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Autore: potterfanlalla17    26/11/2015    2 recensioni
Dopo il peggior finale di sempre nella storia di pap, ho deciso che il personaggio di Gaetano meritava più di quanto ha avuto. Questa è la mia personalissima visione di come dovrebbe proseguire il rapporto schizofrenico tra Gaetano e Camilla, sempre che tra i due un rapporto sia ancora possibile.
Un paio di avvertimenti: primo, non ho idea di come andrà finire, perciò non assicuro il lieto fine da favola come tutti vorrebbero vedere oggi. E secondo, astenersi fan sfegatati di Camilla Baudino: la prof. questa volta mi ha proprio deluso e non credo che sarà facile per lei recuperare la mia fiducia....figuriamoci quella del povero Gaetano.
A tutti coloro che invece vorranno seguirmi auguro buon viaggio insieme a me in questa nuova avventura targata pap.
Genere: Angst, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Camilla Baudino, Gaetano Berardi
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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QUANDO MENO TE LO ASPETTI

Erano passate un paio di settimane dalla festa a casa di Livia.

Nella testa di Camilla ancora rimbombavano come un disco rotto le ultime parole di Gaetano: “non posso più fidarmi di te”. E come dargli torto? Visti attraverso gli occhi del commissario, i suoi errori apparivano ora in tutta la loro gravità ed enormità. Lo aveva sempre messo in secondo piano, a detta di Gaetano. In realtà, lei non la vedeva nello stesso modo: sì, era vero, a volte aveva dato la precedenza a Livia, ai suoi studenti, a Renzo e sì…anche a Michele, ma lo aveva sempre fatto per una buona causa. La famiglia o la giustizia. Questo Gaetano sembrava non comprenderlo.

Ma a chi voleva darla a bere? Il fatto era che Camilla era sempre stata sicura che qualunque cosa fosse accaduta Gaetano ci sarebbe sempre stato. Questa era la verità. Sapeva di averlo trascurato in alcune occasioni, perfino di averlo ferito (e come dimenticare lo sguardo deluso e carico di rancore che lui le aveva lanciato quando aveva fornito quell’alibi fasullo a Michele), ma mai per un solo istante aveva pensato che lui avrebbe potuto allontanarsi. Fino a lasciarla. Fino a smettere di amarla. Non aveva mai preso in considerazione questa possibilità, nemmeno una volta.

Invece, era esattamente ciò che era appena accaduto. Oddio, Gaetano non aveva mai detto di aver smesso di amarla, anzi. Quel bacio le aveva dimostrato semmai il contrario: lui la desiderava come e più di prima, ma non era più disposto a scendere a compromessi, a dover rinunciare a una parte di lui pur di stare con lei. Era un uomo orgoglioso, lo era sempre stato, ma quando si trattava di lei in qualche modo riusciva ad abbassare le sue difese e a dimenticarsi del proprio ego; lo faceva per amore, solo per amore, e lei aveva preso quel gesto di amore puro e lo aveva buttato al vento. Come aveva fatto a non vedere i segnali della sua frustrazione? Come aveva potuto sottovalutarli così a lungo? Era stata cieca, o forse semplicemente aveva preferito non vedere, per non doversi interrogare sui suoi sentimenti ed essere costretta a trovare una risposta.

Sospirò e si rese conto che il tram sul quale era salita una manciata di minuti prima l’aveva portata a destinazione. Prenotò la fermata e discese pochi istanti dopo. Le temperature miti di fine settembre invogliavano ad una passeggiata, cosicché Camilla decise di allungare il proprio percorso pedonale attraverso il grande parco che si trovava nelle vicinanze del tribunale. Del resto, camminare l’aveva sempre aiutata a pensare. Non che poi i risultati fossero sempre dei migliori, in effetti: proprio al termine di una passeggiata in centro Torino aveva deciso di fare la nonna “single ed indipendente”. Che stupida!

Il cellulare suonò nella sua tasca. Quando lo estrasse, per un secondo sperò di veder comparire sullo schermo il nome di Gaetano, come le accadeva spesso di fantasticare negli ultimi giorni. Cosa che ovviamente non si era mai verificata. Lui si era ripreso i suoi spazi, la sua vita; lei aveva perso tutto.

-Pronto, Renzo. Dimmi. Come anticipata? Ma quando? Adesso? No. No. Sto arrivando.

Camilla chiuse la conversazione in fretta e furia, mettendosi poi a correre verso il tribunale. L’ultima cosa che voleva era arrivare di nuovo in ritardo all’udienza per la separazione! Ricordò con amarezza quando a causa di Michele aveva perso completamente la cognizione del tempo: in un solo istante aveva dato speranze a Renzo e Michele, togliendole di nuovo all’unico uomo che era alla disperata ricerca di qualche certezza da parte sua.

A quel pensiero le gambe si mossero più velocemente: non era mai stata una sportiva e l’età non aveva fatto altro che peggiorare la sua condizione atletica, ma la rabbia verso se stessa le infondeva quelle energie che mancavano al suo corpo da cinquantenne.

Arrivò all’ingresso del Palazzo di Giustizia trafelata, tanto che le guardie poste a sicurezza dell’edificio ritennero opportuno un doppio controllo.

-Vi prego, sono in ritardo. Ho l’udienza per la separazione- riuscì a dire tra un respiro e l’altro. I polmoni le bruciavano, ma nulla l’avrebbe mai fatta arrivare in ritardo questa volta.

I due energumeni all’ingresso si scambiarono un cenno d’intesa e non avendo notato nulla di strano lasciarono passare la donna. Camilla si lanciò verso il corridoio alla sua destra salendo le scale due a due, fino a quando inevitabilmente le forze le vennero a mancare così come il fiato, finendo con l’inciampare proprio all’ultimo gradino; cadde carponi battendo il ginocchio sinistro contro il duro rivestimento della pavimentazione del tribunale.

-Ahi- ululò afferrandosi l’arto e controllando che almeno i pantaloni fossero usciti integri da quello scontro frontale.

-Tutto bene, signora?- le chiese una voce assurdamente familiare. Le sembrò di essere in uno di quei sogni che popolavano le sue notti ormai da tempo, uno di quelli in cui Gaetano compariva all’improvviso quasi come il principe azzurro delle favole per soccorrerla in un momento di pericolo. Di solito nei suoi sogni si trovava sempre invischiata in un rischiosissimo caso di omicidio e il suo commissario arrivava ogni volta giusto in tempo per salvarla dal malintenzionato di turno che voleva colpirla a morte; e ovviamente, come nel più classico degli scenari romantici, davanti alla prospettiva di perderla per sempre, Gaetano non poteva che rendersi conto di amarla ancora alla follia e di non poter vivere senza di lei.

Sogni, appunto.

Nella realtà lei si trovava quasi spalmata sul pavimento gelido del tribunale di Torino con un ginocchio sicuramente in procinto di gonfiarsi quanto una palla da calcio e con la sua dignità finita sotto i piedi.

-Camilla!- esclamò Gaetano, quando si rese conto che sotto quella cascata informe di riccioli c’era la sua professoressa. Dopo il primo istante di stupore, l’uomo si accovacciò accanto a lei, per controllare cosa fosse successo e l’entità del danno. -Tutto bene?

Camilla faticò a trovare il coraggio per incrociare quegli occhi azzurri, che le sembravano così sereni anche dopo settimane di assoluta e totale lontananza. Evidentemente lui stava bene nella sua nuova situazione di single, libero ed indipendente.

-Sì, sono solo caduta.

-Eh…l’ho sentito- rispose Gaetano con quel suo solito sorriso sornione dipinto in viso.

-L’hai sentito?

-Già. Il tuo ginocchio ha fatto un bel rumore su questo marmo- confermò l’uomo che per sincerarsi delle condizioni di Camilla esaminò il ginocchio controllando se vi fossero danni rilevanti.

Una sensazione di déjà vu per entrambi: anni prima a Roma, sul letto di una certa professoressa che aveva avuto la folle idea di buttarsi quasi sotto un’auto in corsa per salvare un suo alunno. Solo guardandosi negli occhi seppero che stavano pensando esattamente alla stessa cosa; ma se a Camilla sfuggì un sorriso, per Gaetano la reazione fu diametralmente opposta: quell’espressione rilassata che aveva caratterizzato le prime battute di quel loro incontro lasciò il viso del commissario, presto sostituita da una maschera di imbarazzo e di disagio mal celato.

-Ti aiuto ad alzarti- tagliò corto l’uomo afferrando la mano di Camilla nella propria e non potendo evitare, suo malgrado, di sentire un brivido corrergli lungo la schiena. Raccolse la borsa lasciata a terra dalla donna e gliela porse senza mai tornare a guardarla negli occhi.

-Sei sempre il solito cavaliere, Berardi.

Una voce da donna, che suonò alle orecchie di Camilla come fastidiosamente affascinante e complice nei confronti di Gaetano, spezzò il silenzio che era calato tra il commissario e la professoressa. Quando Camilla alzò lo sguardo dovette ammettere che, per quanto la voce le fosse sembrata intrigante, l’aspetto della proprietaria era anche meglio: alta, non classicamente magra né perfetta, ma con le forme al posto giusto, grandi occhi azzurri (ma non come quelli di Gaetano o di Livia, bensì di un azzurro quasi finto, come colorato con i pastelli dei bambini nei loro semplici ritratti) e lunghi capelli mossi di una tonalità indefinibile ma naturale ed armoniosa tra il castano ed il biondo. Insomma, una di quelle donne che non possono essere definite una “barbie” in carne e ossa, ma che compensano alcuni piccoli difetti con una personalità ed una eleganza che traspare nelle piccole cose, anche senza parlare; in altre parole, la fidanzata perfetta per qualsiasi uomo con un briciolo di cervello e la nemica peggiore per ogni donna come Camilla.

-Sono pronta per il nostro caffè, Gaetano- riprese la nuova arrivata, giungendo al fianco del commissario e sfiorandogli con un gesto del tutto spontaneo il braccio. Poi, notata l’espressione perplessa dell’uomo e anche della donna sconosciuta, continuò: -Tutto bene, signora? Si è fatta male?

-No! no!- si affrettò a precisare Camilla, quasi seccata dall’essere stata colta con quella smorfia di confusione ed imbarazzo che di certo aveva fatto capolino sul suo volto. –Sono inciampata nell’ultimo gradino. Andavo di corsa. Ma Gaetano mi ha aiutata.

-Gaetano?- chiese la donna con un tono sorpreso in quella voce armoniosa. –Voi vi conoscete?

Il commissario sembrò sospirare a quella domanda, mentre Camilla si affrettò a trovare una risposta che non mettesse in difficoltà nessuno dei presenti: non voleva fare la parte della ex gelosa (perché, anche se gelosa lo era eccome, non era sicura che potesse permettersi di definirsi propriamente una ex) ma nemmeno fingere che tra lei e Gaetano non ci fosse mai stato nulla.

-Sì. Sì. Noi siamo…ecco, noi siamo…- per la prima volta Camilla si rese conto quanto scomodi fossero stati i panni di Gaetano negli ultimi mesi. Quante volte gli era capitato di dover rispondere alla domanda su quali fossero i suoi rapporti con Camilla? Lui non aveva mai saputo cosa rispondere, in effetti, e probabilmente aveva sempre sperato che lei, la professoressa di lettere abile con le parole, intervenisse e sbrogliasse quella matassa al posto suo. Ma lei era sempre stata in silenzio. Anche quando lui si era definito un amico adottato. E pensare che lui glielo aveva pure chiesto espressamente: cosa siamo noi due? La risposta? Non due amici, ma nemmeno una coppia.

Adesso toccava a lei rispondere a quella domanda, trovare una definizione per il loro rapporto e ancora non sapeva cosa dire. Incrociò lo sguardo di Gaetano e capì che quell’ulteriore indecisione lo stava ferendo esattamente come era capitato mesi prima in ospedale; si sentì sprofondare una volta di più in quelle sabbie mobili in cui lei stessa da sola si era andata ad infilare.

-Camilla ed io siamo vicini di casa. O meglio, siamo stati vicini di casa. Mi sono trasferito poco tempo fa; te ne ho parlato, ricordi?- precisò Gaetano, un tono di voce indefinibile, quasi come se la questione non lo interessasse minimamente. Camilla non seppe decidere se le fece più male quel tono o le parole che aveva usato. Vicini di casa, nemmeno amici. Sapeva di meritare quella freddezza, quel distacco, ma non poteva comunque impedirsi di soffrire.

-Oh, capisco. Quando si dice che il mondo è piccolo- commentò la donna, ma senza traccia di malizia o di cattiveria. Poi, notando che nessuno si decideva a muovere un passo, riprese: -Io sono la dottoressa Giorgia Colucci, sostituto procuratore del Tribunale di Torino.

Allungò la mano ed intercettò quella gelida di Camilla.

-Professoressa Camilla Baudino. Piacere di conoscerla.

-Professoressa? Non la invidio. Un lavoro difficilissimo di questi tempi.

-Beh, credo che il suo sia anche peggio- si schernì Camilla, da sempre geneticamente incapace di incassare un complimento senza dover opporre una strenua resistenza.

-Sì, forse, ma al giorno d’oggi non saprei dire se sia più facile avere a che fare con i delinquenti o con degli adolescenti in fase ormonale. Lei dove insegna?

-Al Nelson Mandela.

Lo sguardo della Colucci non ebbe bisogno di interpretazioni; al contrario, Camilla ormai riconosceva quell’espressione tra il sorpreso e il dispiaciuto che vedeva sui volti dei suoi interlocutori quando comunicava il nome dell’istituto presso cui lavorava.

-Lo so, la peggior scuola di Torino, probabilmente.

-No, non è questo- intervenne la donna, per nulla presa in contropiede. –In realtà, adesso che ci penso il suo nome non mi suona nuovo. Professoressa Baudino, Mandela…non c’è stato un caso il settembre scorso che riguardava uno studente del Mandela?

-Sì, esatto. Denis. Era un mio allievo.

-Denis! Sì, mi ricordo! Povero ragazzo! Succube della personalità dominante e deviata del fratello Mirko. Una brutta situazione: ho fatto il possibile per fargli avere tutte le attenuanti del caso e il minimo della pena. In casi come questo bisogna fare di tutto per evitare che questi ragazzi finiscano nella rete della giustizia, altrimenti invece che recuperarli li perdiamo del tutto.

Camilla la odiava. O meglio, avrebbe voluto odiarla, ma proprio non ci riusciva: era in una parola perfetta e non solo fisicamente, ma più di tutto professionalmente. Gentile, coscienziosa, scrupolosa ed intelligente. Praticamente imbattibile.

-Beh, grazie. Non sta a me dirlo, lo so, ma grazie anche da parte mia. Denis è un bravo ragazzo; è stato solo sfortunato con il fratello. Sono felice che sulla sua strada abbia incontrato, nonostante tutto, qualcuno di così comprensivo.

-Si figuri. Comunque non deve ringraziare me, ma Gaetano. È stato particolarmente convincente nel difendere quel ragazzo. Anzi, a pensarci bene credo che abbia fatto più lui per Denis che l’avvocato; non ho ancora capito se tu, Berardi, rappresentavi l’accusa o la difesa!- rispose con il sorriso sulle labbra ed uno sguardo di ammirazione verso l’uomo che fece vacillare Camilla.

Doveva essere lo stesso sguardo che anche lei per prima gli aveva rivolto tante, troppe volte. E adesso vedere quell’espressione sul volto di un’altra donna, una donna migliore di lei sotto tanti di quei punti di vista che non riusciva a tenerne il conto, la faceva impazzire. E se Gaetano si fosse accorto di lei? Se avesse deciso che era ora di andare avanti e di dimenticarla rifacendosi una vita con un’altra? Magari proprio quella Colucci?

-Beh…io…io dovrei andare. Scusate- biascicò Camilla nel vano tentativo di allontanarsi da lì prima di dire o fare qualcosa di irreparabilmente stupido.

-Giusto. Era di fretta, mi scusi lei, professoressa, per averla trattenuta. Senta, se mi dice chi deve incontrare, l’accompagno io…e chiederò scusa per averla fatta arrivare in ritardo.

Il sorriso gentile della donna fu la causa di un’ulteriore stretta al cuore per Camilla. Le sembrava di essere all’inferno, quello dantesco, dove tutti i peccatori si ritrovano a dover espiare a vita le proprie colpe seguendo la legge del contrappasso: incontrare la donna perfetta per Gaetano doveva essere la sua legge del contrappasso. E proprio nel giorno in cui si separava da suo marito, proprio nel giorno in cui finalmente stava facendo quel passo che Gaetano le aveva richiesto per tanto tempo. Chiunque ci fosse dietro quella macchinazione era davvero diabolico.

-Non voglio disturbarla, davvero. E poi credo di essere arrivata. Se non sbaglio l’ufficio del giudice Ippolito è quello in fondo al corridoio- rispose Camilla, pregando che la voce le rimanesse ferma e non rivelasse quanto in quel momento si sentisse debole e fragile.

-Ippolito? E’ sicura?

-Io…sì…l’ultima volta ricordo di essere stata qui per la separazione.

A quella frase Gaetano sembrò riprendere vita improvvisamente. Separazione? Si era forse decisa alla fine? Certo, pessimo tempismo, almeno per lui! Se tutto questo fosse accaduto anche solo qualche mese prima ora le cose potevano essere molto diverse tra loro. Preferì non pensarci e fingere che la notizia della separazione oramai imminente non lo colpisse affatto.

-Oh, mi…mi dispiace. Comunque il dottor Ippolito non è su questo piano. Non è nemmeno in questa ala del palazzo a dire la verità. Questa è la sezione penale. Ippolito è in quella civile.

-Oddio, no! Non posso arrivare tardi di nuovo. Mi ammazzerà- mugugnò Camilla alla ricerca del cellulare per avvertire Renzo del disguido.

-Chi? Ippolito? Probabile…- sorrise la donna. Poi tornata seria riprese: -Senta, la mia offerta è ancora valida. Se vuole l’accompagno io. Anche se non frequento la sezione civile, so dove trovare i miei colleghi. E conosco qualche scorciatoia.

La Colucci rimase in attesa di una risposta di Camilla, divisa tra due fuochi: il desiderio di allontanarsi da miss perfezione all’istante e la necessità di un aiuto per non perdere anche questa udienza per la separazione.

-Ok…va bene. Non so come ringraziarla, in effetti.

-Si immagini, per così poco!

Fecero i primi tre scalini, Gaetano accanto alla pm e Camilla alle loro spalle, che li osservava nella speranza di cogliere qualche indizio sul tipo di relazione esistente tra i due, quando un uomo basso ma corpulento si avvicinò alla Colucci sussurrandole qualcosa all’orecchio.

La donna annuì prima di voltarsi verso Camilla: -Mi scusi ma sono stata chiamata per una sostituzione urgente da un collega. Non posso proprio rifiutare o rimandare.

-Certo, la capisco! Grazie comunque per la cortesia.

-Ci mancherebbe- rispose allungando di nuovo una mano verso Camilla per poi stringerla con gentilezza. In seguito riprese: -Per il nostro caffè, dobbiamo rimandare, Berardi. Ma guarda che non me lo dimentico.

-Ci conto- replicò il commissario, il suo solito sorriso cortese dipinto in viso. Camilla avrebbe voluto sprofondare: va bene tutto, ma anche assistere al corteggiamento tra quei due era troppo!

-Ah, Gaetano, visto che sei tanto cavaliere, perché non accompagni tu la professoressa da Ippolito. Sono sicura che ti ricordi la strada!- disse infine la Colucci prima di allontanarsi in direzione del suo ufficio.

Gaetano sembrò dover ingoiare un boccone molto amaro. Si voltò verso Camilla, sorrise, ma di un sorriso molto diverso dal precedente, forzato e malinconico.

-Certo, con piacere. Andiamo?- chiese poi rivolto a Camilla e facendole segno con la mano di proseguire con la discesa delle scale.

Rimasero in silenzio per tutta la rampa fino ad arrivare di nuovo nell’atrio; qui Gaetano la prese con delicatezza per un gomito e la costrinse a seguirlo lungo un corridoio affollato.

Fu quella confusione a ridonarle in coraggio di aprire bocca, ora che erano soli, ora che lei poteva dire tutto quello che le passava per la testa senza dover sottostare al giudizio di quella donna ai suoi occhi perfetta.

-E come mai tu conosci Ippolito?- il tono non era dei più amichevoli e Gaetano lo notò subito.

-Mi ha dato qualche dritta quando ho deciso di rivedere i termini dell’affidamento di Tommy. Insomma, mi ha detto cosa potevo e dovevo aspettarmi. È stato molto gentile con me.

-Capisco.

Giunsero infondo al corridoio e svoltarono a destra. Nuova rampa di scale, ma questa volta molto meno affollata.

-E la Colucci? Quella da quando la conosci?- ora il tono era sull’ostile andante, anzi sul geloso marcio per la precisione, e di nuovo Gaetano se ne rese conto, ma questa volta a Camilla sembrò di vederlo sogghignare all’angolo della bocca.

-Che c’è da ridere?

-Non sto ridendo- replicò l’uomo tornando a farsi serio.

-Stavi ridendo.

-Ti dico di no.

-Sarà, ma ancora non mi hai detto come fai a conoscere così bene questa Colucci.

-E’ un pm del Tribunale di Torino. Secondo te, Agatha Christie, come mai la conosco?

Il riferimento alla scrittrice di gialli fece avvampare Camilla che tenne lo sguardo ben puntato verso i suoi piedi (con il vantaggio, tra l’altro, di evitare una nuova caduta). Però di una cosa era certa: adesso Gaetano stava davvero sorridendo. Questo le fece piacere: almeno un po’ della loro innata complicità era rimasta, dopotutto.

-Ok, domanda stupida. Ma mi è sembrato di capire che non vi siete limitati ad un rapporto professionale, visto come ti parlava e ti…guardava- le costava una fatica tremenda ammetterlo, ma del resto neanche uno stupido avrebbe potuto negare l’evidenza.

-Mi stai forse chiedendo se ci sono andato a letto?

La domanda diretta di Gaetano la spiazzò, tanto più che lui la bloccò per poterla guardare negli occhi mentre la poneva. Camilla deglutì vistosamente in imbarazzo: cavolo, non era sicura di voler conoscere la risposta, eppure aveva di fatto provocato quella domanda con la sua osservazione di poco prima.

-Io…non…non…mi interessa…- balbettò, ma quando Gaetano riprese a salire le scale lei rimase immobile sullo stesso gradino. Lo raggiunse di corsa: -Ho mentito, mi interessa. Ci sei andato a letto?- chiese con lo sguardo del condannato a morte davanti al boia.

-Non credo siano affari tuoi, o sbaglio? Tu mi hai lasciato, ricordi?

-E abbiamo già assodato che non era quello che avevo intenzione di fare- ribatté esasperata. Alla fine si tornava sempre allo stesso punto: era un circolo vizioso e non sapeva come uscirne.

-Capolinea- rispose Gaetano fermo in mezzo ad un nuovo corridoio dove diversi capannelli di persone stazionavano davanti ad altrettante porte.

-Vuoi dire che finisce così? Senza una spiegazione, una risposta? Devo pensare che mi hai già sostituita con un’altra?- il tono di Camilla si face più stridulo ad ogni domanda. Razionalmente sapeva di non avere diritto a nulla, a nessuna giustificazione e spiegazione, ma le pretendeva comunque. Dopotutto lui le aveva detto di amarla, di volerla sposare…e ora a qualche mese dalla “separazione” lui stava già con un’altra? –Per fortuna che avevi detto di amarmi- sibilò alla fine incapace di trattenersi, gli occhi cioccolato puntati in quelli di Gaetano, che a quelle parole si velarono nuovamente di tristezza.

-Capolinea…sei arrivata. Quello è l’ufficio di Ippolito- precisò Gaetano evidentemente deluso dall’atteggiamento della professoressa.

Camilla boccheggiò: aveva di nuovo fatto un errore enorme, lo leggeva sul viso dell’uomo.

-Gaetano, scusami, io…io credevo…

-So che cosa credevi, ma non sono certo io quello che cambia idea così in fretta sulle persone e sui sentimenti.

Il riferimento a lei e Michele era più che evidente.

-Non ne dico una giusta per te, vero?- il tono arrendevole di Camilla sorprese Gaetano. –Lo capisco, così come capisco che tu oggi preferisca lei a me. E’ bella, intelligente, gentile, simpatica…e soprattutto…

-….e soprattutto è sposata con un mio parigrado di un altro commissariato- concluse Gaetano, incapace di sostenere oltre quel tono e quello sguardo disperato e disilluso. Per quanto lui volesse mantenere le distanze e andare oltre, non poteva far soffrire Camilla, non fino in fondo, non per davvero. Alla fine doveva sempre lanciarle un’ancora di salvezza, un salvagente che la tenesse a galla proprio quando sembrava che stesse per andare a fondo. Era stato così sin dall’inizio. Per questo non poté evitare di sorridere quando vide il volto di Camilla riprendere il suo solito colorito.

-Sposata?

-Sposata- confermò il vicequestore. -Ma adesso devi andare; Renzo ti sta cercando.

Camilla si voltò seguendo il cenno fatto da Gaetano, arrivando ad incrociare lo sguardo di Renzo che con una mano alzata la stava chiamando.

-Giusto, la separazione. Anche se adesso pare non mi serva a più di tanto. Non mi devo più risposare, in fin dei conti- il sarcasmo era fin troppo accentuato e Camilla se ne rese conto, ma non le importava: che altro poteva perdere? Quello che contava, l’amore ed il rispetto di Gaetano, l’aveva già perso.

-Camilla…

-No, no! Lo so. E lo faccio per me questa volta. Come ti ho già detto, ho fatto un casino mesi fa. Anzi, più di uno a dire il vero. Sta a me rimettere le cose a posto, almeno dove possibile. E firmare questa separazione non servirà più a te, a noi…ma serve a me, a ricordarmi che a volte le cose finiscono e bisogna avere il coraggio di affrontarne le conseguenze.

Prima di andarsene Camilla si alzò sulle punte e posò un bacio delicato sulla guancia del commissario, trattenendosi qualche secondo in più vicino al suo viso per inspirare il suo profumo. Forse per l’ultima volta.

-Allora, ciao- disse semplicemente alla fine, un saluto come tanti, come se ci fosse ancora un domani per loro, come se nulla fosse mai cambiato.

-Ciao- rispose Gaetano, imbambolato come sempre gli capitava quando Camilla sfiorava più o meno volontariamente il suo corpo.

Ma non la lasciò allontanare di molto prima di seguirla e bloccarla di nuovo per il polso. Le aveva detto che era finita, che non ci sarebbe più stato un noi; le aveva detto che non si fidava più della sua parola, che aveva paura di lei, della sua indecisione, della sua incapacità di mettere se stessa e lui, il loro rapporto, al primo posto (o comunque non come fanalino di coda della sua esistenza). Le aveva detto tutto questo solo due settimane prima in quella che un tempo era stata la loro camera da letto, dopo uno di quei baci in grado di togliergli il respiro e di fargli perdere il controllo della ragione. Lo aveva fatto, eppure ora si ritrovava a guardarla negli occhi e a desiderare di crederle disperatamente quando le aveva confessato di amarlo, di avere compreso i propri errori, di voler porre rimedio. Ed in un certo senso lo stava facendo: aveva chiarito con Michele, stava firmando le carte della separazione con Renzo. Persino aver lasciato che Livia si trasferisse era un segno che forse era disposta a pensare un po’ più a se stessa che agli altri. Forse era arrivato davvero il momento giusto, per lui, per loro. E anche la gelosia nei confronti della pm, la sua rassegnazione quando aveva capito che l’altra poteva dargli molto più di quello che lei era in grado di offrirgli…tutto spingeva il suo cuore malridotto a restare lì, in quel corridoio, mano nella mano con lei.

Non sarebbe stato semplice, ma forse si era sbagliato quando l’aveva allontanata. Forse c’era ancora speranza per loro. C’era sempre stata, del resto, se dopo dieci anni turbolenti erano ancora lì a guardarsi in quel modo.

-Quando…quando avrai fatto, possiamo andare a prenderci un caffè. O un vermouth, se ti va. Sarò qui ad aspettarti- disse, infine, impacciato come poche volte gli era capitato nella vita, tutte riconducibili alla presenza accanto a lui di una certa professoressa.

Camilla sgranò gli occhi. Il tono di una dolcezza infinita, le parole che promettevano un futuro, quelle iridi azzurre che le sembravano di nuovo familiari. Possibile? Stava capitando davvero? Gaetano le stava offrendo una seconda occasione? O meglio….l’ennesima occasione?

-Sì. Sì, mi piacerebbe prendere un vermouth con te.

Camilla gli regalò il sorriso più bello e luminoso che Gaetano avesse mai visto prima di eclissarsi nella folla ed infilarsi nell’ufficio del giudice.

Alla fine c’era ancora speranza. Alla fine erano ancora Camilla e Gaetano.

 

 

Angolo dell’autrice:

ci ho messo un po’ a scriverlo, lo ammetto. Il capitolo è cambiato in corso d’opera tante di quelle volte che ho perso il conto, ma questa ultima versione mi piace. Alla fine credo che lei abbia dato prova di voler cambiare la sua vita e rimettere le cose a posto e Gaetano, che non è stupido e che è innamorato perso, lo sa. Certo, non vuol dire che sarà tutto rose e fiori, ma almeno un punto di incontro l’hanno trovato, un inizio.

E lo sappiamo che quando quei due si prendono un vermouth le cose in qualche modo si sistemano sempre.

Spero vi sia piaciuto. Grazie a chi legge e a chi lascia un pensiero, qui o su fb!

A presto.

L.

   
 
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