Il primo tuono esplose nel cielo nel momento esatto in cui chiusi la porta della casupola alle mie spalle. Era quasi mezzanotte ed il cielo era coperto da pesanti nubi color della pece, ma la totale assenza di luce non era per me un problema. Gli Orchi vedevano benissimo anche al buio più assoluto ed erano inoltre camminatori instancabili. Percorsi la lunga distesa del Pelennor in meno di due ore e quando arrivai alle porte della città mi sentivo ancora fresca come una rosa.
Protetta dall’oscurità riuscii ad arrivare proprio davanti ai cancelli senza che nessuno mi notasse. Le guardie si resero conto della mia presenza soltanto quando ormai ero già di fronte a loro, e solo perché un fulmine illuminò la notte con la sua luce spettrale, facendo rilucere i miei occhi.
"Alto là! Chi va là!" gridarono all’unisono i due gendarmi, puntandomi contro le spade.
"Devo vedere il Sovrintendente!" risposi, senza curarmi delle loro lame, con la voce ormai ridotta ad un ringhio sordo dalla mutazione irreversibile.
"Fatevi identificare!" urlò ancora uno dei soldati accendendo una lanterna ed alzandola sopra il capo, illuminando l’area antistante le porte. Non appena mi riconobbe trasalì vistosamente, tanto che la lucerna gli sfuggì di mano facendoci ripiombare nell’oscurità più completa.
Il suo compagno non si perse d’animo. Strinse ancor di più la presa sull’elsa e replicò:
"Abbiamo ordine di non far entrare nessuno, dopo il tramonto!"
"Devo vedere il Sovrintendente!" ripetei, la voce resa ancor più gutturale dalla rabbia.
"Lo vedrete domattina. Sempre se vorrà ricevervi…" mi rispose, ironico.
"Io devo vederlo adesso!" insistei, le mani strette a pugno.
"Non costringeteci ad usare le armi!" intervenne di nuovo il primo gendarme, dopo essersi ripreso dall’attimo di smarrimento.
All’udire quelle parole sfoderai Hoskiart che, nel bagliore dei fulmini, parve risplendere di una luce azzurrina. Le due guardie fecero involontariamente un passo indietro, vinte da un nuovo istante di sbandamento, ma dopo soli pochi secondi tornarono al loro posto alzando le spade, pronte a combattere.
Spostai il braccio all’indietro, decisa a difendermi ad ogni costo, quando una voce imperiosa, proveniente da dietro al pesante cancello, ci bloccò.
"Lasciatela passare!"
"Ma… Mithrandir! Sapete bene anche voi che il Re ha ordinato…" balbettò uno dei gendarmi, stupefatto.
"So benissimo quali sono gli ordini del Re, glieli ho suggeriti io!” gli rispose lo Stregone, con rabbia. “Ma Dama Tingilindë deve incontrare il Sovrintendente, e subito!"
I due soldati esitarono ancora. Gandalf fece l’atto di sfoderare Glamdring e, con quell’unico gesto, li convinse ad aprire il portone ed a lasciarmi passare.
Una volta all’interno, presi ad avanzare a grandi falcate lungo il viale principale. L’Istari mi si affiancò.
"Finalmente ti sei decisa! Peregrino è riuscito a convincerti!" mi apostrofò, serio, mantenendo la mia andatura senza alcuno sforzo apparente.
"Sì, Gandalf” gli risposi in tono altrettanto grave. “Ho capito che, se non lo spronerò, Boromir non si convincerà mai a trovare un’altra donna…"
La voce dello Stregone esplose più forte del rombo dei tuoni, interrompendomi bruscamente. Quando mi voltai a guardarlo mi parve essere diventato alto il doppio e, da quell’altezza incredibile, mi fissava con occhi fiammeggianti.
"Piantala di comportarti come una stupida! Devi smetterla di compiangerti!” tuonò. “Non hai ancora capito che Boromir ha bisogno di te?! E, soprattutto, che tu hai bisogno di lui?!"
Mentre parlava mi feci piccina piccina: mi addossai contro un muro e mi lasciai scivolare a terra. L’Istari mi sovrastò per un altro istante ancora, fissandomi con intensità, prima di tornare normale.
"Scusami se mi sono un po’… alterato” riprese in tono più calmo, “ma devi capire che tu e Boromir siete fatti l’uno per l’altra. Altrimenti, secondo te, cosa ti ci avrebbe portato a fare qui Dama Galadriel?" mi chiese, porgendomi la mano per aiutarmi a rimettermi in piedi. "Forza, ora corri da lui! Ti sta aspettando da troppo tempo ormai!"
Con l’eco delle sue parole che ancora mi risuonava nelle orecchie mi lanciai di corsa su per la strada principale di Minas Tirith, fin nella settima cerchia di mura, diretta al Palazzo dei Sovrintendenti.
Una volta di fronte all’edificio estrassi nuovamente la spada dal fodero, determinata a farmi largo a qualsiasi costo, ma le guardie che dovevano essere di stanza all’ingresso del palazzo si trovavano in realtà poco più in là, appoggiate con la schiena contro il muro, placidamente addormentate. Mi buttai con tutto il mio peso sui battenti: l’avrei sfondato a spallate, se fosse stato necessario. Con mia grande sorpresa, invece, le ante si aprirono docilmente, senza fare rumore, scivolando sui cardini bene oliati.
Entrai nel buio ingresso, chiamando a gran voce:
"Boromir! Boromir, dove sei?"
Poiché non ricevetti risposta mi lanciai su per le scale, continuando ad urlare. Il palazzo sembrava deserto, o forse profondamente addormentato: nessuno, nemmeno i servitori, rispondeva ai miei richiami, forse perché tutti vittima di un sortilegio, lanciato magari proprio da Gandalf per lasciarmi campo libero.
Non sapevo dove dirigermi. Il palazzo sembrava un tetro labirinto dai corridoi infiniti, che percorsi in tutta fretta alla ricerca di colui che amavo. Infine, giunsi in un largo passaggio chiuso da una porta, sotto la quale filtrava una sottile lama di luce. Mi avventai su di essa e la spalancai senza nemmeno bussare.
Il Sovrintendente era lì. L’avevo trovato – finalmente – ma, per un attimo, non riuscii nemmeno a riconoscerlo: pareva diventato l’ombra dell’Uomo che era. Aveva perso molti chili, tanto che la veste da camera che indossava gli ciondolava addosso; aveva gli occhi cerchiati di nero, i capelli lunghi e scompigliati e la barba incolta.
"Boromir…" mormorai con un filo di voce, quasi temendo di potergli fare del male anche solo con la mia orrenda voce da Orchessa.
Si voltò lentamente, osservandomi per un istante con lo sguardo perso nel vuoto. Poi, all’improvviso, i suoi occhi parvero schiarirsi
"Marian… Finalmente sei arrivata…" mormorò con voce flebile.
Mi avvicinai tremante a lui, tendendogli le braccia. Lui fece altrettanto, stringendomi debolmente contro il suo petto.
"Boromir… Come ti sei ridotto… Perché ti sei fatto questo…?" singhiozzai, sfiorandogli delicatamente il viso.
"Perché senza di te la mia vita non aveva più alcun senso… Ma ora sei tornata… Sei di nuovo qui con me…" rispose, carezzandomi i radi capelli.
Solo allora, stretta tra le sue braccia magre ma ancora vigorose, mi resi conto di quanto l’amassi ancora – di quanto l’avessi sempre amato con tutta me stessa – e dello sbaglio madornale che avevo fatto quando gli avevo restituito l’anello.
"Boromir… Perdonami per averti lasciato… Io credevo di agire per il tuo bene… Non volevo farti questo…" ripresi, scoppiando in lacrime.
"Lo so…” mormorò di nuovo lui in risposta. “Ed, infatti, io non aspettavo altro che il tuo ritorno, per chiederti di ricominciare."
Mise una mano nella tasca della vestaglia estraendone il mio anello, che lui aveva sempre gelosamente conservato nella speranza di un mio ripensamento. Lentamente mi prese la mano sinistra, sollevandola all’altezza del mio petto, e me lo infilò nuovamente al dito. In quel momento, capii che eravamo veramente destinati l’uno all’altra. Pur se timorosa di ricevere un rifiuto protesi il viso verso di lui, in cerca di quel bacio che tante volte egli aveva tentato di darmi.
Boromir non si lasciò pregare. Le sue labbra si posarono dolcemente sulle mie, schiudendosi subito dopo per permettere alle nostre lingue di incontrarsi. La “
Stella di Fëanor” divenne improvvisamente incandescente, trasmettendomi una specie di scossa elettrica che mi percorse dalla testa ai piedi, facendomi irrigidire involontariamente. Il Gondoriano se ne avvide e per tale motivo si staccò da me, fissandomi con occhi che sempre più si riempivano di stupore. La sua bocca prima si aprì in una "
O" di incredulità, poi si spalancò in un enorme sorriso.
"Marian… guardati!" esclamò, trascinandomi verso lo specchio.
Per poco non mi venne un colpo. I miei capelli stavano tornando quelli di sempre, il mio viso stava riprendendo i vecchi lineamenti. Guardai le mie mani: lentamente anch’esse stavano recuperando l’aspetto originario. Le fissai per qualche istante, incredula, prima di tornare a osservarmi nello specchio. Ero tornata finalmente ad essere quella di una volta. Non più Orchessa, non più Elfa, ma di nuovo Donna, come quando la mia avventura era iniziata.
Riflesso nella grande specchiera vidi Boromir accostarsi alla mia schiena.
"Allora è vero! Gandalf aveva ragione!" esclamò di nuovo, cingendomi la vita con le braccia.
"Certo che avevo ragione! Per chi mi hai preso, per un mago da strapazzo?"
La voce dell’Istari ci fece sobbalzare entrambi. La porta della camera si aprì di scatto mentre lo Stregone si affacciava sull’uscio, appoggiandosi al suo lungo bastone con aria soddisfatta. Mi voltai a guardarlo per un attimo prima di tornare a fissare il Sovrintendente, con aria stupita.
"Ragione su che cosa? Mi volete spiegare, per favore?" chiesi, mettendomi le mani sui fianchi.
"Gandalf era convinto che l’unico modo per farti tornare quella di un tempo fosse darti un bacio di vero amore” mi illustrò Boromir. “Io mi sono innamorato di te fin dal primo giorno in cui ti ho vista, a Gran Burrone, e da allora non ho mai smesso di farlo. Da quando sei diventata un’Orchessa ho tentato di baciarti più volte, ma tu mi hai sempre respinto" aggiunse, in tono quasi di rimprovero.
"Ma il bacio d’amore sarebbe dovuto essere corrisposto per funzionare” interloquì lo Stregone, “e, a giudicare dal tuo attuale aspetto, lo era."
"Oh, sì che lo era!” risposi con enfasi. “Neanche io ho mai smesso di amarti, Boromir, ma l’ho capito solo stasera" ammisi, lasciandomi cadere tra le sue braccia in cerca di un nuovo bacio che non fu negato.
"Tutto è bene quel che finisce bene! Allora, a quando le nozze?"
La domanda di Gandalf mi colse impreparata. Mi voltai di scatto a guardarlo, con aria stranita.
"Non fissarmi a quel modo, mia cara. Ora non c’è più niente che possa impedire il vostro matrimonio!” rise l’Istari. “E, inoltre, c’è un certo Hobbit molto curioso che vuole sapere la data, per non mancare all’appuntamento!"
"Peregrino!” esclamai, sorridendo a mia volta. “Ma, questo pomeriggio, mi ha detto che fra qualche giorno lui e gli altri lasceranno la città per tornare a casa” aggiunsi, ricordando all’improvviso le sue parole.
"Sì, ci sono alcune cose che devono essere sistemate nella Contea” confermò Gandalf, “ma credo che possiamo permetterci di aspettare ancora un po’ di tempo."
Tornai a guardare Boromir, perdendomi nei suoi occhi grigio-verdi.
"Io sono arrivata qua, nella Terra di Mezzo, il trenta di settembre. Mi piacerebbe molto che il giorno delle nozze corrispondesse all’anniversario del mio arrivo…” mormorai. “Oggi è il ventidue di luglio. Abbiamo poco più di due mesi per organizzare tutto. Tu cosa ne pensi, Boromir?"
"Che ogni tuo desiderio è un ordine, per me” mi rispose ridendo. “Avrò almeno anche il tempo di rimettermi un po’ in forma!" aggiunse, scuotendo le braccia e facendo ondeggiare le maniche della vestaglia, che gli andava larghissima.
"Bene! E allora che il trenta di settembre sia!” concluse Gandalf, sorridendo soddisfatto. “Vado subito ad avvertire il nostro amico comune. Buonanotte!" E, con un mezzo sorriso ed una strizzatina d’occhio, lo Stregone lasciò la stanza chiudendo la porta dietro di sé.
Finalmente sola con il Gondoriano mi voltai a fissarlo con avidità. Era passato molto, troppo tempo, dall’ultima volta in cui avevamo fatto l’amore. Boromir parve essere dello stesso avviso perché con un rapido gesto si disfece, lanciandola lontano, della veste da camera, cui seguirono subito dopo le lunghe brache di tela. Benché avesse perso molto peso i suoi muscoli erano ancora ben delineati ed il suo corpo mi sembrò quanto mai desiderabile.
"Wow…" riuscii soltanto a mormorare prima di spogliarmi in tutta fretta a mia volta, buttandomi sul letto tra le sue braccia.
I preparativi del matrimonio occuparono tutti al punto da far passare il tempo ancora più velocemente di quanto già non facesse. Boromir recuperò la sua perfetta forma fisica in meno di un mese, allenandosi quotidianamente con suo fratello Faramir. Quest’ultimo ed Éowyn si erano sposati non appena la ragazza era tornata da Rohan, dopo il funerale di suo zio Re Théoden. Non appena mi aveva visto mi era corsa incontro, senza badare minimamente all’etichetta, abbracciandomi con foga ed esultando con me per tutte le belle cose che erano accadute in sua assenza. Con grande gioia ero stata la sua damigella d’onore, con la promessa, però, che anche lei avrebbe ricambiato.
Pipino si era autoproclamato organizzatore dell’evento, ed aveva preso talmente a cuore la faccenda che rischiò seriamente di farsi venire un esaurimento nervoso. Gli altri tre Hobbit facevano la spola tra il Palazzo dei Re e quello dei Sovrintendenti, eseguendo gli ordini di quello strampalato wedding planner e controllando che tutto si svolgesse come previsto. Non era inconsueto vederli correre di qua e di là, con il giovane Tuc a battere le mani al loro indirizzo, per spronarli a fare presto.
Finalmente venne il grande giorno. La Regina Arwen in persona mi aveva confezionato uno splendido abito da sposa color dell’avorio, completamente adorno di pizzi e merletti, che lasciava scoperte le spalle e la mia rosellina azzurra. Non ero mai stata così nervosa, in vita mia, come quando arrivò il momento di uscire nella Piazza della Fontana, dove tutta la popolazione si era riunita per assistere alle nozze del Sovrintendente Boromir. Con il velo calato sul viso detti il braccio a Re Elessar, che mi accompagnò davanti a Gandalf. Lo Stregone era maestoso nel suo lungo abito bianco come la neve. Dietro di me venivano Éowyn e la Regina stessa, come damigelle d’onore, accompagnate da Pipino e Merry in veste di paggetti. Il giovane Tuc non riusciva a trattenere le lacrime ed, ogni tanto, si soffiava rumorosamente il naso dentro un fazzolettone a quadri.
Boromir, bellissimo nella sua armatura scintillante, mi attendeva in piedi davanti all’Istari, con al fianco Faramir e, poco più dietro, Frodo e Sam. Lo vidi alzare lo sguardo su di me e seguire attentamente ogni mio passo mentre mi avvicinavo, al braccio del Re. Poi, una volta di fronte a lui, sollevò il mio velo con mani tremanti, mormorando:
"Sei bellissima…"
"Anche tu…" gli risposi in un soffio.
Arwen ed Éowyn ci posarono sul capo una corona di fiori bianchi intrecciati, per poi allontanarsi di qualche passo; Gandalf si schiarì la voce e cominciò il rito.
"Chi conduce al cospetto di questa assemblea i due esseri che diverranno uno? Pronunciate i loro veri nomi!"
"Io, Faramir, presento Boromir, che indossa l’anello della promessa" rispose per primo il giovane Gondoriano.
"Io, Elessar, presento Marian, che indossa l’anello della promessa" gli fece subito eco Aragorn.
Pipino si soffiò il naso per l’ennesima volta e Gandalf gli lanciò un’occhiataccia prima di continuare.
"Boromir e Marian, davanti a questa assemblea, confermate le vostre promesse?"
Faramir ed il Re fecero un passo avanti, traendo di tasca un anello d’oro ciascuno.
"Boromir dona a Marian questo anello, a testimonianza della propria volontà!" pronunciò di nuovo, in tono solenne, il fratello del Sovrintendente.
"Marian dona a Boromir questo anello, a testimonianza della propria volontà!" ripeté Aragorn.
I due Uomini ci porsero le nuove fedi, che noi sostituimmo a quelle d’argento. In quel momento cadde il silenzio, rotto soltanto dai singhiozzi di Peregrino. Poi i nostri testimoni ci condussero proprio di fronte a Gandalf, facendoci intrecciare le mani. Lo stregone annuì soddisfatto prima di riprendere a parlare.
"Boromir e Marian, per il suolo sul quale viviamo, sarete sempre fedeli l’uno all’altra come le rocce al terreno?
"In nome di Aulë Talkamarda, saremo roccia e terreno!" rispondemmo all’unisono; e tutti i presenti si unirono in coro, invocando il nome del Vala.
"Á vala Aulë!"
"Boromir e Marian, per tutto ciò che cresce sulla terra, sarete sempre uniti l’uno all’altra come le verdi foglie agli alberi?" continuò Gandalf.
"In nome di Yavanna Kementári, saremo foglia ed albero!"
"Á vala Yavanna!" ripeterono di nuovo tutti in coro.
"Boromir e Marian, per le acque che ci danno la vita, sarete sempre l’uno parte dell’altra come la goccia lo è dell’oceano?"
"In nome di Ulmo Vailimo, saremo goccia ed oceano!" replicammo di nuovo, insieme.
"Á vala Ulmo!" rispose il coro dei presenti.
"Boromir e Marian, in nome del brillante firmamento, vi darete sempre gioia l’uno all’altra come le stelle nel cielo?" chiese di nuovo lo Stregone.
"In nome di Varda Elentári, saremo stelle che si scambiano la luce!"
"Á vala Varda!" pronunciò tutta l’assemblea, all’unisono.
"Boromir e Marian, per l’aria che respiriamo, per la brezza che ci allieta e per il vento impetuoso, volete essere uno il respiro dell’altra?"
"In nome di Manwë Súlimo, saremo un solo respiro!"
"Á vala Manwë!"
"Boromir e Marian, in nome del Fuoco segreto che ci ha creati, volete essere d’ora in poi marito e moglie?" chiese infine l’Istari.
"In nome di Eru Ilúvatar e di tutti i suoi spiriti, noi giuriamo di amarci e di essere una cosa sola!" rispondemmo solennemente, fissandoci negli occhi.
"Á vala Eru!" proclamò la folla.
Gandalf posò, infine, le sue mani sulle nostre, che erano ancora intrecciate.
"Á vala Valar! Per l’amore che vi lega e le promesse che vi siete scambiati davanti alle forze della Terra siete divenuti veru, una cosa sola da due. Che Eru fonda i vostri due cuori per l’eternità con il suo Fuoco Segreto!" concluse lo Stregone, per poi allontanarsi di un passo.
Finalmente fummo liberi di abbracciarci e baciarci. Tutto, nella mia testa, si confuse. Le voci dei presenti diventarono solo un rumore di sottofondo. Eravamo solo io e lui, io e Boromir: mio marito!
All’improvviso fummo trascinati, quasi di peso, all’interno del Palazzo dei Re, nel Salone delle Feste, dove era stato allestito un banchetto degno di tutte le corti della Terra di Mezzo. A quel punto fummo costretti a separarci, anche se a malincuore, per poter adeguatamente prestare attenzione a tutti gli invitati che richiedevano insistentemente di essere ascoltati o, più semplicemente, volevano congratularsi.
Solo a notte fonda, quando oramai la maggior parte degli ospiti se ne era andata o era crollata a terra ubriaca fradicia – come Gimli, che aveva chiesto a Legolas la rivincita per la gara di bevute sostenuta, a suo tempo, a Rohan – potei incontrare di nuovo mio marito. Mi ero appena messa a sedere sul basso muretto che cingeva la rupe di Minas Tirith quando egli mi raggiunse.
"Finalmente anche questa giornata è finita…” esalai, lasciandomi sfuggire un lungo sospiro. “Non ne potevo più di tutte quelle congratulazioni! E poi i piedi mi fanno un male…" aggiunsi, togliendomi le scarpe e prendendo a massaggiarmi le dita indolenzite.
"A chi lo dici…" rispose Boromir, lasciandosi cadere seduto al mio fianco. "Tutte queste smancerie non fanno per me. Non vedo l’ora di tornare a casa nostra e di togliermi quest’armatura."
Per un attimo cadde il silenzio, interrotto solo dal frinire dei grilli, poi lui riprese:
"Sei felice?"
"Sì, amore mio, sono felicissima… E tu?" replicai con un sorriso.
"Da impazzire!" rispose annuendo.
"E ora… Che cosa succederà?" chiesi, quasi a me stessa, pensando all’improvviso al futuro che mi si stendeva davanti.
"Non lo so…” sospirò il Sovrintendente, altrettanto pensieroso, “ma, qualsiasi cosa il destino ci riservi, io sarò l’Uomo più felice del mondo, perché avrò te al mio fianco!"
Alzai lo sguardo alle stelle, sorridendo, prima di tornare a guardarlo dritto negli occhi.
"Ti amo, Boromir…" mormorai, siglando quelle parole con un bacio.
Era il trenta di settembre, e così iniziò la mia nuova vita nella Terra di Mezzo.
Spazio autrice: Et voilà, ci siamo arrivati infine, alla fine di questa storia rivista e corretta, anche se, in realtà, proprio finita finita non è, visto che manca ancora l'epilogo.
Spero che l’idea del bacio che sistema tutto non sia troppo banale. Forse fa un po’ molto favola, tipo Biancaneve, o La Bella Addormentata, ma è stata l’unica idea che ho avuto… La potenza dell’amore che riesce ad estrarre l’ultimo briciolo di potere dalla Stella.
Eccovi inoltre le ultime annotazioni di rito:
1) la frase “mangiando cose che avrebbero fatto vomitare una capra” è una citazione tratta dal film “Rambo” del 1982, il primo della celebre saga con protagonista il mitico Sylvester Stallone. Dice così di lui il Colonnello Trautman quando ne parla ai poliziotti.
2) anche in questo caso, la formula del matrimonio non è di mia invenzione(ahimè), ma ripresa da internet.
Grazie, grazie ed ancora grazie a tutti voi che leggete e recensite!
Vi lascio, infine, con due immagini: la prima rappresenta Marian al suo arrivo davanti ai cancelli di Minas Tirith, intenzionata a parlare con Boromir. Lo so, gli Orchi sono ben più brutti, ma non sono riuscita a trovare niente di meglio… La seconda, invece, rappresenta la scena che credo tutti aspettavano: il matrimonio di Boromir e Marian, realizzata con il solito fantastico giochino di dress up.
Bacioni!