QUANDO MENO
TE LO ASPETTI
Erano passate un paio di settimane dalla festa a casa
di Livia.
Nella testa di Camilla ancora rimbombavano come un
disco rotto le ultime parole di Gaetano: “non posso più fidarmi di te”. E come
dargli torto? Visti attraverso gli occhi del commissario, i suoi errori
apparivano ora in tutta la loro gravità ed enormità. Lo aveva sempre messo in
secondo piano, a detta di Gaetano. In realtà, lei non la vedeva nello stesso
modo: sì, era vero, a volte aveva dato la precedenza a Livia, ai suoi studenti,
a Renzo e sì…anche a Michele, ma lo aveva sempre fatto per una buona causa. La
famiglia o la giustizia. Questo Gaetano sembrava non comprenderlo.
Ma a chi voleva darla a bere? Il fatto era che Camilla
era sempre stata sicura che qualunque cosa fosse accaduta Gaetano ci sarebbe
sempre stato. Questa era la verità. Sapeva di averlo trascurato in alcune
occasioni, perfino di averlo ferito (e come dimenticare lo sguardo deluso e
carico di rancore che lui le aveva lanciato quando aveva fornito quell’alibi
fasullo a Michele), ma mai per un solo istante aveva pensato che lui avrebbe
potuto allontanarsi. Fino a lasciarla. Fino a smettere di amarla. Non aveva mai
preso in considerazione questa possibilità, nemmeno una volta.
Invece, era esattamente ciò che era appena accaduto.
Oddio, Gaetano non aveva mai detto di aver smesso di amarla, anzi. Quel bacio
le aveva dimostrato semmai il contrario: lui la desiderava come e più di prima,
ma non era più disposto a scendere a compromessi, a dover rinunciare a una
parte di lui pur di stare con lei. Era un uomo orgoglioso, lo era sempre stato,
ma quando si trattava di lei in qualche modo riusciva ad abbassare le sue difese
e a dimenticarsi del proprio ego; lo faceva per amore, solo per amore, e lei
aveva preso quel gesto di amore puro e lo aveva buttato al vento. Come aveva
fatto a non vedere i segnali della sua frustrazione? Come aveva potuto
sottovalutarli così a lungo? Era stata cieca, o forse semplicemente aveva
preferito non vedere, per non doversi interrogare sui suoi sentimenti ed essere
costretta a trovare una risposta.
Sospirò e si rese conto che il tram sul quale era
salita una manciata di minuti prima l’aveva portata a destinazione. Prenotò la
fermata e discese pochi istanti dopo. Le temperature miti di fine settembre
invogliavano ad una passeggiata, cosicché Camilla decise di allungare il
proprio percorso pedonale attraverso il grande parco che si trovava nelle
vicinanze del tribunale. Del resto, camminare l’aveva sempre aiutata a pensare.
Non che poi i risultati fossero sempre dei migliori, in effetti: proprio al
termine di una passeggiata in centro Torino aveva deciso di fare la nonna
“single ed indipendente”. Che stupida!
Il cellulare suonò nella sua tasca. Quando lo
estrasse, per un secondo sperò di veder comparire sullo schermo il nome di
Gaetano, come le accadeva spesso di fantasticare negli ultimi giorni. Cosa che
ovviamente non si era mai verificata. Lui si era ripreso i suoi spazi, la sua
vita; lei aveva perso tutto.
-Pronto, Renzo. Dimmi. Come anticipata? Ma quando?
Adesso? No. No. Sto arrivando.
Camilla chiuse la conversazione in fretta e furia,
mettendosi poi a correre verso il tribunale. L’ultima cosa che voleva era
arrivare di nuovo in ritardo all’udienza per la separazione! Ricordò con
amarezza quando a causa di Michele aveva perso completamente la cognizione del
tempo: in un solo istante aveva dato speranze a Renzo e Michele, togliendole di
nuovo all’unico uomo che era alla disperata ricerca di qualche certezza da
parte sua.
A quel pensiero le gambe si mossero più velocemente:
non era mai stata una sportiva e l’età non aveva fatto altro che peggiorare la
sua condizione atletica, ma la rabbia verso se stessa le infondeva quelle
energie che mancavano al suo corpo da cinquantenne.
Arrivò all’ingresso del Palazzo di Giustizia
trafelata, tanto che le guardie poste a sicurezza dell’edificio ritennero
opportuno un doppio controllo.
-Vi prego, sono in ritardo. Ho l’udienza per la
separazione- riuscì a dire tra un respiro e l’altro. I polmoni le bruciavano,
ma nulla l’avrebbe mai fatta arrivare in ritardo questa volta.
I due energumeni all’ingresso si scambiarono un cenno
d’intesa e non avendo notato nulla di strano lasciarono passare la donna.
Camilla si lanciò verso il corridoio alla sua destra salendo le scale due a
due, fino a quando inevitabilmente le forze le vennero a mancare così come il
fiato, finendo con l’inciampare proprio all’ultimo gradino; cadde carponi
battendo il ginocchio sinistro contro il duro rivestimento della pavimentazione
del tribunale.
-Ahi- ululò afferrandosi l’arto e controllando che
almeno i pantaloni fossero usciti integri da quello scontro frontale.
-Tutto bene, signora?- le chiese una voce assurdamente
familiare. Le sembrò di essere in uno di quei sogni che popolavano le sue notti
ormai da tempo, uno di quelli in cui Gaetano compariva all’improvviso quasi
come il principe azzurro delle favole per soccorrerla in un momento di pericolo.
Di solito nei suoi sogni si trovava sempre invischiata in un rischiosissimo
caso di omicidio e il suo commissario arrivava ogni volta giusto in tempo per
salvarla dal malintenzionato di turno che voleva colpirla a morte; e
ovviamente, come nel più classico degli scenari romantici, davanti alla
prospettiva di perderla per sempre, Gaetano non poteva che rendersi conto di
amarla ancora alla follia e di non poter vivere senza di lei.
Sogni, appunto.
Nella realtà lei si trovava quasi spalmata sul pavimento
gelido del tribunale di Torino con un ginocchio sicuramente in procinto di
gonfiarsi quanto una palla da calcio e con la sua dignità finita sotto i piedi.
-Camilla!- esclamò Gaetano, quando si rese conto che
sotto quella cascata informe di riccioli c’era la sua professoressa. Dopo il
primo istante di stupore, l’uomo si accovacciò accanto a lei, per controllare
cosa fosse successo e l’entità del danno. -Tutto bene?
Camilla faticò a trovare il coraggio per incrociare
quegli occhi azzurri, che le sembravano così sereni anche dopo settimane di
assoluta e totale lontananza. Evidentemente lui stava bene nella sua nuova
situazione di single, libero ed indipendente.
-Sì, sono solo caduta.
-Eh…l’ho sentito- rispose Gaetano con quel suo solito
sorriso sornione dipinto in viso.
-L’hai sentito?
-Già. Il tuo ginocchio ha fatto un bel rumore su
questo marmo- confermò l’uomo che per sincerarsi delle condizioni di Camilla
esaminò il ginocchio controllando se vi fossero danni rilevanti.
Una sensazione di déjà vu
per entrambi: anni prima a Roma, sul letto di una certa professoressa che aveva
avuto la folle idea di buttarsi quasi sotto un’auto in corsa per salvare un suo
alunno. Solo guardandosi negli occhi seppero che stavano pensando esattamente
alla stessa cosa; ma se a Camilla sfuggì un sorriso, per Gaetano la reazione fu
diametralmente opposta: quell’espressione rilassata che aveva caratterizzato le
prime battute di quel loro incontro lasciò il viso del commissario, presto
sostituita da una maschera di imbarazzo e di disagio mal celato.
-Ti aiuto ad alzarti- tagliò corto l’uomo afferrando
la mano di Camilla nella propria e non potendo evitare, suo malgrado, di
sentire un brivido corrergli lungo la schiena. Raccolse la borsa lasciata a
terra dalla donna e gliela porse senza mai tornare a guardarla negli occhi.
-Sei sempre il solito cavaliere, Berardi.
Una voce da donna, che suonò alle orecchie di Camilla
come fastidiosamente affascinante e complice nei confronti di Gaetano, spezzò
il silenzio che era calato tra il commissario e la professoressa. Quando
Camilla alzò lo sguardo dovette ammettere che, per quanto la voce le fosse
sembrata intrigante, l’aspetto della proprietaria era anche meglio: alta, non
classicamente magra né perfetta, ma con le forme al posto giusto, grandi occhi
azzurri (ma non come quelli di Gaetano o di Livia, bensì di un azzurro quasi
finto, come colorato con i pastelli dei bambini nei loro semplici ritratti) e
lunghi capelli mossi di una tonalità indefinibile ma naturale ed armoniosa tra
il castano ed il biondo. Insomma, una di quelle donne che non possono essere
definite una “barbie” in carne e ossa, ma che compensano alcuni piccoli difetti
con una personalità ed una eleganza che traspare nelle piccole cose, anche
senza parlare; in altre parole, la fidanzata perfetta per qualsiasi uomo con un
briciolo di cervello e la nemica peggiore per ogni donna come Camilla.
-Sono pronta per il nostro caffè, Gaetano- riprese la
nuova arrivata, giungendo al fianco del commissario e sfiorandogli con un gesto
del tutto spontaneo il braccio. Poi, notata l’espressione perplessa dell’uomo e
anche della donna sconosciuta, continuò: -Tutto bene, signora? Si è fatta male?
-No! no!- si affrettò a precisare Camilla, quasi
seccata dall’essere stata colta con quella smorfia di confusione ed imbarazzo
che di certo aveva fatto capolino sul suo volto. –Sono inciampata nell’ultimo
gradino. Andavo di corsa. Ma Gaetano mi ha aiutata.
-Gaetano?- chiese la donna con un tono sorpreso in
quella voce armoniosa. –Voi vi conoscete?
Il commissario sembrò sospirare a quella domanda,
mentre Camilla si affrettò a trovare una risposta che non mettesse in
difficoltà nessuno dei presenti: non voleva fare la parte della ex gelosa
(perché, anche se gelosa lo era eccome, non era sicura che potesse permettersi
di definirsi propriamente una ex) ma nemmeno fingere che tra lei e Gaetano non
ci fosse mai stato nulla.
-Sì. Sì. Noi siamo…ecco, noi siamo…- per la prima
volta Camilla si rese conto quanto scomodi fossero stati i panni di Gaetano
negli ultimi mesi. Quante volte gli era capitato di dover rispondere alla
domanda su quali fossero i suoi rapporti con Camilla? Lui non aveva mai saputo
cosa rispondere, in effetti, e probabilmente aveva sempre sperato che lei, la
professoressa di lettere abile con le parole, intervenisse e sbrogliasse quella
matassa al posto suo. Ma lei era sempre stata in silenzio. Anche quando lui si
era definito un amico adottato. E pensare che lui glielo aveva pure chiesto
espressamente: cosa siamo noi due? La risposta? Non due amici, ma nemmeno una
coppia.
Adesso toccava a lei rispondere a quella domanda,
trovare una definizione per il loro rapporto e ancora non sapeva cosa dire.
Incrociò lo sguardo di Gaetano e capì che quell’ulteriore indecisione lo stava
ferendo esattamente come era capitato mesi prima in ospedale; si sentì
sprofondare una volta di più in quelle sabbie mobili in cui lei stessa da sola
si era andata ad infilare.
-Camilla ed io siamo vicini di casa. O meglio, siamo
stati vicini di casa. Mi sono trasferito poco tempo fa; te ne ho parlato,
ricordi?- precisò Gaetano, un tono di voce indefinibile, quasi come se la
questione non lo interessasse minimamente. Camilla non seppe decidere se le
fece più male quel tono o le parole che aveva usato. Vicini di casa, nemmeno
amici. Sapeva di meritare quella freddezza, quel distacco, ma non poteva
comunque impedirsi di soffrire.
-Oh, capisco. Quando si dice che il mondo è piccolo-
commentò la donna, ma senza traccia di malizia o di cattiveria. Poi, notando
che nessuno si decideva a muovere un passo, riprese: -Io sono la dottoressa Giorgia
Colucci, sostituto procuratore del Tribunale di Torino.
Allungò la mano ed intercettò quella gelida di
Camilla.
-Professoressa Camilla Baudino.
Piacere di conoscerla.
-Professoressa? Non la invidio. Un lavoro
difficilissimo di questi tempi.
-Beh, credo che il suo sia anche peggio- si schernì
Camilla, da sempre geneticamente incapace di incassare un complimento senza
dover opporre una strenua resistenza.
-Sì, forse, ma al giorno d’oggi non saprei dire se sia
più facile avere a che fare con i delinquenti o con degli adolescenti in fase
ormonale. Lei dove insegna?
-Al Nelson Mandela.
Lo sguardo della Colucci non ebbe bisogno di
interpretazioni; al contrario, Camilla ormai riconosceva quell’espressione tra
il sorpreso e il dispiaciuto che vedeva sui volti dei suoi interlocutori quando
comunicava il nome dell’istituto presso cui lavorava.
-Lo so, la peggior scuola di Torino, probabilmente.
-No, non è questo- intervenne la donna, per nulla
presa in contropiede. –In realtà, adesso che ci penso il suo nome non mi suona
nuovo. Professoressa Baudino, Mandela…non c’è stato
un caso il settembre scorso che riguardava uno studente del Mandela?
-Sì, esatto. Denis. Era un mio allievo.
-Denis! Sì, mi ricordo! Povero ragazzo! Succube della
personalità dominante e deviata del fratello Mirko. Una brutta situazione: ho
fatto il possibile per fargli avere tutte le attenuanti del caso e il minimo
della pena. In casi come questo bisogna fare di tutto per evitare che questi
ragazzi finiscano nella rete della giustizia, altrimenti invece che recuperarli
li perdiamo del tutto.
Camilla la odiava. O meglio, avrebbe voluto odiarla,
ma proprio non ci riusciva: era in una parola perfetta e non solo fisicamente,
ma più di tutto professionalmente. Gentile, coscienziosa, scrupolosa ed
intelligente. Praticamente imbattibile.
-Beh, grazie. Non sta a me dirlo, lo so, ma grazie
anche da parte mia. Denis è un bravo ragazzo; è stato solo sfortunato con il
fratello. Sono felice che sulla sua strada abbia incontrato, nonostante tutto,
qualcuno di così comprensivo.
-Si figuri. Comunque non deve ringraziare me, ma
Gaetano. È stato particolarmente convincente nel difendere quel ragazzo. Anzi,
a pensarci bene credo che abbia fatto più lui per Denis che l’avvocato; non ho
ancora capito se tu, Berardi, rappresentavi l’accusa o la difesa!- rispose con il
sorriso sulle labbra ed uno sguardo di ammirazione verso l’uomo che fece
vacillare Camilla.
Doveva essere lo stesso sguardo che anche lei per
prima gli aveva rivolto tante, troppe volte. E adesso vedere quell’espressione
sul volto di un’altra donna, una donna migliore di lei sotto tanti di quei
punti di vista che non riusciva a tenerne il conto, la faceva impazzire. E se
Gaetano si fosse accorto di lei? Se avesse deciso che era ora di andare avanti
e di dimenticarla rifacendosi una vita con un’altra? Magari proprio quella
Colucci?
-Beh…io…io dovrei andare. Scusate- biascicò Camilla
nel vano tentativo di allontanarsi da lì prima di dire o fare qualcosa di
irreparabilmente stupido.
-Giusto. Era di fretta, mi scusi lei, professoressa,
per averla trattenuta. Senta, se mi dice chi deve incontrare, l’accompagno io…e
chiederò scusa per averla fatta arrivare in ritardo.
Il sorriso gentile della donna fu la causa di un’ulteriore
stretta al cuore per Camilla. Le sembrava di essere all’inferno, quello
dantesco, dove tutti i peccatori si ritrovano a dover espiare a vita le proprie
colpe seguendo la legge del contrappasso: incontrare la donna perfetta per
Gaetano doveva essere la sua legge del contrappasso. E proprio nel giorno in
cui si separava da suo marito, proprio nel giorno in cui finalmente stava
facendo quel passo che Gaetano le aveva richiesto per tanto tempo. Chiunque ci
fosse dietro quella macchinazione era davvero diabolico.
-Non voglio disturbarla, davvero. E poi credo di
essere arrivata. Se non sbaglio l’ufficio del giudice Ippolito è quello in
fondo al corridoio- rispose Camilla, pregando che la voce le rimanesse ferma e
non rivelasse quanto in quel momento si sentisse debole e fragile.
-Ippolito? E’ sicura?
-Io…sì…l’ultima volta ricordo di essere stata qui per
la separazione.
A quella frase Gaetano sembrò riprendere vita
improvvisamente. Separazione? Si era forse decisa alla fine? Certo, pessimo
tempismo, almeno per lui! Se tutto questo fosse accaduto anche solo qualche
mese prima ora le cose potevano essere molto diverse tra loro. Preferì non
pensarci e fingere che la notizia della separazione oramai imminente non lo
colpisse affatto.
-Oh, mi…mi dispiace. Comunque il dottor Ippolito non è
su questo piano. Non è nemmeno in questa ala del palazzo a dire la verità.
Questa è la sezione penale. Ippolito è in quella civile.
-Oddio, no! Non posso arrivare tardi di nuovo. Mi
ammazzerà- mugugnò Camilla alla ricerca del cellulare per avvertire Renzo del
disguido.
-Chi? Ippolito? Probabile…- sorrise la donna. Poi tornata
seria riprese: -Senta, la mia offerta è ancora valida. Se vuole l’accompagno
io. Anche se non frequento la sezione civile, so dove trovare i miei colleghi.
E conosco qualche scorciatoia.
La Colucci rimase in attesa di una risposta di
Camilla, divisa tra due fuochi: il desiderio di allontanarsi da miss perfezione
all’istante e la necessità di un aiuto per non perdere anche questa udienza per
la separazione.
-Ok…va bene. Non so come ringraziarla, in effetti.
-Si immagini, per così poco!
Fecero i primi tre scalini, Gaetano accanto alla pm e Camilla alle loro spalle, che li osservava nella
speranza di cogliere qualche indizio sul tipo di relazione esistente tra i due,
quando un uomo basso ma corpulento si avvicinò alla Colucci sussurrandole
qualcosa all’orecchio.
La donna annuì prima di voltarsi verso Camilla: -Mi
scusi ma sono stata chiamata per una sostituzione urgente da un collega. Non
posso proprio rifiutare o rimandare.
-Certo, la capisco! Grazie comunque per la cortesia.
-Ci mancherebbe- rispose allungando di nuovo una mano
verso Camilla per poi stringerla con gentilezza. In seguito riprese: -Per il
nostro caffè, dobbiamo rimandare, Berardi. Ma guarda che non me lo dimentico.
-Ci conto- replicò il commissario, il suo solito
sorriso cortese dipinto in viso. Camilla avrebbe voluto sprofondare: va bene
tutto, ma anche assistere al corteggiamento tra quei due era troppo!
-Ah, Gaetano, visto che sei tanto cavaliere, perché
non accompagni tu la professoressa da Ippolito. Sono sicura che ti ricordi la
strada!- disse infine la Colucci prima di allontanarsi in direzione del suo
ufficio.
Gaetano sembrò dover ingoiare un boccone molto amaro.
Si voltò verso Camilla, sorrise, ma di un sorriso molto diverso dal precedente,
forzato e malinconico.
-Certo, con piacere. Andiamo?- chiese poi rivolto a
Camilla e facendole segno con la mano di proseguire con la discesa delle scale.
Rimasero in silenzio per tutta la rampa fino ad arrivare
di nuovo nell’atrio; qui Gaetano la prese con delicatezza per un gomito e la
costrinse a seguirlo lungo un corridoio affollato.
Fu quella confusione a ridonarle in coraggio di aprire
bocca, ora che erano soli, ora che lei poteva dire tutto quello che le passava
per la testa senza dover sottostare al giudizio di quella donna ai suoi occhi
perfetta.
-E come mai tu conosci Ippolito?- il tono non era dei
più amichevoli e Gaetano lo notò subito.
-Mi ha dato qualche dritta quando ho deciso di
rivedere i termini dell’affidamento di Tommy. Insomma, mi ha detto cosa potevo
e dovevo aspettarmi. È stato molto gentile con me.
-Capisco.
Giunsero infondo al corridoio e svoltarono a destra.
Nuova rampa di scale, ma questa volta molto meno affollata.
-E la Colucci? Quella da quando la conosci?- ora il
tono era sull’ostile andante, anzi sul geloso marcio per la precisione, e di
nuovo Gaetano se ne rese conto, ma questa volta a Camilla sembrò di vederlo
sogghignare all’angolo della bocca.
-Che c’è da ridere?
-Non sto ridendo- replicò l’uomo tornando a farsi
serio.
-Stavi ridendo.
-Ti dico di no.
-Sarà, ma ancora non mi hai detto come fai a conoscere
così bene questa Colucci.
-E’ un pm del Tribunale di
Torino. Secondo te, Agatha Christie, come mai la
conosco?
Il riferimento alla scrittrice di gialli fece
avvampare Camilla che tenne lo sguardo ben puntato verso i suoi piedi (con il
vantaggio, tra l’altro, di evitare una nuova caduta). Però di una cosa era
certa: adesso Gaetano stava davvero sorridendo. Questo le fece piacere: almeno
un po’ della loro innata complicità era rimasta, dopotutto.
-Ok, domanda stupida. Ma mi è sembrato di capire che
non vi siete limitati ad un rapporto professionale, visto come ti parlava e
ti…guardava- le costava una fatica tremenda ammetterlo, ma del resto neanche
uno stupido avrebbe potuto negare l’evidenza.
-Mi stai forse chiedendo se ci sono andato a letto?
La domanda diretta di Gaetano la spiazzò, tanto più
che lui la bloccò per poterla guardare negli occhi mentre la poneva. Camilla
deglutì vistosamente in imbarazzo: cavolo, non era sicura di voler conoscere la
risposta, eppure aveva di fatto provocato quella domanda con la sua
osservazione di poco prima.
-Io…non…non…mi interessa…- balbettò, ma quando Gaetano
riprese a salire le scale lei rimase immobile sullo stesso gradino. Lo
raggiunse di corsa: -Ho mentito, mi interessa. Ci sei andato a letto?- chiese
con lo sguardo del condannato a morte davanti al boia.
-Non credo siano affari tuoi, o sbaglio? Tu mi hai
lasciato, ricordi?
-E abbiamo già assodato che non era quello che avevo
intenzione di fare- ribatté esasperata. Alla fine si tornava sempre allo stesso
punto: era un circolo vizioso e non sapeva come uscirne.
-Capolinea- rispose Gaetano fermo in mezzo ad un nuovo
corridoio dove diversi capannelli di persone stazionavano davanti ad
altrettante porte.
-Vuoi dire che finisce così? Senza una spiegazione,
una risposta? Devo pensare che mi hai già sostituita con un’altra?- il tono di
Camilla si face più stridulo ad ogni domanda. Razionalmente sapeva di non avere
diritto a nulla, a nessuna giustificazione e spiegazione, ma le pretendeva
comunque. Dopotutto lui le aveva detto di amarla, di volerla sposare…e ora a
qualche mese dalla “separazione” lui stava già con un’altra? –Per fortuna che
avevi detto di amarmi- sibilò alla fine incapace di trattenersi, gli occhi
cioccolato puntati in quelli di Gaetano, che a quelle parole si velarono
nuovamente di tristezza.
-Capolinea…sei arrivata. Quello è l’ufficio di
Ippolito- precisò Gaetano evidentemente deluso dall’atteggiamento della
professoressa.
Camilla boccheggiò: aveva di nuovo fatto un errore
enorme, lo leggeva sul viso dell’uomo.
-Gaetano, scusami, io…io credevo…
-So che cosa credevi, ma non sono certo io quello che
cambia idea così in fretta sulle persone e sui sentimenti.
Il riferimento a lei e Michele era più che evidente.
-Non ne dico una giusta per te, vero?- il tono
arrendevole di Camilla sorprese Gaetano. –Lo capisco, così come capisco che tu
oggi preferisca lei a me. E’ bella, intelligente, gentile, simpatica…e
soprattutto…
-….e soprattutto è sposata con un mio parigrado di un
altro commissariato- concluse Gaetano, incapace di sostenere oltre quel tono e
quello sguardo disperato e disilluso. Per quanto lui volesse mantenere le
distanze e andare oltre, non poteva far soffrire Camilla, non fino in fondo,
non per davvero. Alla fine doveva sempre lanciarle un’ancora di salvezza, un
salvagente che la tenesse a galla proprio quando sembrava che stesse per andare
a fondo. Era stato così sin dall’inizio. Per questo non poté evitare di sorridere
quando vide il volto di Camilla riprendere il suo solito colorito.
-Sposata?
-Sposata- confermò il vicequestore. -Ma adesso devi
andare; Renzo ti sta cercando.
Camilla si voltò seguendo il cenno fatto da Gaetano,
arrivando ad incrociare lo sguardo di Renzo che con una mano alzata la stava
chiamando.
-Giusto, la separazione. Anche se adesso pare non mi
serva a più di tanto. Non mi devo più risposare, in fin dei conti- il sarcasmo
era fin troppo accentuato e Camilla se ne rese conto, ma non le importava: che
altro poteva perdere? Quello che contava, l’amore ed il rispetto di Gaetano,
l’aveva già perso.
-Camilla…
-No, no! Lo so. E lo faccio per me questa volta. Come
ti ho già detto, ho fatto un casino mesi fa. Anzi, più di uno a dire il vero.
Sta a me rimettere le cose a posto, almeno dove possibile. E firmare questa
separazione non servirà più a te, a noi…ma serve a me, a ricordarmi che a volte
le cose finiscono e bisogna avere il coraggio di affrontarne le conseguenze.
Prima di andarsene Camilla si alzò sulle punte e posò
un bacio delicato sulla guancia del commissario, trattenendosi qualche secondo
in più vicino al suo viso per inspirare il suo profumo. Forse per l’ultima
volta.
-Allora, ciao- disse semplicemente alla fine, un
saluto come tanti, come se ci fosse ancora un domani per loro, come se nulla
fosse mai cambiato.
-Ciao- rispose Gaetano, imbambolato come sempre gli
capitava quando Camilla sfiorava più o meno volontariamente il suo corpo.
Ma non la lasciò allontanare di molto prima di
seguirla e bloccarla di nuovo per il polso. Le aveva detto che era finita, che
non ci sarebbe più stato un noi; le aveva detto che non si fidava più della sua
parola, che aveva paura di lei, della sua indecisione, della sua incapacità di
mettere se stessa e lui, il loro rapporto, al primo posto (o comunque non come
fanalino di coda della sua esistenza). Le aveva detto tutto questo solo due
settimane prima in quella che un tempo era stata la loro camera da letto, dopo
uno di quei baci in grado di togliergli il respiro e di fargli perdere il
controllo della ragione. Lo aveva fatto, eppure ora si ritrovava a guardarla
negli occhi e a desiderare di crederle disperatamente quando le aveva
confessato di amarlo, di avere compreso i propri errori, di voler porre
rimedio. Ed in un certo senso lo stava facendo: aveva chiarito con Michele,
stava firmando le carte della separazione con Renzo. Persino aver lasciato che
Livia si trasferisse era un segno che forse era disposta a pensare un po’ più a
se stessa che agli altri. Forse era arrivato davvero il momento giusto, per
lui, per loro. E anche la gelosia nei confronti della pm,
la sua rassegnazione quando aveva capito che l’altra poteva dargli molto più di
quello che lei era in grado di offrirgli…tutto spingeva il suo cuore malridotto
a restare lì, in quel corridoio, mano nella mano con lei.
Non sarebbe stato semplice, ma forse si era sbagliato
quando l’aveva allontanata. Forse c’era ancora speranza per loro. C’era sempre
stata, del resto, se dopo dieci anni turbolenti erano ancora lì a guardarsi in
quel modo.
-Quando…quando avrai fatto, possiamo andare a
prenderci un caffè. O un vermouth, se ti va. Sarò qui ad aspettarti- disse,
infine, impacciato come poche volte gli era capitato nella vita, tutte
riconducibili alla presenza accanto a lui di una certa professoressa.
Camilla sgranò gli occhi. Il tono di una dolcezza
infinita, le parole che promettevano un futuro, quelle iridi azzurre che le
sembravano di nuovo familiari. Possibile? Stava capitando davvero? Gaetano le
stava offrendo una seconda occasione? O meglio….l’ennesima occasione?
-Sì. Sì, mi piacerebbe prendere un vermouth con te.
Camilla gli regalò il sorriso più bello e luminoso che
Gaetano avesse mai visto prima di eclissarsi nella folla ed infilarsi nell’ufficio
del giudice.
Alla fine c’era ancora speranza. Alla fine erano
ancora Camilla e Gaetano.
Angolo dell’autrice:
ci ho messo un po’ a scriverlo, lo ammetto. Il capitolo
è cambiato in corso d’opera tante di quelle volte che ho perso il conto, ma
questa ultima versione mi piace. Alla fine credo che lei abbia dato prova di
voler cambiare la sua vita e rimettere le cose a posto e Gaetano, che non è
stupido e che è innamorato perso, lo sa. Certo, non vuol dire che sarà tutto
rose e fiori, ma almeno un punto di incontro l’hanno trovato, un inizio.
E lo sappiamo che quando quei due si prendono un
vermouth le cose in qualche modo si sistemano sempre.
Spero vi sia piaciuto. Grazie a chi legge e a chi
lascia un pensiero, qui o su fb!
A presto.
L.