutto era come lo
ricordava.
Immutato nel tempo.
Ogni pietra, vicolo,
albero.
Era come se non se ne
fosse mai andata,
ed era tutto ciò che aveva sempre sognato. Per quasi cinque
anni, non aveva
fatto altro che desiderare di tornarvi.
Sentiva caldo ora,
dopo poco meno di
un’ora di cammino a passo spedito. Era sudata e non le
importava.
Girò
l’angolo ed ecco la casa del Sig.
Korhonen.
Non c’era
nessuna luce accesa. La
tristezza dell’assenza tangibile dell’uomo la
colpì in pieno.
Strinse a
sé la borsa col quadro.
Sentiva dietro di
sé la presenza
incombente della Torre, ma non era ancora pronta ad affrontarla.
Lentamente volse lo
sguardo alla casa
che un tempo divideva con Nur. Le luci erano tutte accese e nel
silenzio della
sera riusciva a sentire chiaramente le inconfondibili risa acute di un
bambino
piccolo.
Tutto
cambia e nulla cambia.
Si girò
senza esitazioni e alzò gli
occhi sulla Torre.
Aveva quasi avuto
timore di trovarla
disabitata e ostile.
L’ultimo
piano era illuminato da una
luce calda.
Ville c’era
e forse non era solo. Non le
importava neanche se Amy era presente: se solo osava guardarla storto
l’avrebbe
scaraventata giù per le scale, in mezzo alla neve.
Si avviò
lungo il vialetto, salì le
scale e scavalcò con un ghigno il basso cancello che fungeva
da ostacolo.
A circa cinque metri
c’era la porta di
legno d’entrata alla Torre.
Mosse un passo e si
fermò subito. La
sicurezza iniziale si alternava alla paura.
“Calmati.
Respira. Puoi farcela. Ville è oltre quella porta.”
Fece ancora un passo.
Un tonfo attutito e
subito dopo un
leggero scampanellio attirò la sua attenzione.
Una macchia nera si
profilò all’improvviso
a pochi passi di distanza, davanti a lei, spiccando nettamente sulla
coltre
immacolata.
Il gatto la fissava
immobile. Gli occhi
verde chiaro si strinsero.
Katty.
Non poteva che essere
la sua Katty
quella elegante felina dal manto nero e lucido, con un nastro rosso
scarlatto intorno
al collo.
«Katty…»,
sussurrò a mezza voce per
paura di spaventare l’animale facendola scappare via.
La gatta si mosse
all’indietro senza
staccare gli occhi da lei.
Lou si
accovacciò cauta e allungò la
mano.
«Vieni qui,
piccolina… sono io…»,
bisbigliò con un groppo in gola.
La felina era ancora
cauta ma si
avvicinò lentamente continuando a girarsi
all’indietro, forse nella speranza di
veder apparire un aiuto.
Il campanellino che
era attaccato al
collarino rosso tintinnava ad ogni passo.
Lei
continuò a tenere tese le dita verso
Katty che girava in tondo, facendo l’indifferente senza
perderla di vista.
Le sembrò
che passasse un’eternità prima
che la gatta le arrivasse vicina a sfiorarle la mano col muso morbido.
Lasciò
che le odorasse la mano con calma, prima allontanandosi con un salto
all’indietro poi tornando a sfiorarla, fino a che Katty prese
a zampettarle le
dita con le unghiette affilate.
«Piccola
stronzetta, non sei cambiata per nulla!», disse divertita Lou
lasciandosi
mordicchiare e graffiare.
Katty alla fine si
strofinò con la
testolina sotto il suo palmo, accettandola definitivamente.
Lou rimase calma,
grattandole lentamente
il muso, senza fretta. La felina alzò gli occhi a guardarla
fissa, con
un’espressione altera e quasi di rimprovero.
«Hai
ragione ad essere severa: sono
stata cattiva con te.», sussurrò a bassa voce.
«Maooooaoo!»,
miagolò indispettita la
gatta a confermare le sue parole.
«Sei
proprio bella, lo sai? Sei
diventata proprio una pantera in miniatura…», le
parlò dolcemente coccolandola,
lisciandole il pelo lucidissimo color della pece.
Katty le faceva le
fusa socchiudendo gli
occhi.
La neve cadeva
sottilissima e così lenta
che le sembrava di essere all’interno di in una di quelle
sfere di vetro che
tanto amava da bambina.
La porta di legno si
aprì
inaspettatamente facendola sobbalzare.
La figura
inconfondibile di Ville si
profilò nel fascio di luce proveniente
dall’interno della casa.
Non aveva il coraggio
di alzare gli
occhi a guardarlo: non ancora.
L’uomo fece
un passo in avanti per poi
bloccarsi immediatamente, rigido.
Lou gli
fissò la punta degli anfibi
neri, risalendo pian piano lungo le gambe snelle. Teneva una mano
infilata
nella tasca dei jeans neri stinti e l’altra lungo il corpo.
Vide le sue lunghe
dita stringere la
sigaretta che stava fumando qualche istante prima.
Tenne lo sguardo
fermo al centro del
petto di Ville il tempo necessario per prendere respiro.
Le venne da sorridere
notando che
addosso aveva solo una t-shirt a maniche corte.
Non riusciva ancora a
vederlo in viso ma
la sua postura faceva intuire chiaramente di essere sorpreso.
Immaginò
la sua pelle calda sotto le proprie
mani.
Le punte dei capelli
mossi. Li aveva
tagliati e gli davano un’aria da ragazzino.
Ecco il collo liscio,
il mento con un
accenno di barba.
Le labbra strette fra
loro.
Il naso piccolo e
dritto.
Lou prese ancora un
lungo respiro prima
di incrociare il suo sguardo dopo un tempo troppo lungo, un tempo
infinito. Cinque
anni.
Cinque anni in cui si
era negata ogni
possibilità di essere felice o almeno provare ad esserlo.
Il verde chiaro degli
occhi dell’uomo la
trafisse da parte a parte.
Tra loro
c’erano poco più di una decina
di passi.
E la neve.
Che continuava a
cadere pigra,
silenziosa.
“Tutto
cambia e nulla cambia.”, pensò Lou.
Era così
che si erano incontrati la
prima volta.
Il bianco dei fiocchi
di neve, un gatto
nero davanti alla porta e due persone intente a fissarsi in silenzio.
Si rimise in piedi
lentamente dopo aver
dato un’ulteriore carezza a Katty.
Durante le ultime ore
si era chiesta se
lui l’avrebbe mai riconosciuta.
Era chiaro che Ville
sapeva benissimo
chi aveva di fronte.
Lo sguardo sorpreso e
disarmato dei
primi istanti aveva preso il posto di un’espressione dura.
Lo capiva bene: aveva
tutte le ragioni
per guardarla in quel modo. Se lo meritava.
E col passare degli
istanti si disse che
avrebbe fatto qualsiasi cosa per farsi perdonare.
Nel frattempo doveva
tornare a respirare
in modo normale, però.
L’uomo si
riscosse d’un tratto: portò
alle labbra la sigaretta quasi consumata e diede un tiro.
La scena sarebbe
stata perfetta se la sua
mano non avesse tremato leggermente.
Lou provò
un impeto di amore
incondizionato per quell’uomo.
Un uomo dal quale era
stata lontana per
un tempo dieci, cento volte maggiore di quello che avevano passato
insieme.
Eppure non era
cambiato nulla: lo amava
con la stessa intensità del giorno in cui era partita.
Aveva voglia di fare
quei dieci passi e
stringerlo forte.
Aveva voglia di
sentire se la sua pelle
aveva ancora lo stesso odore.
Ville non aveva
abbassato gli occhi
neanche per un istante: la sua espressione era sempre dura, distaccata.
Ma la sua mano aveva
tremato. Non gli
era indifferente. L’aveva riconosciuta.
E tutte queste cose
insieme le davano un
briciolo di sicurezza in più.
Cosa poteva dirgli?
Come si fa a chiedere
perdono a qualcuno
che forse non ha voglia di accettarti di nuovo?
Aveva la bocca arida
e le mani sudate.
Le tremavano le gambe
come quando da
piccola ne aveva combinato una grossa e aspettava che sua madre la
punisse.
Infilò le
mani nelle tasche del giaccone
bianco, tanto per fare qualcosa e muoversi.
Ville la guardava
senza proferire
parola. E non sembrava per nulla intenzionato a farlo.
Rimaneva rigido e
immobile, fumando la
sua sigaretta con finto disinteresse.
E più gli
istanti passavano, più Lou non
sapeva cosa dirgli e come iniziare.
Probabilmente lui si
stava chiedendo
cosa diavolo volesse dopo tutto quel tempo, cosa ci facesse nel suo
giardino.
Forse avrebbe potuto
iniziare con un
“ciao”… sarebbe stato già
qualcosa.
Ma per uno come Ville
ogni parola sembrava
superflua e stupida.
Si rilassò
e anche lei prese ad studiarlo
con calma, cercando di non trattenere il respiro e rischiare di
stramazzare al
suolo svenuta. Le sembrava assurdo di essere lì, davanti a
lui.
Era ancora
più bello di quanto
ricordasse. Più bello di quanto immaginasse.
Il tempo per Ville
sembrava andare al
contrario.
Era solo un
po’ più magro di cinque anni
prima e aveva profonde occhiaie da stanchezza che su chiunque altro al
mondo avrebbero
stonato, ma su di lui risultavano affascinanti.
Lou mosse un passo in
avanti, accennando
un mezzo sorriso.
L’uomo
strinse gli occhi, diffidente
come poco prima lo era stata la gatta.
Se non fosse stato
così orgoglioso,
probabilmente avrebbe anche fatto
un
balzo all’indietro come Katty.
Le venne da ridere
istericamente.
“Ville
mi butterà giù in strada a calci fra un
po’.”
Prese un respiro e
fece un passo in avanti.
Poi un altro respiro. Un altro passo verso Ville.
Otto
passi più vicino.
Non riusciva a
decifrarne l’espressione:
ora che la distanza tra loro diminuiva, notava una luce diversa negli
occhi
verdi dell’uomo.
Vedeva la
fragilità attraverso la scorza
dura dell’indifferenza.
I capelli di Ville si
ricoprivano di
neve sottilissima e lei si preoccupò improvvisamente del
fatto che potesse
beccarsi un raffreddore coi fiocchi se rimaneva ancora lì
fuori, al freddo.
Lui sembrava
insensibile anche al gelo
esterno.
E continuava a
tenerle gli occhi puntati
addosso.
Si avvicinava
lentamente, cauta; quasi
timorosa di vederlo fare dietrofront e tornare dentro la sua Torre,
chiudendola
fuori anche dalla sua vita.
Sei
passi.
Cinque anni le
avevano insegnato
qualcosa? A capire quello che a volte le parole non possono spiegare? O
era
solo il suo desiderio di tornare a “casa” fra le
braccia di Ville, a farle
vedere, a farle credere di vedere negli occhi dell’uomo
immobile di fronte a
lei, quella luce che vedeva un tempo?
La voglia di
stringersi a lui era
diventata un bisogno struggente.
Quattro
passi.
Eccola ancora quella
scintilla nella
giada. Nonostante la rabbia e il rancore a stento trattenuti,
c’era la luce di
un tempo.
L’eco del
sentimento che c’era stato tra
loro.
Avrebbe preso freddo,
pensò di nuovo
Lou.
Si fermò
davanti a lui, alzando la testa
a fissarlo.
Ora riusciva a vedere
le pagliuzze
dorate negli occhi.
E anche
l’odore della sua pelle, misto a
legno e fumo di sigaretta.
Soltanto la sua
mascella che si serrava
a ritmi regolari poteva farle intuire che Ville non era così
impassibile come
voleva far credere.
“Non
avere paura.”
La lettera del Sig.
Korhonen che aveva
imparato a memoria le risuonava nella testa, accompagnandola per tutto
il
tempo, nel tragitto mentre tornava a casa.
A
casa.
Tra le braccia di Ville.
"Angolo
dell'autrice:
Ciao a
tutti! Siamo arrivati alla fine di questo viaggio. E direte voi:
"Menomale!"
E avete ragione...
Che cosa posso dirvi se non un enorme, immenso, infinito GRAZIE?
Grazie a questa storia ho conosciuto tantissima gente, amiche ora.
E insieme a me, Lou e Ville, Andrea, così come Nur e Simone,
Mara, Karl e la piccola Lily... e il nostro amato sig. K., sono
diventati vostri.
Li avete amati e odiati insieme a me.
Questa avventura per me è stata bellissima e spero possa
rimanere nei ricordi di qualcuno di voi.
Prima che diventi tutto un piagnisteo, la finisco qui. E vi dico
arrivederci... forse torneranno con qualche OS.
Chissà?
Io vi ringrazio tutte, non mi metterò a fare nomi: ne
dimenticherei più di uno e non voglio far torto a nessuna di
voi.
Grazie a chi non ha mai mancato una recensione, chi mi ha detto in
privato quel che ne pensava, chi non si è mai palesato ma ha
seguito, un grazie a tutti voi. Nessuno escluso!
Per cui, beccatevi un grazie e un abbraccio virtuale.
Siete belli! :D
E poi
se proprio vorreste ritrovare Lou e i nostri, vi segnalo che... ehm...
avrei pubblicato su Amazon la trasposizione di Ikkunaprinsessa, col il
titolo: Come miele e neve, con un finale
aggiuntivo che qui non ci sarà. :D
Ci
ho messo tanto per decidermi a fare questo passo. Molte di voi mi hanno
spronato, per non dire obbligato a farlo!
Qualcuna
anche in via abbastanza minatoria... :D
E
quindi niente.
Sappiate
che c'è questa cosa.
Non
c'è Ville... ma qualcuno di cui non ricordo il nome, un
inglese mi pare... un tale Shakespeare
scriveva:
"Che
cosa c'è in un nome? Ciò che noi chiamiamo con il
nome di rosa, anche se lo chiamassimo con un altro nome,
serberebbe pur sempre lo stesso dolce profumo."
Per cui anche se ha un
altro nome, noi in cuor nostro sappiamo che sarà sempre lui.
:D
Vi
aspetto nel Gruppo
Facebook
dedicato alle
discussioni e tutto ciò che ci passa per la testa, inclusi
insulti e minacce varie, intervallati a momenti d'ammmore per Lou e
Ville!
Siete
le benvenute.
Alla
prossima avventura.
Baci
baci,
*H_T*
testo.
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