Si
ringrazia rie (endorphin) per il banner~
Ci si aspetterebbe che fossi crollata a dormire come un sasso,
finalmente al sicuro nella cuccetta di quella vecchia locomotiva,
circondata da amiche e persone delle quali mi fidavo.
Invece no.
Come avrei potuto dormire?
Ero arrivata in Giappone nemmeno una settimana prima e nel frattempo
avevo scoperto di essere la discendente di un’antica
divinità greca –che, guarda caso, per quanto
potessi dubitarne, esisteva sul serio- e del resto lo era praticamente
chiunque mi circondasse, comprese le tre persone che erano con me, in
quell’esatto momento, nel mio stesso scompartimento notte in
quel treno, che consideravo amiche nonostante l’unica cosa
che attualmente ci unisse fosse quel disperato senso di terrore.
Nina era sotto di me, stando alle posizioni che ci eravamo date per
quegli assurdi letti a castello.
Farla dormire sopra sarebbe stato un suicidio:nei giorni precedenti
alla partenza, infatti, mi ero accorta che, a modo suo, sapeva essere
imbranata.
La sua determinazione infatti la portava spesso e volentieri ad essere
così concentrata quando faceva qualcosa da farla quasi
apparire come una persona con la testa perennemente tra le nuvole; non
che ci fosse sul serio, solo che era così concentrata da
dimenticarsi di ciò che c’era intorno a lei.
In parte le ero grata perché, qualche giorno prima, mi aveva
praticamente salvato la vita.
Uscite da scuola stavamo camminando insieme, dirette verso le nostre
reciproche abitazioni, quando una ragazza abbastanza alta ci aveva
avvicinate con una scusa apparentemente stupida –chiederci
informazioni- e noi l’avevamo seguite in un vicolo che solo
dopo ci eravamo rese conto essere cieco.
La scusa sarebbe pure potuta essere realistica:non aveva tratti
orientali, sembrava piuttosto essere, come me, americana, al massimo
comunque occidentale, considerata la carnagione lattea, i capelli
biondi e gli occhi di un colore chiaro, tra il verde e
l’azzurro.
Verde acqua, ecco; mi sembrava di ricordare il nome di un colore simile.
Solo che, una volta in quel vicolo buio, la ragazza si era rivelata per
ciò che era realmente:i lunghi capelli dorati si erano
tramutati in lingue di fuoco, la pelle sembrava vecchia di millenni ed
avvizzita, gli occhi pari a due tizzoni ardenti.
Non aveva gambe, quella definizione sarebbe stata troppo clemente.
Una aveva le fattezze equine, il vello quanto di più simile
avessi mai visto a quello di un vero asino, mentre l’altra
sembrava essere di nientemeno che bronzo.
Ero terrorizzata, incapace di muovermi, se non fosse stato per Nina
sarei morta.
«I tuoi capelli vanno a fuoco»aveva fatto notare a
quella creatura mostruosa, una punta di ovvietà nella voce.
Aveva attirato così tutta l’attenzione del mostro
su di sé e mi era sembrato di rendermi conto solo in quel
momento quanto fosse in pericolo la mia amica ed io ero lì,
che non riuscivo a muovermi od ad esserle d’aiuto in nessun
modo, bloccata in quell’impasse di terrore misto a stupore
che congelava qualsiasi idea di movimento potesse passarmi per la mente
in quell’istante e mi lasciava lì, gelata sul
posto.
Fu allora che mi sorprese.
Vidi qualcosa di piccolo e sottile attraversare l’aria,
fenderla come una piccola scia argentea, da Nina al mostro.
Quell’oggetto –che ancora non ero riuscita ad
identificare- si era conficcato nel fianco del mostro.
In un primo momento quell’essere sembrava essere rimasto
perfino più sconcertato di me, tuttavia ben presto la sua
sorpresa si era tramutata in rabbia quando si era reso conto che ora
era totalmente incapace di muoversi.
«Veleno paralizzante»spiegò Nina, come
se il solo fatto che avesse appena lanciato con mira perfetta un
microscopico aghetto intriso di veleno paralizzante nel fianco di un
mostro fosse la cosa più naturale ed ovvia del pianeta.
Dopotutto, era di Nina che si stava parlando.
Era stato solo allora che ero riuscita a risvegliarmi da quella sorta
di stato di trance.
Avevo estratto il pugnale da caccia che mia madre mi aveva donato
insieme all’arco –preferivo di gran lunga il
pugnale all’arco, visto che intralciava meno i miei
movimenti- e mi avvicinai alla creatura.
Non sapevo per quanto ancora il veleno di Nina avrebbe avuto effetto
sulla creatura, perciò mi resi conto che avrei dovuto agire
al più presto possibile per non finire affettata.
Non che fossi entusiasta all’idea di pugnalare un mostro,
diciamo però che l’istinto di sopravvivenza del
quale aveva parlato mia madre ebbe la meglio:considerando che morire
sbranata da un mostro non era di certo la vocazione della mia vita,
infilai il pugnale senza pensarci oltre nel petto della creatura.
Quello era praticamente esploso, rivestendoci da capo a piedi di
polvere giallastra –essenza di mostro, avremmo scoperto poi-.
Quello stesso pomeriggio, eravamo stati tutti convocati per una
riunione d’emergenza presso la residenza dei Kidou. Di nuovo.
Non era infatti la prima volta che capitava:subito dopo la visita di
mia madre –e la conseguente scoperta di essere semidei- ci
eravamo ritrovati tutti lì, nella grande e lussuosa villa
del ragazzo strano e misterioso che avevo conosciuto giusto qualche
giorno prima.
Fondamentalmente avevamo scelto casa sua come punto di ritrovo
strategico e provvisorio per un unico motivo:era l’unica
sufficientemente grande da poter ospitare tutti noi senza troppe
ristrettezze.
Ad ogni modo, anche altri ragazzi spiegarono di essere stati vittime di
attacchi di mostri, lo stesso Kidou era tra questi.
Sulla strada di casa lui ed il suo amico Sakuma erano stati attaccati
da un’arpia:grazie al cielo lo stratega della Inazuma Japan
era riuscito a liberarsene con un solo colpo di spada.
Sembrava però restio a vantarsene e non credevo lo facesse
per modestia:non lo conoscevo, d’accordo, eppure potevo
vedere da chilometri di distanza il suo tormento che mi fece intuire
che doveva esserci qualcosa di più, che stava evitando di
dirci.
Fu Kageyama a zittire una volta i suoi tentativi di distogliere
l’attenzione da sé, commentando:«Per
quanto tu possa cercare di sminuirti, Kidou, non hai comunque nessun
modo per cancellare ciò che hai fatto».
Il rasta aveva deviato rapidamente la direzione del suo sguardo,
dimostrandosi improvvisamente disinteressato alla conversazione; non mi
era comunque sfuggito il piccolo accenno di rossore sulle sue guance.
Era pressoché impossibile definire l’influenza di
Kageyama nella vita di Kidou, seppure quest’ultimo
continuasse ad insistere che non avesse più peso alcuno da
molto tempo.
Inutile, c’era qualcosa che non mi tornava in come il figlio
di Zeus non riusciva a staccare per un istante lo sguardo dal suo ex
allievo:era come se, anche se in un modo tutto loro, continuassero a
cercarsi, dopo tutti quegli anni, se per rimettere insieme i cocci o
meno del loro rapporto non avrei saputo dirlo.
Eppure non ero riuscita a non chiedermelo:era possibile rimettere
insieme i pezzi di un rapporto tanto travagliato, per giunta dopo tutto
quel tempo?
Kageyama non riusciva a sopportare l’idea che il figlio di
Atena si fosse ritrovato sotto attacco, senza avere la minima idea di
come potersi difendere.
«Dobbiamo andarcene da qui»aveva
annunciato«gli attacchi che stiamo subendo sono la prova
tangibile che i mostri emissari dei nemici ci hanno accerchiati. Sanno
dove viviamo, conoscono le nostre abitudini. Chi altro è
stato attaccato oggi?».
Quasi tutti alzarono la mano.
Quando toccò a me spiegare da parte di cosa avessi subito un
attacco, cercai di fornire una descrizione quanto più
dettagliata possibile.
«Un’empusa»dichiarò senza
troppe difficoltà il figlio di Zeus.
Quando tutti ebbero raccontato le proprie difficoltà
giornaliere, Kageyama riprese:«Capite cosa intendo adesso?
Siamo troppo esposti qui. Come se tutto ciò non bastasse,
finché non recupereremo lo scettro gli attacchi non
cesseranno, mettendo in pericolo anche persone innocenti. Pertanto,
sarà meglio partire quanto prima, tanto dovevamo comunque
recarci ad Okinawa per raggiungere gli altri sull’isola. Ora
dobbiamo solo trovare il modo per arrivare lì, possibilmente
vivi».
Capii al volo che Kageyama, oltre ad essere un uomo estremamente
pragmatico, era anche dotato di ottime capacità retoriche.
Così era venuto fuori che saremmo partiti di lì a
pochi giorni, in treno, verso Osaka.
Mio padre non era tornato a casa in quei giorni ed al telefono non era
mai raggiungibile:all’osservatorio astronomico
c’era un pessimo segnale.
Gli lasciai un messaggio sul tavolo della cucina, cercando di apparire
quanto meno preoccupata possibile nell’annunciargli che avevo
preso parte ad una ricerca scolastica che mi avrebbe portata fuori
città per parecchi giorni.
Evitai di inserire la parte che spiegava che stavo praticamente
prendendo parte ad una malata sorta di missione suicida che implicava
la presenza di divinità greche, magia e mostri:ci mancava
l’allarmismo di mio padre ed il quadro sarebbe stato completo.
Così eccomi qui, nella mia cuccetta, sveglia in seguito
all’ennesimo incubo da semidea mentre mi rigiravo inutilmente
tra le lenzuola.
Mi decisi a scendere lentamente giù dal mio letto, facendo
molta attenzione a non svegliare le altre che dormivano con me.
Atterrata in punta di piedi mi guardai attorno:Nina, nel letto sotto il
mio, dormiva come un sasso; quanto al letto a castello di fronte al
nostro, Chieko –nel letto in basso- riposava tranquilla,
mentre Rin –nel ripiano più alto- agitava di
continuo le mani, perfino nel sonno.
Normale per un figlio di Efesto, dio dei fabbri –abituati ad
avere le mani continuamente in fermento, alle prese con viti, bulloni e
quant’altro- e soprattutto per i semidei, perennemente
affetti da iperattività, che li rendeva incapaci di stare
fermi anche solo per un secondo.
M’infilai solo le scarpe:vantaggio di dormire vestita, in
caso di qualsiasi evenienza e sgattaiolai quanto più
silenziosamente possibile fuori dalla cuccetta.
Ero felice delle mie compagne di stanza.
Nei momenti trascorsi insieme avevamo scoperto tante cose di
noi:eravamo tutte e quattro figlie di divinità diverse,
eppure ci trovavamo abbastanza in sintonia tra noi.
Nina era figlia di Demetra, l’aghetto che aveva tirato contro
quel mostro ne era una prova:era infatti un’esperta di
piante, dalle quali per l’appunto riusciva ad estrarre quelle
sostanze nocive, dove intingeva poi i suoi aghi.
Rin, come dicevo, era un’allegra ed esuberante figlia di
Efesto e le sue mani sempre pronte all’azione erano la
dimostrazione più lampante che si potesse desiderare.
Quanto a Chieko, lei era una figlia di Atena e non ne ero rimasta poi
così sorpresa:già dai pochi momenti in cui ci
eravamo parlate avevo notato la sua intelligenza.
Ed io?
Io ero solo la figlia di Artemide, quella di cui nessuno sente mai la
necessità … ancora mi chiedevo quale fosse la mia
utilità all’intero di quella missione.
In corridoio incontrai Shirou, il ragazzo che avevo conosciuto qualche
giorno prima:probabile che qualche incubo tenesse sveglio anche lui.
Era in piedi, nel bel mezzo del corridoio del vagone, accanto ad un
ampio finestrino nel cuore della notte.
Mi pareva di ricordare che sopra la sua testa fossero apparsi dei
fiocchi di neve, al momento del riconoscimento:Chieko mi aveva spiegato
che era il simbolo dei figli di Chione, la dea della neve.
Non sapevo ancora cosa pensare di Fubuki Shirou:era sempre
così silenzioso, eppure sentivo qualcosa attrarmi
perennemente verso di lui, in direzione di quei suoi infiniti silenzi.
«Buonasera»mi salutò in un sussurro.
«Ehi»ricambiai, un po’ in
imbarazzo«che ci fai qui?».
Lui si lasciò sfuggire un sorriso che mi sembrò
immensamente triste, tuttavia si limitò a
rispondere:«Beh, credo più o meno quello che stai
facendo tu:non riesco a dormire a causa degli incubi, così
eccomi qui a vagare per il treno, al buio, nel cuore della notte. Con
l’unica differenza che Kidou mi ha definitivamente svegliato
quando se ne è uscito dalla nostra cabina».
Non mi focalizzai sull’ultima parte della frase, visto che mi
limitai a spiegarmi:«No, intendevo perché sei proprio qui, in questo corridoio».
Lui indicò la porta socchiusa alle sue spalle e
riprese:«Sono qui per lui. Quando l’ho sentito
uscire dalla cabina ho deciso di seguirlo:tanto ormai ero sveglio,
inoltre non volevo che si cacciasse nei guai. Invece, quando sono
arrivato qui … oh, controlla tu stessa, altrimenti non mi
crederai».
Si scansò appena, lasciandomi lo spazio necessario per
attraversare il corridoio che mi restava da percorrere, così
cominciai ad avvicinarmi alla porticina in fondo al vagone.
Quando passai accanto a Shirou, sentii una ventata d’aria
gelida avvolgermi:poteri da figlio della dea della neve, suppongo.
Mi sbrigai a raggiungere la porta:non avevo intenzione di mettermi a
riflettere su quell’improvviso gelo.
Cercando di fare quanto meno rumore possibile, sbirciai oltre
questa:Kidou era veramente lì ma la cosa più
paradossale era che si trovava tra le braccia di Kageyama.
Per giorni non aveva fatto altro che cercare di metterci in guardia su
quanto non avrebbe fatto altro che farci finire ammazzati in qualche
luogo ed ora lì, con la schiena contro il petto di quello
che spergiurava fosse il suo peggior nemico?
Oh, il mondo stava proprio andando alla rovescia.
Non sentivo cosa si stessero dicendo, il rumore del treno che scivolava
sulle rotaie era così stridente ed intenso da rendermi
difficile perfino udire il mio stesso respiro.
Sempre che si stessero dicendo qualcosa, certo:a volte abbiamo solo
bisogno della vicinanza alle persone che per noi sono importanti, senza
la necessità di parole.
Si separarono di colpo e capii che a breve sarebbero rientrati nel
vagone e che sarebbe stato meglio che non ci avessero trovati
lì a spiarli.
Ero comunque contenta che il gruppo fosse unito:per giorni avevo temuto
che eventuali litigi tra Kidou e Kageyama durante il viaggio potessero
rovinare l’umore generale.
A quanto pareva, il mio era stato solo un timore infondato.
Raggiunsi rapidamente Shirou e gli comunicai:«Credo che
stiano per rientrare».
Lui annuì, comprensivo, dunque senza troppe cerimonie mi
salutò:«Allora buonanotte».
«Buonanotte»ricambiai, prima di vederlo sparire nel
buio del vagone.
Mi sbrigai a tornarmene nella mia cabina:feci giusto in tempo a
rientrare nella cuccetta prima di sentire dei passi svelti attraversare
il corridoio; ero quasi certa che fossero quelli di Kidou.
La mattina seguente ci svegliammo di buon ora:il treno sarebbe arrivato
in stazione ad Osaka alle nove e non avevamo molto tempo per fare
colazione e recuperare tutti i bagagli, così ci avviammo in
fretta verso il vagone ristorante.
Fummo una delle prime camere a giungere sul posto:non c’erano
altre ragazze e gli unici altri presenti erano i ragazzi della camera
di Kidou.
E Kageyama, certo.
Il figlio di Atena sembrava avere la testa da tutt’altra
parte, mentre osservava con estrema concentrazione il passaggio che
sfrecciava davanti ai suoi occhi, al di là del grande
finestrino dell’area di ristoro del treno.
Il figlio di Zeus, in piedi con la schiena poggiata contro la parete
opposta, sembrava incapace di scollargli gli occhi di dosso.
Poco dopo il vagone cominciò a popolarsi di tutti gli altri
ragazzi e ragazze, chi più chi meno assonnato.
Ci sedemmo tutti intorno al lungo tavolo che occupava quasi interamente
il vagone e cominciammo la colazione tra le varie chiacchiere.
Quando Kidou si rese conto che il suo ex allenatore si era seduto
accanto a lui cercò di non darci peso.
Beh, perlomeno finché si rese conto che si erano appena
passati a vicenda la loro bevanda mattutina preferita.
Se la ricordavano ancora … dopo tutto quel tempo
…
Fecero quello che avevano sempre fatto e per il quale sembravano avere
un talento naturale:fingere che non fosse successo niente.
Kidou si limitò a prendere la sua spremuta
d’arancia dalla mano di Kageyama, sorseggiando con gusto il
contenuto del bicchiere limpido come cristallo.
Aveva ignorato –per quanto gli era stato possibile, certo-
l’aver sfiorato la mano dell’altro ed aveva
letteralmente strattonato il bicchiere via dal palmo del figlio di
Zeus, concentrandosi al massimo sul gusto leggermente acidulo della
spremuta.
Kageyama, d’altronde, non aveva fatto commenti sul suo
caffè, corto ed amaro:nemmeno un filo di zucchero, proprio
come piaceva a lui.
Rimaneva sempre più sorpreso ogni volta che aveva
l’opportunità di constatare quanto fosse
sconfinata la memoria del suo ex allievo.
Cosa che, per quanto cercasse di non darlo a vedere, apprezzava e non
poco.
Un colpo di tosse palesemente finto si levò
dall’estremità opposta del tavolo ed entrambi si
voltarono in direzione del rumore inconsueto.
La visuale era in parte ridotta dai posti in fondo al vagone che
avevano occupato –per limitare la conversazione con gli altri
al minimo, come sempre- ma potevano comunque riconoscere Endou, in uno
dei posti più centrali.
Si era alzato in piedi ed aveva assunto un’aria quanto
più seria quando cominciò:«Allora
… a breve il treno arriverà in stazione ad Osaka.
Solo, una volta lì … cosa dovremmo fare,
esattamente?».
Kidou si sentì al centro dell’attenzione in modo
preoccupante:detestava esservi, ecco perché a volte tendeva
a cercare di isolarsi.
Tuttavia sapeva che i suoi compagni –specie i ragazzi della
squadra- facevano molto affidamento su di lui, considerandolo come un
“mentore”, se così lo si poteva
definire:responsabilità implicite nell’essere il
primo stratega, probabilmente.
Il figlio di Atena sospirò e
spiegò:«Beh … avevo avuto
un’idea. Se quello che ha detto Artemide è vero,
ad Osaka dovremmo riuscire a trovare il nostro passaggio per il
meridione. Perlomeno questo è la teoria che mi sono fatto.
L’unico problema sorge quando non abbiamo la più
pallida idea di dove e soprattutto come
trovare questo “passaggio”. Credo che sia qualche
trabocchetto sotto».
«Una missione»sentì concordare qualcuno
accanto a lui.
Ci impiegò qualche secondo per realizzare che era stato
proprio Kageyama a parlare e che, soprattutto, stava concordando con lui.
Possibile che le loro menti dovessero essere sempre così
collegate?
Kidou lo fissò dubbioso e
domandò:«Prego?».
Il figlio di Zeus alzò all’istante lo sguardo su
di lui, puntandolo in direzione dei suoi occhi, quindi
spiegò: «Sarebbe troppo semplice se, una volta
arrivati ad Osaka, avessimo semplicemente trovato il passaggio per
Okinawa. Ben poco nello stile degli dei, diciamo. Pertanto credo che,
al nostro arrivo, ci sarà ad attenderci una missione o
qualcosa del genere».
Detestava essere d’accordo con lui.
Sapeva perfettamente che aveva ragione, eppure dargliene atto era
decisamente così poco da Kidou Yuuto.
Si limitò a lasciarsi sfuggire un sospiro, forse troppo
rumoroso, che fece ridacchiare mezzo vagone.
«Hai intenzione di portarti sul serio tutta quella
roba?».
Chieko era incredula:era abituata al proprio intelletto pragmatico che
le aveva fatto bastare una borsa ben ragionata ed organizzata, con
dentro tutto ciò che potesse servirle.
Lo stesso per quasi tutte le ragazze ed i ragazzi.
Sapeva però già da principio che Vanille non ce
l’avrebbe fatta:così eccola lì, sulla
banchina, appena dietro la linea gialla, con il suo trolley azzurro, di medie dimensioni.
«Che c’è? Ho preso solo lo stretto
indispensabile!»si difese la bionda, sistemandosi la ciocca
color pistacchio dietro l’orecchio.
Tutti conoscevano fin troppo bene Vanille:era sempre alla moda, senza
nemmeno farci caso; era pertanto chiaro che si fosse portata tutti quei
vestiti, la moda era sempre in continuo mutamento.
Rin era d’accordo con Chieko:la figlia di Efesto adorava la
precisione, come quella di Atena, peccato non fosse ordinata tanto
quanto lei.
I figli di Efesto erano in continuo mutamento ben più della
moda di Vanille, inutile negarlo, pertanto non era affatto inusuale che
vivessero nel disordine delle loro stesse invenzioni!
In quel momento Kidou avrebbe solo voluto riportare un po’
d’ordine tra i ragazzi, tanto la sua stabilità
mentale era a rischio ma giusto un secondo prima che potesse aprire
bocca sentì qualcuno alle sue spalle
gridare:«Yu-uh! Ragazzi? Sono qui!».
Alla maggior parte dei presenti non ci volle molto per collegare le
informazioni in loro possesso:voce squillante ed Osaka, la risposta non
poteva che essere una.
Rika Urabe.
La loro vecchia amica era proprio lì, alle loro spalle, un
paio di grossi occhiali da sole dalla montatura di plastica rosa a
coprirle gli occhi.
«Rika!»esclamò Endou, a dir poco
sorpreso«Che ci fai da queste parti?».
La ragazza sorrise affabile mentre si avvicinava a loro e
spiegava:«Beh … sono stata avvisata del vostro
imminente arrivo qualche giorno fa, così eccomi
qua!».
Kidou aveva già intuito che Rika non era venuta a conoscenza
del loro viaggio in direzione Osaka tramite mezzi di comunicazione
umani:non avevano detto a praticamente nessuno della loro partenza,
né tantomeno del loro viaggio.
Allora come faceva a saperlo lei?
Un sospetto prese a farsi strada nella mente del figlio di Atena.
Se ci sono anche altri semidei sparsi in giro per il mondo, come
Tsunami ad Okinawa, allora probabile che anche Rika …
Non fece in tempo a finire di formulare la propria ipotesi che la Urabe
aveva già estratto uno specchietto dalla propria borsetta.
Era piccolo e rotondo, dalla superficie dorata.
«È stato questo ad
avvisarmi»confessò la giovane dai capelli turchini.
Kidou osservò meglio –per quanto gli fosse
possibile, mentre tutti si affollavano intorno a Rika per vedere
l’oggetto che teneva in mano- lo specchietto.
Sembrava un normalissimo contenitore per cipria, tanto che Rika lo
aprì e lo richiuse un paio di volte, per mostrare a tutti
che funzionava correttamente.
Una volta che Rika ebbe abbassato e richiuso per un’ultima
volta il coperchio dello specchietto, Kidou notò un
dettaglio che in precedenza gli era sfuggito:al centro della parte
superiore del portacipria, infatti, era riportato una piccola
raffigurazione, leggermente in rilievo.
Sembrava essere … una colomba.
Rika ci passò sopra il pollice con una facilità
disarmante e di lì a poco lo specchietto prese a mutare
sotto i loro stessi occhi increduli, tramutandosi in un pugnale dalla
lama di bronzo, lunga all’incirca una ventina di centimetri.
«Afrodite»commentò
Chieko, quasi in un sussurro.
«Esatto»convenne Rika, infilandosi il pugnale in un
passante dei jeans«È stata lei a donarmelo.
Attraverso il vetro ricevo visioni da parte degli dei, invece se passo
un dito sulla colomba, l’animale sacro di mia madre, lo
specchietto si trasforma in un pugnale».
«Che forza!»commentò una vocina alle
spalle di Kidou.
Voltandosi, intravide gli occhioni grigi di Lilian, la più
piccola del gruppo, una bambina di soli undici anni che, come lui, era
figlia di Atena.
Vanille la prese in braccio e le lasciò osservare da
più vicino il pugnale magico di Rika:si poteva dire tutto
sulla figlia di Tyche ma non di certo che non ci sapesse fare con i
bambini.
Nel frattempo Rika riprese:«Avevo visto nello specchio che
sareste arrivati ma non ho la più pallida idea del
motivo».
«Artemide ci ha indirizzati qui»spiegò
Shirou«dobbiamo recarci a sud per recuperare, da quanto ho
capito, un prezioso scettro prima che dei mostri ci uccidano tutti. Ah,
e dobbiamo raggiungere Okinawa, dove altri nostre vecchie conoscenze
che si sono rivelati essere semidei ci stanno aspettando e per fare
ciò dobbiamo prima svolgere una missione o qualcosa del
genere».
Rika soffiò debolmente ed
obiettò:«Prendere una nave no, eh?»
«Magari fosse così facile»ammise
sconsolato Kidou«temo però che gli dei ci abbiano
preparato qualche deliziosa sorpresa o qualcosa del genere».
«Capisco»commentò la Urabe, lasciando
volteggiare i suoi capelli turchesi nello spazio intorno a
lei«vorrà dire che mi toccherà
aiutarvi, essendo l’unica un pizzico più esperta
del luogo, visto che, beh … non so, ci abito?».
«Potrebbe essere
un’idea»acconsentì il ragazzo con gli
occhialini.
Rika sorrise compiaciuta e propose:«Potremmo dividerci in
coppie od in piccoli gruppi, così riusciremmo a controllare
ogni angolo della città».
Era una buona idea, tuttavia Kidou non ne sembrava del tutto convinto,
infatti poco dopo ribatté:«Ma se ci dividessimo
non sarebbe troppo pericoloso? Voglio dire, se ci separassimo e
venissimo attaccati sarebbe difficile venirne fuori illesi. Dopotutto
non ci siamo mai allenati per affrontare una battaglia al
meglio».
Il rasta si sorprese non poco quando, non poco, Kageyama gli fece
notare:«Vero, tuttavia dividendoci potremmo confondere
possibili assalitori, inoltre in piccoli gruppi la
possibilità di difendersi con successo aumenterebbe di
molto».
Perché doveva sempre avere ragione?
«Allora è deciso!»esclamò
Endou, tutto contento«ci divideremo in coppie ed ognuno di
noi controllerà in un certo angolo di Osaka alla ricerca del
nostro “passaggio verso il sud”!».
Dopodiché, si scatenò la confusione
più totale:gente che correva da una parte
all’altra, ragazze che afferravano possessivamente i loro
compagni sottobraccio, altre –ed altri- che si guardavano
intorno spaesati.
Fubuki lanciò uno sguardo in direzione di Phoebe e
cominciò:«Credo che io andrò con
…».
Proprio in quel momento Nina abbracciò Phoebe ed
esclamò:«Io vengo con te!».
Phoebe ridacchiò e concesse:«Ahah,
d’accordo!».
«… Gouenji»concluse con aria leggermente
affranta Shirou.
«Sono sorpreso»ammise Shuuya, osservando
l’amico.
«Oh, mai quanto me, fidati»ammise il lupo dei
ghiacci, con un’aria un po’ sconsolata.
Susan strinse la mano di Endou, rivolgendo al capitano un sorriso
allegro che lui, come di sua consuetudine, le restituì
raggiante; Chieko raggiunse Kazemaru, Rachel si avvicinò a
Midorikawa, Diantha comparse all’improvviso alle spalle di
Sakuma –che sobbalzò per lo spavento-, Sophia
lanciò un’occhiataccia –tra
l’altro ricambiata- a Fudou ma si portò comunque
al suo fianco.
Yume borbottò qualcosa d’incomprensibile verso
Hiroto mentre attraversava la banchina verso di lui, che in un primo
momento arrossì appena per poi cercare di tornare quanto
più imperscrutabile possibile, come al solito.
Lilian trillò allegra rivolgendosi alla figlia di
Tyche:«Vanille, è vero che tu vieni con
me?».
La bionda le sorrise affabile mentre confermava:«Certo che
sì, Lilian».
Marina osservò ancora per qualche istante la scena prima di
commentare:«In realtà, Vanille, ti volevo chiedere
se ti andava di venire con me».
Vanille si voltò in direzione di Marina,
un’espressione crucciata sul volto e la mano già
stretta intorno all’elsa di una delle sue due spade cinesi
quando rispose:«Marina, ho detto a Lilian che sarei andata con lei».
Prima che potesse scoppiare una rissa Lyssa
mediò:«Ragazze, non mi pare il caso di mettersi a
litigare per una simile sciocchezza … Marina, se vuoi puoi
venire con me, anch’io sono sola».
La figlia di Atena fissò attentamente la situazione intorno
a sé, dopodiché
acconsentì:«Ehm …
d’accordo».
Nomiko raggiunse Kimberly ma entrambe si lanciarono occhiate
diffidenti; Rin e Miriam invece si sorrisero reciprocamente mentre si
raggiungevano l’un l’altra a metà
strada:con il carattere allegro che accumunava entrambe, infatti,
nessuno aveva dubbi che sarebbero sicuramente andate
d’accordo.
Rika afferrò non troppo delicatamente la mano di Sora e
affermò:«Tu vieni con me, bel fusto».
Sora domandò spiazzato:«B – bel fusto?!».
Rika non rispose, limitandosi ad agitare nuovamente la sua fluente
chioma.
«Ed io?»domandò d’un tratto
una voce accanto a Kidou.
Il figlio di Atena si voltò all’istante del punto
da cui aveva sentito provenire quelle parole e non si sorprese per
niente di scoprire che, a parlare, era stato Kageyama.
La cosa che lo lasciò di sasso fu scoprire che gli unici
rimasti da soli erano proprio loro due.
Atena, madre, cosa ho fatto di male per farmi odiare tanto da te?
domandò retoricamente e dentro di sé Kidou,
alzando affranto gli occhi verso il cielo per rivolgere la sua muta
domanda agli dei.
Alla fine, non avendo ricevuto alcun genere di risposta
dall’alto, si limitò a borbottare:«Tu vieni con me, ovvio.
Siamo rimasti gli unici due a non essere assegnati a nessun gruppo di
pattugliamento, inoltre voglio tenerti personalmente sotto
osservazione».
Kageyama sorrise tristemente e commentò:«Ti riesce
proprio innaturale fidarti di me, eh?».
Kidou lo afferrò con forza per il braccio, cercando di non
pensare al fatto che una leggera scossa elettrica lo avesse appena
attraversato da capo a piedi.
Sono solamente poteri da figlio di Zeus, cercò
di convincersi il discendente di Atena.
«Andiamo e basta»sbottò Kidou, una nota
d’ansia fin troppo percepibile nella sua voce.
«Oh,
sarà un piacere»concluse divertito
Kageyama.
~ · ~
Nina
Nina non riusciva a smettere di guardarsi intorno con aria
semplicemente stupefatta.
Se una settimana prima le avessero detto che quel giorno se ne sarebbe
andata in giro per Osaka anziché andare normalmente a
lezione, nella scuola di Tokyo che aveva cominciato a frequentare
neanche due settimane prima, quando la sua famiglia si era trasferita
in Giappone dalla Russia, di sicuro non avrebbe esitato un momento a
non credere a quelle parole.
Invece eccola lì, insieme a Phoebe, mentre gironzolavano
senza meta nel centro cittadino di una delle città
più popolose della nazione.
Certo, mai tanto densamente abitata come Tokyo … ah,
già, Tokyo.
Avevano lasciato la capitale giusto la sera precedente ma si era
già quasi dimenticata che lì aveva lasciato la
sua famiglia.
Non sapeva se esserne dispiaciuta o meno:i rapporti con suo padre non
erano mai stati dei migliori, tuttavia quello non giustificava la sua
improvvisa partenza dalla città.
Strano ma vero, non era una scusa abbastanza valida.
Si era dovuta inventare che avrebbe preso parte a delle ricerche per un
corso di botanica al quale aveva aderito e sinceramente non aveva
ancora ben chiaro come ci fosse riuscita:non era brava a mentire, ogni
volta che lo faceva veniva beccata.
L’insicurezza nella sua voce, quando doveva dire una bugia
… forse era quello che la faceva puntualmente scoprire, per
questo generalmente cercava di mentire il meno possibile ai suoi
genitori, giusto lo stretto indispensabile.
Quella volta però non aveva proprio potuto farne a meno, era
un’occasione fin troppo allettante per rinunciarvi:la
prospettiva delle foto che avrebbe scattato e le avventure mozzafiato
che avrebbe affrontato se avesse accettato la missione era
irrinunciabile.
Quando quella mattina, sul campo di calcio, un papavero era apparso
sulla sua testa aveva pensato che si trattasse di uno scherzo di
pessimo gusto di qualche suo compagno di scuola, così aveva
cercato di toglierselo da sopra i capelli.
Quando tuttavia il papavero si era rivelato di vapore e non era affatto
scomparso sotto i colpi che le sue mani gli riservavano, Nina aveva
cominciato a preoccuparsi sul serio.
Poi lo aveva scoperto:sua madre era Demetra, l’antica dea
greca dell’agricoltura.
Questo spiegava un sacco di cose:la sua passione per le piante
–compreso l’erbario che custodiva gelosamente,
nascondendolo sotto il suo letto- ed i veleni che estraeva da fiori ed
erbe, come quello della digitalis
purpurea.
Da quando aveva scoperto di essere una semidea portava sempre con
sé una scorta di aghetti intrisi di veleno:un buon rimedio
per un improvviso attacco di mostri.
Aveva avuto modo di sperimentarlo qualche giorno prima, quando lei e
Phoebe erano state attirate in un vicolo da una ragazza, che si era
rivelata poi essere un’empusa.
La prontezza dei semidei le aveva permesso di lanciare indisturbata un
ago intriso di veleno paralizzante nel fianco del mostro, dando poi
così la possibilità a Phoebe di eliminarlo una
volta per tutte.
Per questo era contenta di essere nuovamente insieme a lei pure in quel
momento:erano una buona squadra e sperava che così avessero
almeno una chance in più di non morire fin da subito.
Proprio in quel momento un baluginio azzurro attraversò lo
spazio davanti ai loro occhi, fiondandosi in una stradina laterale
lì vicino.
Nina cominciava ad essere stufa di quei vicoletti bui.
«L’hai visto?»le domandò poco
dopo Phoebe.
Nina si limitò ad annuire:quel bagliore era stato
così assurdo –tanto luminoso da esserle parso
accecante- che si aspettava che chiunque in quella strada lo avesse
visto.
Invece, a quanto pareva, loro due erano state le uniche due ad averlo
notato, il che le fece intuire che, con ogni probabilità,
doveva essersi trattato di un qualche segnale semidivino, inviato
lì appositamente affinché lei e Phoebe lo
ricevessero.
Si lanciarono una rapida occhiata, che bastò loro per
progettare la mossa successiva:senza pensarci due volte si lanciarono
nel vicolo, pronte ad estrarre le armi per lo scontro che, lo sapevano,
le attendeva da un momento all’altro.
Invece, una volta entrate nel vicolo, lo trovarono assolutamente
deserto.
~ · ~
Chieko
In quel momento, Chieko era il ritratto della felicità.
Davanti ai suoi occhi c’era una città tutta nuova
da esplorare:Osaka, santo cielo, Osaka!
L’indole da figlia di Atene, perennemente attenta ai
dettagli, poi, le faceva apprezzare ancora di più tutte
quelle novità che la circondavano.
Avrebbe voluto mettersi lì ed osservare tutti quei palazzi
intorno a lei, sedersi da qualche parte –le sarebbe andato
bene qualsiasi posto, un tavolino del bar sarebbe stato perfetto ma in
mancanza d’altro si sarebbe accontentata perfino del
marciapiede che costeggiava la strada che in quel momento lei e
Kazemaru stavano percorrendo, sebbene sospettasse che a
quell’ora e con quell’esposizione alla luce del
sole l’asfalto fosse a dir poco ustionante- e studiare ogni
minimo dettaglio di ciò che la circondava.
Era davvero un’irriducibile figlia di Atena, non
c’era proprio niente da fare.
Eppure al solo pensiero di star attraversando quelle strade con
Kazemaru la voglia di mettersi ad osservare degli stupidi palazzi
svaniva all’istante.
Ed ecco che all’improvviso la ragazza intelligente e
concentrata lasciava il posto a quella innamorata, dolce e romantica,
che non le permetteva di pensare ad altro se non quanto fosse bello il
contrasto dei loro capelli, i suoi rosa e quelli del ragazzo turchini.
Tutto le sembrava perfetto in quel momento …
finché un’intensa luce azzurra non
attraversò l’aria davanti a loro, fiondandosi in
un’apertura tra due palazzi, poco distanti da lì.
Chieko seppe subito che anche Kazemaru aveva notato quella luce:per
qualche strana ragione, la figlia di Atena si ritrovò ad
essere assolutamente certa sul fatto che il bagliore fosse un segnale
indirizzato a loro due.
Senza dubbio a causa della nostra natura semidivina,
valutò la ragazza dai capelli rosa confetto.
Kazemaru era figlio di Ermes, il messaggero degli dei –ecco
perché era sempre così agile e veloce- ed un
movimento del genere non era di certo sfuggito ai suoi occhi, allenati
a captare ogni minimo spostamento, soprattutto i più rapidi.
Non ci fu pertanto nemmeno bisogno di chiedergli se anche lui
l’avesse notato:era qualcosa di fin troppo evidente per
passare inosservato.
La prossima mossa venne in automatico:i due si lanciarono alla svelta
nel vicolo, alla ricerca della fonte da cui era venuto fuori quel
raggio di luce.
Erano sicuri che si trattasse di un mostro e stavano per sfoderare le
loro armi.
Tuttavia, una volta giunti lì, l’unica cosa che
trovarono ad aspettarli fu il nulla, fatta eccezione per un gatto con
una lisca di pesce in bocca, appena riemerso dai bidoni di latta per la
spazzatura posti in fondo al vicolo cieco, intento nel gustarsi il
proprio misero pasto da randagio.
~ · ~
Vanille
Gli occhi di Vanille ormai erano tutto un luccichio.
Ad ogni passo che faceva incontrava negozi, boutique e bancarelle uno
più interessante dell’altro.
Sapeva che si sarebbe dovuta concentrare sulla missione …
tuttavia, per qualche strana ragione, in quel momento proprio non ci
riusciva.
Fece ruotare per l’ennesima volta davanti ai suoi occhi il
braccialetto azzurro che teneva in mano.
Ormai era ferma a quella bancarella da circa cinque minuti ma non
riusciva nemmeno più a percepire lo scorrere del tempo,
tanto era concentrata sull’oggetto che teneva in mano.
Nemmeno lei sapeva perché, eppure era certa di essere in
qualche modo legata al piccolo pezzo di corda che stava osservando.
Non aveva niente di speciale, dopotutto:erano semplicemente dei fili di
corda azzurri, intrecciati tra loro, al centro dei quali si trovava un
piccolo ciondolo bianco e blu a forma di tartaruga; una sciocchezza da
turisti, insomma.
Eppure poco dopo, quando si rigirò il ciondolo tra il
pollice e l’indice, una visione la catturò,
trascinandola al suo interno.
Alla figlia di Tyche capitava spesso e volentieri di avere delle
visioni, tuttavia quasi mai le erano chiare, tanto che perdeva ore
intere a cercare di dare un senso a quelle più oscure e
misteriose.
Quella volta vide un enorme palazzo reale, le cui fondamenta si
ergevano a partire da un fondale sommerso.
Le pareti del palazzo erano di una roccia marina, dal colore verdastro
e tutto intorno ad esso sorgeva una sorta di parco o giardino
interamente decorato con dei coralli.
Vanille non trovava un senso a quella visione, come nella maggior parte
dei casi.
Sarebbe tanto voluta rimanere lì a ragionare su quella
visione finché non le fosse stato pienamente chiaro il
significato di essa, tuttavia proprio in quel momento
Lilian domandò:«Vanille, insomma, hai
fatto?».
Alle parole della piccola figlia di Atena la discendente di Tyche
sembrò risvegliarsi da un lungo stato di torpore.
«Sì, eccomi»rispose solamente.
Allungò l’importo del braccialetto al proprietario
della baracca e se lo infilò al polso destro, proprio sopra
la voglia bluastra a forma d’infinito:non sapeva ancora
perché ma era certa che le sarebbe tornato utile, in un
futuro non troppo lontano.
Proprio quando Vanille tornò a voltarsi con Lilian in
direzione della strada davanti a loro, un fascio di luce azzurra si
proiettò da un lato all’altro della via, sparendo
in un vicoletto non troppo distante.
Entrambe lo avevano visto, Vanille ne era fin troppo sicura.
Afferrò la mano di Lilian, stringendola attorno alla sua
sulla maniglia del trolley –avrebbe dovuto ascoltare Chieko,
in quel momento la sua valigia le era decisamente d’impaccio-
e cercò di tenere il proprio corpo davanti a quello della
più piccola, a protezione di quest’ultima, mentre
si avvicinava con fare guardingo al vicolo in questione.
La mano libera si strinse attorno all’elsa di una delle sue
due spade cinesi:non voleva farsi trovare impreparata né
tantomeno mettere in pericolo Lilian in caso di un attacco da parte di
qualche mostro o simili.
Quando però si trovarono sulla soglia del vicolo,
l’unica cosa che vi trovarono fu il nulla più
assoluto.
~ · ~
Lyssa
Lyssa si sentiva stranamente al sicuro.
Già questo l’aveva messa in guardia:da quando
aveva scoperto di essere una semidea le era sempre stato insegnato che
difficilmente si sarebbe potuta trovare in una situazione che le
consentisse di ritenersi “al sicuro”.
Eppure, osservando quelle strade con Marina Sapphire, una figlia di
Atena –pertanto di natura sveglia-, la figlia di Ade si
sentiva … protetta.
Era quella la cosa strana:sapeva che lì, più che
in qualsiasi altro posto, avrebbe dovuto sentirsi vulnerabile ed in
pericolo, in una città che non conosceva minimamente mentre
cercava nemmeno lei sapeva cosa.
Marina le sembrava abbastanza tranquilla:osservava ogni cosa intorno a
sé con attenzione e la caratteristica concentrazione dei
figli di Atena.
Proprio in quel momento, tuttavia, una strana luce azzurrognola
fendette l’aria rapida ed indomabile.
Il senso di sicurezza di Lyssa scomparve all’istante:cos’era quella luce?
Marina, al suo fianco, fu scossa da un leggero brivido –forse
tensione per l’improvvisa novità- tuttavia aveva
già puntato il proprio sguardo nel punto in cui entrambe
avevano visto la luce, un attimo prima che sparisse: un vicolo, al lato
della strada, tanto piccolo quanto invisibile.
«Questa situazione non mi piace per
niente»commentò la figlia di Atena.
Lyssa strinse il manico ligneo della propria balestra:non avrebbe
potuto essere più d’accordo con Marina.
Le due si avvicinarono lentamente al vicolo.
Avevano già qualche idea su quello che le attendeva, una
volta giunte lì:prima di partire da Tokyo quasi tutti loro
si erano imbattuti in attacchi di mostri; non sarebbe stata pertanto la
prima volta che si ritrovavano a dover fronteggiare qualche emissario
del nemico.
Eppure rimasero fin troppo sorprese quando, una volta raggiunto il
vicolo, lo trovarono vuoto e desolato.
~ · ~
Un altro passo e poi un altro ed un altro ancora:ormai esplorare Osaka
alla ricerca di ciò che li attendeva si era ridotta ad una
questione di logica, forse più per abitudine che altro.
D’altronde era sua consuetudine rendere tutto una semplice
prospettiva da poter essere osservata nel modo più
pragmatico possibile.
Un tempo avrebbe giustificato quel suo atteggiamento grazie agli
insegnamenti che gli erano stati impartiti fin dalla più
tenera età, invece ora sapeva la verità:quel
metodo di ragionamento, così lucido e preciso, gli era tanto
congeniale poiché era insito da sempre in lui per la sua
natura di semidio figlio di Atena.
Eppure c’era qualcosa, un dettaglio che continuava a sfuggire
dalla mente calcolatrice di Kidou ed era abbastanza sicuro di sapere
quale fosse il problema:amava il calcolo, qualcosa di tanto rigoroso,
perché gli permetteva di trarre soluzioni in una vita come
la sua, che tanto a lungo gli era sembrata precaria, instabile e senza
senso.
Solo che c’era sempre qualche problema ed inutile dire che il
principale, quello che generalmente lo portava ad avere soluzioni
errate ed insensate alle sue perfette equazioni di vita, fosse, alla
fine, sempre lo stesso:la vita di Kidou Yuuto era perennemente
distrutta da quella specie di variabile impazzita
dell’algebra che altro non era che Kageyama Reiji.
Era così che si sentiva, durante il loro giro di
pattugliamento attraverso le vie di Osaka, una specie di ragionamento
impazzito, come un cavallo senza briglie.
Si sentiva in qualche modo nervoso, come se sapesse che quella
situazione fosse di per sé sbagliata.
In effetti era proprio così, nulla di quella scena sarebbe
dovuto corrispondere alla realtà:lui non doveva trovarsi ad
Osaka quel giorno, non sarebbe dovuto essere il figlio di una potente
divinità venerata all’incirca tremila anni prima e
soprattutto non si sarebbe dovuto trovare in compagnia di una persona,
che aveva dato per morta per ben due anni –o meglio, lui ci
aveva provato, per quanto anche solo l’idea di convincersi di
qualcosa del genere lo disgustasse- e che ora era tornata dal regno dei
morti.
Dei, magia … come poteva convincersi che tutto
ciò fosse reale?
Era felice che Kageyama fosse di nuovo lì con lui,
nonostante una parte del suo cervello continuasse perennemente a
ripetergli che lui odiava quell’uomo, che aveva fatto del
male ai suoi amici e la lista dei suoi misfatti era piuttosto lunga.
Eppure, eppure … per la prima volta in vita sua Kidou
sentiva di poter perdonare qualcuno, nonostante tutto.
Il perché non lo sapeva nemmeno lui e forse era proprio
questo che lo faceva andare su tutte le furie:non sopportava
l’idea che Kageyama gli fosse mancato, che averlo di nuovo
accanto a sé forse in un certo qual senso rassicurante, come
se potesse dare di nuovo ordine alla sua vita.
Paradossale:di solito gliela distruggeva ben oltre i limiti del
possibile e del sopportabile, invece ora si stava praticamente
affidando a lui ad occhi chiusi per stare di nuovo bene.
Duro ammetterlo per un orgoglioso come lui ma era felice di riaverlo di
nuovo accanto a sé anche perché l’idea
che fosse morto sul serio l’aveva terrorizzato non poco:si
era abituato, ad un certo punto della sua vita, a vederlo rispuntare
fuori dal nulla e quando l’ultima volta non era successo una
strana nota di panico si era impossessata di lui.
Per quanto infatti chiunque intorno a lui si ostinasse a descriverlo
come il ragazzo più razionale del pianeta, Kidou sapeva fin
troppo bene la verità:lui non era affatto perfetto come gli
altri –Kageyama compreso- continuavano a descriverlo;al
contrario, lui sentiva così sbagliato e non era raro che
sentisse la paura impadronirsi del suo corpo.
Era cosciente che fosse stupido come atteggiamento, che non ci fosse
nulla da temere, eppure Kidou aveva un sacco di fobie, compresa quella
della morte:dopo aver perso i genitori quando era ancora molto piccolo
ed aver visto sparire più volte Kageyama dalla sua vita
–volente o nolente, era pur divenuto il suo pilastro- Kidou
si sentiva la persona con meno radici al mondo.
Ci provava a farle crescere ma poi succedeva sempre che un evento
improvviso le strappava dal terreno e di solito si trattava della cosa
che Kidou aveva più paura:la morte, in particolar modo delle
persone a lui più care.
Quell’incubo che di recente lo tormentava non era che il
culmine dei suoi terrori:come aveva detto a Kageyama, non voleva
perderlo di nuovo.
Ecco forse perché aveva bisogno di sentirselo vicino pure in
quel momento.
Perché non voleva perderlo di vista nemmeno per un istante?
La voce di Kageyama lo sottrasse dai suoi mille ragionamenti.
«E così»lo sentì commentare
infatti«hai voluto per forza che venissi con te per
accertarti che non uccidessi nessuno, sbaglio? Altrimenti suppongo che
non te ne staresti tanto in silenzio».
Kidou sentì la rabbia prendere il sopravvento su qualsiasi
altra emozione stesse provando in quel momento e
sbottò:«Ti odio».
Il figlio di Zeus tuttavia gli sorrise freddamente mentre
constatava:«Continui a ripetermelo … eppure
com’è che non ci credo per niente?».
Kidou sentì una fitta al petto:avrebbe tanto voluto sapere
cosa gli stava succedendo in quel periodo.
Distolse rapidamente lo sguardo … ora pure le lacrime …
Invece era proprio così:dietro le lenti dei suoi occhialini
sentiva formarsi, agli angoli delle cornee, piccole gocce salmastre, le
conosceva così bene.
Le ricacciò indietro, non avrebbe avuto motivo di piangere
in quel momento, inoltre perché farlo?
Si era di nuovo perso a riflettere quando il suo campo visivo
cambiò piuttosto alla svelta.
Gli ci volle qualche secondo per capire che, come al solito, era stato
Kageyama a comportare quell’ennesimo ed improvviso mutamento
nella sua vita.
Poco dopo, infatti, si ritrovò in un vicolo, piccolo, buio e
senza uscita se non la fenditura tra i due palazzi attraverso la quale
si era ritrovato catapultato in quel luogo.
Sentiva la schiena premuta contro il muro di mattoni alle sue
spalle:alcuni erano un po’ sbeccati ed al primo impatto gli
avevano lasciato dei piccoli taglietti.
Non capiva, non capiva più niente nonostante non avesse
affatto battuto la testa:perché si trovavano in quel vicolo,
perché Kageyama gli teneva le mani sui fianchi …?
No, aspetta.
Il figlio di Atena si dimenò debolmente, non riuscendo in
effetti a liberarsi dalla presa del maggiore.
Percepire la vicinanza dei loro corpi … i cuori che
battevano così rapidamente insieme …
«K - Kageyama, si può sapere cos
…»cercò di domandare Kidou.
Non riuscì a finire la frase:sentì una mano
posarsi sulle sue labbra.
Kidou andò nel panico.
Lo sapevo, non mi sarei mai dovuto fidare di lui, probabilmente non
aspettava altro se non un’occasione propizia per farmi
definitivamente fuori e distruggere il resto dei miei compagni e
mandare in fumo l’intera missione … probabile che
fosse quello che ha sempre voluto …
Prima che altri e più terribili pensieri potessero uscire
dall’angolo della mente dove si erano per tutto quel tempo
annidati, tenendosi ben nascosti, Kageyama appoggiò la
fronte alla sua e mormorò:«Guarda».
Kidou voltò lentamente lo sguardo in direzione della strada
e ciò che vi vide bastò a smentirlo da
lì all’eternità.
Un mostro che sembrava essere fatto interamente di fango stava
attraversando la stessa strada dove, fino a pochi istanti prima, si
erano trovati anche loro.
Lo aveva salvato.
Kageyama l’aveva salvato.
L’aveva salvato l’aveva salvato l’aveva
salvato!
Kidou cercò di calmarsi, imponendo a se stesso profondi
respiri, mentre il suo cuore tornava a pulsare in modo decisamente
più lento ed accettabile, nonostante il battito non fosse
ancora del tutto regolare per la vicinanza al figlio di Zeus.
Il mostro scomparve, prendendo la direzione dalla quale erano arrivati
e lentamente Kageyama allontanò la mano dalle labbra di
Kidou.
«Scusa»mormorò il figlio di Atena,
sentendosi mortalmente in colpa per aver dubitato di lui.
Kageyama sorrise e per una volta a Kidou sembrò un sorriso
gentile mentre replicava:«Scusa per cosa? L’unico
qui che dovrebbe scusarsi sono io, considerando lo spavento che ti ho
fatto prendere».
Kidou si chiese se si stesse riferendo all’attacco appena
sventato od a tutte le loro disavventure passate.
Cercò di scacciare via quel pensiero –senza, come
al solito, riuscirci del tutto- mentre si costringeva a
chiedergli:«Cos’era quel mostro?».
Kageyama poggiò nuovamente la fronte contro quella di Kidou
mentre spiegava:«Un figlio della Terra, perlomeno questo
è il nome che gli hanno dato. Mi chiedo cosa ci faccia qui,
in pieno centro ad Osaka. Temo che sia un emissario del nemico e che ci
abbia seguiti fin qui. Inoltre ho paura che la mia aura di potere
l’abbia attirato:i figli della più potente
divinità greca devono essere certamente uno spuntino
prelibato per i mostri. Perdonami, Kidou, non volevo metterti in
pericolo …».
«Non potevi saperlo»lo tranquillizzò il
figlio di Atena«è tutto a posto, sul
serio».
Averlo detto sembrò tranquillizzare lo stesso Kidou.
Kageyama gli lasciò i fianchi, accarezzandogli una guancia.
«Mi sei mancato»ammise.
C’era qualcosa che non andava in quella voce, di solito
così ferma ed imperturbabile, sembrava come sul punto di
spezzarsi, tanto che Kidou si chiese se gli Inferi non avessero
lasciato una ferita incurabile nell’animo di Kageyama.
Il cuore del figlio di Atena si trovò stranamente sorpreso e
concorde quando si costrinse a rivelargli:«Mi sei mancato
anche tu … e sono felice che ora tu sia di nuovo qui con
me».
Poggiò la fronte contro quella del maggiore mentre lo
sentiva ribattere:«Te l’ho già detto,
non me ne vado più».
Kidou non aggiunse altro ma la verità era che era felice di
sentir dire quelle cose da Kageyama:da giorni aveva paura di perderlo
di nuovo e non si era ancora reso conto che quelle parole erano
l’unica cosa di cui, in quel momento, avesse bisogno.
«Dobbiamo andarcene»gli comunicò il
figlio di Zeus«quel mostro potrebbe tornare indietro da un
momento all’altro».
Kidou annuì e convenne:«Va bene. Come
procediamo?».
Kageyama sembrò riflettere attentamente prima di
affermare:«Voleremo. Essendo figlio di Zeus, posso percorrere
delle brevi tratte alzandomi in volo e fruttando le correnti.
Così per i mostri sarà più difficile
sia percepire la nostra presenza che attaccarci».
Kidou roteò gli occhi e chiese:«Perché
non ci hai pensato prima?».
Kageyama guardò a terra ed ammise:«Per me comporta
il dispendio di molta energia, potrei non essere di nessuna
utilità se ci ritrovassimo nel bel mezzo di un duello in un
futuro non troppo lontano. Inoltre da terra avremmo potuto osservare
meglio le strade ma come hai potuto ben vedere non credo sia possibile
farlo oltre».
«Scusa»si affrettò a giustificarsi
Kidou«e soprattutto grazie. Per avermi salvato,
intendo».
«Figurati, era il minimo»concluse solamente
Kageyama.
Pochi secondi dopo si ritrovarono a volteggiare sopra Osaka.
Kidou strinse le braccia attorno al collo di Kageyama e
lasciò che il figlio di Zeus gli cingesse la vita:era
rassicurante la vicinanza con il suo corpo.
La vista dall’alto era a dir poco sorprendente:da quella
quota qualsiasi palazzo, perfino quelli più alti, che da
terra sembravano a dir poco immensi, ora non erano ridotti a
nient’altro che piccoli punti indistinti.
A Kidou piaceva quella prospettiva, lo faceva sentire così
insignificante, proprio come si sentiva sempre, certo, solo che non del
tutto:da lì ci si rendeva veramente conto delle dimensioni
ed era lì che si comprendeva che non c’era poi
molta differenza tra un ragazzo ed un grattacielo.
Entrambi sono soggetti allo scorrere del tempo, entrambi, prima o poi,
crolleranno.
«Da laggiù cosa penseranno di
noi?»chiese Kidou.
Pensava che il fischio del vento avesse impedito a Kageyama di sentire
le sue parole, ridotte quasi ad un sussurro, tuttavia poco dopo il
figlio di Zeus spiegò:«Non possono vederci. La
Foschia magica avvolge tutti, mostri e mortali, tanto che la maggior
parte dei fenomeni divini e semidivini sono praticamente invisibili per
il resto del mondo. Attualmente, noi due siamo compresi nei fenomeni
resi invisibili dalla Foschia».
La discesa fu lenta ed a Kidou risultò piacevole, come
d’altronde il resto del viaggio.
Atterrarono su una piccola spiaggia presso la foce del fiume che
attraversava Osaka.
Su quelle stesse sponde trovarono Rachel e Midorikawa:la figlia di
Poseidone sembrava concentratissima sul fondale sotto di lei ma
all’arrivo degli altri due si era subito voltata nella loro
direzione, abbandonando così la sua osservazione
dell’Oceano.
La ragazza dai capelli del colore del mare domandò ai due
semidei appena sopraggiunti sul luogo:«Che ci fate voi
qui?».
«Siamo appena scampati ad un
attacco»tagliò corto Kidou«voi,
piuttosto:cosa state facendo qui?».
Rachel alzò le spalle ed ammise:«Credo di aver
trovato il nostro passaggio:è là sotto. A quanto
pare c’è un problema ed ho come la netta
impressione che toccherà a noi mettere le cose al loro
posto».
Kidou annuì e comprese:«Dobbiamo andare a chiamare
gli altri»
«Ci penso io»propose tempestivamente
Kageyama«volando non ci metterò più di
cinque minuti a radunare tutti ed ad indirizzarli qui alla foce del
fiume».
Kidou non ne era sicuro ma
acconsentì:«D’accordo,
andiamo».
Tuttavia Kageyama gli rivolse un sorriso appena accennato, che fece
intuire a Kidou di non aver afferrato una parte del piano, cosa di cui
ebbe la conferma quando il figlio di Zeus gli
annunciò:«No, Kidou, stavolta vado da solo:non ho
intenzione di metterti di nuovo in pericolo».
«Ma …»fece per protestare il figlio di
Atena.
La protesta fu facilmente messa a tacere da Kageyama, che
concluse:«Niente ma, ragazzo».
Per un attimo la familiarità della situazione fece sentire
Kidou di nuovo alla Teikoku e la cosa lo rese stranamente felice.
Poco dopo tuttavia si ricordò di trovarsi a chilometri da
Tokyo e non gli rimase altra cosa da fare che osservare Kageyama,
mentre si allontanava per l’ennesima volta e ritrovandosi a
sperare, come al solito, che non fosse l’ultima.
* Angolo
dell’esaurimento nervoso *
Non guardatemi in quel modo e soprattutto sappiate che vi vedo, eh.
Bonsoir popolo di Efp!
Come va? Spero tutto bene … io mica tanto:questo capitolo
è lunghissimooooo
(…)
E questo mi rende molto stanca. Già.
Tuttavia eccomi qua! * compaiono festoni alle sue spalle *
Vi sono mancata? Almeno un pochino – ino - ino?
Cominciamo con le scuse random:scusate se il capitolo è
lungo, se sono tipo scomparsa per eoni, se le OC appaiono una volta
sì e cento no e via discorrendo.
Teoricamente dell’ultimo punto del mio elenco di scuse manco
potreste lamentarvi più di tanto visto che vi avevo promesso
che in questo capitolo ci sarebbero stati i vostri personaggi ed
è uscito fuori un papiro egizio proprio per questo, visto
che avrei potuto dividere il suddetto papiro in due capitoli ma alla
fine ho deciso di non farlo per non farvi soffrire oltre.
Sapete che sono sadica, pertanto io fossi in voi mi riterrei fortunata
u.u
Dopodiché passo a ringraziare chiunque sia riuscito ad
arrivare alla fine di questa tortura cinese e chiunque
–nessuno- recensirà, oltre ovviamente a quelle due
anime pie di Sissy
e rie (a
proposito, per quest’ultima:ora rispondo subito al tuo MP)
che mi sopportano nonostante tutto.
Ciò detto vorrei precisare una cosa:lo so che sono passata
dalla prima alla terza persona, ho cambiato ottanta POV e quello di
Kidou non l’ho specificato, grazie, non
c’è bisogno che me lo veniate a dire. Lo so ed
è tutto molto intenzionale:a me personalmente piace di
più così e quando ho scritto il capitolo ho
sentito che era la cosa giusta da fare <3
Vorrei chiedervi, riguardo a ciò, cosa pensate di questo
capitolo:sbizzarritevi gente ma soprattutto fatemelo sapere tramite
recensione. Questa finora è stata la parte sulla quale mi
sono impegnata maggiormente quindi ci tengo tanto tantissimo a sentire
le vostre opinioni in merito ~
A proposito:come ho reso le vostre OC? Ho cercato di prendere gli
aspetti specifici di ciascuna nel descriverle, quindi speriamo bene!
Prima di andarmene, siccome oggi mi sento clemente vi lascio pure
l’indovinello
Cosa ha scoperto Rachel?
Io ora potrei anche andarmene, però prima ho una
comunicazione di servizio:probabilmente la long si fermerà
per un po’ causa scuola. Spero di riuscire a pubblicare il
prossimo capitolo per i primi giorni di settembre, dopodiché
vorrei prendermi una pausa per concentrarmi:sono al penultimo anno di
liceo, l’anno prossimo mi diplomo ~
Ci si sente
Aria_black
|