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Autore: _ A r i a    23/08/2015    7 recensioni
{Storia ad OC | Iscrizioni chiuse} {Percy Jackson!AU}
La vista dall'alto era a dir poco sorprendente:da quella quota qualsiasi palazzo, perfino quelli più alti, che da terra sembravano a dir poco immensi, ora non erano ridotti a nient'altro che piccoli punti indistinti.
A Kidou piaceva quella prospettiva, lo faceva sentire così insignificante, proprio come si sentiva sempre, certo, solo che non del tutto:da lì ci si rendeva veramente conto delle dimensioni ed era lì che si comprendeva che non c'era poi molta differenza tra un ragazzo ed un grattacielo.
Entrambi sono soggetti allo scorrere del tempo, entrambi, prima o poi, crolleranno.
Genere: Avventura, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: AU | Avvertimenti: Contenuti forti
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Si ringrazia rie (endorphin) per il banner~


Ci si aspetterebbe che fossi crollata a dormire come un sasso, finalmente al sicuro nella cuccetta di quella vecchia locomotiva, circondata da amiche e persone delle quali mi fidavo.

Invece no.

Come avrei potuto dormire?

Ero arrivata in Giappone nemmeno una settimana prima e nel frattempo avevo scoperto di essere la discendente di un’antica divinità greca –che, guarda caso, per quanto potessi dubitarne, esisteva sul serio- e del resto lo era praticamente chiunque mi circondasse, comprese le tre persone che erano con me, in quell’esatto momento, nel mio stesso scompartimento notte in quel treno, che consideravo amiche nonostante l’unica cosa che attualmente ci unisse fosse quel disperato senso di terrore.

Nina era sotto di me, stando alle posizioni che ci eravamo date per quegli assurdi letti a castello.

Farla dormire sopra sarebbe stato un suicidio:nei giorni precedenti alla partenza, infatti, mi ero accorta che, a modo suo, sapeva essere imbranata.

La sua determinazione infatti la portava spesso e volentieri ad essere così concentrata quando faceva qualcosa da farla quasi apparire come una persona con la testa perennemente tra le nuvole; non che ci fosse sul serio, solo che era così concentrata da dimenticarsi di ciò che c’era intorno a lei.

In parte le ero grata perché, qualche giorno prima, mi aveva praticamente salvato la vita.

Uscite da scuola stavamo camminando insieme, dirette verso le nostre reciproche abitazioni, quando una ragazza abbastanza alta ci aveva avvicinate con una scusa apparentemente stupida –chiederci informazioni- e noi l’avevamo seguite in un vicolo che solo dopo ci eravamo rese conto essere cieco.

La scusa sarebbe pure potuta essere realistica:non aveva tratti orientali, sembrava piuttosto essere, come me, americana, al massimo comunque occidentale, considerata la carnagione lattea, i capelli biondi e gli occhi di un colore chiaro, tra il verde e l’azzurro.

Verde acqua, ecco; mi sembrava di ricordare il nome di un colore simile.

Solo che, una volta in quel vicolo buio, la ragazza si era rivelata per ciò che era realmente:i lunghi capelli dorati si erano tramutati in lingue di fuoco, la pelle sembrava vecchia di millenni ed avvizzita, gli occhi pari a due tizzoni ardenti.

Non aveva gambe, quella definizione sarebbe stata troppo clemente.

Una aveva le fattezze equine, il vello quanto di più simile avessi mai visto a quello di un vero asino, mentre l’altra sembrava essere di nientemeno che bronzo.

Ero terrorizzata, incapace di muovermi, se non fosse stato per Nina sarei morta.

«I tuoi capelli vanno a fuoco»aveva fatto notare a quella creatura mostruosa, una punta di ovvietà nella voce.

Aveva attirato così tutta l’attenzione del mostro su di sé e mi era sembrato di rendermi conto solo in quel momento quanto fosse in pericolo la mia amica ed io ero lì, che non riuscivo a muovermi od ad esserle d’aiuto in nessun modo, bloccata in quell’impasse di terrore misto a stupore che congelava qualsiasi idea di movimento potesse passarmi per la mente in quell’istante e mi lasciava lì, gelata sul posto.

Fu allora che mi sorprese.

Vidi qualcosa di piccolo e sottile attraversare l’aria, fenderla come una piccola scia argentea, da Nina al mostro.

Quell’oggetto –che ancora non ero riuscita ad identificare- si era conficcato nel fianco del mostro.

In un primo momento quell’essere sembrava essere rimasto perfino più sconcertato di me, tuttavia ben presto la sua sorpresa si era tramutata in rabbia quando si era reso conto che ora era totalmente incapace di muoversi.

«Veleno paralizzante»spiegò Nina, come se il solo fatto che avesse appena lanciato con mira perfetta un microscopico aghetto intriso di veleno paralizzante nel fianco di un mostro fosse la cosa più naturale ed ovvia del pianeta.

Dopotutto, era di Nina che si stava parlando.

Era stato solo allora che ero riuscita a risvegliarmi da quella sorta di stato di trance.

Avevo estratto il pugnale da caccia che mia madre mi aveva donato insieme all’arco –preferivo di gran lunga il pugnale all’arco, visto che intralciava meno i miei movimenti- e mi avvicinai alla creatura.

Non sapevo per quanto ancora il veleno di Nina avrebbe avuto effetto sulla creatura, perciò mi resi conto che avrei dovuto agire al più presto possibile per non finire affettata.

Non che fossi entusiasta all’idea di pugnalare un mostro, diciamo però che l’istinto di sopravvivenza del quale aveva parlato mia madre ebbe la meglio:considerando che morire sbranata da un mostro non era di certo la vocazione della mia vita, infilai il pugnale senza pensarci oltre nel petto della creatura.

Quello era praticamente esploso, rivestendoci da capo a piedi di polvere giallastra –essenza di mostro, avremmo scoperto poi-.



Quello stesso pomeriggio, eravamo stati tutti convocati per una riunione d’emergenza presso la residenza dei Kidou. Di nuovo.

Non era infatti la prima volta che capitava:subito dopo la visita di mia madre –e la conseguente scoperta di essere semidei- ci eravamo ritrovati tutti lì, nella grande e lussuosa villa del ragazzo strano e misterioso che avevo conosciuto giusto qualche giorno prima.

Fondamentalmente avevamo scelto casa sua come punto di ritrovo strategico e provvisorio per un unico motivo:era l’unica sufficientemente grande da poter ospitare tutti noi senza troppe ristrettezze.

Ad ogni modo, anche altri ragazzi spiegarono di essere stati vittime di attacchi di mostri, lo stesso Kidou era tra questi.

Sulla strada di casa lui ed il suo amico Sakuma erano stati attaccati da un’arpia:grazie al cielo lo stratega della Inazuma Japan era riuscito a liberarsene con un solo colpo di spada.

Sembrava però restio a vantarsene e non credevo lo facesse per modestia:non lo conoscevo, d’accordo, eppure potevo vedere da chilometri di distanza il suo tormento che mi fece intuire che doveva esserci qualcosa di più, che stava evitando di dirci.

Fu Kageyama a zittire una volta i suoi tentativi di distogliere l’attenzione da sé, commentando:«Per quanto tu possa cercare di sminuirti, Kidou, non hai comunque nessun modo per cancellare ciò che hai fatto».

Il rasta aveva deviato rapidamente la direzione del suo sguardo, dimostrandosi improvvisamente disinteressato alla conversazione; non mi era comunque sfuggito il piccolo accenno di rossore sulle sue guance.

Era pressoché impossibile definire l’influenza di Kageyama nella vita di Kidou, seppure quest’ultimo continuasse ad insistere che non avesse più peso alcuno da molto tempo.

Inutile, c’era qualcosa che non mi tornava in come il figlio di Zeus non riusciva a staccare per un istante lo sguardo dal suo ex allievo:era come se, anche se in un modo tutto loro, continuassero a cercarsi, dopo tutti quegli anni, se per rimettere insieme i cocci o meno del loro rapporto non avrei saputo dirlo.

Eppure non ero riuscita a non chiedermelo:era possibile rimettere insieme i pezzi di un rapporto tanto travagliato, per giunta dopo tutto quel tempo?

Kageyama non riusciva a sopportare l’idea che il figlio di Atena si fosse ritrovato sotto attacco, senza avere la minima idea di come potersi difendere.

«Dobbiamo andarcene da qui»aveva annunciato«gli attacchi che stiamo subendo sono la prova tangibile che i mostri emissari dei nemici ci hanno accerchiati. Sanno dove viviamo, conoscono le nostre abitudini. Chi altro è stato attaccato oggi?».

Quasi tutti alzarono la mano.

Quando toccò a me spiegare da parte di cosa avessi subito un attacco, cercai di fornire una descrizione quanto più dettagliata possibile.

«Un’empusa»dichiarò senza troppe difficoltà il figlio di Zeus.

Quando tutti ebbero raccontato le proprie difficoltà giornaliere, Kageyama riprese:«Capite cosa intendo adesso? Siamo troppo esposti qui. Come se tutto ciò non bastasse, finché non recupereremo lo scettro gli attacchi non cesseranno, mettendo in pericolo anche persone innocenti. Pertanto, sarà meglio partire quanto prima, tanto dovevamo comunque recarci ad Okinawa per raggiungere gli altri sull’isola. Ora dobbiamo solo trovare il modo per arrivare lì, possibilmente vivi».

Capii al volo che Kageyama, oltre ad essere un uomo estremamente pragmatico, era anche dotato di ottime capacità retoriche.

Così era venuto fuori che saremmo partiti di lì a pochi giorni, in treno, verso Osaka.

Mio padre non era tornato a casa in quei giorni ed al telefono non era mai raggiungibile:all’osservatorio astronomico c’era un pessimo segnale.

Gli lasciai un messaggio sul tavolo della cucina, cercando di apparire quanto meno preoccupata possibile nell’annunciargli che avevo preso parte ad una ricerca scolastica che mi avrebbe portata fuori città per parecchi giorni.

Evitai di inserire la parte che spiegava che stavo praticamente prendendo parte ad una malata sorta di missione suicida che implicava la presenza di divinità greche, magia e mostri:ci mancava l’allarmismo di mio padre ed il quadro sarebbe stato completo.



Così eccomi qui, nella mia cuccetta, sveglia in seguito all’ennesimo incubo da semidea mentre mi rigiravo inutilmente tra le lenzuola.

Mi decisi a scendere lentamente giù dal mio letto, facendo molta attenzione a non svegliare le altre che dormivano con me.

Atterrata in punta di piedi mi guardai attorno:Nina, nel letto sotto il mio, dormiva come un sasso; quanto al letto a castello di fronte al nostro, Chieko –nel letto in basso- riposava tranquilla, mentre Rin –nel ripiano più alto- agitava di continuo le mani, perfino nel sonno.

Normale per un figlio di Efesto, dio dei fabbri –abituati ad avere le mani continuamente in fermento, alle prese con viti, bulloni e quant’altro- e soprattutto per i semidei, perennemente affetti da iperattività, che li rendeva incapaci di stare fermi anche solo per un secondo.

M’infilai solo le scarpe:vantaggio di dormire vestita, in caso di qualsiasi evenienza e sgattaiolai quanto più silenziosamente possibile fuori dalla cuccetta.



Ero felice delle mie compagne di stanza.

Nei momenti trascorsi insieme avevamo scoperto tante cose di noi:eravamo tutte e quattro figlie di divinità diverse, eppure ci trovavamo abbastanza in sintonia tra noi.

Nina era figlia di Demetra, l’aghetto che aveva tirato contro quel mostro ne era una prova:era infatti un’esperta di piante, dalle quali per l’appunto riusciva ad estrarre quelle sostanze nocive, dove intingeva poi i suoi aghi.

Rin, come dicevo, era un’allegra ed esuberante figlia di Efesto e le sue mani sempre pronte all’azione erano la dimostrazione più lampante che si potesse desiderare.

Quanto a Chieko, lei era una figlia di Atena e non ne ero rimasta poi così sorpresa:già dai pochi momenti in cui ci eravamo parlate avevo notato la sua intelligenza.

Ed io?

Io ero solo la figlia di Artemide, quella di cui nessuno sente mai la necessità … ancora mi chiedevo quale fosse la mia utilità all’intero di quella missione.



In corridoio incontrai Shirou, il ragazzo che avevo conosciuto qualche giorno prima:probabile che qualche incubo tenesse sveglio anche lui.

Era in piedi, nel bel mezzo del corridoio del vagone, accanto ad un ampio finestrino nel cuore della notte.

Mi pareva di ricordare che sopra la sua testa fossero apparsi dei fiocchi di neve, al momento del riconoscimento:Chieko mi aveva spiegato che era il simbolo dei figli di Chione, la dea della neve.

Non sapevo ancora cosa pensare di Fubuki Shirou:era sempre così silenzioso, eppure sentivo qualcosa attrarmi perennemente verso di lui, in direzione di quei suoi infiniti silenzi.

«Buonasera»mi salutò in un sussurro.

«Ehi»ricambiai, un po’ in imbarazzo«che ci fai qui?».

Lui si lasciò sfuggire un sorriso che mi sembrò immensamente triste, tuttavia si limitò a rispondere:«Beh, credo più o meno quello che stai facendo tu:non riesco a dormire a causa degli incubi, così eccomi qui a vagare per il treno, al buio, nel cuore della notte. Con l’unica differenza che Kidou mi ha definitivamente svegliato quando se ne è uscito dalla nostra cabina».

Non mi focalizzai sull’ultima parte della frase, visto che mi limitai a spiegarmi:«No, intendevo perché sei proprio qui, in questo corridoio».

Lui indicò la porta socchiusa alle sue spalle e riprese:«Sono qui per lui. Quando l’ho sentito uscire dalla cabina ho deciso di seguirlo:tanto ormai ero sveglio, inoltre non volevo che si cacciasse nei guai. Invece, quando sono arrivato qui … oh, controlla tu stessa, altrimenti non mi crederai».

Si scansò appena, lasciandomi lo spazio necessario per attraversare il corridoio che mi restava da percorrere, così cominciai ad avvicinarmi alla porticina in fondo al vagone.

Quando passai accanto a Shirou, sentii una ventata d’aria gelida avvolgermi:poteri da figlio della dea della neve, suppongo.

Mi sbrigai a raggiungere la porta:non avevo intenzione di mettermi a riflettere su quell’improvviso gelo.

Cercando di fare quanto meno rumore possibile, sbirciai oltre questa:Kidou era veramente lì ma la cosa più paradossale era che si trovava tra le braccia di Kageyama.

Per giorni non aveva fatto altro che cercare di metterci in guardia su quanto non avrebbe fatto altro che farci finire ammazzati in qualche luogo ed ora lì, con la schiena contro il petto di quello che spergiurava fosse il suo peggior nemico?

Oh, il mondo stava proprio andando alla rovescia.


Non sentivo cosa si stessero dicendo, il rumore del treno che scivolava sulle rotaie era così stridente ed intenso da rendermi difficile perfino udire il mio stesso respiro.

Sempre che si stessero dicendo qualcosa, certo:a volte abbiamo solo bisogno della vicinanza alle persone che per noi sono importanti, senza la necessità di parole.

Si separarono di colpo e capii che a breve sarebbero rientrati nel vagone e che sarebbe stato meglio che non ci avessero trovati lì a spiarli.

Ero comunque contenta che il gruppo fosse unito:per giorni avevo temuto che eventuali litigi tra Kidou e Kageyama durante il viaggio potessero rovinare l’umore generale.

A quanto pareva, il mio era stato solo un timore infondato.

Raggiunsi rapidamente Shirou e gli comunicai:«Credo che stiano per rientrare».

Lui annuì, comprensivo, dunque senza troppe cerimonie mi salutò:«Allora buonanotte».

«Buonanotte»ricambiai, prima di vederlo sparire nel buio del vagone.

Mi sbrigai a tornarmene nella mia cabina:feci giusto in tempo a rientrare nella cuccetta prima di sentire dei passi svelti attraversare il corridoio; ero quasi certa che fossero quelli di Kidou.



La mattina seguente ci svegliammo di buon ora:il treno sarebbe arrivato in stazione ad Osaka alle nove e non avevamo molto tempo per fare colazione e recuperare tutti i bagagli, così ci avviammo in fretta verso il vagone ristorante.

Fummo una delle prime camere a giungere sul posto:non c’erano altre ragazze e gli unici altri presenti erano i ragazzi della camera di Kidou.

E Kageyama, certo.

Il figlio di Atena sembrava avere la testa da tutt’altra parte, mentre osservava con estrema concentrazione il passaggio che sfrecciava davanti ai suoi occhi, al di là del grande finestrino dell’area di ristoro del treno.

Il figlio di Zeus, in piedi con la schiena poggiata contro la parete opposta, sembrava incapace di scollargli gli occhi di dosso.

Poco dopo il vagone cominciò a popolarsi di tutti gli altri ragazzi e ragazze, chi più chi meno assonnato.

Ci sedemmo tutti intorno al lungo tavolo che occupava quasi interamente il vagone e cominciammo la colazione tra le varie chiacchiere.

 


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Quando Kidou si rese conto che il suo ex allenatore si era seduto accanto a lui cercò di non darci peso.

Beh, perlomeno finché si rese conto che si erano appena passati a vicenda la loro bevanda mattutina preferita.

Se la ricordavano ancora … dopo tutto quel tempo …

Fecero quello che avevano sempre fatto e per il quale sembravano avere un talento naturale:fingere che non fosse successo niente.

Kidou si limitò a prendere la sua spremuta d’arancia dalla mano di Kageyama, sorseggiando con gusto il contenuto del bicchiere limpido come cristallo.

Aveva ignorato –per quanto gli era stato possibile, certo- l’aver sfiorato la mano dell’altro ed aveva letteralmente strattonato il bicchiere via dal palmo del figlio di Zeus, concentrandosi al massimo sul gusto leggermente acidulo della spremuta.

Kageyama, d’altronde, non aveva fatto commenti sul suo caffè, corto ed amaro:nemmeno un filo di zucchero, proprio come piaceva a lui.

Rimaneva sempre più sorpreso ogni volta che aveva l’opportunità di constatare quanto fosse sconfinata la memoria del suo ex allievo.

Cosa che, per quanto cercasse di non darlo a vedere, apprezzava e non poco.

Un colpo di tosse palesemente finto si levò dall’estremità opposta del tavolo ed entrambi si voltarono in direzione del rumore inconsueto.

La visuale era in parte ridotta dai posti in fondo al vagone che avevano occupato –per limitare la conversazione con gli altri al minimo, come sempre- ma potevano comunque riconoscere Endou, in uno dei posti più centrali.

Si era alzato in piedi ed aveva assunto un’aria quanto più seria quando cominciò:«Allora … a breve il treno arriverà in stazione ad Osaka. Solo, una volta lì … cosa dovremmo fare, esattamente?».

Kidou si sentì al centro dell’attenzione in modo preoccupante:detestava esservi, ecco perché a volte tendeva a cercare di isolarsi.

Tuttavia sapeva che i suoi compagni –specie i ragazzi della squadra- facevano molto affidamento su di lui, considerandolo come un “mentore”, se così lo si poteva definire:responsabilità implicite nell’essere il primo stratega, probabilmente.

Il figlio di Atena sospirò e spiegò:«Beh … avevo avuto un’idea. Se quello che ha detto Artemide è vero, ad Osaka dovremmo riuscire a trovare il nostro passaggio per il meridione. Perlomeno questo è la teoria che mi sono fatto. L’unico problema sorge quando non abbiamo la più pallida idea di dove e soprattutto come trovare questo “passaggio”. Credo che sia qualche trabocchetto sotto».

«Una missione»sentì concordare qualcuno accanto a lui.

Ci impiegò qualche secondo per realizzare che era stato proprio Kageyama a parlare e che, soprattutto, stava concordando con lui.

Possibile che le loro menti dovessero essere sempre così collegate?

Kidou lo fissò dubbioso e domandò:«Prego?».

Il figlio di Zeus alzò all’istante lo sguardo su di lui, puntandolo in direzione dei suoi occhi, quindi spiegò: «Sarebbe troppo semplice se, una volta arrivati ad Osaka, avessimo semplicemente trovato il passaggio per Okinawa. Ben poco nello stile degli dei, diciamo. Pertanto credo che, al nostro arrivo, ci sarà ad attenderci una missione o qualcosa del genere».

Detestava essere d’accordo con lui.

Sapeva perfettamente che aveva ragione, eppure dargliene atto era decisamente così poco da Kidou Yuuto.

Si limitò a lasciarsi sfuggire un sospiro, forse troppo rumoroso, che fece ridacchiare mezzo vagone.




«Hai intenzione di portarti sul serio tutta quella roba?».

Chieko era incredula:era abituata al proprio intelletto pragmatico che le aveva fatto bastare una borsa ben ragionata ed organizzata, con dentro tutto ciò che potesse servirle.

Lo stesso per quasi tutte le ragazze ed i ragazzi.

Sapeva però già da principio che Vanille non ce l’avrebbe fatta:così eccola lì, sulla banchina, appena dietro la linea gialla, con il suo trolley azzurro, di medie dimensioni.

«Che c’è? Ho preso solo lo stretto indispensabile!»si difese la bionda, sistemandosi la ciocca color pistacchio dietro l’orecchio.

Tutti conoscevano fin troppo bene Vanille:era sempre alla moda, senza nemmeno farci caso; era pertanto chiaro che si fosse portata tutti quei vestiti, la moda era sempre in continuo mutamento.

Rin era d’accordo con Chieko:la figlia di Efesto adorava la precisione, come quella di Atena, peccato non fosse ordinata tanto quanto lei.

I figli di Efesto erano in continuo mutamento ben più della moda di Vanille, inutile negarlo, pertanto non era affatto inusuale che vivessero nel disordine delle loro stesse invenzioni!

In quel momento Kidou avrebbe solo voluto riportare un po’ d’ordine tra i ragazzi, tanto la sua stabilità mentale era a rischio ma giusto un secondo prima che potesse aprire bocca sentì qualcuno alle sue spalle gridare:«Yu-uh! Ragazzi? Sono qui!».

Alla maggior parte dei presenti non ci volle molto per collegare le informazioni in loro possesso:voce squillante ed Osaka, la risposta non poteva che essere una.

Rika Urabe.


La loro vecchia amica era proprio lì, alle loro spalle, un paio di grossi occhiali da sole dalla montatura di plastica rosa a coprirle gli occhi.

«Rika!»esclamò Endou, a dir poco sorpreso«Che ci fai da queste parti?».

La ragazza sorrise affabile mentre si avvicinava a loro e spiegava:«Beh … sono stata avvisata del vostro imminente arrivo qualche giorno fa, così eccomi qua!».

Kidou aveva già intuito che Rika non era venuta a conoscenza del loro viaggio in direzione Osaka tramite mezzi di comunicazione umani:non avevano detto a praticamente nessuno della loro partenza, né tantomeno del loro viaggio.

Allora come faceva a saperlo lei?

Un sospetto prese a farsi strada nella mente del figlio di Atena.

Se ci sono anche altri semidei sparsi in giro per il mondo, come Tsunami ad Okinawa, allora probabile che anche Rika …


Non fece in tempo a finire di formulare la propria ipotesi che la Urabe aveva già estratto uno specchietto dalla propria borsetta.

Era piccolo e rotondo, dalla superficie dorata.

«È stato questo ad avvisarmi»confessò la giovane dai capelli turchini.

Kidou osservò meglio –per quanto gli fosse possibile, mentre tutti si affollavano intorno a Rika per vedere l’oggetto che teneva in mano- lo specchietto.

Sembrava un normalissimo contenitore per cipria, tanto che Rika lo aprì e lo richiuse un paio di volte, per mostrare a tutti che funzionava correttamente.

Una volta che Rika ebbe abbassato e richiuso per un’ultima volta il coperchio dello specchietto, Kidou notò un dettaglio che in precedenza gli era sfuggito:al centro della parte superiore del portacipria, infatti, era riportato una piccola raffigurazione, leggermente in rilievo.

Sembrava essere … una colomba.

Rika ci passò sopra il pollice con una facilità disarmante e di lì a poco lo specchietto prese a mutare sotto i loro stessi occhi increduli, tramutandosi in un pugnale dalla lama di bronzo, lunga all’incirca una ventina di centimetri.

«Afrodite»commentò Chieko, quasi in un sussurro.

«Esatto»convenne Rika, infilandosi il pugnale in un passante dei jeans«È stata lei a donarmelo. Attraverso il vetro ricevo visioni da parte degli dei, invece se passo un dito sulla colomba, l’animale sacro di mia madre, lo specchietto si trasforma in un pugnale».

«Che forza!»commentò una vocina alle spalle di Kidou.

Voltandosi, intravide gli occhioni grigi di Lilian, la più piccola del gruppo, una bambina di soli undici anni che, come lui, era figlia di Atena.

Vanille la prese in braccio e le lasciò osservare da più vicino il pugnale magico di Rika:si poteva dire tutto sulla figlia di Tyche ma non di certo che non ci sapesse fare con i bambini.

Nel frattempo Rika riprese:«Avevo visto nello specchio che sareste arrivati ma non ho la più pallida idea del motivo».

«Artemide ci ha indirizzati qui»spiegò Shirou«dobbiamo recarci a sud per recuperare, da quanto ho capito, un prezioso scettro prima che dei mostri ci uccidano tutti. Ah, e dobbiamo raggiungere Okinawa, dove altri nostre vecchie conoscenze che si sono rivelati essere semidei ci stanno aspettando e per fare ciò dobbiamo prima svolgere una missione o qualcosa del genere».

Rika soffiò debolmente ed obiettò:«Prendere una nave no, eh?»

«Magari fosse così facile»ammise sconsolato Kidou«temo però che gli dei ci abbiano preparato qualche deliziosa sorpresa o qualcosa del genere».

«Capisco»commentò la Urabe, lasciando volteggiare i suoi capelli turchesi nello spazio intorno a lei«vorrà dire che mi toccherà aiutarvi, essendo l’unica un pizzico più esperta del luogo, visto che, beh … non so, ci abito?».

«Potrebbe essere un’idea»acconsentì il ragazzo con gli occhialini.  

Rika sorrise compiaciuta e propose:«Potremmo dividerci in coppie od in piccoli gruppi, così riusciremmo a controllare ogni angolo della città».

Era una buona idea, tuttavia Kidou non ne sembrava del tutto convinto, infatti poco dopo ribatté:«Ma se ci dividessimo non sarebbe troppo pericoloso? Voglio dire, se ci separassimo e venissimo attaccati sarebbe difficile venirne fuori illesi. Dopotutto non ci siamo mai allenati per affrontare una battaglia al meglio».

Il rasta si sorprese non poco quando, non poco, Kageyama gli fece notare:«Vero, tuttavia dividendoci potremmo confondere possibili assalitori, inoltre in piccoli gruppi la possibilità di difendersi con successo aumenterebbe di molto».

Perché doveva sempre avere ragione?


«Allora è deciso!»esclamò Endou, tutto contento«ci divideremo in coppie ed ognuno di noi controllerà in un certo angolo di Osaka alla ricerca del nostro “passaggio verso il sud”!».

Dopodiché, si scatenò la confusione più totale:gente che correva da una parte all’altra, ragazze che afferravano possessivamente i loro compagni sottobraccio, altre –ed altri- che si guardavano intorno spaesati.

Fubuki lanciò uno sguardo in direzione di Phoebe e cominciò:«Credo che io andrò con …».

Proprio in quel momento Nina abbracciò Phoebe ed esclamò:«Io vengo con te!».

Phoebe ridacchiò e concesse:«Ahah, d’accordo!».

«… Gouenji»concluse con aria leggermente affranta Shirou.

«Sono sorpreso»ammise Shuuya, osservando l’amico.

«Oh, mai quanto me, fidati»ammise il lupo dei ghiacci, con un’aria un po’ sconsolata.

Susan strinse la mano di Endou, rivolgendo al capitano un sorriso allegro che lui, come di sua consuetudine, le restituì raggiante; Chieko raggiunse Kazemaru, Rachel si avvicinò a Midorikawa, Diantha comparse all’improvviso alle spalle di Sakuma –che sobbalzò per lo spavento-, Sophia lanciò un’occhiataccia –tra l’altro ricambiata- a Fudou ma si portò comunque al suo fianco.

Yume borbottò qualcosa d’incomprensibile verso Hiroto mentre attraversava la banchina verso di lui, che in un primo momento arrossì appena per poi cercare di tornare quanto più imperscrutabile possibile, come al solito.

Lilian trillò allegra rivolgendosi alla figlia di Tyche:«Vanille, è vero che tu vieni con me?».

La bionda le sorrise affabile mentre confermava:«Certo che sì, Lilian».

Marina osservò ancora per qualche istante la scena prima di commentare:«In realtà, Vanille, ti volevo chiedere se ti andava di venire con me».

Vanille si voltò in direzione di Marina, un’espressione crucciata sul volto e la mano già stretta intorno all’elsa di una delle sue due spade cinesi quando rispose:«Marina, ho detto a Lilian che sarei andata con lei».

Prima che potesse scoppiare una rissa Lyssa mediò:«Ragazze, non mi pare il caso di mettersi a litigare per una simile sciocchezza … Marina, se vuoi puoi venire con me, anch’io sono sola».

La figlia di Atena fissò attentamente la situazione intorno a sé, dopodiché acconsentì:«Ehm … d’accordo».

Nomiko raggiunse Kimberly ma entrambe si lanciarono occhiate diffidenti; Rin e Miriam invece si sorrisero reciprocamente mentre si raggiungevano l’un l’altra a metà strada:con il carattere allegro che accumunava entrambe, infatti, nessuno aveva dubbi che sarebbero sicuramente andate d’accordo.

Rika afferrò non troppo delicatamente la mano di Sora e affermò:«Tu vieni con me, bel fusto».

Sora domandò spiazzato:«B – bel fusto?!».

Rika non rispose, limitandosi ad agitare nuovamente la sua fluente chioma.

«Ed io?»domandò d’un tratto una voce accanto a Kidou.

Il figlio di Atena si voltò all’istante del punto da cui aveva sentito provenire quelle parole e non si sorprese per niente di scoprire che, a parlare, era stato Kageyama.

La cosa che lo lasciò di sasso fu scoprire che gli unici rimasti da soli erano proprio loro due.

Atena, madre, cosa ho fatto di male per farmi odiare tanto da te?
domandò retoricamente e dentro di sé Kidou, alzando affranto gli occhi verso il cielo per rivolgere la sua muta domanda agli dei.

Alla fine, non avendo ricevuto alcun genere di risposta dall’alto, si limitò a borbottare:«Tu vieni con me, ovvio. Siamo rimasti gli unici due a non essere assegnati a nessun gruppo di pattugliamento, inoltre voglio tenerti personalmente sotto osservazione».

Kageyama sorrise tristemente e commentò:«Ti riesce proprio innaturale fidarti di me, eh?».

Kidou lo afferrò con forza per il braccio, cercando di non pensare al fatto che una leggera scossa elettrica lo avesse appena attraversato da capo a piedi.

Sono solamente poteri da figlio di Zeus
, cercò di convincersi il discendente di Atena.

«Andiamo e basta»sbottò Kidou, una nota d’ansia fin troppo percepibile nella sua voce.

«Oh, sarà un piacere»concluse divertito Kageyama.


~ · ~

Nina
Nina non riusciva a smettere di guardarsi intorno con aria semplicemente stupefatta.

Se una settimana prima le avessero detto che quel giorno se ne sarebbe andata in giro per Osaka anziché andare normalmente a lezione, nella scuola di Tokyo che aveva cominciato a frequentare neanche due settimane prima, quando la sua famiglia si era trasferita in Giappone dalla Russia, di sicuro non avrebbe esitato un momento a non credere a quelle parole.

Invece eccola lì, insieme a Phoebe, mentre gironzolavano senza meta nel centro cittadino di una delle città più popolose della nazione.

Certo, mai tanto densamente abitata come Tokyo … ah, già, Tokyo.

Avevano lasciato la capitale giusto la sera precedente ma si era già quasi dimenticata che lì aveva lasciato la sua famiglia.

Non sapeva se esserne dispiaciuta o meno:i rapporti con suo padre non erano mai stati dei migliori, tuttavia quello non giustificava la sua improvvisa partenza dalla città.

Strano ma vero, non era una scusa abbastanza valida.

Si era dovuta inventare che avrebbe preso parte a delle ricerche per un corso di botanica al quale aveva aderito e sinceramente non aveva ancora ben chiaro come ci fosse riuscita:non era brava a mentire, ogni volta che lo faceva veniva beccata.

L’insicurezza nella sua voce, quando doveva dire una bugia … forse era quello che la faceva puntualmente scoprire, per questo generalmente cercava di mentire il meno possibile ai suoi genitori, giusto lo stretto indispensabile.

Quella volta però non aveva proprio potuto farne a meno, era un’occasione fin troppo allettante per rinunciarvi:la prospettiva delle foto che avrebbe scattato e le avventure mozzafiato che avrebbe affrontato se avesse accettato la missione era irrinunciabile.

Quando quella mattina, sul campo di calcio, un papavero era apparso sulla sua testa aveva pensato che si trattasse di uno scherzo di pessimo gusto di qualche suo compagno di scuola, così aveva cercato di toglierselo da sopra i capelli.

Quando tuttavia il papavero si era rivelato di vapore e non era affatto scomparso sotto i colpi che le sue mani gli riservavano, Nina aveva cominciato a preoccuparsi sul serio.

Poi lo aveva scoperto:sua madre era Demetra, l’antica dea greca dell’agricoltura.

Questo spiegava un sacco di cose:la sua passione per le piante –compreso l’erbario che custodiva gelosamente, nascondendolo sotto il suo letto- ed i veleni che estraeva da fiori ed erbe, come quello della digitalis purpurea.

Da quando aveva scoperto di essere una semidea portava sempre con sé una scorta di aghetti intrisi di veleno:un buon rimedio per un improvviso attacco di mostri.

Aveva avuto modo di sperimentarlo qualche giorno prima, quando lei e Phoebe erano state attirate in un vicolo da una ragazza, che si era rivelata poi essere un’empusa.

La prontezza dei semidei le aveva permesso di lanciare indisturbata un ago intriso di veleno paralizzante nel fianco del mostro, dando poi così la possibilità a Phoebe di eliminarlo una volta per tutte.

Per questo era contenta di essere nuovamente insieme a lei pure in quel momento:erano una buona squadra e sperava che così avessero almeno una chance in più di non morire fin da subito.

Proprio in quel momento un baluginio azzurro attraversò lo spazio davanti ai loro occhi, fiondandosi in una stradina laterale lì vicino.

Nina cominciava ad essere stufa di quei vicoletti bui.


«L’hai visto?»le domandò poco dopo Phoebe.

Nina si limitò ad annuire:quel bagliore era stato così assurdo –tanto luminoso da esserle parso accecante- che si aspettava che chiunque in quella strada lo avesse visto.

Invece, a quanto pareva, loro due erano state le uniche due ad averlo notato, il che le fece intuire che, con ogni probabilità, doveva essersi trattato di un qualche segnale semidivino, inviato lì appositamente affinché lei e Phoebe lo ricevessero.

Si lanciarono una rapida occhiata, che bastò loro per progettare la mossa successiva:senza pensarci due volte si lanciarono nel vicolo, pronte ad estrarre le armi per lo scontro che, lo sapevano, le attendeva da un momento all’altro.

Invece, una volta entrate nel vicolo, lo trovarono assolutamente deserto.


~ · ~

Chieko

In quel momento, Chieko era il ritratto della felicità.

Davanti ai suoi occhi c’era una città tutta nuova da esplorare:Osaka, santo cielo, Osaka!

L’indole da figlia di Atene, perennemente attenta ai dettagli, poi, le faceva apprezzare ancora di più tutte quelle novità che la circondavano.

Avrebbe voluto mettersi lì ed osservare tutti quei palazzi intorno a lei, sedersi da qualche parte –le sarebbe andato bene qualsiasi posto, un tavolino del bar sarebbe stato perfetto ma in mancanza d’altro si sarebbe accontentata perfino del marciapiede che costeggiava la strada che in quel momento lei e Kazemaru stavano percorrendo, sebbene sospettasse che a quell’ora e con quell’esposizione alla luce del sole l’asfalto fosse a dir poco ustionante- e studiare ogni minimo dettaglio di ciò che la circondava.

Era davvero un’irriducibile figlia di Atena, non c’era proprio niente da fare.

Eppure al solo pensiero di star attraversando quelle strade con Kazemaru la voglia di mettersi ad osservare degli stupidi palazzi svaniva all’istante.

Ed ecco che all’improvviso la ragazza intelligente e concentrata lasciava il posto a quella innamorata, dolce e romantica, che non le permetteva di pensare ad altro se non quanto fosse bello il contrasto dei loro capelli, i suoi rosa e quelli del ragazzo turchini.

Tutto le sembrava perfetto in quel momento … finché un’intensa luce azzurra non attraversò l’aria davanti a loro, fiondandosi in un’apertura tra due palazzi, poco distanti da lì.

Chieko seppe subito che anche Kazemaru aveva notato quella luce:per qualche strana ragione, la figlia di Atena si ritrovò ad essere assolutamente certa sul fatto che il bagliore fosse un segnale indirizzato a loro due.

Senza dubbio a causa della nostra natura semidivina
, valutò la ragazza dai capelli rosa confetto.

Kazemaru era figlio di Ermes, il messaggero degli dei –ecco perché era sempre così agile e veloce- ed un movimento del genere non era di certo sfuggito ai suoi occhi, allenati a captare ogni minimo spostamento, soprattutto i più rapidi.

Non ci fu pertanto nemmeno bisogno di chiedergli se anche lui l’avesse notato:era qualcosa di fin troppo evidente per passare inosservato.

La prossima mossa venne in automatico:i due si lanciarono alla svelta nel vicolo, alla ricerca della fonte da cui era venuto fuori quel raggio di luce.

Erano sicuri che si trattasse di un mostro e stavano per sfoderare le loro armi.

Tuttavia, una volta giunti lì, l’unica cosa che trovarono ad aspettarli fu il nulla, fatta eccezione per un gatto con una lisca di pesce in bocca, appena riemerso dai bidoni di latta per la spazzatura posti in fondo al vicolo cieco, intento nel gustarsi il proprio misero pasto da randagio.


~ · ~

Vanille

Gli occhi di Vanille ormai erano tutto un luccichio.

Ad ogni passo che faceva incontrava negozi, boutique e bancarelle uno più interessante dell’altro.

Sapeva che si sarebbe dovuta concentrare sulla missione … tuttavia, per qualche strana ragione, in quel momento proprio non ci riusciva.

Fece ruotare per l’ennesima volta davanti ai suoi occhi il braccialetto azzurro che teneva in mano.

Ormai era ferma a quella bancarella da circa cinque minuti ma non riusciva nemmeno più a percepire lo scorrere del tempo, tanto era concentrata sull’oggetto che teneva in mano.

Nemmeno lei sapeva perché, eppure era certa di essere in qualche modo legata al piccolo pezzo di corda che stava osservando.

Non aveva niente di speciale, dopotutto:erano semplicemente dei fili di corda azzurri, intrecciati tra loro, al centro dei quali si trovava un piccolo ciondolo bianco e blu a forma di tartaruga; una sciocchezza da turisti, insomma.

Eppure poco dopo, quando si rigirò il ciondolo tra il pollice e l’indice, una visione la catturò, trascinandola al suo interno.

Alla figlia di Tyche capitava spesso e volentieri di avere delle visioni, tuttavia quasi mai le erano chiare, tanto che perdeva ore intere a cercare di dare un senso a quelle più oscure e misteriose.

Quella volta vide un enorme palazzo reale, le cui fondamenta si ergevano a partire da un fondale sommerso.

Le pareti del palazzo erano di una roccia marina, dal colore verdastro e tutto intorno ad esso sorgeva una sorta di parco o giardino interamente decorato con dei coralli.

Vanille non trovava un senso a quella visione, come nella maggior parte dei casi.

Sarebbe tanto voluta rimanere lì a ragionare su quella visione finché non le fosse stato pienamente chiaro il significato di essa, tuttavia proprio in quel momento

Lilian domandò:«Vanille, insomma, hai fatto?».

Alle parole della piccola figlia di Atena la discendente di Tyche sembrò risvegliarsi da un lungo stato di torpore.

«Sì, eccomi»rispose solamente.

Allungò l’importo del braccialetto al proprietario della baracca e se lo infilò al polso destro, proprio sopra la voglia bluastra a forma d’infinito:non sapeva ancora perché ma era certa che le sarebbe tornato utile, in un futuro non troppo lontano.

Proprio quando Vanille tornò a voltarsi con Lilian in direzione della strada davanti a loro, un fascio di luce azzurra si proiettò da un lato all’altro della via, sparendo in un vicoletto non troppo distante.

Entrambe lo avevano visto, Vanille ne era fin troppo sicura.

Afferrò la mano di Lilian, stringendola attorno alla sua sulla maniglia del trolley –avrebbe dovuto ascoltare Chieko, in quel momento la sua valigia le era decisamente d’impaccio- e cercò di tenere il proprio corpo davanti a quello della più piccola, a protezione di quest’ultima, mentre si avvicinava con fare guardingo al vicolo in questione.

La mano libera si strinse attorno all’elsa di una delle sue due spade cinesi:non voleva farsi trovare impreparata né tantomeno mettere in pericolo Lilian in caso di un attacco da parte di qualche mostro o simili.

Quando però si trovarono sulla soglia del vicolo, l’unica cosa che vi trovarono fu il nulla più assoluto.


~ · ~


Lyssa

Lyssa si sentiva stranamente al sicuro.

Già questo l’aveva messa in guardia:da quando aveva scoperto di essere una semidea le era sempre stato insegnato che difficilmente si sarebbe potuta trovare in una situazione che le consentisse di ritenersi “al sicuro”.

Eppure, osservando quelle strade con Marina Sapphire, una figlia di Atena –pertanto di natura sveglia-, la figlia di Ade si sentiva … protetta.

Era quella la cosa strana:sapeva che lì, più che in qualsiasi altro posto, avrebbe dovuto sentirsi vulnerabile ed in pericolo, in una città che non conosceva minimamente mentre cercava nemmeno lei sapeva cosa.

Marina le sembrava abbastanza tranquilla:osservava ogni cosa intorno a sé con attenzione e la caratteristica concentrazione dei figli di Atena.

Proprio in quel momento, tuttavia, una strana luce azzurrognola fendette l’aria rapida ed indomabile.

Il senso di sicurezza di Lyssa scomparve all’istante:cos’era quella luce?

Marina, al suo fianco, fu scossa da un leggero brivido –forse tensione per l’improvvisa novità- tuttavia aveva già puntato il proprio sguardo nel punto in cui entrambe avevano visto la luce, un attimo prima che sparisse: un vicolo, al lato della strada, tanto piccolo quanto invisibile.

«Questa situazione non mi piace per niente»commentò la figlia di Atena.

Lyssa strinse il manico ligneo della propria balestra:non avrebbe potuto essere più d’accordo con Marina.

Le due si avvicinarono lentamente al vicolo.

Avevano già qualche idea su quello che le attendeva, una volta giunte lì:prima di partire da Tokyo quasi tutti loro si erano imbattuti in attacchi di mostri; non sarebbe stata pertanto la prima volta che si ritrovavano a dover fronteggiare qualche emissario del nemico.

Eppure rimasero fin troppo sorprese quando, una volta raggiunto il vicolo, lo trovarono vuoto e desolato.


~ · ~

Un altro passo e poi un altro ed un altro ancora:ormai esplorare Osaka alla ricerca di ciò che li attendeva si era ridotta ad una questione di logica, forse più per abitudine che altro.

D’altronde era sua consuetudine rendere tutto una semplice prospettiva da poter essere osservata nel modo più pragmatico possibile.

Un tempo avrebbe giustificato quel suo atteggiamento grazie agli insegnamenti che gli erano stati impartiti fin dalla più tenera età, invece ora sapeva la verità:quel metodo di ragionamento, così lucido e preciso, gli era tanto congeniale poiché era insito da sempre in lui per la sua natura di semidio figlio di Atena.

Eppure c’era qualcosa, un dettaglio che continuava a sfuggire dalla mente calcolatrice di Kidou ed era abbastanza sicuro di sapere quale fosse il problema:amava il calcolo, qualcosa di tanto rigoroso, perché gli permetteva di trarre soluzioni in una vita come la sua, che tanto a lungo gli era sembrata precaria, instabile e senza senso.

Solo che c’era sempre qualche problema ed inutile dire che il principale, quello che generalmente lo portava ad avere soluzioni errate ed insensate alle sue perfette equazioni di vita, fosse, alla fine, sempre lo stesso:la vita di Kidou Yuuto era perennemente distrutta da quella specie di variabile impazzita dell’algebra che altro non era che Kageyama Reiji.

Era così che si sentiva, durante il loro giro di pattugliamento attraverso le vie di Osaka, una specie di ragionamento impazzito, come un cavallo senza briglie.

Si sentiva in qualche modo nervoso, come se sapesse che quella situazione fosse di per sé sbagliata.

In effetti era proprio così, nulla di quella scena sarebbe dovuto corrispondere alla realtà:lui non doveva trovarsi ad Osaka quel giorno, non sarebbe dovuto essere il figlio di una potente divinità venerata all’incirca tremila anni prima e soprattutto non si sarebbe dovuto trovare in compagnia di una persona, che aveva dato per morta per ben due anni –o meglio, lui ci aveva provato, per quanto anche solo l’idea di convincersi di qualcosa del genere lo disgustasse- e che ora era tornata dal regno dei morti.

Dei, magia … come poteva convincersi che tutto ciò fosse reale?

Era felice che Kageyama fosse di nuovo lì con lui, nonostante una parte del suo cervello continuasse perennemente a ripetergli che lui odiava quell’uomo, che aveva fatto del male ai suoi amici e la lista dei suoi misfatti era piuttosto lunga.

Eppure, eppure … per la prima volta in vita sua Kidou sentiva di poter perdonare qualcuno, nonostante tutto.

Il perché non lo sapeva nemmeno lui e forse era proprio questo che lo faceva andare su tutte le furie:non sopportava l’idea che Kageyama gli fosse mancato, che averlo di nuovo accanto a sé forse in un certo qual senso rassicurante, come se potesse dare di nuovo ordine alla sua vita.

Paradossale:di solito gliela distruggeva ben oltre i limiti del possibile e del sopportabile, invece ora si stava praticamente affidando a lui ad occhi chiusi per stare di nuovo bene.

Duro ammetterlo per un orgoglioso come lui ma era felice di riaverlo di nuovo accanto a sé anche perché l’idea che fosse morto sul serio l’aveva terrorizzato non poco:si era abituato, ad un certo punto della sua vita, a vederlo rispuntare fuori dal nulla e quando l’ultima volta non era successo una strana nota di panico si era impossessata di lui.

Per quanto infatti chiunque intorno a lui si ostinasse a descriverlo come il ragazzo più razionale del pianeta, Kidou sapeva fin troppo bene la verità:lui non era affatto perfetto come gli altri –Kageyama compreso- continuavano a descriverlo;al contrario, lui sentiva così sbagliato e non era raro che sentisse la paura impadronirsi del suo corpo.

Era cosciente che fosse stupido come atteggiamento, che non ci fosse nulla da temere, eppure Kidou aveva un sacco di fobie, compresa quella della morte:dopo aver perso i genitori quando era ancora molto piccolo ed aver visto sparire più volte Kageyama dalla sua vita –volente o nolente, era pur divenuto il suo pilastro- Kidou si sentiva la persona con meno radici al mondo.

Ci provava a farle crescere ma poi succedeva sempre che un evento improvviso le strappava dal terreno e di solito si trattava della cosa che Kidou aveva più paura:la morte, in particolar modo delle persone a lui più care.

Quell’incubo che di recente lo tormentava non era che il culmine dei suoi terrori:come aveva detto a Kageyama, non voleva perderlo di nuovo.

Ecco forse perché aveva bisogno di sentirselo vicino pure in quel momento.

Perché non voleva perderlo di vista nemmeno per un istante?


La voce di Kageyama lo sottrasse dai suoi mille ragionamenti.

«E così»lo sentì commentare infatti«hai voluto per forza che venissi con te per accertarti che non uccidessi nessuno, sbaglio? Altrimenti suppongo che non te ne staresti tanto in silenzio».

Kidou sentì la rabbia prendere il sopravvento su qualsiasi altra emozione stesse provando in quel momento e sbottò:«Ti odio».

Il figlio di Zeus tuttavia gli sorrise freddamente mentre constatava:«Continui a ripetermelo … eppure com’è che non ci credo per niente?».

Kidou sentì una fitta al petto:avrebbe tanto voluto sapere cosa gli stava succedendo in quel periodo.

Distolse rapidamente lo sguardo … ora pure le lacrime …

Invece era proprio così:dietro le lenti dei suoi occhialini sentiva formarsi, agli angoli delle cornee, piccole gocce salmastre, le conosceva così bene.

Le ricacciò indietro, non avrebbe avuto motivo di piangere in quel momento, inoltre perché farlo?

Si era di nuovo perso a riflettere quando il suo campo visivo cambiò piuttosto alla svelta.

Gli ci volle qualche secondo per capire che, come al solito, era stato Kageyama a comportare quell’ennesimo ed improvviso mutamento nella sua vita.

Poco dopo, infatti, si ritrovò in un vicolo, piccolo, buio e senza uscita se non la fenditura tra i due palazzi attraverso la quale si era ritrovato catapultato in quel luogo.

Sentiva la schiena premuta contro il muro di mattoni alle sue spalle:alcuni erano un po’ sbeccati ed al primo impatto gli avevano lasciato dei piccoli taglietti.

Non capiva, non capiva più niente nonostante non avesse affatto battuto la testa:perché si trovavano in quel vicolo, perché Kageyama gli teneva le mani sui fianchi …?

No, aspetta.


Il figlio di Atena si dimenò debolmente, non riuscendo in effetti a liberarsi dalla presa del maggiore.

Percepire la vicinanza dei loro corpi … i cuori che battevano così rapidamente insieme …

«K - Kageyama, si può sapere cos …»cercò di domandare Kidou.

Non riuscì a finire la frase:sentì una mano posarsi sulle sue labbra.

Kidou andò nel panico.

Lo sapevo, non mi sarei mai dovuto fidare di lui, probabilmente non aspettava altro se non un’occasione propizia per farmi definitivamente fuori e distruggere il resto dei miei compagni e mandare in fumo l’intera missione … probabile che fosse quello che ha sempre voluto …


Prima che altri e più terribili pensieri potessero uscire dall’angolo della mente dove si erano per tutto quel tempo annidati, tenendosi ben nascosti, Kageyama appoggiò la fronte alla sua e mormorò:«Guarda».

Kidou voltò lentamente lo sguardo in direzione della strada e ciò che vi vide bastò a smentirlo da lì all’eternità.

Un mostro che sembrava essere fatto interamente di fango stava attraversando la stessa strada dove, fino a pochi istanti prima, si erano trovati anche loro.

Lo aveva salvato.

Kageyama l’aveva salvato.

L’aveva salvato l’aveva salvato l’aveva salvato!


Kidou cercò di calmarsi, imponendo a se stesso profondi respiri, mentre il suo cuore tornava a pulsare in modo decisamente più lento ed accettabile, nonostante il battito non fosse ancora del tutto regolare per la vicinanza al figlio di Zeus.

Il mostro scomparve, prendendo la direzione dalla quale erano arrivati e lentamente Kageyama allontanò la mano dalle labbra di Kidou.

«Scusa»mormorò il figlio di Atena, sentendosi mortalmente in colpa per aver dubitato di lui.

Kageyama sorrise e per una volta a Kidou sembrò un sorriso gentile mentre replicava:«Scusa per cosa? L’unico qui che dovrebbe scusarsi sono io, considerando lo spavento che ti ho fatto prendere».

Kidou si chiese se si stesse riferendo all’attacco appena sventato od a tutte le loro disavventure passate.

Cercò di scacciare via quel pensiero –senza, come al solito, riuscirci del tutto- mentre si costringeva a chiedergli:«Cos’era quel mostro?».

Kageyama poggiò nuovamente la fronte contro quella di Kidou mentre spiegava:«Un figlio della Terra, perlomeno questo è il nome che gli hanno dato. Mi chiedo cosa ci faccia qui, in pieno centro ad Osaka. Temo che sia un emissario del nemico e che ci abbia seguiti fin qui. Inoltre ho paura che la mia aura di potere l’abbia attirato:i figli della più potente divinità greca devono essere certamente uno spuntino prelibato per i mostri. Perdonami, Kidou, non volevo metterti in pericolo …».

«Non potevi saperlo»lo tranquillizzò il figlio di Atena«è tutto a posto, sul serio».

Averlo detto sembrò tranquillizzare lo stesso Kidou.

Kageyama gli lasciò i fianchi, accarezzandogli una guancia.

«Mi sei mancato»ammise.

C’era qualcosa che non andava in quella voce, di solito così ferma ed imperturbabile, sembrava come sul punto di spezzarsi, tanto che Kidou si chiese se gli Inferi non avessero lasciato una ferita incurabile nell’animo di Kageyama.

Il cuore del figlio di Atena si trovò stranamente sorpreso e concorde quando si costrinse a rivelargli:«Mi sei mancato anche tu … e sono felice che ora tu sia di nuovo qui con me».

Poggiò la fronte contro quella del maggiore mentre lo sentiva ribattere:«Te l’ho già detto, non me ne vado più».

Kidou non aggiunse altro ma la verità era che era felice di sentir dire quelle cose da Kageyama:da giorni aveva paura di perderlo di nuovo e non si era ancora reso conto che quelle parole erano l’unica cosa di cui, in quel momento, avesse bisogno.

«Dobbiamo andarcene»gli comunicò il figlio di Zeus«quel mostro potrebbe tornare indietro da un momento all’altro».

Kidou annuì e convenne:«Va bene. Come procediamo?».

Kageyama sembrò riflettere attentamente prima di affermare:«Voleremo. Essendo figlio di Zeus, posso percorrere delle brevi tratte alzandomi in volo e fruttando le correnti. Così per i mostri sarà più difficile sia percepire la nostra presenza che attaccarci».

Kidou roteò gli occhi e chiese:«Perché non ci hai pensato prima?».

Kageyama guardò a terra ed ammise:«Per me comporta il dispendio di molta energia, potrei non essere di nessuna utilità se ci ritrovassimo nel bel mezzo di un duello in un futuro non troppo lontano. Inoltre da terra avremmo potuto osservare meglio le strade ma come hai potuto ben vedere non credo sia possibile farlo oltre».

«Scusa»si affrettò a giustificarsi Kidou«e soprattutto grazie. Per avermi salvato, intendo».

«Figurati, era il minimo»concluse solamente Kageyama.

Pochi secondi dopo si ritrovarono a volteggiare sopra Osaka.

Kidou strinse le braccia attorno al collo di Kageyama e lasciò che il figlio di Zeus gli cingesse la vita:era rassicurante la vicinanza con il suo corpo.

La vista dall’alto era a dir poco sorprendente:da quella quota qualsiasi palazzo, perfino quelli più alti, che da terra sembravano a dir poco immensi, ora non erano ridotti a nient’altro che piccoli punti indistinti.

A Kidou piaceva quella prospettiva, lo faceva sentire così insignificante, proprio come si sentiva sempre, certo, solo che non del tutto:da lì ci si rendeva veramente conto delle dimensioni ed era lì che si comprendeva che non c’era poi molta differenza tra un ragazzo ed un grattacielo.

Entrambi sono soggetti allo scorrere del tempo, entrambi, prima o poi, crolleranno.

«Da laggiù cosa penseranno di noi?»chiese Kidou.

Pensava che il fischio del vento avesse impedito a Kageyama di sentire le sue parole, ridotte quasi ad un sussurro, tuttavia poco dopo il figlio di Zeus spiegò:«Non possono vederci. La Foschia magica avvolge tutti, mostri e mortali, tanto che la maggior parte dei fenomeni divini e semidivini sono praticamente invisibili per il resto del mondo. Attualmente, noi due siamo compresi nei fenomeni resi invisibili dalla Foschia».

La discesa fu lenta ed a Kidou risultò piacevole, come d’altronde il resto del viaggio.

Atterrarono su una piccola spiaggia presso la foce del fiume che attraversava Osaka.

Su quelle stesse sponde trovarono Rachel e Midorikawa:la figlia di Poseidone sembrava concentratissima sul fondale sotto di lei ma all’arrivo degli altri due si era subito voltata nella loro direzione, abbandonando così la sua osservazione dell’Oceano.

La ragazza dai capelli del colore del mare domandò ai due semidei appena sopraggiunti sul luogo:«Che ci fate voi qui?».

«Siamo appena scampati ad un attacco»tagliò corto Kidou«voi, piuttosto:cosa state facendo qui?».

Rachel alzò le spalle ed ammise:«Credo di aver trovato il nostro passaggio:è là sotto. A quanto pare c’è un problema ed ho come la netta impressione che toccherà a noi mettere le cose al loro posto».

Kidou annuì e comprese:«Dobbiamo andare a chiamare gli altri»

«Ci penso io»propose tempestivamente Kageyama«volando non ci metterò più di cinque minuti a radunare tutti ed ad indirizzarli qui alla foce del fiume».

Kidou non ne era sicuro ma acconsentì:«D’accordo, andiamo».

Tuttavia Kageyama gli rivolse un sorriso appena accennato, che fece intuire a Kidou di non aver afferrato una parte del piano, cosa di cui ebbe la conferma quando il figlio di Zeus gli annunciò:«No, Kidou, stavolta vado da solo:non ho intenzione di metterti di nuovo in pericolo».

«Ma …»fece per protestare il figlio di Atena.

La protesta fu facilmente messa a tacere da Kageyama, che concluse:«Niente ma, ragazzo».

Per un attimo la familiarità della situazione fece sentire Kidou di nuovo alla Teikoku e la cosa lo rese stranamente felice.

Poco dopo tuttavia si ricordò di trovarsi a chilometri da Tokyo e non gli rimase altra cosa da fare che osservare Kageyama, mentre si allontanava per l’ennesima volta e ritrovandosi a sperare, come al solito, che non fosse l’ultima.
      




* Angolo dell’esaurimento nervoso *


Non guardatemi in quel modo e soprattutto sappiate che vi vedo, eh.

Bonsoir popolo di Efp!

Come va? Spero tutto bene … io mica tanto:questo capitolo è lunghissimooooo

(…)

E questo mi rende molto stanca. Già.

Tuttavia eccomi qua! * compaiono festoni alle sue spalle *

Vi sono mancata? Almeno un pochino – ino - ino?

Cominciamo con le scuse random:scusate se il capitolo è lungo, se sono tipo scomparsa per eoni, se le OC appaiono una volta sì e cento no e via discorrendo.

Teoricamente dell’ultimo punto del mio elenco di scuse manco potreste lamentarvi più di tanto visto che vi avevo promesso che in questo capitolo ci sarebbero stati i vostri personaggi ed è uscito fuori un papiro egizio proprio per questo, visto che avrei potuto dividere il suddetto papiro in due capitoli ma alla fine ho deciso di non farlo per non farvi soffrire oltre.

Sapete che sono sadica, pertanto io fossi in voi mi riterrei fortunata u.u

Dopodiché passo a ringraziare chiunque sia riuscito ad arrivare alla fine di questa tortura cinese e chiunque –nessuno- recensirà, oltre ovviamente a quelle due anime pie di Sissy e rie (a proposito, per quest’ultima:ora rispondo subito al tuo MP) che mi sopportano nonostante tutto.

Ciò detto vorrei precisare una cosa:lo so che sono passata dalla prima alla terza persona, ho cambiato ottanta POV e quello di Kidou non l’ho specificato, grazie, non c’è bisogno che me lo veniate a dire. Lo so ed è tutto molto intenzionale:a me personalmente piace di più così e quando ho scritto il capitolo ho sentito che era la cosa giusta da fare <3

Vorrei chiedervi, riguardo a ciò, cosa pensate di questo capitolo:sbizzarritevi gente ma soprattutto fatemelo sapere tramite recensione. Questa finora è stata la parte sulla quale mi sono impegnata maggiormente quindi ci tengo tanto tantissimo a sentire le vostre opinioni in merito ~

A proposito:come ho reso le vostre OC? Ho cercato di prendere gli aspetti specifici di ciascuna nel descriverle, quindi speriamo bene!

Prima di andarmene, siccome oggi mi sento clemente vi lascio pure l’indovinello

Cosa ha scoperto Rachel?


Io ora potrei anche andarmene, però prima ho una comunicazione di servizio:probabilmente la long si fermerà per un po’ causa scuola. Spero di riuscire a pubblicare il prossimo capitolo per i primi giorni di settembre, dopodiché vorrei prendermi una pausa per concentrarmi:sono al penultimo anno di liceo, l’anno prossimo mi diplomo ~

Ci si sente

Aria_black
   
 
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