Sei
come porcellana.
Fragile e bianca.
14
Febbraio 1996
Zurigo
(Svizzera) – Hallenstadion
I
fan sembravano impazziti. Avevano ricoperto il palco di stupidi
pupazzetti di
peluche. Erano dappertutto!
Brian
guardava David mentre salutava e ringraziava il proprio pubblico:
sorriso
smagliante, inchino profondo, quell’attimo di commozione che
appariva quasi
sincero. Fece perfino lo sforzo di raccogliere un paio di quei
giocattoli
inutili da terra, ignorando elegantemente i molto più
appetibili reggiseni in
pizzo che spuntavano qua e là. Un altro inchino, si
voltò dopo aver presentato
la band con un ampio gesto delle braccia e lasciò
rapidamente la scena a loro e
ai tecnici venuti a smontare l’attrezzatura.
Brian
lo vide sfilare in direzione dei camerini.
Si
lasciò scappare una smorfia. Dalla cena a Lione, quattro
giorni prima, loro due
non si erano più visti o parlati. L’unico dato
positivo era stato che anche Eno
sembrava aver perso interesse in Brian e la sua band e li lasciava
lavorare in
pace. Con l’aiuto di Levi, il terzetto dei Placebo aveva
raggiunto un ottimo
livello di esibizione e la risposta del pubblico era andata migliorando
di
spettacolo in spettacolo. Lione, Ginevra e, quella sera,
Zurigo… Stefan aveva
superato la ritrosia iniziale per quel tour e si era lanciato a
capofitto nel
lavoro, impegnandosi con un entusiasmo che aveva travolto in fretta
anche
Steve.
Brian
rispondeva con più svogliatezza; ai concerti continuava a
preferire gli after
show e la compagnia di Eric e delle sue “scorte
personali”, elargite sempre con
una certa generosità, e in un paio di occasioni si era
ritrovato chiuso in
bagno, prima o subito dopo l’esibizione, a vomitare per il
nervosismo che gli
attanagliava lo stomaco.
Adesso
stabilì di potersi concedere una sigaretta prima di
raggiungere gli altri alla
discoteca dove si sarebbe tenuta la festa di quella sera.
Uscì indisturbato sul
retro del palazzetto e si appoggiò ad uno dei camion del
tour, al riparo dagli
occhi della piccola folla di curiosi che, lì fuori,
attendeva l’uscita del
proprio idolo. Brian sapeva che Jeff avrebbe portato via David
utilizzando una
strada alternativa, la sicurezza che sorvegliava
quell’ingresso era uno
specchietto per le allodole; gli venne l’infantile desiderio
di andare da quei
ragazzi e spiegare loro come raggiungere Bowie. Sorrise.
-Cosa
c’è da ridere?
Brian
si voltò.
Poco
più a sinistra, vicino a lui, un’ombra filiforme e
più scura si nascondeva,
accucciata al suolo, nell’ombra tozza del rimorchio.
Qualcosa
si allungò nella sua direzione, la pelle pallida di un polso
balenò nello
spazio illuminato di fianco al camion, una cicatrice quasi trasparente
segnava
il punto in cui quel polso si congiungeva ad una mano lunga, che si
aprì con il
palmo rivolto nella sua direzione.
-Offrimi
una sigaretta.- ordinò la stessa voce di prima.
Brian
rimase interdetto.
Era
una ragazza. Doveva essere anche abbastanza giovane, perché
la sua voce era
fresca e pulita. Ma c’erano nel suo tono una
perentorietà ed una sicurezza che
lasciavano poco spazio ad esitazioni. Si ritrovò a mettere
mano alla tasca dei
jeans ed al pacchetto quasi senza rendersene conto.
-C’è
da ridere- rispose avvicinandosi a lei per offrirle quanto richiesto.-
che
resteranno a prendersi freddo lì fuori per niente.
-Oh,
lo sanno.- ritorse lei quietamente. Le dita spettrali afferrarono con
delicatezza il filtro, sfilando la sigaretta dal pacchetto con grazia.
Poi la
mano tornò a sparire nel buio fitto.- Non è
importante.- aggiunse.
Brian
fece scattare l’accendino. Quando lo avvicinò a
lei, intravide un volto
allungato, capelli nerissimi e lisci, occhi di un colore indecifrabile
che lei
socchiuse rapidamente impedendogli di leggere la sua espressione.
Avvicinò le
labbra dal rossetto nero, già ornate dalla sigaretta, alla
fiammella
tremolante, accese e spirò il primo tiro quasi nello stesso
momento.
Lui
spense l’accendino e lei scomparve di nuovo.
-Sei
una groupie?- chiese sfrontatamente.
-Che
cos’è? un club segreto per adepte del cazzo e
della chitarra?- ribatté lei. Il
tono asettico svuotava le sue parole di qualsiasi volgarità.
Poi,
lui non era certo il tipo che si scandalizzasse per così
poco! Si appoggiò con
la spalla al rimorchio del camion e appuntò lo sguardo nella
sua direzione.
-No,
era solo un modo per capire se sarei riuscito a scoparti.-
confessò in tono
piano.
-Per
una sigaretta, mi pare un po’ eccessiva come richiesta.
Non
sembrava offesa.
Brian
finì di fumare e schiacciò il mozzicone sotto la
suola degli anfibi.
-Comunque,
sembri più te il tipo che preferisce cazzo e chitarra.-
commentò lei blanda.
Lui
rise ma non la smentì.
David
Bowie fumava seduto in un angolo del privè che gli era stato
riservato. Dalla
sua posizione poteva sorvegliare quasi per intero la sala davanti a
sé e
sicuramente aveva libera visuale sull’ingresso e sulla pista
da ballo. Aveva
già individuato da un po’ il batterista dei
Placebo che si scatenava in pista
con un paio di ragazzine di almeno dieci anni più giovani di
lui e, dopo
qualche minuto, aveva intercettato anche il bassista, seduto come lui
in un
angolo del locale, beveva nervosamente e fissava con ansia evidente il
lungo
corridoio che portava alla hall all’ingresso della discoteca.
Evidentemente non era l’unico a
stare aspettando…
Sbuffò
il fumo. Fece girare la sigaretta accesa sull’orlo del
bicchiere, la cenere
cadde nei resti del suo mojito. La rossa che gli sedeva affianco disse
qualcosa
di spiritoso che sentì solo in parte, rise piano per
educazione, socchiudendo
gli occhi. Quando tornò ad aprirli sulla sala, era tutto
uguale a prima; la
rossa parlava con Eno e lui incrociò di nuovo nel proprio
campo visivo la
figura lunga e magra del bassista dei Placebo.
Era
stato sinceramente indeciso su come comportarsi con Brian Molko per
giorni.
La
loro ultima conversazione gli aveva fornito elementi in più
su di lui, ma gli
aveva anche detto molto su di sé e sull’interesse
che provava. Con quel
ragazzino era fin troppo facile perdere il controllo. Quando lo aveva
visto la
prima volta e, cautamente, gli si era avvicinato in una progressione
lenta,
David era convinto che Brian Molko sarebbe stato il gioco stuzzicante
di
qualche settimana, forse un paio di mesi. Il fascino che
l’altro esercitava –
innegabile – lo rendeva una preda appetibile e, senza dubbio,
da non poter
liquidare con una scopata veloce come avrebbe voluto Eno. Ma
sicuramente,
quando aveva iniziato a corteggiarlo, la sua attenzione per
l’altro non si
spingeva oltre una sana curiosità ed un indiscusso
desiderio.
Dopo
quell’ultima cena “di coppia”, invece, si
sentiva molto più che curioso.
Provava l’impulso fastidioso di conoscere qualcosa in
più della vita dell’altro.
Quell’istinto di protezione che aveva avvertito la sera della
cena e
qualificato come un seccante strascico dell’età
non era sparito come avrebbe
voluto. Se si era tenuto a distanza di sicurezza da Brian, del resto,
era stato
soprattutto per fare chiarezza con se stesso; temeva un po’
che cercare di
schiarirsi le idee sarebbe stato impossibile con quegli occhi cangianti
fissi
nei suoi e pronti a giudicarlo ad ogni minimo errore…
La
rossa si stava alzando e con lei la buona parte dei suoi
“invitati”. David
rivolse loro brevi cenni di saluto e sorrisi vuoti, di circostanza,
tornando
subito a scrutare con avidità la figura magra e nervosa di
Stefan Olsdal in
lontananza. In pochi minuti lui e Brian Eno rimasero soli, con la
compagnia
esclusiva l’uno dell’altro e di una bottiglia di
brandy semivuota.
-Che
succede?- lo interrogò immediatamente il produttore,
intuitivo come sempre.
David
storse il naso, stizzito. Per una volta avrebbe preferito non avere con
lui
tanta familiarità. Si voltò a guardarlo per
scoprirlo impegnato a versare da
bere ad entrambi.
-La
tua preda è scappata?- ridacchiò ancora Eno. Gli
porse il bicchiere pieno con
un’occhiata di paziente attesa, accettando implicitamente che
lui non
rispondesse alla sua domanda.
E
questo lo convinse che non c’era nulla di male ad essere
sincero.
-Non
ne ho idea!- sbuffò senza celare affatto il proprio
malcontento.- Non l’ho
visto da quando è finito lo show…
-Pare
che sia uscito a fumare. Un paio di ragazzi lo hanno visto andare via
con
Emily.- lo informò l’altro.
David
non fece nulla per mascherare la sorpresa.
-Con
Emily?- ripetè, sillabando quel nome come se avesse
difficoltà a pronunciarlo.-
E chi gli ha presentato Emily?
-Non
c’è stata alcuna necessità di
presentarli. Il tuo ragazzetto è perfettamente in
grado di rimorchiare da sé una groupie, non ha bisogno di
assistenza al
riguardo.- Eno finì in un sorso solo il proprio brandy,
facendo poi roteare nel
bicchiere i resti di un paio di cubetti di ghiaccio mentre studiava
attento le
reazioni sul viso dell’amico.- Peraltro, se ce ne fosse stata
necessità,
immagino che Eric avrebbe provveduto a fare le dovute presentazioni.-
aggiunse.
Lo
stupore di David si trasformò in qualcosa di molto simile a
rabbia trattenuta.
-…Eric.-
sfiatò basso.
-I
vizi del ragazzino sono del tipo che Eric ama.- spiegò Eno.
-Come
mai sei così informato?- scoccò gelido Bowie.
-Perché,
a differenza tua, tengo occhi e orecchie aperti riguardo Molko.
David
si raddrizzò sulla poltrona, così da fronteggiare
lo sguardo dell’altro.
-E
perché non hai ritenuto di dirmi prima queste stesse cose?
-Perché
non sembravi interessato a conoscerle e perché, comunque,
non ritengo utile per
te curarti troppo di quel ragazzino.
-Questo
dovresti lasciarlo decidere a me.
-Che
è il motivo per cui mi sono deciso a dirtele.
Un
silenzio pesante e rancoroso scese tra i due a quell’ultima
affermazione. David
spostava lo sguardo da Eno ad Olsdal, indeciso su come comportarsi.
Capiva fin
troppo bene che l’amico si era mosso nel suo esclusivo
interesse e che non
sbagliava nel dirgli di non stare troppo vicino a Brian ed alla fonte
inesauribile di guai che sembrava rappresentare.
Ma
forse era un po’ troppo tardi per porsi il problema.
Posò
il bicchiere di brandy senza averlo toccato e si alzò in
piedi, battendo
rumorosamente le mani contro le cosce fasciate dai jeans chiari e
sdruciti. Eno
lo osservò attraversare a grandi passi la sala da ballo,
fendendo una folla
che, adorante, gli si stringeva addosso ma non osava nemmeno sfiorarlo.
Lui
sorrideva a tutti, vuoto e falso ma apparentemente così
partecipe da lasciarli
incantati, ed il produttore si ritrovò ad ammirarlo per
l’ennesima volta. Era
un’incredibile bestia da palcoscenico, quell’uomo!
David
Bowie approdò incolume di fianco al separé che
ospitava parte dei musicisti del
suo show e vide gli occhi enormi e stupiti di Stefan sollevarsi ad
incrociare i
suoi.
-Stef,
giusto?- chiese educatamente.- Ti va di fare due chiacchiere?
-E
così sei una groupie.
A
differenza di qualche ora prima, stavolta non era una domanda.
Lei
rise.
Brian
aveva scoperto, con la luce dei lampioni per strada, che aveva capelli
nerissimi, che era magra, alta e spigolosa – più
alta e più spigolosa di lui – che aveva
poche tette, che vestiva
di jeans, che lo smalto sulle unghie era screpolato come il suo dopo un
concerto, che il rossetto nero aveva un sapore orrendo, che il suo
corpo era
sempre teso, come se dovesse spiccare un salto, anche quando lo
accarezzavi,
che le sue gambe ti si attorcigliavano attorno ai fianchi e sembravano
volerti
stritolare. Ma queste ultime cose le aveva scoperte in ascensore mentre
salivano nella sua camera. E poi le aveva confermate a letto.
Non
aveva scoperto come si chiamava.
-E
tu sei un musicista.- ritorse lei.
-Non
ero un adepto di cazzo e chitarra anche io?- sorrise Brian, cattivo.
La
cosa che più gli piaceva era che lei riusciva a sostenere il
suo sguardo senza
esserne minimamente impressionata. Negli occhi azzurrissimi che lo
affrontavano
non c’era niente. Non c’era ammirazione,
né soggezione, né curiosità. Erano
disinteressati. Lo guardava come avrebbe guardato un programma noioso
alla
televisione, senza prestargli alcuna attenzione.
Si
chiese perché fosse andata a letto con lui, ma non fece lo
sforzo di domandarlo
a lei perché era certo che non avrebbe ottenuto risposta.
-Le
due cose non si escludono. E tu lo sai bene.- disse lei.- Offrimi
un’altra
sigaretta.- ordinò poi.
Brian
ubbidì silenziosamente, esattamente come aveva fatto solo
qualche ora prima. Si
allungò oltre il bordo del letto e cercò tra i
propri vestiti fino a trovare i
pantaloni e, nella tasca, il pacchetto e l’accendino. Le
porse entrambi.
Lei
si rigirò tra le coperte, assestandosi con la schiena contro
la spalliera del
letto. I capelli, leggermente arruffati, umidi, ricaddero a ciocche sul
suo
petto nascondendo i capezzoli scuri. Posò il filtro tra le
labbra, accese e
fece un tiro, passandogli poi la sigaretta che Brian
accettò. Poi accese per
sé. Il pacchetto e l’accendino furono posati sul
comodino di fianco al letto,
lei guardò la punta della sigaretta bruciare e fece il
secondo tiro.
-Come
mai eri nel backstage?
-Che
cazzo di domanda è?- piatta.
Brian
si corresse.
-Chi
ti ha fatto entrare?
-Mi
fanno entrare tutti. David ha detto loro che io posso andare dove
voglio.
Silenzio.
Lei
si voltò verso di lui.
-Sei
stupito?
-…un
po’.
-Non
sei l’unico ad avere qualcosa che gli interessa.
-Non
ho mai pensato di esserlo.
Lui
aveva di nuovo perso interesse agli occhi di lei. La osservò
sbuffare una
nuvola densa con voluttà, assaporava il fumo come non aveva
assaporato i suoi
baci mentre scopavano. C’era qualcosa di incredibilmente
attraente in lei…
-Come
hai fatto?
-A
fare che?
-A
farti desiderare da lui.
Per
la prima volta gli occhi di lei lo videro davvero. Lo fissò
con un misto di
curiosità autentica e di derisione bruciante, ma lo vide.
Brian la osservava da
sotto in su, steso su un fianco, la mano a sorreggere la testolina
bruna e la
sigaretta abbandonata lungo il fianco coperto dal lenzuolo.
-Che
vuoi dire?
-Che
non lo capisco.- ammise Brian piano, a voce bassa.- Che non so cosa
voglia.
-Perché
te lo chiedi?- ritorse lei.- Non dovrebbe interessarti.
Brian
non ribatté. Effettivamente, si disse, non avrebbe dovuto
interessarlo. Quello
che voleva, lo aveva ottenuto: lui li aveva presi con sé in
tour, i Placebo
stavano facendo faville e la gente lo guardava ad ogni show con lo
stesso
sguardo stupito e adorante. La risposta del pubblico era
l’unica cosa che
avrebbe dovuto risvegliare il suo interesse, in quel momento, e quella
della
critica, che pure li stava accogliendo positivamente a giudicare dalle
recensioni che circolavano già sui giornali musicali.
Eppure
continuava a volergli…piacere. Sì, voleva che
fosse lui a guardarlo con
ammirazione e desiderio e si riscopriva disposto a mettersi in gioco
una volta
di più pur di ottenere il proprio risultato. A
mutare nuovamente pelle al solo scopo di apparire anche per lui
qualcosa che potesse volere per sé.
Lei
dovette intuire i suoi pensieri nonostante non li avesse espressi ad
alta voce.
La semplice domanda che le aveva posto l’aveva già
allertata. Nel suo sguardo
lesse una punta di compassione che la vide soffocare in fretta ma che,
comunque, risvegliò in lui l’orgoglio. Si
scostò bruscamente da lei, scalciando
via le coperte e tirandosi in piedi con gesti nervosi.
-Comunque
che diavolo lo chiedo a fare, a te?!- sbottò aspro,
raccogliendo dal pavimento
i propri vestiti.- Non è che ci voglia molto a capire
perché tu possa averlo
interessato.
Le
scoccò un’occhiata veloce da sopra la spalla
mentre tirava su ed agganciava il
bottone dei jeans. Lei aveva nuovamente quell’espressione
disinteressata e
piatta con cui lo aveva affrontato per tutta la sera.
-Sei
uno svuota-coglioni come un altro.- affermò a quel punto,
volutamente cattivo.
Infilò la maglietta e si diresse a passi veloci verso la
porta della stanza.-
Vedi di non farti trovare per quando sarò tornato.-
ordinò uscendo.
-Sei
innamorato di lui.
Non
era una domanda. Non avrebbe dovuto rispondere. Però si
voltò a guardarlo,
smarrito, lo stesso.
David
gli offrì una delle sigarette nel pacchetto che aveva con
sé, Stefan l’accettò
dopo un momento di esitazione e lasciò che lui gliela
accendesse.
-Del
resto…innamorarsi di lui non deve essere poi troppo
complicato.
-Lo
è enormemente, invece.- borbottò Stefan, senza
guardarlo.
David
si spostò nuovamente verso il locale, accomodandosi su uno
dei pochi gradini
che congiungevano la porta di servizio, utilizzata da lui e Stefan per
uscire,
con l’interno di un corridoio buio e rumoroso. Stefan gli
andò dietro e si
sedette un gradino più in basso, fumando in silenzio e
fissando davanti a sé la
strada immersa nella notte.
-Brian è incredibilmente
complicato.-
spiegò breve.
-Sì,
lo avevo intuito.
-Averci
a che fare può essere devastante. Insomma…lui non
è come appare…non è… Lui
è
molto più fragile di come sembri.
-Sembra
fragile.
Stefan
si voltò. Bowie era la prima persona, a parte lui e Steve, a
rendersi conto a
pelle di come dietro la maschera “Brian Molko” ci
fosse, in realtà, un’anima
incredibilmente delicata e che rischiava, da un momento
all’altro, di spaccarsi
in mille pezzi. La maggior parte delle persone credeva che anche quello
facesse
parte del personaggio, che quando Brian cantava il proprio dolore
stesse semplicemente
recitando la parte che aveva scritto per sé.
-Non
dovrei dirti queste cose.- considerò lo svedese a voce bassa.
David
rise sommessamente.
-Non
stai svelando nessun trucco, tranquillo. E comunque, non pensavo di
dirgli di
questa nostra chiacchierata. Sono quasi certo che ne sarebbe geloso e
tu ne
pagheresti il prezzo.
Strappò
al ragazzo più giovane un sorriso sincero, anche se incerto.
-In
ogni caso, volevo parlarti di una cosa.
-Riguarda
Brian?
-Riguarda
Brian.- annuì Bowie- O meglio…riguarda alcune
frequentazioni di Brian, di cui
sono stato informato stasera.
-Eric?-
chiese Stefan con intuito ammirevole.
David
lo soppesò con lo sguardo, poi assentì con un
cenno silenzioso del capo.
-Non
è colpa di Eric se Brian è
com’è o fa le cose che fa.- lo
giustificò Stefan,
stringendosi nelle spalle.
-Non
sto dicendo questo. Ma sicuramente non avere Eric attorno farebbe a
Brian un
gran bene. Il resto della crew è più o meno
pulito,- spiegò David
pazientemente.- trovarsi in un ambiente abbastanza sano potrebbe essere
positivo per lui.
-Se
vuoi tenerlo lontano da Eric, devi pensarci tu.- ritorse Stefan
spiccio.- A me
non da ascolto, non ho nessun ascendente su di lui.
-…perché
pensi che io lo abbia?
-Perché
sei la ragione per cui siamo qui.- si strinse nelle spalle Stefan,
semplicemente.
Ed
io sono pazzo di te.
Giuramelo.
Sono pazzo di te.
Stefan
camminava nel corridoio facendo attenzione a non fare rumore. Gli
sembrava che
i propri passi, sebbene attutiti dalla moquette, dovessero rimbombare
contro le
pareti e trovava quegli spazi troppo angusti, soffocanti. Si ripeteva
meccanicamente che l’intero piano dell’hotel era
stato riservato allo staff
dell’Outside e, quindi, non c’era davvero il
rischio di svegliare qualcuno: chi
non era ancora al party after-show, era comunque troppo ubriaco o fatto
per
rendersi davvero conto di qualsiasi cosa.
Lui
stesso non si sentiva troppo in sé.
Dopo
che David Bowie era tornato a rifugiarsi nel proprio angolo privato,
lui era
andato nuovamente a sedersi, aspettando inutilmente la comparsa di
Brian. Per
ingannare il tempo aveva trangugiato senza troppe domande ogni
bicchiere che,
solerte, gli era stato messo davanti. Adesso sentiva la testa leggera,
un vago
senso di nausea che non sapeva se ricondurre al dispiacere o alla
sbronza e la
voglia infinita di infilarsi sotto una doccia per lavare via il senso
di disgusto
che provava per se stesso.
Inserì
a tentoni la chiave nella serratura, sbagliando almeno un paio di volte
prima
di riuscire nell’intento. La porta cigolò
sinistramente ruotando sui propri
cardini, si chiese, ozioso, se lo avesse fatto anche quel pomeriggio ma
non
riusciva a ricordare niente delle ultime ventiquattro ore se non il
senso di
vuoto che gli sembrava di provare da sempre. Non accese la luce.
Avanzò nella stanza
utilizzando come unica indicazione la sottile lama che
l’illuminazione del
corridoio produceva, rischiarando le assi del parquet fino al letto.
Ignorando
il fatto di stare lasciando la camera aperta, si spostò
lungo il muro per
raggiungere la porta del bagno e lì, finalmente, si decise
ad accendere la
luce.
Lo
specchio gli rimandò un’immagine di sé
che trovò più spettrale del solito: magro,
pallido e sfatto. Distolse lo sguardo immediatamente.
Si
spogliò accatastando i vestiti per terra di fianco alla
doccia, aprì l’acqua
ruotando il rubinetto fino ad ottenere un getto gelato e ci si
infilò sotto con
una risoluzione cocciuta ed ostinata. Il freddo lo scosse fin dentro le
ossa.
Era una sensazione dannatamente positiva, lo svegliò di
colpo, cancellando con
un gesto deciso ogni residuo di quel torpore velenoso che strisciava
nelle vene
con l’alcool.
Quando
fu certo di aver riacquistato completamente il controllo di
sé e delle proprie
emozioni, Stefan tirò su il viso, regolò la
temperatura e cercò il bagnoschiuma
che aveva lasciato sul piatto della doccia prima di uscire per il sound
check.
Si concesse perfino il lusso di canticchiare tra sé e
sé il ritornello del loro
ultimo singolo, sorridendo perché eguagliare la voce di
Brian era impossibile.
Quando
si rese conto di essere riuscito a pensare all’altro senza
che questo gli
provocasse una fitta dolorosa allo stomaco, capì di potersi
permettere anche
una dormita decente. Chiuse l’acqua ed uscì dalla
doccia, avvolgendosi
nell’accappatoio e tornando in camera da letto.
Lasciò aperta la porta del
bagno perché fosse la luce in quella stanza a dirigerlo.
Chiuse il battente che
dava sul corridoio, facendo scattare la serratura, e
frizionò i capelli con un
asciugamano mentre si avviava a piedi nudi verso il letto.
Fu
alzando gli occhi sul materasso che la sensazione di piacevole
rilassatezza
lasciatagli dalla doccia svanì con la stessa
rapidità con cui era arrivata.
Brian dormiva raggomitolato tra
le sue coperte.
Stefan
immaginò che fosse entrato mentre era in bagno,
approfittando della porta
aperta.
Il
suo primo ed immediato istinto fu quello di cacciarlo fuori di peso:
afferrarlo
per il collo della maglietta, tirarlo in piedi e lanciarlo in corridoio
per
chiudergli la porta in faccia e non occuparsene più fino al
giorno dopo. Si
disse che questo sarebbe stato giusto e corretto
nei propri confronti. Brian non poteva
semplicemente rubargli ogni singolo istante di serenità che
lui riusciva a
ritagliarsi.
Chiaramente,
quel primo istinto non arrivò mai a prendere la consistenza
di un’azione
concreta.
Stefan
sospirò pazientemente. Lasciò cadere
l’asciugamano umida sul comodino e, con
ancora l’accappatoio addosso, si ritagliò un
minuscolo spazio a sedere sul
materasso, proprio di fianco al cuscino ed al volto addormentato
dell’altro.
Brian
mormorò qualcosa nel sonno, rannicchiandosi più
strettamente attorno al
guanciale.
-…Bri.-
lo chiamò Stefan a mezza voce.
Non
ottenne risposta se non un sospiro profondo, mentre il corpo magro del
cantante
si rilassava progressivamente sotto i suoi occhi.
Stefan
allungò una mano a sfiorargli la spalla.
-Brian.-
ripeté con maggiore decisione, scuotendolo appena.
Questa
volta gli occhi grigi si aprirono su di lui, socchiusi e acquosi, e lo
misero a
fuoco con difficoltà.
-…’ef.-
mormorò Brian riconoscendolo. Si premette una mano sulla
tempia, mugolando nel
rigirarsi tra le coperte per voltarsi sulla schiena.- Malditesta.-
borbottò
soffocato con una smorfia di dolore.
-Hai
preso qualcosa?- lo interrogò Stefan, osservandolo
criticamente.
Brian
soppesò la domanda prima di rispondere. Lasciò
ricadere la mano sullo stomaco
con un tonfo leggero, spalancando, poi, gli occhi sul soffitto. Il suo
sguardo
brillava nel buio, il riflesso della luce che scivolava attraverso la
soglia
del bagno si rifletteva pigramente nelle iridi chiare, le pupille
dilatate.
Stefan non ebbe davvero bisogno di una risposta.
-Eric.-
annuì Brian, comunque.
Il
bassista sospirò.
-Bri…-
esitò. Si morse le labbra, contando mentalmente fino a
dieci.- Quel tizio non
mi piace.- si decise ad ammettere.
Brian
lo scrutò in silenzio.
-E’
a posto.- ritorse spiccio, senza nessuna inflessione. Di Eric non
gliene
fotteva un cazzo, ma della roba che gli passava sotto banco
sì e non intendeva
farne a meno.
-Non
hai bisogno di quella merda…- mormorò Stefan
senza troppa convinzione.
Lo
sguardo dell’altro si allargò a dismisura,
rendendo la sua espressione grottesca
e ridicola perfino nella semioscurità della stanza, e Brian
scoppiò a ridere
istericamente, rotolandosi tra le coperte in modo scoordinato.
-Che
cos’è?!- sbottò
all’improvviso riportando su di lui uno sguardo acceso e
folle.- Ti sei bevuto il cervello tutto in una volta, Olsdal?! Certo
che non abbiamo bisogno di quella
merda,-
ribatté divertito, tirando volutamente in mezzo Stefan. Lui
si ritrasse
d’istinto, colpevole, ma Brian finse di non accorgersene e
proseguì nello
stesso modo – possiamo smettere quando vogliamo!-
sogghignò- Se prendiamo
quella roba, è solo perché ne abbiamo voglia. Ed
Eric è a posto.- ribadì con
più forza.
Stefan
annuì meccanicamente, sconfitto. Non che si aspettasse
qualcosa di diverso, era
più o meno consapevole della propria sudditanza psicologica
nei confronti di
Brian e, se aveva detto a Bowie che era meglio che ci pensasse da
sé a tirare
fuori l’altro da un certo giro di frequentazioni, era in
virtù di quella
consapevolezza.
Brian
gli sorrideva, adesso. Il suo sorriso aveva una sfumatura lasciva che
gli fece
accapponare la pelle sotto l’accappatoio umido. Vide come a
rallentatore la
mano dell’altro risalire lenta lungo la sua gamba,
accarezzandolo da sopra la
stoffa.
-Perché,
invece di dire stronzate e pensare ad Eric, non ti togli questa roba di
dosso?-
mormorò il cantante rocamente.- Non vorrai prendere un
brutto raffreddore?!
Stefan
deglutì a vuoto.
-…non
avevi malditesta…?- replicò a mezza voce.
Il
sorriso di Brian divenne più ampio, tanto ampio che
sembrò divorare per intero
il suo volto nascosto tra le ombre della camera.
-Dicono
che le endorfine fanno benissimo al malditesta.
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