Amy Rose P.O.V.
Buio. Ancora e ancora. Finirà mai questo film?
Non
che sia spiacevole, scene e scene dove rido, piango, mi emoziono. E'
il film sulla mia vita.
E' carino rivedere tutto, soprattutto memorie che si erano
dimenticate, ma voglio tornare alla realtà, al mio presente,
alla
mia vita. Voglio uscire da questo cinema, ma no ci sono porte,
purtroppo.
Dovrò aspettare che finiscano i ricordi, o mi
interromperò
prima? Non so.
Comunque, non dovremmo essere lontani dalla fine:
c'è una memoria
che, appena visto l'inizio, ho iniziato a rattristirmi.
No, per favore, non ancora quella memoria...!
Mi tormentava sin da quando ero sveglia, era il ricordo che mi
era
più rimasto impresso.
Qualcuno lo faccia smettere, non lo voglio rivivere!
Ero nel mio ufficio, seduta nella mia scrivania di legno.
Sul tavolo, le solite cose: fogli, documenti, una penna nera,
una
penna blu masticata e un vecchio telefono scuro con una suoneria
squillante.
Ero intenta a leggere la mia assicurazione sulla vita quando
sentii qualcuno bussare alla porta.
“Avanti.” dissi ad alta voce, in modo che
chi fosse dall'altra
parte della porta sentisse.
La
porta si aprì e rivelò la forma di Espio, un
camaleonte ninja
viola. Aveva il volto serio, come al solito, e mi guardava dritto
negli occhi.
Mi chiedevo spesso perché fosse così
serio e concentrato, ma in
quel momento non ci feci tanto caso. Lo guardai anch'io e misi
giù i
fogli che stavo leggendo. Gli lanciai un ampio sorriso.
“Espio! Da quanto tempo, amico mio.” lo
salutai, posando i
gomiti sulla scrivania e congiungendo le mani. In risposta, anche lui
sorrise.
“Piacere di rivederti, Amy Rose.”
salutò lui con rispetto,
facendomi un cenno con la testa.
“Cosa ti porta qui?” chiesi al camaleonte.
Il suo volto tornò serio mentre da una sua cintura
estrasse un
bigliettino rosa da visita.
Aggrottai le sopracciglia mentre lui si avvicinò
alla scrivania
con il pezzo di carta tra le dita.
“Cos'è?” chiesi perplessa,
allungando il braccio per
prendergli il foglietto che mi aveva allungato, e iniziando ad
esaminarlo. Il mio amico prese un bel respiro, prima di rispondermi:
“Sei stata ufficialmente invitata al matrimonio tra
Sonic e la
principessa Sally.” disse, con voce monotona da macchinetta.
Mi bloccai. Non riuscivo a respirare bene, per quanto ci
provassi,
ero rimasta scandalizzata.
Guardai con occhi sgranati il biglietto, senza impegnarmi a
leggerlo dato che sapevo cosa diceva.
Ero ferma, immobile come una statua.
E' stato un colpo al cuore, poi allo stomaco, sembrava che mi
avesse trafitta una lancia di ghiaccio. Cavolo, come mi facevano
male...
Non era possibile...no..no, NO! No no no no no...
Avevo brividi freddi, il sudore mi colava giù dalla
fronte.
Mi sentivo male non solo emotivamente, ma anche fisicamente...
Mi bruciava la gola, era come se stessi per vomitare.
“Rose?” mi chiamò il camaleonte.
Lo ignorai totalmente.
I-io...sapevo che quei due stavano molto insieme, ma non avrei
mai
pensato... Oddio.
P-perché Sonic, perché? Sapevi che sarei
stata male, perché mi
hai invitata? Per guardati sposare qualcun'altra? Non ti capisco!
Sarà un bel momento per te, ma non lo
sarà per me, come hai
potuto non pensarci?!
“Rose??”
Io non pensavo che tu fossi il tipo che si sposa, Sonic.
Davvero,
ti sei descritto sempre come uno spirito libero. Che ti è
successo?
Hai cambiato idea?
...la ami così tanto da rinunciare a tutto il
resto, come ho
fatto io con te in tutti questi anni?
...mi ferisce, Sonic, è davvero una cosa che mi
ferisce.
Mi hai sempre considerata solo come un'amica, non è
vero? E' per
questo che mi hai invitata?
...D'accordo caro, io ti voglio comunque bene... e anche a
Sally,
siamo sempre state amiche... si offenderebbe e ci rimarrebbe male se
non venissi.
Dio mio Sonic, perché non puoi tornare da me?!
“AMY!”
Il camaleonte mi aveva preso per le spalle e le aveva scosse,
facendomi destare dal mio stato di trance e dai miei monologhi
interiori.
Avrei voluto dirgli che stavo bene, ma l'unica cosa che
riuscii a
fare fu di alzare lentamente lo sguardo per guardarlo in faccia.
Almeno avrebbe saputo che ero ancora viva.
Il mio amico sgranò gli occhi.
“Mio Dio, Rose, sembra che tu abbia visto un
fantasma!”
esclamò preoccupato il ninja.
“Sto bene.” farfugliai acida. Non avrei
voluto essere così
sgarbata con lui, dopotutto era sempre stato gentile con me, non si
meritava una risposta cattiva.
Ma in quel momento ero disperata e avevo bisogno di sfogarmi,
e il
camaleonte era lì sotto tiro.
Dopo mi sono sentita male per come l'avevo trattato.
Espio non aveva nessuna colpa, se non quella di avermi portato
il
messaggio.
Ma
io non pensavo a questo in quel momento, pensavo solo con rabbia a
quanto fosse stronzo per parlarmi in quel modo, come se non sapesse
il problema, come se non sapesse quanto mi faceva soffrire la
notizia. Lo guardavo semplicemente con odio. Mi alzai di scatto.
“E vuoi smetterla di chiamarmi 'Rose'?! Chiamami per
nome! Ci
conosciamo da una vita, cazzo!”
gli sbraitai contro, dimenandomi dalla presa che aveva sulle
mie
spalle.
Lui mi lasciò andare allibito e
indietreggiò di alcuni passi
dalla scrivania.
Lo squadravo irata, con i pugni chiusi appoggiati sulla
superficie
del tavolo.
Mi osservò sorpreso, aspettando che mi calmassi via.
E in quel momento mi accorsi di quello che gli stavo dicendo.
Fu
qui che realizzai che stavo sbagliando.
Il mio sguardo si ammorbidì lentamente. Mi sentivo
così in
colpa...
Mi calmai e mi sedetti pesantemente sulla sedia. Espio
rimaneva
immobile a guardarmi perplesso.
Fantastico, è di nuovo colpa mia! Sentii un nodo
alla gola e
sapevo cosa significasse...
Cercai di trattenere le lacrime, ma non ci riuscii. Nascosi la
faccia nelle mie mani per la vergogna.
“Mi dispiace Espio! Non volevo-” riuscii a
dire tra i
singhiozzi. “Scusami tanto.”
Mi vergognavo così tanto da non volerlo vedere in
faccia, ma
soprattutto di guardarlo negli occhi.
Tenendo una mano sul volto, staccai l'altra per aprire un
cassetto
e prendere un fazzoletto.
Mi soffia il naso, cercando di calmarmi. Ero sempre stata
considerata una bambina molto emotiva, non volevo essere più
chiamata 'la ragazzina dalla lacrima facile'. Non volevo mostrarmi
ancora vulnerabile, mai più. Ma stavo fallendo miseramente;
anche se
avevo la faccia coperta, Espio si era sicuramente accorto che stavo
scoppiando.
Sobbalzai quando sentii una mano posarsi sulla mia spalla.
Guardai chi era, e non mi sorpresi nel vedere gli occhi gialli
di
Espio che guardavano i miei già rossi dalle lacrime.
“Non sono offeso, se te lo stai chiedendo, e tanto
meno
arrabbiato.” mi disse, come se mi avesse letto nel pensiero.
“Non è colpa tua. Lo sapevo che sarebbe
stata una notizia dura
per te.” disse, fermandosi un attimo per cercare cosa dire.
Lo
guardai con stupore; sapevo che Espio non era il tipo che sapeva
consolare la gente, però ci stava provando.
“Sonic...” sussurrai quasi
involontariamente, e lui capì e
chiuse gli occhi.
“Non sei tu il problema. Tu sei perfetta
così come sei, e non
hai nemmeno sbagliato nulla. Non è colpa tua, né
di nessun altro.
E'....la vita.” continuò lui.
Non ce la facevo più a guardarlo negli occhi, e li
abbassai,
temendo di iniziare di nuovo a piangere, e non volevo mica frignargli
in faccia.
“Non fare così. La vita non è
cattiva, solo aveva altri piani
per te. Piani meravigliosi, senza dubbio, ma il dolore c'è,
comunque
e sempre. Lo supererai, sei una donna forte, e andrai avanti per la
tua strada con un sorriso coraggioso, come fai sempre.”
Espio era un mio amico, ma non così stretto, eppure
a sentire
quelle parole... per la prima volta lo vidi come una roccia a cui
aggrapparmi. Qualcuno che mi stava cercando di far capire che le cose
succedono, belle e brutte, ma l'importante è andare avanti
affrontando tutto, e uscendone vincitore.
Lo abbracciai forte forte, lasciando andare le mie lacrime.
Era
così confortevole.
Lui all'inizio si era irrigidito perché
probabilmente non se
l'aspettava, ma poi aveva ricambiato l'abbraccio, cosa che mi
stupì.
“Ricordati che tu sei sempre stata
un'eroina” continuò lui,
sussurrando rincuorante.
“Anzi,
una combattente, una Freedom
fighter, e cosa
fanno meglio i combattenti tosti come te? Combattono, sopravvivono,
escono vincitori. Non si arrendono, vanno avanti, sempre. Tu che
farai?” concluse, lasciandomi andare per guardarmi in faccia.
Misi su un lieve sorriso, e con le dita mi asciugai gli occhi.
“Andrò avanti!” risposi
convinta. “Supererò anche questo!”
Lui mi sorrise dolcemente. “Brava!” disse.
“Non avere rancori, e non essere arrabbiata con i
tuoi amici. Ti
vorranno sempre bene comunque.”
Annuì contenta.
“Grazie Espio, grazie di cuore.” lo
ringraziai, per poi
stringerlo in un altro abbraccio spacca ossa.
Quando lo lascia andare, lui si diresse verso la porta.
“Quindi... andrai al loro matrimonio?”
chiese esitante.
Io annuì.
“Sì, rimarrebbero dispiaciuti se non
andassi.” risposi
sinceramente.
“Sei
sicura? Dopotutto, tu
potresti rimanere dispiaciuta se andassi.” m'avvertii lui, ma
l'avevo capito perfettamente da sola.
“Ehy ehy, prima mi dici di non avere rancori e poi
mi suggerisci
di non andare?” chiesi scherzosa al mio amico, il quale
iniziò a
scuotere la testa.
“No, non è questo che...” ma
poi si bloccò, e non disse più
niente.
Andò verso la porta e girò il pomello.
“Ci si vede in giro, Rose- volevo dire,
Amy.” salutò
sorridendo e aprendo la porta.
Ricambiai il sorriso.
“Grazie Espio, e arrivederci.”
Lui richiuse la porta dietro di sé, e fui di nuovo
da sola.
Sopirai stancamente.
Adocchiai il bigliettino da visita che stava sulla scrivania.
Non andare non significava avere rancori, ed io sapevo bene
che è
quello che intendeva dire Espio.
Lentamente e con mano tremante, presi in mano il foglietto e
lessi
il luogo, la data, l'ora.
Le nozze sarebbero state appena quattro giorni dopo.
Sapere che dopo quel giorno il mio amato Sonic se ne sarebbe
andato per sempre da me, per restare in altre braccia, mi
rattristiva, anzi, peggio; mi deprimeva.
Ma sarei andata là anche con un sorriso finto, a
fare i miei
auguri più sinceri a denti stretti.
Sospirai.
Magari non sarebbe stato tanto male.
Se pensavo che non potesse essere tanto male, mi sbagliavo
terribilmente!
Ho tentato, ho cercato di resistere ma la serata è
finita con me
che piangevo come una cogliona.
Il giorno stabilito, sono uscita dal lavoro e mi sono diretta
a
casa.
Una volta entrata in camera, chiusi a chiave la porta e andai
ad
aprire l'armadio stra colmo di vestiti ficcati disordinatamente
dentro.
Come
aprii le ante, alcuni vestiti caddero ai miei piedi. Grugnii,
soprattutto quando vidi il macello che c'era dentro: non c'era un
solo vestito
che fosse al suo
posto, appeso sul suo omino.
Perché dovevo essere così disordinata?!
Per non parlare di come erano tutti spiegazzati. Sembravano
non
essere stati stirati da anni.
Ne tirai fuori alcuni, quelli che mi parvero più
belli, e li
stesi sul letto per osservarli e decidere.
Li provai tutti, persino il mio preferito – un lungo
vestito
rosso acceso con scollatura a V e senza maniche, con una grande rosa
sul fianco dello stesso colore – ma nessuno mi diede
soddisfazione.
Rimasi davanti al letto a guardare con faccia imbronciata
tutti i
vestiti scartati, pensando a cosa mettermi.
“Sapete cosa vi dico?” dissi ai vestiti,
mettendomi le mani
sui fianchi “Non mi metto nessun vestito! Maglietta,
pantaloni e
via! Come al solito!” continuai, anche se quegli stracci, di
sicuro, non mi potevano sentire. Li presi e li buttai a casaccio
nell'armadio, chiudendolo subito dopo.
Mi diressi verso un altro armadio, questa volta più
piccolo, dove
tenevo i miei vestiti quotidiani.
Ero sicura che, questa volta, gli indumenti fossero ordinati.
Aprii le ante e mi misi a cercare quello che mi poteva servire. Alla
fine scelsi dei jeans blu chiari, una maglietta a quadri bianca e
rosa con i bottoni e una giacchetta di pelle beige chiara con la
cerniera.
Mi vestii, mi rifeci la coda e poi, dopo essermi guardata allo
specchio dell'entrata per assicurarmi di essere decente, uscii
finalmente di casa.
Mi diressi verso il palazzo della mia amica Sally.
C'era un'orda di gente per strada, naturalmente. Riuscii a
passare
in mezzo alla folla e mi ritrovai davanti all'enorme castello. Lo
guardai, indecisa se entrare o meno, e poi varcai il cancello.
La cerimonia fu come come molte altre; il prete, gli sposini
all'altare, la gente che piangeva di gioia. Anche io stavo per
piangere, ma di certo non perché ero felice.
Sonic
e Sally, alla fine, salutarono il loro popolo dal balconcino, per poi
ritornare al piano terreno, dove c'era un enorme palcoscenico. Mina
doveva esibirsi, figurati se non fosse stata lì a cantare
qualcosa
di romantico per loro.
E in effetti, lei comparve sul palco poco dopo in un
bellissimo
abito orientale rosso e bianco, e tutti l'accolsero con innumerevoli
applausi.
Lei iniziò a cantare 'Take me to Church' e tutte le
coppie si
posizionarono e si misero a ballare un lento. E' la canzone adatta,
ottima scelta Mina. Sei sempre stata brava.
Io rimasi seduta sulla stessa sedia della cerimonia per tutto
il
tempo. Mi limitai a guardare gli altri ballare, mentre io rimasi in
disparte.
Tanto, con chi volevate che ballassi?? Non c'era nessuno per
me. E
meglio così, non ne avevo voglia. Mi sentivo vuota.
Intanto, il cielo si scuriva; stava arrivando la sera.
Non avevo più niente da fare lì, se non
guardare quanto fossero
felici quei due, il mio amore e la mia amica, e mi alzai per
andarmene. La serata non era ancora finita, ma le nozze sì,
e loro
mi avevano invitato solo a quelle.
Li guardai ancora un'ultima volta, proprio quando avevano
deciso
di baciarsi.
Fu un tuffo al cuore, fu come se mi avessero buttato
dell'acqua
gelata addosso.
Se avessi guardato ancora, sarei sicuramente scoppiata a
piangere,
e mi girai per andarmene di corsa, senza voltarmi più
indietro.
Non avevo voglia di ritornare subito a casa. Avevo bisogno di
una
camminata.
Girai le strade ormai deserte di Mobius curva su me stessa,
con le
mani nelle tasche della giacca.
Dovevo calmarmi, ma non ci riuscivo. Mi sentivo morire.
Tutto quello che abbiamo passato insieme, da amici... ora era
andato tutto via, eravamo cresciuti e niente, non si poteva tornare
indietro. Mi manca tutto quello.
Pensai a tutte le avventure più belle che avessimo
mai fatto, e
iniziai a piangere.
A quel punto, non me ne fregava niente; avrei pianto quanto
volevo, non c'era nessuno che mi vedesse, nessuno che mi giudicasse.
Dovevo sfogarmi, in qualche maniera, una volta la madre di
Cream
mi aveva detto che dopo aver pianto ti senti meglio, perché
hai
buttato tutto fuori.
E così lasciai le lacrime rigarmi le guance, mentre
il mio pianto
diventava sempre più incontrollabile.
Non ci feci nemmeno caso quando iniziò a piovere.
Ero stanca, avevo sofferto tutti quei giorni, non c'era
davvero
niente da fare per un cuore spezzato?!
Aveva ragione Espio: non dovevo venire.
Mi appoggiai esausta al primo muro sulla mia strada.
Non potevo far altro che pensarti, Sonic...
“Io ti amo.” sussurrai tra un singhiozzo e
l'altro “Ma se
sei felice così, sarò felice anch'io.”
Dopo aver ripreso un po' d'energia, ed essermi sfogata
abbastanza,
ripresi il mio cammino verso casa, mentre la pioggia iniziò
a
picchiare forte.
Finì il ricordo, e ringraziai il cielo. Era
straziante ogni volta
che lo ripercorrevo.
Mi posso svegliare, adesso? O Amy Rose non ha ancora avuto
abbastanza?
Normal P.O.V.
L'infermiera entrò nella stanzetta della paziente, per
controllare
se era tutto in regola.
La ragazza non si era ancora mossa, era in coma da almeno una
settimana.
Il battito c'era, anche se debole. L'infermiera sospirò
sconsolata,
e si mosse a guardare la flebo.
Finiti i suoi controlli, fissò la ragazza, una riccia rosa
piena di
lividi e tagli, coperti da delle bende.
Così giovane, eppure doveva stare attaccata a delle macchine
per
sopravvivere.
L'infermiera sospirò di nuovo e, come faceva tutti i giorni,
le
sussurrò dolcemente:
“Ehy, sveglia.”
Era molto silenzioso il corridoio di quell'ospedale, i passi veloci e
nervosi di Blaze erano l'unica cosa udibile.
Non c'era nessuno in giro, solo un ampio corridoio graziosamente
dipinto di giallo miele.
Il pavimento era lucido e splendente, in giro c'erano scaffali peni
di garze e lenzuola perfettamente bianche, pulite e sterilizzate.
Blaze si stupì della perfezione di quella città:
era forse il posto
che più si avvicinava al paradiso?
Ci volle un po' prima di vedere qualche forma di vita: alcune
infermiere andavano e venivano di stanza in stanza portando in mano
lenzuola pulite, garze, cerotti, bende, flebo e alcune anche del
cibo. Quanto avrebbe voluto anche solo un assaggio.
Le infermiere erano silenziose e operative, non si fermavano un
attimo.
Sembrava che non avessero nemmeno appreso che un'estranea le stesse
osservando.
Blaze avrebbe voluto lasciarle fare il loro lavoro, ma l'ospedale era
enorme e avrebbe solo sprecato un sacco di tempo se avesse cercato da
sola.
Stava per chiedere a qualcuna di esse, quando un'infermiera senza
nulla in mano fece capolino dal fondo del corridoio e andò
proprio
nella sua direzione.
L'infermiera si fermò davanti alla gatta e la
guardò curiosa. Mise
su un gentile sorriso e chiese:
“Le serve qualcosa, signora?”
Faceva uno strano effetto a Blaze essere chiamata 'signora'; non era
così vecchia.
Ma scacciò quel fastidio, sapendo che l'aveva detto solo per
cortesia, e rispose:
“Sì, grazie. Vorrei sapere se avete una paziente
che risponda a
questa descrizione: è una riccia rosa di circa vent'anni,
occhi
verdi, capelli a caschetto e un ciuffo sulla fronte.”disse la
gatta.
L'infermiera rimase piacevolmente sorpresa da una simile rivelazione.
Sospirò rincuorata mettendosi una mano sul cuore.
“Grazie al cielo, qualcuno che la conosca! Lei è
un'amica? Un
parente?” chiese alla gatta.
Blaze si bloccò. L'aveva trovata, finalmente!
“Sono una sua amica.” rispose alla fine. L'altra
donna annuì.
“Sono appena stata da lei. Mi segua.” disse alla
guardiana, per
poi voltarsi e tornare da dove era venuta, con Blaze dietro.
“E' un sollievo sapere che qualcuno sa chi sia.”
continuò
l'infermiera alla gatta, la quale rimase silente tutto il tempo.
“L'abbiamo trovata nel bosco qui vicino in condizioni
critiche,
aveva lividi e lacerazioni su tutto il corpo. Non aveva documenti
addosso, e nessuno la conosceva. Era una sconosciuta.”
continuò,
arrivando a destinazione.
“Non credo che tu le possa parlare, purtroppo. E' in coma da
più
da una settimana, e non accenna a migliorare.”
continuò la donna,
con una nota di tristezza, mentre apriva la porta della stanza.
Entrarono e Blaze adocchiò subito la figura sul letto.
Amy.
Si inginocchiò al fianco della tanto cercata riccia rosa.
Era conciata malissimo, lo poteva vedere anche lei, ma almeno era
viva, almeno respirava ancora.
Lentamente, accarezzò la guancia della giovane amica, stando
ben
attenda di non toccare e spostare la mascherina dell'ossigeno.
“Potrei sapere il nome della paziente?” chiese
pacatamente
l'infermiera, aprendo un fascicolo di documenti e facendo scattare
una penna, pronta per scrivere.
“Amy Rose.” rispose naturalmente la gatta. La
ragazza annuì e
scrisse il nome della riccia.
“Può lasciarci da sole?” richiese
garbatamente Blaze, dopo
qualche minuto di silenzio.
“Certamente.” e detto questo, l'infermiera
uscì dalla stanza.
La gatta, una volta sola, sospirò pesantemente mentre
muoveva la
mano dalla guancia al ciuffo sulla fronte.
“Ehy, Amy.” chiamò la micia, anche se
non sapeva se la stesse
ascoltando, ma ci avrebbe provato ugualmente
“Perché non mi hai
chiesto aiuto sin da subito? Anzi, perché non me lo hai mai
chiesto?” chiese la gatta lilla, continuando a passare la
mano nel
ciuffo con dolcezza.
“Sono qui adesso. Sono venuta per te. Apri gli occhi.
Svegliati.
Per favore, svegliati.” continuò in un sussurro
Blaze, mentre gli
occhi le diventavano lucidi.
Con l'altra mano prese quella della riccia e gliela strinse forte,
aspettando una qualsiasi reazione.
Amy P.O.V.
Sarà questo il momento? Comincio a respirare
più forte, con più
libertà.
Inizio a sentire dei suoni in più, tante voci.
Forse i sensi mi stanno tornando; sento qualcuno toccarmi e
sussurrarmi parole dolci.
“Sono qui
adesso. Sono venuta per
te. Apri gli occhi. Svegliati. Per favore, svegliati.”
mi
dice dolcemente una voce femminile, non la solita che mi chiede di
svegliarmi di tanto in tanto, ma una voce stranamente familiare.
Ora mi sta stringendo la mano. Stringila anche tu, Amy! Fa
vedere
che si sei!
Con grande fatica, sto riuscendo ad aprire gli occhi...
è forse
un miracolo, questo?
Luce.
Per la prima volta in mesi riesco a percepire la luce, ed essa
riesce ad avvolgermi.
Sono felicissima, potrei saltare di gioia, ma non ho ancora
così
tante forze a sufficienza, e sento che non le avrò mai.
Mi sono svegliata, sì, ma ora mi sento deboluccia.
Apro e chiudo gli occhi con difficoltà, come se
avessi le
palpebre stanche e pesanti, mentre aspetto che la mia vista offuscata
metta a fuoco i dintorni.
Vedo una persona violacea, probabilmente è lei che
mi sta
parlando.
Pian piano, la mia vista si fa sempre più nitida.
Non riesco a
credere chi vedo!
“B-Blaze?”.
Normal P.O.V
Blaze alzò lo sguardo quando vide gli occhi di Amy iniziarsi
ad
aprire lentamente.
Si sta svegliando! Fu tutto quello che
pensò, felice che la
sua amica stava rispondendo alla sua chiamata. Ma commise l'errore di
illudersi e di dar per scontato che sarebbe stata meglio.
Amy la guardò e ci impiegò un bel po' per
rendersi conto di chi
fosse.
“B-Blaze?” chiese la riccia con un filo di voce,
con un tono tra
il sorpreso e il felice.
“Amy!” esclamò la gatta commossa,
prendendole la mano con
entrambe le mani.
“Come stai?” chiese la micia.
Amy respirò a fondo, prendendo fiato per rispondere.
“Non saprei. Mi sento stanca. E tu? Che ci fai
qui?” chiese
sussurrando.
Blaze ridacchiò sottovoce.
“Potevi aspettartelo, Amy. Non ti ricordi? Mi hai mandato una
lettera in cui dicevi che credevi di essere stata scoperta.”
spiegò
la regina.
“Ah già.” interruppe la riccia
“Scusa, ma avevo paura. Dovevo
dirlo a qualcuno se i miei timori si fossero mostrati veri.”
si
scusò Amy, la quale stava recuperando le forze e stava
iniziando a
parlare normalmente, seppure non riuscendo a muovere nient'altro
fuorché la bocca.
“...E purtroppo si sono mostrati veri.” concluse la
gatta
scurendosi in viso.
L'amica sospirò pesantemente; “Eh
già.”
“Come mi hai trovata?” chiese alla fine. La gatta
sorrise.
“E' una storia davvero lunga.”
“Racconta.”
E allora Blaze iniziò a raccontarle la sua avventura: di lei
che si
era mischiata nel commercio di schiavi, che aveva viaggiato e
scoperto un po' tutto, dell'incontro e della fuga con Mina e Coral.
“Mina?? Coral?” chiese stupita Amy, interrompendo
il racconto.
Blaze la rincuorò subito, prima che l'amica si preoccupasse
troppo.
“Sì, anche loro erano state catturate. Ma come ti
ho già detto,
siamo evase e stiamo tutte e tre bene.”
rispose la gatta. La riccia si calmò notevolmente. Fece,
seppure con
gran fatica, un largo sorriso.
“Grazie, Blaze. Grazie.”
sussurrò debole. Blaze alzò un
sopracciglio confusa.
“Di cosa?” chiese.
“Per essere venuta per me. Lo apprezzo molto.”
rispose la riccia,
con tono spezzato, quasi come se stesse per piangere dalla gioia.
Ma qualcosa non andava, e Blaze lo sentiva. Capiva dal tono di voce
della riccia che c'era qualcosa che non andava, c'era qualcosa che
Amy non le stava dicendo. E la gatta sperava di sbagliarsi,
perché
il suo istinto le diceva che, se avesse visto giusto, sarebbe stato
qualcosa di agghiacciante.
“...e per aver aiutato le mie amiche. Le hai salvate,
probabilmente
sei un angelo...” continuò Amy.
Blaze aggrottò la fronte, non capendo dove la sua amica
volesse
arrivare.
“Cosa stai dicendo?” chiese preoccupata e spaesata
la gatta.
Amy richiuse gli occhi, leggermente triste.
“Non sto molto bene.” iniziò come se non
fosse niente.
Blaze capì in un attimo cosa stava succedendo, e cosa lei
volesse
farle capire.
“Starai meglio.” interruppe subito la micia
“E' solo il primo
giorno. Devi rimetterti.”
Amy aveva riaperto gli occhi e stava guardando il soffitto senza
alcuna espressione, stanca.
Poi, scuotendo debolmente la testa, puntò il suo sguardo su
Blaze.
“Non ce la farò, Blaze. Io...”
“Non dirlo!” ordinò con rabbia la gatta,
iniziando ad avere gli
occhi lucidi.
“...io morirò, Blaze.”
continuò comunque la riccia in un
sussurro.
“Non dire così!” rispose la gatta
“Non lo puoi sapere.”
“Sì invece. Lo sento. Sono
un'investigatrice...”
“Esatto! Un'investigatrice, non una veggente con la palla
magica!
Tanto meno un dottore!” rimarcò decisa la gatta.
“Non so Blaze... mi sento mancare le forze. Non ci posso fare
niente...ma forse è meglio così...”
disse Amy, con un filo di
voce.
“E questo che significa?! Amy! Sono venuta qua per te e tu
ora mi
dici che vuoi lasciarti andare?!” disse arrabbiata la
guardiana,
alzando un po' troppo la voce, la quale iniziò a tremare.
Amy la guardò sorpresa, ma senza dire niente per un po'.
Sembrava
stesse pensando a qualcosa.
“Non voglio farti un torto, Blaze.” disse alla fine
la riccia, in
tono serio. Blaze si sorprese di quanto Amy sembrasse matura, con
quel tono.
“Ti ho già detto che apprezzo quello che hai
fatto. Ma entrambe
non abbiamo il potere della vita. E' inutile nascondere quello che
succederà, o impedirlo.” continuò la
giovane ragazza.
Blaze non sapeva cosa dirle. Aveva ragione.
“Che ne è stato della Amy sempre positiva e
ottimista?” chiese
sconsolata la gatta, più a sé stessa che
all'amica.
“Se ne è andata già tempo
fa.” rispose inaspettatamente la
riccia “Insieme alla sua infanzia e alla sua
innocenza.”
concluse, paurosamente seria.
Blaze abbassò lo sguardo sulle sue mani, che stringevano
ancora
quella della riccia.
“Io...Io non voglio perderti.”
disse alla fine la gatta
con voce spezzata, lasciando cadere le barriere del suo orgoglio e
iniziando a piangere di fronte alla sua amica.
Dopo alcuni dolorosi secondi, Blaze sentì la riccia
ricambiare la
stretta sulla sua mano.
“Blaze. Amica mia.” chiamò Amy, per
attirare l'attenzione della
ragazza su di lei.
La micia si asciugò velocemente le lacrime che le rigavano
il volto
e alzò lo sguardo al richiamo dell'amica.
Amy Rose la guardava con i suoi occhi provati e il viso pallido, ma
con un lieve, dolcissimo sorriso.
“Prima mi hai chiesto perché non ti ho chiesto
aiuto. Non volevo
essere un peso. Non avrei voluto coinvolgere nessuno. Ti mandavo
quelle lettere non per questioni professionali, che erano solo scuse,
ma perché così non mi sarei sentita
così sola. Ma soprattutto,
così almeno qualcuno non mi avrebbe dimenticata.”
Blaze rimase sconvolta dalla rivelazione. Sgranò gli occhi
alla
giovane amica.
“Almeno passerò gli ultimi minuti della mia vita
con qualcuno a
cui voglio bene, e non morirò sola.” concluse,
stranamente
sollevata, ma Blaze, alla fine, aveva capito perché.
Amy era davvero così sola? E' per questo che stava
accettando il suo
destino così serenamente, nonostante fosse una tragedia?
Povera
anima. Povera rosa in piena bellezza, che sarebbe morta ancora prima
di accennare ad appassire. E il peggio, era che le avevano strappato
i suoi petali con la forza, costringendola a finire.
Inconsciamente, Blaze si mise ad accarezzale la fronte.
“Te l'ho già detto che non devi parlare
così.” rispose
debolmente la gatta, capendo che era inutile convincere sé
stessa e
l'amica che tutto sarebbe finito bene.
“Lo so.” la riccia sorrise.
“Avrai un futuro brillante, Blaze. Te lo auguro
perché sei una
persona davvero speciale. Non tutti farebbero quello che hai fatto
tu. Promettimi di vivere felice, e di non dimenticarmi. Sii
felice.”
La riccia, con il suo debole sorriso che persisteva sul suo volto,
chiuse gli occhi e Blaze si accorse che la sua testa si era
afflosciata su un lato, quello rivolto verso la gatta.
“Amy?” chiamò l'amica.
E poi accadde.
Qualche secondo dopo, sullo schermo si vide la frequenza cardiaca
cessare e la macchinetta iniziò a suonare l'allarme.
L'espressione di Blaze cambiò in un attimo: le sue orecchie
si
appiattirono contro la testa, impallidì all'istante mentre
le sue
pupille si rimpicciolirono e i suoi occhi sgranarono in
realizzazione.
“INFERMIERA!” gridò Blaze, alzandosi di
scatto, e correndo verso
la porta mentre in sottofondo l'allarme suonava a palla.
La gatta spalancò la porta ed uscì nel corridoio.
“INFERMIERA!” chiamò di nuovo,
disperata, e vide che dal fondo
del corridoio stavano arrivando di corsa due infermiere con un
defibrillatore.
Blaze le lasciò passare e le due entrarono nella stanza.
Una iniziò a fare la rianimazione a mano, mentre l'altra
preparava
le piastre del defibrillatore.
“Libero!” disse a un certo punto la seconda
infermiera, e la
prima smise di premere, togliendo le mani e lasciando lo spazio alla
macchinetta.
Le piastre caddero sul petto della riccia, la quale sobbalzò
di
qualche centimetro per la potente scossa.
Tuttavia, il battito non ricominciò e l'allarme
continuò a suonare.
Così, la seconda infermiera preparò di nuovo il
defibrillatore
mentre la prima riprese con le sue manovre di rianimazione.
Blaze rimase fuori dalla stanzetta, ma vedeva ogni cosa dalla porta
rimasta aperta.
Lei rimase fuori nel corridoio, completamente raggelata da
ciò che
era successo, mentre le lacrime cominciarono a scendere e a rigarle
il volto. Lei lasciò fare, mentre osservava inerme la scena.
Lunghissimi minuti passarono, e Blaze aveva rinunciato a guardare
oltre.
Ora era lì, seduta con la schiena contro il muro,
abbracciandosi le
ginocchia.
Non aveva ancora smesso di piangere, ma stava cercando di calmarsi.
Sentì dei passi picchiettare nervosi e indecisi verso di lei.
Tentò disperatamente di ricomporsi, si asciugò
velocemente le
lacrime e attese.
Il leggero picchiettio delle scarpette si fermò proprio
davanti a
lei.
Nessuno parlava e la tensione cresceva drasticamente.
L'infermiera non parlava ancora; stava cercando le parole adatte,
oppure il momento adatto.
Questo confermava solo una cosa, una terribile cosa.
“Miss?” la donna richiamò dolcemente,
seppur addolorata,
l'attenzione della micia.
Prontamente, la gatta fece scattare lo sguardo e lo puntò in
faccia
all'infermiera, la stessa donna che l'aveva accompagnata nella stanza
dell'amica, e che solo ora Blaze si accorgeva della targhetta
argentea dove c'era inciso il suo nome, Rochelle Butterfly.
La donna continuò, piano: “Abbiamo provato di
tutto, ma non c'è
stato niente da fare. Mi spiace.”
Blaze rimase gelata. Poteva sentire il sudore freddo scorrere su
tutto il corpo, mentre il suo cuore smise di battere per qualche
secondo, per poi riprendere a battere ancora più velocemente
di
prima.
Era morta.
Era così doloroso... Blaze non voleva nemmeno vedere per
l'ultima
volta il corpo privo di vita della sua amica, l'avrebbe uccisa a
vista.
Perché doveva morire?! Perché proprio lei?! Non
aveva fatto niente
di male...
Figli di puttana.
Al dolore e alla tristezza si sostituirono subito rabbia e desiderio
di vendetta.
Non c'erano parole, per quanto cercasse, abbastanza offensive per
quegli animali che le avevano fatto questo.
Li avrebbe uccisi tutti. Dal primo all'ultimo, con
le sue
stesse mani e le sue stesse fiamme.
Fanculo tutto, sarebbe andata là e li avrebbe fatto vedere
chi era
davvero Blaze the cat, li avrebbe visti bruciare sotto i suoi occhi
iniettati di sangue. Il loro.
Non si sarebbe fermata finché sarebbero diventati tutti un
cumulo di
cenere.
Loro, il loro traffico di merda, quel treno del cazzo e tutto quello
che amavano sarebbero diventati materiale per alimentare il suo
fuoco.
Lei avrebbe avuto la sua vendetta, e finalmente si sarebbe messa su
quell'incubo la parola FINE.
Non le importava se poi avesse avuto sulla coscienza tutte quella
vite e l'appellativo di 'assassina'; se lo meritavano. Anzi, tutti
l'avrebbero ringraziata.
Amy pensò la gatta nella sua testa Ti
vendicherò. Mi
dispiace che sia andata a finire così per te, e
non
permetterò a quei bastardi di farla franca. Te lo prometto.
Promise all'amica morta, con determinazione e calma omicida.
Farete bene a iniziare a pregare. Questa è la
vostra ultima
tappa! Pensò adirata, questa volta rivolta alle
guardie.
Aveva smesso già da un po' di tremare, e aveva una smorfia
adirata.
L'infermiera, notando il cambiamento, si preoccupò di quello
che
potesse passare per la testa della gatta.
“Miss...?” chiamò ancora una volta
Rochelle, più delicata che
poté. Aveva un certo tocco con chi era stato colpito dalla
perdita
di una cara persona.
Blaze si alzò coi pugni forzatamente chiusi. Stava dritta
davanti
all'altra donna, immobile come una statua. Allarmata, Miss Butterfly
si avvicinò di qualche passo.
“Miss?” Chiamò ancora, preoccupata. E
quasi sussultò quando
vide lo sguardo della micia.
Occhi dorati, freddi e pericolosi. Uno sguardo che faceva intuire che
la persona non era solo arrabbiata, ma irata al massimo.
L'infermiera aveva paura, ma non sapeva che fare, e non si mosse.
Aveva paura che le facesse qualcosa, lei era una donnicciola, la
gatta davanti a lei era, oltre un po' più alta, visibilmente
forte.
Ma se pensava che Blaze fosse diventata una donna violenta che non
ragionava e con la quale non si poteva ragionare, si sbagliava di
grosso. Blaze non era diventata pazza, solo vendicativa.
Infatti, le passò in parte senza neanche sfiorarla e si
diresse
verso l'uscita dell'ospedale.
“M-Miss...?” sussurrò balbettando la
ragazza, nonostante avesse
ancora paura che la gatta potesse farle del male.
“Manderò delle sue amiche a prendere il corpo. Io
adesso devo
andare.” rispose freddamente, continuando a camminare senza
neanche
voltarsi indietro.
Quando passò vicino alla stanza dove stava la riccia, non
mancò di
guardarla con la coda dell'occhio. Fu più forte di lei,
anche se non
voleva guardare guardò lo stesso.
Dentro c'era un'infermiera che scriveva le sue annotazioni sulla
paziente deceduta, Amy Rose, e quest'ultima era ancora sul lettino,
coperta da un lenzuolo.
Addio Amy. Salutò abbattuta la gatta,
mentre passava in
parte alla stanzetta, e poi continuando dritta per la sua strada.
Tutte
le rose...muoiono.
N.A: ciao ragazzi.
Spero di non avervi
fatto piangere troppo. O depresso troppo. O entrambi.
Anyway, molti mi
hanno chiesto di disegnare le ragazze cresciute di dieci anni, come
vuole questa ff. Qua sotto vi do il link dove ci saranno Blaze, Amy e
Rouge.
http://sonicazzo.deviantart.com/art/Ten-years-later-Blaze-Amy-and-Rouge-551006897
Shadow è
più o meno rimasto uguale, quindi è inutile farlo.
Un'altra cosa:
venerdì io parto per il mare e ci starò per 2
settimane, quindi ovviamente non potrò nè
aggiornare nè rispondere, però potrò
andare a vedere le vostre recensioni.
Ma non disperate: come
l'ultima volta, ho preparato una ff per il mio ritorno dalle vacanze
(anche perché il prossimo capitolo non l'ho nemmeno iniziato
quindi sono in alto mare) che si chiama "Noi due" e nessuno se
la cagherà, perché è su una coppia che
non ho mai visto su questo sito: Silvamy.
Comunque, se avrete
voglia di leggerla non ve ne pentirete, anche perché mi
è uscita davvero bene, forse è la migliore delle
mie one-shot.
Detto questo, alla
prossima ;)
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