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Autore: evelyn80    31/10/2015    6 recensioni
Dopo aver espresso il desiderio di poter salvare Boromir dalla sua triste fine, Marian si ritrova catapultata nella Terra di Mezzo grazie ad un gioiello magico che la sua famiglia si tramanda di generazione in generazione. Si unirà così alla Compagnia dell'Anello per poter portare a termine la sua missione. Scoprirà presto, però, che salvare Boromir non è l'unica prova che la attende.
Ispirata in parte al libro ed in parte al film, la mia prima fan fiction sul Signore Degli Anelli.
Genere: Avventura, Comico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Boromir, Nuovo personaggio
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'La mia Terra di Mezzo'
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L’amore è più forte di tutto.

 

I giorni passarono lentamente. Dopo numerosi e vani tentativi di trovare una casa ed un lavoro a Minas Tirith mi ero insediata all’interno di una casupola abbandonata, ai margini dei Campi del Pelennor, vicino ad una folta macchia di alberi in cui potevo nascondermi, all’occorrenza. Fin da subito mi resi conto che non avrei mai potuto trovare una soluzione migliore: l’ultima trasformazione che avevo subito, infatti, pareva continuare inesorabile e la parte "orchesca" stava ormai prendendo il sopravvento su quella umana. Passavo la maggior parte della notte sveglia, di solito cacciando piccoli animali che poi mangiavo crudi, mentre di giorno mi rintanavo all’interno per sottrarmi alla luce del sole, che riuscivo a sopportare sempre meno. Tenendo un comportamento simile, non avrei mai potuto vivere all’interno della città.
Nessuno, a parte gli Hobbit, sapeva dove mi ero nascosta. Li avevo pregati caldamente di tenere segreta la mia residenza pure, e soprattutto, a Boromir. Pensavo che, se non avesse più avuto mie notizie, avrebbe smesso di cercarmi e si sarebbe finalmente deciso a rifarsi una nuova vita. 
Non volevo nemmeno ricevere visite: dato che la natura animalesca tipica degli Orchi stava prendendo il controllo delle mie azioni, temevo di poter fare involontariamente del male a qualcuno. Solo Pipino osava, a volte, avventurarsi fino alla casupola. Di tanto in tanto lo vedevo giungere nella luce morente del crepuscolo, in sella a Freccia d’Argento, dopo aver fatto un lungo giro per far perdere le sue tracce. Per lui facevo uno sforzo, sedendomi nel vano della porta e cercando di sopportare i raggi del sole al tramonto. In quei momenti gli chiedevo di raccontarmi ogni cosa.
Dal Mezzuomo venni a sapere che le delegazioni degli Elfi e dei Nani avevano finito il loro lavoro ed avevano lasciato Minas Tirith per tornare alle loro case; e che Gwina si era raccomandata caldamente con lui di venirmi a dire di mettere in funzione il cervello, una volta per tutte.
Alla fine di ogni resoconto ripetevo sempre la stessa domanda, a cui Pipino rispondeva ogni volta alla solita maniera.
"E Boromir? Come sta?"
"È difficile da dire, perché non lo vedo quasi mai. Lascia solo di rado il Palazzo dei Sovrintendenti. Però, Faramir mi ha detto che è molto triste e che ti sta ancora aspettando."
Una sera, sul finire di aprile, stufa di sentirgli ripetere sempre le stesse parole, borbottai:
"Perché quel testone non si decide a rifarsi una vita?"
"E perché tu non ti decidi a tornare?" replicò Pipino, fissandomi negli occhi.
Quella semplice domanda mi lasciò senza parole. Possibile che non lo avessero ancora capito, che non potevo farlo? Senza sapere cosa replicare mi ritirai nel buio della casupola e l’Hobbit, dopo aver finito la sua pipata, silenziosamente se ne andò.
Pian piano i giorni divennero mesi. 
Venne il primo di maggio, ed Aragorn fu incoronato Re da Gandalf con il nome di Elessar, Gemma Elfica. 
Venne il venti di giugno, ed Arwen raggiunse finalmente Minas Tirith, accompagnata da tutta la sua famiglia e da molti altri Elfi di Gran Burrone e Lothlòrien. 
Venne il Giorno di Mezza Estate, in cui fu celebrato il matrimonio tra Re Elessar ed Arwen Undòmiel, ed i cui festeggiamenti durarono per giorni interi. Dalla mia casupola potevo vedere le bandierine colorate che sventolavano, al fianco dei vessilli rappresentanti l’Albero Bianco di Gondor. Come gli avevo predetto tempo prima, Aragorn ne aveva trovato un nuovo germoglio sulla cima del Monte Mindolluin.
"Perché non sei venuta anche tu, alle nozze? Mi pareva proprio di avertelo consegnato, l’invito!" mi chiese Pipino una settimana dopo il termine delle celebrazioni, durante una delle sue ormai consuete visite serali. "Arwen desiderava molto vederti e ti avrebbe voluto come damigella d’onore!"
"Proprio una bella damigella sarei stata" risposi, sarcastica, con la voce ormai arrochita, sia per la mancanza di utilizzo che per la progressiva ed inesorabile mutazione di cui ero vittima.
"Anche Elrond, Galadriel e Celeborn hanno chiesto di te” riprese imperterrito il Mezzuomo, “volevano venire a farti visita, ma Gandalf li ha fatti desistere…"
"Meno male che almeno lui ha ancora un po’ di giudizio" borbottai, interrompendolo.
"Abbiamo tutti giudizio! Sei tu che non ne hai più nemmeno una briciola!” sbottò l’Hobbit, scattando in piedi come una molla per l’indignazione e la disperazione. “Faramir mi ha detto che suo fratello non prova più interesse per niente e per nessuno e che, se non fosse per lui e per gli altri membri della Compagnia, non si alzerebbe nemmeno dal letto!"
Come ogni volta in cui Pipino mi parlava di Boromir, anche in quell’occasione le sue parole mi colpirono come una staffilata al cuore. Ma cos’altro avrei potuto fare? Oramai vivevo quasi esclusivamente di notte, mangiando cose che avrebbero fatto vomitare una capra. “Di quale conforto posso essergli io, ormai?” pensai con un sospiro.
Ed infine, ad un mese esatto dalla celebrazione delle nozze tra il Re e la Regina, Pipino venne a darmi la notizia che tanto temevo.
Il giorno prima Éomer era arrivato da Rohan: a Edoras erano finalmente pronti ad accogliere la salma di Re Théoden che, fino ad allora, aveva riposato nelle Case dei Morti a Minas Tirith. Era giunto quindi, per il giovane Tuc e per gli altri Mezzuomini, il momento di tornare nella Contea. Come avrei fatto, io, a sopportare da sola la mia misera condizione? Senza più neanche le sue visite che mi erano diventate così tanto care? 
"Tra una settimana partirà il corteo funebre” mi annunciò quella sera. “Io e gli altri ne approfittiamo per partire. È passato quasi un anno, ormai, da quando abbiamo lasciato la Contea, ed è giunto il momento di tornare a casa."
Annuii senza pronunciare una parola, un grosso nodo che mi si andava formando in gola.
"Il nostro sarà un gruppo ben nutrito” proseguì Pipino. “Ci accompagneranno anche gli Elfi; ed inoltre pure Aragorn, Arwen e gli altri verranno a tributare l’ultimo saluto al Re.”
"Anche Boromir?" gli chiesi trattenendo involontariamente il fiato, nella speranza che l’Uomo avesse deciso di darsi una scossa. Il Mezzuomo, però, scosse la testa.
"No, lui non vuole venire. Sostiene che, in assenza del Re, almeno il Sovrintendente deve rimanere a Minas Tirith; ma io credo che in realtà abbia paura di non ritrovarti più al suo ritorno. Spera ancora che tu cambi idea."
Mi lasciai sfuggire un grugnito al sentire quelle parole ed il Mezzuomo cambiò argomento.
"Verrai almeno a salutarci al momento della partenza?" mi chiese speranzoso.
"Mi dispiace molto, amico mio, ma non credo di poterlo fare…” gli risposi, con voce cupa. “Come ben sai, non riesco quasi più a sopportare la luce del giorno. Ti dico addio adesso. Porta un abbraccio agli altri da parte mia. Fate buon viaggio…" mormorai, già pronta a ritirarmi di nuovo all’interno della buia casupola.
L’Hobbit rimase a fissarmi per un lungo momento, durante il quale sembrò lottare per trattenersi. Poi, all’improvviso, il suo labbro inferiore cominciò a tremare, come quello di un bambino sul punto di scoppiare in lacrime. Con un grido mi gettò le braccia al collo, mettendosi a piangere come una fontana.
"Volevo essere forte… Non volevo piangere… Ma non ce la faccio…” balbettò, tra un singhiozzo e l’altro. “Ti amo Marian! Mi sono innamorato di te dal primo momento che ti ho visto! Lo so che siamo di due razze diverse, ma non posso farci nulla! Non ho mai smesso di amarti, neanche dopo la tua trasformazione!" esclamò, affondando il viso nell’incavo del mio collo, scosso dai singulti del pianto violento.
Gli posai dolcemente una mano sul capo, carezzandoglielo lentamente. La sua tenera confessione mi aveva riempito il cuore di commozione.
"Lo so…” mormorai in risposta, “me ne sono accorta molto tempo fa. Ed ho visto dal tuo sguardo che non hai mai smesso di farlo…"
"Ed allora, se l’hai capito dal mio sguardo, perché non riesci ad intendere che anche Boromir ti ama?!” esclamò di nuovo, staccandosi bruscamente da me e fissandomi negli occhi. “Lui ti ha sempre guardato al mio stesso modo! Non lasciare che la tua avventura con noi vada sprecata! Non lasciare che il tuo sacrificio vada perduto!" gridò ancora, le lacrime che continuavano a scendergli copiose sulle guance.
Le sue parole mi colpirono profondamente, facendo nascere un terribile sospetto dentro di me.
"Perché dici così, Peregrino?" gli chiesi, con la voce che tremava.
"Perché Boromir si sta lasciando morire!” sbottò l’Hobbit, afferrandomi per le maniche della casacca e strattonandomi.  “Non mangia quasi più! Passa le sue giornate chiuso nella sua stanza, a fissare le Montagne dell’Ombra!"
Le sue parole si confusero nella mia mente mentre, col ricordo, tornavo alla frase pronunciata da Faramir ormai quasi quattro mesi prima: "Così uccidi mio fratello!". Possibile che Boromir, invece di ricominciare a vivere, continuasse a desiderarmi al punto tale da preferire la morte piuttosto che una vita senza di me? Dovevo convincerlo a dimenticarmi una volta per tutte, e l’avrei fatto quella notte stessa!
Il primo tuono esplose nel cielo nel momento esatto in cui chiusi la porta della casupola alle mie spalle. Era quasi mezzanotte ed il cielo era coperto da pesanti nubi color della pece, ma la totale assenza di luce non era per me un problema. Gli Orchi vedevano benissimo anche al buio più assoluto ed erano inoltre camminatori instancabili. Percorsi la lunga distesa del Pelennor in meno di due ore e quando arrivai alle porte della città mi sentivo ancora fresca come una rosa.
Protetta dall’oscurità riuscii ad arrivare proprio davanti ai cancelli senza che nessuno mi notasse. Le guardie si resero conto della mia presenza soltanto quando ormai ero già di fronte a loro, e solo perché un fulmine illuminò la notte con la sua luce spettrale, facendo rilucere i miei occhi.
"Alto là! Chi va là!" gridarono all’unisono i due gendarmi, puntandomi contro le spade.
"Devo vedere il Sovrintendente!" risposi, senza curarmi delle loro lame, con la voce ormai ridotta ad un ringhio sordo dalla mutazione irreversibile.
"Fatevi identificare!" urlò ancora uno dei soldati accendendo una lanterna ed alzandola sopra il capo, illuminando l’area antistante le porte. Non appena mi riconobbe trasalì vistosamente, tanto che la lucerna gli sfuggì di mano facendoci ripiombare nell’oscurità più completa.
Il suo compagno non si perse d’animo. Strinse ancor di più la presa sull’elsa e replicò:
"Abbiamo ordine di non far entrare nessuno, dopo il tramonto!"
"Devo vedere il Sovrintendente!" ripetei, la voce resa ancor più gutturale dalla rabbia.
"Lo vedrete domattina. Sempre se vorrà ricevervi…" mi rispose, ironico. 
"Io devo vederlo adesso!" insistei, le mani strette a pugno.
"Non costringeteci ad usare le armi!" intervenne di nuovo il primo gendarme, dopo essersi ripreso dall’attimo di smarrimento.
All’udire quelle parole sfoderai Hoskiart che, nel bagliore dei fulmini, parve risplendere di una luce azzurrina. Le due guardie fecero involontariamente un passo indietro, vinte da un nuovo istante di sbandamento, ma dopo soli pochi secondi tornarono al loro posto alzando le spade, pronte a combattere.
Spostai il braccio all’indietro, decisa a difendermi ad ogni costo, quando una voce imperiosa, proveniente da dietro al pesante cancello, ci bloccò.
"Lasciatela passare!"
"Ma… Mithrandir! Sapete bene anche voi che il Re ha ordinato…" balbettò uno dei gendarmi, stupefatto.
"So benissimo quali sono gli ordini del Re, glieli ho suggeriti io!” gli rispose lo Stregone, con rabbia. “Ma Dama Tingilindë deve incontrare il Sovrintendente, e subito!"
I due soldati esitarono ancora. Gandalf fece l’atto di sfoderare Glamdring e, con quell’unico gesto, li convinse ad aprire il portone ed a lasciarmi passare.
Una volta all’interno, presi ad avanzare a grandi falcate lungo il viale principale. L’Istari mi si affiancò.
"Finalmente ti sei decisa! Peregrino è riuscito a convincerti!" mi apostrofò, serio, mantenendo la mia andatura senza alcuno sforzo apparente.
"Sì, Gandalf” gli risposi in tono altrettanto grave. “Ho capito che, se non lo spronerò, Boromir non si convincerà mai a trovare un’altra donna…"
La voce dello Stregone esplose più forte del rombo dei tuoni, interrompendomi bruscamente. Quando mi voltai a guardarlo mi parve essere diventato alto il doppio e, da quell’altezza incredibile, mi fissava con occhi fiammeggianti.
"Piantala di comportarti come una stupida! Devi smetterla di compiangerti!” tuonò. “Non hai ancora capito che Boromir ha bisogno di te?! E, soprattutto, che tu hai bisogno di lui?!"
Mentre parlava mi feci piccina piccina: mi addossai contro un muro e mi lasciai scivolare a terra. L’Istari mi sovrastò per un altro istante ancora, fissandomi con intensità, prima di tornare normale.
"Scusami se mi sono un po’… alterato” riprese in tono più calmo, “ma devi capire che tu e Boromir siete fatti l’uno per l’altra. Altrimenti, secondo te, cosa ti ci avrebbe portato a fare qui Dama Galadriel?" mi chiese, porgendomi la mano per aiutarmi a rimettermi in piedi. "Forza, ora corri da lui! Ti sta aspettando da troppo tempo ormai!"
Con l’eco delle sue parole che ancora mi risuonava nelle orecchie mi lanciai di corsa su per la strada principale di Minas Tirith, fin nella settima cerchia di mura, diretta al Palazzo dei Sovrintendenti.
Una volta di fronte all’edificio estrassi nuovamente la spada dal fodero, determinata a farmi largo a qualsiasi costo, ma le guardie che dovevano essere di stanza all’ingresso del palazzo si trovavano in realtà poco più in là, appoggiate con la schiena contro il muro, placidamente addormentate. Mi buttai con tutto il mio peso sui battenti: l’avrei sfondato a spallate, se fosse stato necessario. Con mia grande sorpresa, invece, le ante si aprirono docilmente, senza fare rumore, scivolando sui cardini bene oliati. 
Entrai nel buio ingresso, chiamando a gran voce:
"Boromir! Boromir, dove sei?"
Poiché non ricevetti risposta mi lanciai su per le scale, continuando ad urlare. Il palazzo sembrava deserto, o forse profondamente addormentato: nessuno, nemmeno i servitori, rispondeva ai miei richiami, forse perché tutti vittima di un sortilegio, lanciato magari proprio da Gandalf per lasciarmi campo libero.
Non sapevo dove dirigermi. Il palazzo sembrava un tetro labirinto dai corridoi infiniti, che percorsi in tutta fretta alla ricerca di colui che amavo. Infine, giunsi in un largo passaggio chiuso da una porta, sotto la quale filtrava una sottile lama di luce. Mi avventai su di essa e la spalancai senza nemmeno bussare.
Il Sovrintendente era lì. L’avevo trovato – finalmente – ma, per un attimo, non riuscii nemmeno a riconoscerlo: pareva diventato l’ombra dell’Uomo che era. Aveva perso molti chili, tanto che la veste da camera che indossava gli ciondolava addosso; aveva gli occhi cerchiati di nero, i capelli lunghi e scompigliati e la barba incolta.
"Boromir…" mormorai con un filo di voce, quasi temendo di potergli fare del male anche solo con la mia orrenda voce da Orchessa.
Si voltò lentamente, osservandomi per un istante con lo sguardo perso nel vuoto. Poi, all’improvviso, i suoi occhi parvero schiarirsi
"Marian… Finalmente sei arrivata…" mormorò con voce flebile.
Mi avvicinai tremante a lui, tendendogli le braccia. Lui fece altrettanto, stringendomi debolmente contro il suo petto.
"Boromir… Come ti sei ridotto… Perché ti sei fatto questo…?" singhiozzai, sfiorandogli delicatamente il viso.
"Perché senza di te la mia vita non aveva più alcun senso… Ma ora sei tornata… Sei di nuovo qui con me…" rispose, carezzandomi i radi capelli.
Solo allora, stretta tra le sue braccia magre ma ancora vigorose, mi resi conto di quanto l’amassi ancora – di quanto l’avessi sempre amato con tutta me stessa – e dello sbaglio madornale che avevo fatto quando gli avevo restituito l’anello.
"Boromir… Perdonami per averti lasciato… Io credevo di agire per il tuo bene… Non volevo farti questo…" ripresi, scoppiando in lacrime.
"Lo so…” mormorò di nuovo lui in risposta. “Ed, infatti, io non aspettavo altro che il tuo ritorno, per chiederti di ricominciare."
Mise una mano nella tasca della vestaglia estraendone il mio anello, che lui aveva sempre gelosamente conservato nella speranza di un mio ripensamento. Lentamente mi prese la mano sinistra, sollevandola all’altezza del mio petto, e me lo infilò nuovamente al dito. In quel momento, capii che eravamo veramente destinati l’uno all’altra. Pur se timorosa di ricevere un rifiuto protesi il viso verso di lui, in cerca di quel bacio che tante volte egli aveva tentato di darmi.
Boromir non si lasciò pregare. Le sue labbra si posarono dolcemente sulle mie, schiudendosi subito dopo per permettere alle nostre lingue di incontrarsi. La “Stella di Fëanor” divenne improvvisamente incandescente, trasmettendomi una specie di scossa elettrica che mi percorse dalla testa ai piedi, facendomi irrigidire involontariamente. Il Gondoriano se ne avvide e per tale motivo si staccò da me, fissandomi con occhi che sempre più si riempivano di stupore. La sua bocca prima si aprì in una "O" di incredulità, poi si spalancò in un enorme sorriso.
"Marian… guardati!" esclamò, trascinandomi verso lo specchio. 
Per poco non mi venne un colpo. I miei capelli stavano tornando quelli di sempre, il mio viso stava riprendendo i vecchi lineamenti. Guardai le mie mani: lentamente anch’esse stavano recuperando l’aspetto originario. Le fissai per qualche istante, incredula, prima di tornare a osservarmi nello specchio. Ero tornata finalmente ad essere quella di una volta. Non più Orchessa, non più Elfa, ma di nuovo Donna, come quando la mia avventura era iniziata.
Riflesso nella grande specchiera vidi Boromir accostarsi alla mia schiena.
"Allora è vero! Gandalf aveva ragione!" esclamò di nuovo, cingendomi la vita con le braccia.
"Certo che avevo ragione! Per chi mi hai preso, per un mago da strapazzo?"
La voce dell’Istari ci fece sobbalzare entrambi. La porta della camera si aprì di scatto mentre lo Stregone si affacciava sull’uscio, appoggiandosi al suo lungo bastone con aria soddisfatta. Mi voltai a guardarlo per un attimo prima di tornare a fissare il Sovrintendente, con aria stupita.
"Ragione su che cosa? Mi volete spiegare, per favore?" chiesi, mettendomi le mani sui fianchi.
"Gandalf era convinto che l’unico modo per farti tornare quella di un tempo fosse darti un bacio di vero amore” mi illustrò Boromir. “Io mi sono innamorato di te fin dal primo giorno in cui ti ho vista, a Gran Burrone, e da allora non ho mai smesso di farlo. Da quando sei diventata un’Orchessa ho tentato di baciarti più volte, ma tu mi hai sempre respinto" aggiunse, in tono quasi di rimprovero.
"Ma il bacio d’amore sarebbe dovuto essere corrisposto per funzionare” interloquì lo Stregone, “e, a giudicare dal tuo attuale aspetto, lo era."
"Oh, sì che lo era!” risposi con enfasi. “Neanche io ho mai smesso di amarti, Boromir, ma l’ho capito solo stasera" ammisi, lasciandomi cadere tra le sue braccia in cerca di un nuovo bacio che non fu negato.
"Tutto è bene quel che finisce bene! Allora, a quando le nozze?"
La domanda di Gandalf mi colse impreparata. Mi voltai di scatto a guardarlo, con aria stranita.
"Non fissarmi a quel modo, mia cara. Ora non c’è più niente che possa impedire il vostro matrimonio!” rise l’Istari. “E, inoltre, c’è un certo Hobbit molto curioso che vuole sapere la data, per non mancare all’appuntamento!"
"Peregrino!” esclamai, sorridendo a mia volta. “Ma, questo pomeriggio, mi ha detto che fra qualche giorno lui e gli altri lasceranno la città per tornare a casa” aggiunsi, ricordando all’improvviso le sue parole.
"Sì, ci sono alcune cose che devono essere sistemate nella Contea” confermò Gandalf, “ma credo che possiamo permetterci di aspettare ancora un po’ di tempo."
Tornai a guardare Boromir, perdendomi nei suoi occhi grigio-verdi.
"Io sono arrivata qua, nella Terra di Mezzo, il trenta di settembre. Mi piacerebbe molto che il giorno delle nozze corrispondesse all’anniversario del mio arrivo…” mormorai. “Oggi è il ventidue di luglio. Abbiamo poco più di due mesi per organizzare tutto. Tu cosa ne pensi, Boromir?"
"Che ogni tuo desiderio è un ordine, per me” mi rispose ridendo. “Avrò almeno anche il tempo di rimettermi un po’ in forma!" aggiunse, scuotendo le braccia e facendo ondeggiare le maniche della vestaglia, che gli andava larghissima.
"Bene! E allora che il trenta di settembre sia!” concluse Gandalf, sorridendo soddisfatto. “Vado subito ad avvertire il nostro amico comune. Buonanotte!" E, con un mezzo sorriso ed una strizzatina d’occhio, lo Stregone lasciò la stanza chiudendo la porta dietro di sé.
Finalmente sola con il Gondoriano mi voltai a fissarlo con avidità. Era passato molto, troppo tempo, dall’ultima volta in cui avevamo fatto l’amore. Boromir parve essere dello stesso avviso perché con un rapido gesto si disfece, lanciandola lontano, della veste da camera, cui seguirono subito dopo le lunghe brache di tela. Benché avesse perso molto peso i suoi muscoli erano ancora ben delineati ed il suo corpo mi sembrò quanto mai desiderabile.
"Wow…" riuscii soltanto a mormorare prima di spogliarmi in tutta fretta a mia volta, buttandomi sul letto tra le sue braccia.
I preparativi del matrimonio occuparono tutti al punto da far passare il tempo ancora più velocemente di quanto già non facesse. Boromir recuperò la sua perfetta forma fisica in meno di un mese, allenandosi quotidianamente con suo fratello Faramir. Quest’ultimo ed Éowyn si erano sposati non appena la ragazza era tornata da Rohan, dopo il funerale di suo zio Re Théoden. Non appena mi aveva visto mi era corsa incontro, senza badare minimamente all’etichetta, abbracciandomi con foga ed esultando con me per tutte le belle cose che erano accadute in sua assenza. Con grande gioia ero stata la sua damigella d’onore, con la promessa, però, che anche lei avrebbe ricambiato.
Pipino si era autoproclamato organizzatore dell’evento, ed aveva preso talmente a cuore la faccenda che rischiò seriamente di farsi venire un esaurimento nervoso. Gli altri tre Hobbit facevano la spola tra il Palazzo dei Re e quello dei Sovrintendenti, eseguendo gli ordini di quello strampalato wedding planner e controllando che tutto si svolgesse come previsto. Non era inconsueto vederli correre di qua e di là, con il giovane Tuc a battere le mani al loro indirizzo, per spronarli a fare presto.
Finalmente venne il grande giorno. La Regina Arwen in persona mi aveva confezionato uno splendido abito da sposa color dell’avorio, completamente adorno di pizzi e merletti, che lasciava scoperte le spalle e la mia rosellina azzurra. Non ero mai stata così nervosa, in vita mia, come quando arrivò il momento di uscire nella Piazza della Fontana, dove tutta la popolazione si era riunita per assistere alle nozze del Sovrintendente Boromir. Con il velo calato sul viso detti il braccio a Re Elessar, che mi accompagnò davanti a Gandalf. Lo Stregone era maestoso nel suo lungo abito bianco come la neve. Dietro di me venivano Éowyn e la Regina stessa, come damigelle d’onore, accompagnate da Pipino e Merry in veste di paggetti. Il giovane Tuc non riusciva a trattenere le lacrime ed, ogni tanto, si soffiava rumorosamente il naso dentro un fazzolettone a quadri.
Boromir, bellissimo nella sua armatura scintillante, mi attendeva in piedi davanti all’Istari, con al fianco Faramir e, poco più dietro, Frodo e Sam. Lo vidi alzare lo sguardo su di me e seguire attentamente ogni mio passo mentre mi avvicinavo, al braccio del Re. Poi, una volta di fronte a lui, sollevò il mio velo con mani tremanti, mormorando:
"Sei bellissima…"
"Anche tu…" gli risposi in un soffio.
Arwen ed Éowyn ci posarono sul capo una corona di fiori bianchi intrecciati, per poi allontanarsi di qualche passo; Gandalf si schiarì la voce e cominciò il rito.
"Chi conduce al cospetto di questa assemblea i due esseri che diverranno uno? Pronunciate i loro veri nomi!"
"Io, Faramir, presento Boromir, che indossa l’anello della promessa" rispose per primo il giovane Gondoriano.
"Io, Elessar, presento Marian, che indossa l’anello della promessa" gli fece subito eco Aragorn.
Pipino si soffiò il naso per l’ennesima volta e Gandalf gli lanciò un’occhiataccia prima di continuare.
"Boromir e Marian, davanti a questa assemblea, confermate le vostre promesse?"
Faramir ed il Re fecero un passo avanti, traendo di tasca un anello d’oro ciascuno.
"Boromir dona a Marian questo anello, a testimonianza della propria volontà!" pronunciò di nuovo, in tono solenne, il fratello del Sovrintendente.
"Marian dona a Boromir questo anello, a testimonianza della propria volontà!" ripeté Aragorn.
I due Uomini ci porsero le nuove fedi, che noi sostituimmo a quelle d’argento. In quel momento cadde il silenzio, rotto soltanto dai singhiozzi di Peregrino. Poi i nostri testimoni ci condussero proprio di fronte a Gandalf, facendoci intrecciare le mani. Lo stregone annuì soddisfatto prima di riprendere a parlare.
"Boromir e Marian, per il suolo sul quale viviamo, sarete sempre fedeli l’uno all’altra come le rocce al terreno?
"In nome di Aulë Talkamarda, saremo roccia e terreno!" rispondemmo all’unisono; e tutti i presenti si unirono in coro, invocando il nome del Vala.
"Á vala Aulë!"
"Boromir e Marian, per tutto ciò che cresce sulla terra, sarete sempre uniti l’uno all’altra come le verdi foglie agli alberi?" continuò Gandalf.
"In nome di Yavanna Kementári, saremo foglia ed albero!" 
"Á vala Yavanna!" ripeterono di nuovo tutti in coro.
"Boromir e Marian, per le acque che ci danno la vita, sarete sempre l’uno parte dell’altra come la goccia lo è dell’oceano?"
"In nome di Ulmo Vailimo, saremo goccia ed oceano!" replicammo di nuovo, insieme.
"Á vala Ulmo!" rispose il coro dei presenti.
"Boromir e Marian, in nome del brillante firmamento, vi darete sempre gioia l’uno all’altra come le stelle nel cielo?" chiese di nuovo lo Stregone.
"In nome di Varda Elentári, saremo stelle che si scambiano la luce!"
"Á vala Varda!" pronunciò tutta l’assemblea, all’unisono.
"Boromir e Marian, per l’aria che respiriamo, per la brezza che ci allieta e per il vento impetuoso, volete essere uno il respiro dell’altra?" 
"In nome di Manwë Súlimo, saremo un solo respiro!" 
"Á vala Manwë!"
"Boromir e Marian, in nome del Fuoco segreto che ci ha creati, volete essere d’ora in poi marito e moglie?" chiese infine l’Istari.
"In nome di Eru Ilúvatar e di tutti i suoi spiriti, noi giuriamo di amarci e di essere una cosa sola!" rispondemmo solennemente, fissandoci negli occhi.
"Á vala Eru!" proclamò la folla.
Gandalf posò, infine, le sue mani sulle nostre, che erano ancora intrecciate.
"Á vala Valar! Per l’amore che vi lega e le promesse che vi siete scambiati davanti alle forze della Terra siete divenuti veru, una cosa sola da due. Che Eru fonda i vostri due cuori per l’eternità con il suo Fuoco Segreto!" concluse lo Stregone, per poi allontanarsi di un passo. 
Finalmente fummo liberi di abbracciarci e baciarci. Tutto, nella mia testa, si confuse. Le voci dei presenti diventarono solo un rumore di sottofondo. Eravamo solo io e lui, io e Boromir: mio marito!
All’improvviso fummo trascinati, quasi di peso, all’interno del Palazzo dei Re, nel Salone delle Feste, dove era stato allestito un banchetto degno di tutte le corti della Terra di Mezzo. A quel punto fummo costretti a separarci, anche se a malincuore, per poter adeguatamente prestare attenzione a tutti gli invitati che richiedevano insistentemente di essere ascoltati o, più semplicemente, volevano congratularsi.
Solo a notte fonda, quando oramai la maggior parte degli ospiti se ne era andata o era crollata a terra ubriaca fradicia – come Gimli, che aveva chiesto a Legolas la rivincita per la gara di bevute sostenuta, a suo tempo, a Rohan – potei incontrare di nuovo mio marito. Mi ero appena messa a sedere sul basso muretto che cingeva la rupe di Minas Tirith quando egli mi raggiunse.
"Finalmente anche questa giornata è finita…” esalai, lasciandomi sfuggire un lungo sospiro. “Non ne potevo più di tutte quelle congratulazioni! E poi i piedi mi fanno un male…" aggiunsi, togliendomi le scarpe e prendendo a massaggiarmi le dita indolenzite.
"A chi lo dici…" rispose Boromir, lasciandosi cadere seduto al mio fianco. "Tutte queste smancerie non fanno per me. Non vedo l’ora di tornare a casa nostra e di togliermi quest’armatura."
Per un attimo cadde il silenzio, interrotto solo dal frinire dei grilli, poi lui riprese:
"Sei felice?"
"Sì, amore mio, sono felicissima… E tu?" replicai con un sorriso.
"Da impazzire!" rispose annuendo.
"E ora… Che cosa succederà?" chiesi, quasi a me stessa, pensando all’improvviso al futuro che mi si stendeva davanti.
"Non lo so…” sospirò il Sovrintendente, altrettanto pensieroso, “ma, qualsiasi cosa il destino ci riservi, io sarò l’Uomo più felice del mondo, perché avrò te al mio fianco!"
Alzai lo sguardo alle stelle, sorridendo, prima di tornare a guardarlo dritto negli occhi.
"Ti amo, Boromir…" mormorai, siglando quelle parole con un bacio.
Era il trenta di settembre, e così iniziò la mia nuova vita nella Terra di Mezzo.

Spazio autrice: Et voilà, ci siamo arrivati infine, alla fine di questa storia rivista e corretta, anche se, in realtà, proprio finita finita non è, visto che manca ancora l'epilogo. 
Spero che l’idea del bacio che sistema tutto non sia troppo banale. Forse fa un po’ molto favola, tipo Biancaneve, o La Bella Addormentata, ma è stata l’unica idea che ho avuto… La potenza dell’amore che riesce ad estrarre l’ultimo briciolo di potere dalla Stella. 
Eccovi inoltre le ultime annotazioni di rito:
1) la frase “mangiando cose che avrebbero fatto vomitare una capra” è una citazione tratta dal film “Rambo” del 1982, il primo della celebre saga con protagonista il mitico Sylvester Stallone. Dice così di lui il Colonnello Trautman quando ne parla ai poliziotti.
2) anche in questo caso, la formula del matrimonio non è di mia invenzione(ahimè), ma ripresa da internet.
Grazie, grazie ed ancora grazie a tutti voi che leggete e recensite!
Vi lascio, infine, con due immagini: la prima rappresenta Marian al suo arrivo davanti ai cancelli di Minas Tirith, intenzionata a parlare con Boromir. Lo so, gli Orchi sono ben più brutti, ma non sono riuscita a trovare niente di meglio… La seconda, invece, rappresenta la scena che credo tutti aspettavano: il matrimonio di Boromir e Marian, realizzata con il solito fantastico giochino di dress up.
Bacioni!




  
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