PERSONAL SPACE: CE L'HO FATTAAAAAA!!!
Eccomi è scusate per il ritardissimo! Ebbene sì, è stato un parto lungo
e doloroso, ma alla fine sono riuscita a tirar fuori il decimo
capitolo. Non è lunghissimo, ma finalmente siamo arrivati al momento
fatidico! Io vi ringranzio immensamente tutti per le recensioni,
davvero siete fantastici!!
E niente. Momento Marchetta prima di lasciarvi al capitolo: Se siete
fan di Matt Murdock (e se non lo siete....diventatelo!!) ho scritto una
One Shot, Fever, e una long, Friendship
& loyalty, se vi va di passare a darci un'occhiata e dirmi cosa
ne pensate.
Niente. Mi son dilungata anche troppo. Buona lettura!
Capitolo
10: Finzione o realtà?
Il silenzio era quasi irreale e perfino Clint, che per attitudine
amava i luoghi dove regnava la quiete iniziava a sentirsi vagamente a
disagio.
Lo sguardo dell'arciere andava alternativamente su Natasha, Sam e
Steve, mentre la sua mano, ancora appoggiata sulla spalla integra del
Soldato D'Inverno, percepiva tutta la tensione di quest'ultimo.
Nat non era meno tesa, e teneva il proprio corpo tra Tommy e Bucky,
come per essere pronta a difendere il ragazzino; Clint riusciva ad
avvertire anche un minimo di paura proveniente dalla sua migliore
amica, e non se ne stupiva. Lui stesso era stato testimone della
violenza di quell'arma micidiale, e anche ora, nonostante tutto, temeva
che la missione inculcatagli in testa dall'Hydra prendesse il
sopravvento alla vista di Steve Rogers. In quel caso, probabilmente
quello sarebbe stato l'ultimo giorno di vita per tutti loro.
Incrociando lo sguardo della ragazza, cercò di farle arrivare un
messaggio tranquillizzante, se lui si fidava (più o meno), allora
poteva fidarsi anche lei.
Sam Wilson non era da meno. Era la prima volta che Clint lo vedeva dal
vivo (e se doveva ammetterlo non vedeva l'ora di vedere, e magari anche
provare, le sue ali, cioè A-L-I! Quell'uomo poteva volare senza
armatura!) e tutto in lui gridava il suo passato da soldato... e il
fatto che non aveva la più pallida idea di cosa aspettarsi. I suoi
occhi erano fissi su Steve, e in essi Clint poteva leggere soltanto
preoccupazione. Se fosse rivolta a Steve o all'arma umana seduta sul
divano, non riusciva a dirlo.
Steve... bè guardare Steve era come guardare Bucky allo specchio. Si
era abituato a vedere il capitano come una persona sempre abbastanza
fredda, anche se forse quella non era la parola giusta per descriverlo.
Fuori dal tempo, sarebbe stato molto più appropriato. Il suo sguardo
era quello che spesso riconosceva negli anziani: erano lì, catapultati
in un terzo millennio che non riuscivano pienamente a capire: vivevano,
parlavano, usavano cellulari e quant'altro, ma in qualche modo il loro
cuore era fermo all'epoca in cui tutto era più semplice, e anche in
guerra la cosa peggiore di cui ci si doveva preoccupare era di non
incappare in un campo minato, non certo di ritrovarsi colpiti da un
missile dotato di GPS lanciato da chissà dove, o da alieni che
decidevano di venire a fare le vacanze a New York.
Ora invece vedeva un ragazzo spaventato e insicuro, ed era la stessa
cosa che vedeva negli occhi del soldato. I due erano immobili, a
malapena respiravano, e semplicemente si guardavano, l'uno il riflesso
dell'altro, aspettando che l'altro parlasse, o colpisse...o...
probabilmente qualunque cosa sarebbe andata bene.
Quel silenzio e quella tensione non si potevano più sostenere. Clint
poteva giurare che avrebbe potuto tagliarne un pezzo e spalmarseli su
una fetta di pane per colazione, così prese lui l'iniziativa.
-Nat, Sam, Tommy. Usciamo a fare due passi, forza- e senza dare loro
tempo di rispondere, li trascinò tutti nel giardino sul retro.
***
Steve non riusciva a muovere un muscolo.
Avrebbe voluto dire o fare tante cose, e durante il viaggio aveva visto
e rivisto quella scena nella propria mente, con tutte le variazioni
possibili, compresi gli scenari peggiori in cui si rendeva conto che
Bucky era morto davvero e di lui era rimasto solo un corpo martoriato,
riprogrammato per uccidere.
Aveva pensato a cosa dire, a cosa fare, e ora era semplicemente
pietrificato.
Clint aveva avuto la brillante idea di far uscire tutti dalla casa, e
questo probabilmente era un bene, non sapendo cosa sarebbe uscito dal
loro incontro.
Bucky era seduto sul divano, la schiena dritta staccata dallo schienale
e le mani appoggiate sulle cosce, e lo guardava intensamente, senza
muovere un dito. Semplicemente lo guardava con i suoi occhi azzurri
puntati su di lui, come in attesa di una sua mossa.
Steve aprì la bocca per parlare, poi la richiuse, rendendosi conto che
il vero ostacolo era che non aveva idea di come rivolgersi all'ex amico.
Bucky? James? Soldato? Tutte le opzioni gli sembravano allo stesso
tempo buone e pessime, perchè mentre lo osservava si era reso
conto che non si trovava davanti nè al Soldato d'Inverno, ma nemmeno a
Bucky. Quello che aveva davanti era una persona nuova, che
probabilmente racchiudeva entrambe le personalità, ma allo stesso tempo
era anche qualcun altro, completamente estraneo.
-Steve?- Capitan America non era una persona che sobbalzava, non quando
aveva l'avversario davanti, eppure la voce dell'uomo, così inaspettata
e permeata di uno spettro dell'affetto che Bucky aveva un tempo provato
per lui lo aveva preso totalmente in contropiede.
-B... Bucky?-
Quel nome, a furia di sentirlo ripetere, di ripeterselo nella mente,
non gli causava più flash da un po', ma quando venne pronunciato da
quella voce, la violenza e la vividezza delle immagini lo colpirono con
inaudita violenza.
Fino ad allora, i flash erano stati confusi, come se avesse guardato un
vecchio film su una televisione ancora più antica che iniziava ad avere
qualche problema di funzionamento, ora invece era tutto in HD, e il
cambiamento era stato uno shock.
Erano frammenti brevissimi, ma vividi e intensi: lui che giocava a
battimuro insieme a un ragazzino biondo, la signora della drogheria
vicino a casa che regalava loro caramelle quando andavano a comprare
qualcosa per i loro genitori, il cane del signor Schultz, che impazziva
e nessuno sapeva perchè... nessuno tranne le due piccole pesti che si
divertivano ad attirarlo con un pezzo di salsiccia che probabilmente
era andato a male già da diversi giorni. Marachelle a scuola.
Le prime fidanzate (le sue, perchè Steve era troppo piccolo, gracile e
timido per attirare l'attenzione delle ragazze), la lotta per essere
ammessi nell'esercito.
-Bucky! Che ti succede?-
Clint oltre a vederci benissimo aveva un altro pregio: ci sentiva, e
come aveva udito Steve alzare il tono di voce, chiamare allarmato
l'amico, aveva subito capito che il Soldato d'Inverno aveva appena
avuto un altro dei suoi flash. Si rimise in piedi all'istante e rientrò
in casa.
-James!- chiamò raggiungendo il divano e accovacciandosi vicino al
ragazzo. -James. Avanti. Calmati-
-Che gli succede?- la voce di Steve era un concentrato di
preoccupazione e angoscia quasi doloroso da sentire.
-A volte ha dei flash, quando vede o sente qualcosa o qualcuno
collegato al passato. E' come se a tratti i ricordi di Bucky lo
sommergessero all'improvviso- spiegò l'arciere mentre cercava in
qualche modo di far sentire la propria presenza all'ex killer, anche se
aveva ormai imparato che era inutile: finchè i flash non fossero
passati (o lui non fosse svenuto) non sarebbe tornato al presente.
-Che possiamo fare?-
-Aspettare- fu la secca risposta, forse anche troppo brusca, ma stava
cercando di evitare che cadesse dal divano a furia di contorcersi. In
qualche modo riuscì a sedersi sul torso del ragazzo, immobilizzandolo
in una presa ferrea. -Si calma appena le visioni svaniscono- poi spostò
di nuovo l'attenzione -James. Avanti!-
La voce di Clint lo aiutò a riaggrapparsi alla realtà.
Questa volta era stato molto più difficile uscire dai flash. Erano
stati troppo vividi, troppo reali e staccarsi gli era costato un grande
sforzo mentale, forse perchè una parte di lui voleva vederli, studiarli
e assorbirli, ora che finalmente sembravano davvero suoi, davvero reali.
Si era ritrovato alla fine sul divano, l'arciere seduto sul suo petto
che cercava evidentemente di tenerlo fermo. Aveva il respiro corto e la
testa gli pulsava doloramente, come non gli capitava più da un po'.
-Bucky?- Una mano calda e insicura gli sfiorò il braccio sano, e fu
come se un falò avesse sprigionato calore in tutto il suo corpo, ma non
un calore fastidioso e ustionante; un calore che sapeva di castagne
cotte sulla fiamma viva, di risate e di giochi.
Il peso sul suo petto diminuì e scomparve quando Clint decise che era
abbastanza tranquillo da poter essere liberato, e sentì appena che
mormorava qualcosa sul tornare in giardino. Lo guardò
allontanarsi prima di voltarsi e trovare la forza di incrociare il suo
sguardo con quello del Capitano, una parte di lui terrorizzata al
pensiero che gli ordini dell'HYDRA prendessero il sopravvento ancora
una volta.
I suoi muscoli si tesero all'improvviso; eccolo, il Soldato d'Inverno,
quella parte di lui che era ancora consapevole di trovarsi di fronte
alla sua missione e determinata a portarla a termine. Ma Bucky, il
Bucky del 1946 era lì, ed era forte come la sua controparte... e
finalmente, dopo una breve lotta, riuscì a sopraffare la macchina da
guerra.
Quello a cui stava assistendo era qualcosa di decisamente al di fuori
delle sue capacità di comprensione: quando si erano guardati negli
occhi, l'espressione del suo migliore amico era improvvisamente
cambiata: le sue pupille si erano ristrette e la sua espressione aveva
perduto quel po' di calore a favore della freddezza spietata di
Washington.
Il suo corpo si era visibilmente teso, pronto a combattere, e Steve
reagì di conseguenza, preparandosi a sua volta a difendersi.
E poi era stato come guardare un film. C'era una lotta in corso
all'interno di quel corpo, come due coscienze ugualmente presenti che
si scontravano, l'una che cercava di sedare l'altra, e Steve sapeva che
dall'esito di quella guerra silenziosa sarebbe dipeso il futuro suo e
dei suoi amici.
-Steve...- E alla fine, all'improvviso, Bucky era lì, gli occhi caldi,
la fronte imperlata di sudore e il respiro di nuovo affannoso, ma
c'era. Avrebbe potuto riconoscerlo ovunque. Bucky.
-Ehi, Buck...- trovò il coraggio di sussurrare dopo quelli che
sembrarono ere di interminabile silenzio.
E non ci fu bisogno di altre parole.
Finalmente sul volto dell'altro si formò quel mezzo sorriso da canaglia
che era il suo tratto distintivo. Certo, era incerto e insicuro, ma era
lì, e per adesso, a Steve bastava.
-Tutto ok?- sussurrò ancora, sfiorandogli appena il braccio sano con la
propria mano.
-Mi...scoppia la testa- fu la risposta che ottenne, debole e tremante,
come se il suono stesso della propria voce fosse sufficiente ad
aumentare l'emicrania. -Quei... flash... mi... hanno scombussolato-
James cercò di mettersi seduto, ma Steve lo afferrò per una spalla e lo
spinse di nuovo contro i cuscini del divano.
-Sta giù. Aspetta che passi, ok?-
Bucky annuì stancamente, una mano che andava a coprirsi la fronte
imperlata di sudore. Steve rimase in silenzio, aspettando che avesse
una cera migliore prima di parlare di nuovo, cogliendo l'occasione per
riordinare le idee. C'erano così tante cose che avrebbe voluto dirgli,
chiedergli e fare, ma si erano tutte mescolate nel suo cervello
nell'istante in cui aveva rivisto quel sorriso famigliare.
Alla fine, fu l'altro a parlare, sollevandolo dall'imbarazzo.
-Sono... reali?-
-Che cosa?-
-Le cose... che vedo. Clint... dice che lo sono. Io... non lo so-
-Ti va.. di scoprirlo?- all'improvviso, Bucky non era l'unico insicuro
nella stanza. Se davvero fossero stati ricordi impiantati? Immagini
generiche in qualche modo generate nei laboratori dell'HYDRA basate su
quello che dicevano i fascicoli della città di New York su di loro.
Steve gli stava chiedendo se gli andava di scoprire se le immagini che
gli avevano trafitto il cervello nelle ultime settimane erano vere o
erano delle mere invenzione.
Era meglio sapere la verità o vivere nell'illusione di essere davvero
James Barnes?
Dentro di sè, qualcosa gli diceva che la risposta doveva essere
scontata, ma dall'altra la prospettiva di sapere con certezza lo
spaventava: che cosa sarebbe successo se avesse scoperto che era tutto
falso? Cosa ne sarebbe stato di lui?
Da un certo punto di vista, la speranza di essere stato un tempo il
migliore amico di Steve era rassicurante, perchè se non altro gli dava
l'illusione di essere stato qualcuno, di avere avuto un passato e, di
conseguenza, di poter avere un futuro che non comprendesse missioni,
omicidi e ordini da eseguire senza poter obiettare.
Si cullò in quella prospettiva, quella di vivere per sempre
nell'illusione, solo per qualche manciata di secondi: James Barnes non
era un codardo, perciò si ritrovò ad annuire e a chiedere come
avrebbero potuto scoprirlo.
-Perchè non mi racconti qualcosa? Quello... che fa meno male. Sapevo
tutto di te, forse posso aiutarti-
Steve gli stava offrendo un'altra via d'uscita, una seconda possibilità
di rimanere nell'incertezza. Tra i flash, c'erano anche momenti passati
in solitudine o con i suoi genitori. Avrebbe potuto raccontargli uno di
quelli, magari Steve non avrebbe saputo rispondergli e la cosa sarebbe
finita lì.
Ma, ancora una volta, scelse la via più difficile, quella che poteva
essere la più dolorosa.
E così raccontò di quando aveva bussato alla sua porta con dei fumetti
e le liquirizie dopo un pestaggio che aveva lasciato Steve ferito
nell'orgoglio, oltre che nel viso... e si ritrovò a pregare con tutte
le sue forze che l'altro confermasse.
Steve ricordava perfettamente non solo quel giorno, ma anche la rissa
del giorno prima. Era stato un pestaggio diverso dagli altri, più
umiliante perchè non riguardava l'America o un qualche ideale in cui
già credeva.
Aveva da poco perso anche suo padre, e lui e sua madre stavano ancora
cercando di riprendersi dal lutto, ed era stata una cattiva battuta su
di lei a scatenare in lui l'ira che lo aveva portato ad attaccare per
primo. Alla beffa di averle prese di santa ragione (il che non era poi
una gran novità in effetti) si era aggiunta anche l'umiliazione, ben
più dolorosa, di non essere riuscito a difendere la loro dignità.
La doppia sconfitta aveva bruciato così tanto nel suo petto che non era
riuscito nemmeno a guardare negli occhi Bucky quella sera. Era corso a
casa e si era chiuso in camera sua.
Il mattino dopo sua madre era uscita quando ancora era buio, ben prima
dell'ora di inizio della scuola, e con quella scusa lui non si era
mosso dal letto. Bucky si era presentato nel primo pomeriggio, appena
finite le lezioni, ed era rimasto con lui fino all'ora di cena.
Quando si erano separati, Steve stava molto meglio.
-Il giorno dopo avevamo entrambi mal di pancia- ricordò quando Bucky
finì di raccontare -Mia madre non era tornata a casa per cena e abbiamo
deciso di farci da mangiare da soli. Non c'era niente in casa, quindi
abbiamo deciso che sarebbe stata una buona idea mischiare il latte con
le liquirizie per condirci la pasta-
Bucky riuscì a ridere.
-Non esattamente una buona idea...- commentò.
-Per niente-
Erano reali.
La testa aveva ripreso improvvisamente a girargli, questa volta per il
sollievo.
I suoi ricordi erano reali.
Era stato una persona normale.
Aveva avuto una vita, degli amici, non era stato sempre un assassino.
E all'improvviso si ritrovò seduto, completamente circondato dalle
braccia di Steve, che lo stavano stringendo con tutta la sua forza.
I suoi muscoli si tesero per un millisecondo, prima che riuscisse
finalmente a contraccambiare.
Il sollievo era tanto che si sentì quasi mancare. Forse per lui c'era
ancora speranza.
-Chi sono?- trovò il coraggio di chiedere quando finalmente il Capitano
riuscì a lasciarlo andare, rilassando piano piano le sue braccia, come
se il stesse lottando contro il suo istinto, come se avesse paura che
se avesse interrotto il contatto lui sarebbe sparito di nuovo nel nulla
e non l'avrebbe più rivisto. Non gli importava se a ogni parola di
Steve sarebbero arrivati nuovi flash. Sarebbe stato disposto a morirci
se questo voleva dire conoscere la verità su sè stesso.
Fu l'inizio di una lunga giornata.
I due si chiusero in una delle stanze, quella che Clint gli aveva
assegnato e che di solito condividevano (L'arciere infatti aveva
escluso la possibilità di farlo dormire da solo o con Tommy nel caso in
cui avesse deciso di fuggire o, peggio, attaccarli). Si stesero sul
letto del Soldato d'Inverno (come avevano sempre fatto, ma solo Steve
ne aveva memoria, anche se il gesto era venuto spontaneo a entrambe le
parti) e insieme ricomposero il puzzle della sua vita che l'HYDRA aveva
non solo frantumato in mille pezzi, ma che si era anche divertita a
nascondere sotto strati e strati di nuove istruzioni da eseguire.
***
-Cosa sapete dirmi di Stark?-
Mentre i due supersoldati erano in casa a cercare di trovare un senso
in tutta quella faccenda, Natasha e Sam erano usciti nel giardino
posteriore per ricevere notizie dal mondo americano.
-Sappiamo solo che sta cercando il Soldato d'Inverno. Vuole vendetta
per i suoi genitori- rispose Tommy in tono tranquillo, anche se la
tensione delle sue spalle e i pugni stretti tradivano quanto la cosa lo
facesse infuriare.
Natasha non era poi molto sorpresa dall'atteggiamento del ragazzino:
lui stesso aveva perso il padre e non in maniera molto diversa rispetto
a Tony. Certo, Clint non era stato mandato a ucciderlo
specificatamente, l'uomo aveva solo avuto la sfortuna di trovarsi al
momento sbagliato nel posto sbagliato, e aveva pagato con la vita;
tuttavia, la russa riusciva a capire quale fosse il pensiero di Tommy:
anche lui era stato furioso con Clint, almeno fino a quando non era
venuto a conoscenza della verità: l'arciere non l'avrebbe mai ucciso se
avesse avuto il controllo delle proprie azioni, e non capiva perchè
Stark non riuscisse ad arrivare alla stessa conclusione.
-E' comprensibile- Clint cercò di calmarlo -Anche tu eri arrabbiato con
tuo padre. Tony ancora non sa chi sia il Soldato d'Inverno o il perchè
abbia compiuto quell'azione...-
-Ma anche se glielo dicessimo, capirebbe?- non potè fare a meno di
pensare ad alta voce Wilson, polverizzando le parole rassicuranti delle
due spie.
-Potrebbe o no- rispose la donna, perchè effettivamente Tony era
difficile da prevedere, ed era per questo motivo che Fury inizialmente
l'aveva scartato per il progetto Avengers: Stark poteva essere molto
comprensivo, ma allo stesso tempo, e con le stesse probabilità, anche
senza scrupoli, ed era praticamente impossibile sapere quale strada
avrebbe percorso.
-Dobbiamo proteggerlo- dichiarò Clint. Nat gli sorrise, sapendo quanto
l'argomento pungesse l'amico sul vivo, e lei non potè fare altro che
annuire. Era sostanzialmente d'accordo, a patto che non si rivelasse
tutto un piano per ucciderli, ovviamente.
Aveva studiato bene l'uomo finchè erano stati in casa, e la sua
tensione e la sua paura non l'avevano lasciata indifferente,
soprattutto perchè era la prima volta che vedeva un'emozione su quel
volto.
Anche l'idea che fosse tutta una trappola in realtà non è che la
convincesse molto, perchè in tutti quei decenni mai si era comportato
così. Lui non era una spia.
Infiltrarsi, recitare, conquistare affetti e fiducia con le menzogne:
quello era il campo in cui si era specializzata Natasha. Certo, tutto
era volto principalmente all'omicidio e alla raccolta di informazioni,
ma era un processo articolato, che non si imparava in un paio di giorni
o con la programmazione celebrale.
No, lui era sempre stato il killer perfetto: arriva, ammazza e scappa.
Se li avesse voluti morti, sarebbero già morti. Inoltre, anche se il
ragazzo ogni tanto poteva commettere azioni discutibili (tipo
risparmiarle la vita e farla ammettere nello SHIELD), Natasha si fidava
del suo istinto, e se Clint era riuscito a conviverci senza farsi
ammazzare (il che effettivamente la diceva molto lunga, a ben pensarci)
probabilmente quella che avevano di fronte era la verità. Si voltò e
guardò quello che, tra loro, era il più scettico, nonostante avesse
accettato di seguire Capitan America nella sua ricerca.
-Sam?-
Sam Wilson aveva visto letteralmente di tutto da quando lavorava agli
affari dei veterani e, per questo, sapeva riconoscere un disturbo da
stress post traumatico quando ne vedeva uno.
Tuttavia, non sapeva se poteva catalogare l'intera faccenda sotto quel
nome, perchè non aveva idea di quello che era successo al Soldato
D'Inverno. Le loro erano solo ipotesi, e certo, Clint poco prima li
aveva informati di quel poco che James gli aveva raccontato in quei
giorni, e se era anche solo un decimo della verità, trauma era una
parola che nemmeno si avvicinava a quello che gli avevano fatto.
Ma Natasha non gli stava chiedendo cosa ne pensasse perchè tra tutti
era lui l'esperto di reduci di guerra; glielo stava chiedendo perchè
era quello che fin da subito aveva cercato di mantenere basse le
aspettative di Steve.
-Di sicuro è passato attraverso un trauma di un qualche tipo- rispose a
bassa voce -E se i ricordi sono veri, allora non è che una vittima
degli eventi, e sono con voi. Ma al minimo cenno di minaccia, gli sparo
in fronte-
-Magari passiamo prima al metterlo ko, ok?-
Sam sorrise a Tommy. Il ragazzino gli piaceva.
-Va bene-
PERSONAL SPACE: Grazie di aver letto!
Cosa succederà? Stark sarà comprensivo? Riusciranno i nostri eroi a
ricongiungersi con Coulson? Al prossimo capitolo!!
PS: Come sempre non mordo i recensori, promesso!
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