Venticinque
Tempo
di Partenze
Nottingham.
Erano
occorse alcune settimane a Guy e Kaelee per trasferirsi definitivamente
in città e lasciare la casa a Locksley in mano agli amici
della
banda di Robin Hood che l'avrebbero tenuta in perfetto ordine per ogni
necessità, come ad esempio la scelta, non unanime,
della famiglia di Kaelee di trattenersi dopo il matrimonio. Tra tutti,
sicuramente Rudyard e sua madre erano i meno contenti, ma non essendo
loro concesso di spostarsi autonomamente dal nucleo familiare erano
stati costretti a cedere e adeguarsi alla volontà degli
altri
componenti per la felicità soprattutto di Aric e Kaelee.
Un'abitazione priva di giardino e di un orto da coltivare, situata
all'interno di alte mura grigie
e dalle cui finestre era impossibile vedere Sherwood non era
ciò
che Kaelee aveva immaginato per se stessa, soprattutto dopo aver
vissuto un anno a Locksley. Eppure comprendeva
l'esigenza di suo marito di risiedere a Nottingham per poter adempiere
ai suoi doveri di Signore della città, perciò non
gliene
faceva una colpa - tanto più perché aveva
convenuto con
lei che abitare nella Fortezza come aveva fatto il vecchio Sceriffo
quando quell'edificio era Castello della città sarebbe stato
ancora peggio e
terribilmente triste - preferendo invece godersi il suo nuovo inizio
nei panni di Lady Gisborne. Ancora non si era abituata ad essere
chiamata così, tant'è ch'era accaduto diverse
volte che,
uscendo per
andare in Piazza in occasione del Mercato settimanale, qualcuno la
salutasse a vuoto appellandola con il titolo che aveva ereditato
sposando Guy perché soltanto dopo diversi minuti, quando il
suo
cervello aveva infine registrato e assimilato, riusciva a voltarsi per
ricambiare anche se era sempre categoricamente troppo tardi.
Perciò aveva chiesto a tutti di essere chiamata
semplicemente
Kaelee, non ottendendo però che la sua richiesta venisse
esaudita in quanto come sposa del Signore di Nottingham era necessario
portarle il rispetto che meritava. Era una delle tante regole della
nobiltà che fino a quel momento Kaelee aveva ignorato ed
evitato, ma alle quali non più poteva sfuggire.
Quando per l'ennesima volta il macellaio la ossequiò e lei
rischiò di non curarsene assumendo involontariamente un
atteggiamento altezzoso se non maleducato,
Kaelee ricordò tra sé e sé la
conversazione avuta con Guy la prima
volta che non aveva risposto ad un saluto e ne
sorrise passeggiando per le strade di Nottingham verso la nuova dimora
insieme al più giovane dei suoi fratelli.
Svoltato l'angolo e
imboccata una via
secondaria, Kaelee si mise a correre così veloce che fu solo
per
miracolo se non perse metà del contenuto della sua cesta,
colma
degli acquisti della giornata. Si vergognava moltissimo
perché
aveva completamente ignorato l'Abate di Kirklees finché il
fabbro, suo amico, non le aveva fatto notare il guaio che aveva
combinato. Quasi
sfondò la porta di casa e quasi travolse Gisborne
che, seduto al tavolo in mezzo alle scartoffie che il suo nuovo ruolo
contemplava, la guardò stralunato, preoccupato e confuso.
Le servì una
buona mezz'ora
per calmarsi e questo accadde soprattutto grazie al paziente intervento
di Guy il quale
le assicurò che avrebbe parlato personalmente con l'Abate
per
chiarire il malinteso e la rassicurò ritenendo che sarebbe
stato
necessario far trascorrere del tempo prima che si abituasse a quella
novità.
«Lady
Gisborne», sussurrò infine lui con quel tono che
la faceva
impazzire, quello colmo di malizia e sottintesi, quello che le
incendiava il viso e non solo.
«Non
migliori la situazione, Guy», soffiò lei provando
a
risultare seria per smentirsi subito dopo cercando le labbra di lui
per un bacio appassionato.
«Lady
Kaelee Lilas di Gisborne», continuò lui, senza
pietà, come se l'unico scopo nella sua vita fosse stordirla,
confonderla, mandarla fuori di testa. «Sul
serio ti chiami Lilas?»,
le domandò con un pizzico d'ironia mentre prendeva fiato
dopo
l'ennesimo bacio che prometteva di farli finire entrambi tra le
lenzuola.
«Proprio
tu parli, Lord... Crispin?», lo canzonò lei
scoppiando
a ridere.
Per tutta risposta lui
la sollevò di peso e la portò difilato in camera
da letto per una punizione esemplare.
Quel
giorno la donna rientrò, quindi,
a casa in compagnia di Aric, recando con sé alcune
stoffe che voleva assolutamente mostrare a Guy. Non
trovandolo all'interno dell'abitazione decise di ammazzare il tempo
dedicandosi al pranzo e alle chiacchiere. Kaelee non era mai stata una
cuoca provetta, ma grazie al periodo trascorso accanto a Kate, ai
suggerimenti di Much e alle ricette che lui aveva fatto trascrivere
appositamente per cedergliele in una sorta di regalo di nozze, Lady
Gisborne faceva progressi giorno dopo giorno. Pian piano stava
imparando ad utilizzare al meglio tutte le spezie di cui disponeva e
iniziava a non confonderle più una con l'altra scambiandole
durante la cottura degli arrosti o delle minestre, rendendoli
così quasi immangiabili anche se Guy insisteva nel dire che
tutto ciò che lei cucinava era ottimo. Il pensiero
più
ricorrente nelle ultime settimane, per Kaelee, era "Che adorabile
bugiardo".
Mentre un aroma di salvia e timo si diffondeva per tutta la stanza,
Kaelee notò che Aric era particolarmente silenzioso e si
torceva
le mani con lo sguardo abbassato sul tavolo, evidentemente a disagio.
La donna aggrottò le sopracciglia manifestando apertamente
la
propria confusione in quanto un atteggiamento simile da parte di suo
fratello le risultava piuttosto strano. A pensarci meglio, in effetti,
per tutto il giro del Mercato non aveva parlato granché
intanto
che lei acquistava.
«Aric...
Sei ancora tra noi?», mormorò con un sorriso dolce
sulle labbra.
«Mh?
Sì, sì. Vuoi dirmi qualcosa?», chiese
lui, sulla difensiva,
guardandola soltanto per un attimo e voltandosi poi verso una delle
finestre.
A quel punto Kaelee fu certa che
suo fratello le
stava nascondendo qualcosa, che qualcosa lo preoccupava tanto da
zittirlo a quel modo. «Solitamente
non cerco un dialogo con i muri», lo provocò per
testarne la reazione.
«Quindi
adesso sono un muro. Fortuna che me l'hai fatto notare!», le
rispose Aric sarcastico.
«Tu
come chiameresti una
persona che si comporta come te? Sono pur sempre una donna di poca
cultura: illuminami!», fece lei imitando il tono di suo
fratello.
A Kaelee non piaceva affatto litigare, anzi, ogni volta che le capitava
di essere coinvolta in un litigio poi ci pensava e ripensava per ore
intere senza darsi pace, cercando il motivo della lite e lo sbaglio che
aveva condotto lei e l'altro interessato al punto di rottura, ma non
sopportava essere trattata con sufficienza o arroganza per ragioni a
lei ignote. Quindi
non era per niente contenta della situazione che si stava venendo a
creare, tuttavia non poteva lasciare che Aric tornasse a Edwinstowe con
quell'aria triste, pensierosa, preoccupata, e per quanto cercasse di
controllarsi non le riusciva di essere diplomatica con lui.
Aric la guardò
finalmente in faccia, colpito dalle parole di lei. «Ti ho mai dato dell'ignorante?», le
chiese mantenendo la calma.
«No,
ma non è merito
tuo se oggi me la cavo sia a leggere che a scrivere». Questa
era
cattiva e Kaelee se ne rese conto un secondo più tardi. «Scusami. Non era mia intenzione
dir...», aggiunse immediatamente senza però
riuscire a concludere la frase.
«No,
non scusarti. Hai detto
solo la verità! Io non conto niente per te!»,
esclamò battendo i palmi sul tavolo in legno mentre si
alzava di
scatto.
La donna ebbe la sensazione di essere arrivata al dunque,
perciò
decise di non lasciar cadere la discussione - opzione che avrebbe preso
in considerazione se non si fosse trattato del parente ed amico
più caro che aveva.
«È
davvero di questo
che stiamo parlando, Aric?», gli domandò dando una
mescolata alla minestra che cuoceva lenta sul fuoco del camino.
Lui sbuffò l'aria dalle
narici in un profondo
sospiro. «Non lo so di cosa stiamo parlando, non lo so
davvero,
ma forse so di cosa dovremmo parlare»,
ammise infine. «Tu
te ne sei andata. Sei partita per Locksley e se non fosse stato per
l'insensata caccia all'uomo da parte di Rudyard chissà
quando ti avrei
rivista», si sfogò scuotendo il capo.
«Hai
dimenticato che
affinché la fuga avesse un risultato concreto era necessario
il
tuo silenzio? Che potevo fare? Restare e sposare quel bruto? Oppure
invitarti a Locksley come se niente
fosse con il pericolo che qualcuno ti seguisse insospettito da un
comportamento poco affine alla tua personalità?»,
gli
domandò controllando il tono, cercando di scegliere le
parole
per evitare di offenderlo. Aric si era sempre rifiutato di imparare a
maneggiare una qualsiasi arma prima che Dwight lo coinvolgesse nella
sua impresa contro le ingiustizie dei potenti, cavalcava solo se
strettamente
necessario, si difendeva soltanto verbalmente e attraverso l'ingegno,
tutte scelte che non gli avrebbero concesso di giustificare in maniera
credibile un temporaneo allontanamento da Edwinstowe, tanto
più
perché
non era neanche un mercante, né un artigiano. Kaelee aveva
tenuto conto di tutto questo quando aveva lasciato Edwinstowe e aveva
sofferto molto la mancanza di Aric, per questo si sentì
profondamente ferita dalle parole di lui: se portarlo a Locksley con
sé non fosse stato pericoloso per entrambi, la donna non ci
avrebbe pensato su neanche un attimo.
«La
verità è che non ci saremmo più
rivisti se non fosse stato per lui».
Kaelee arricciò le labbra, disgustata da quella
verità che non condivideva affatto. «Non la metterei su questo piano. Avresti saputo
del mio matrimonio».
«Ah,
già, il matrimonio. Ora per tutti sei Lady Gisborne e il tuo
futuro sarà roseo! Congratulazioni», sputò con una tale dose di sarcasmo
da lasciare intendere che fosse quasi infastidito, risentito.
«Qual
è il problema?
Forse non sei felice per il mio matrimonio con Guy? Oppure ti sei
offeso
perché ho chiesto a Dwight di accompagnarmi all'altare?
Dimmi,
perché proprio non ci arrivo!», sbottò.
Sentì le lacrime ondeggiare negli occhi e decise di voltare
le
spalle a suo fratello con la scusa di dover badare al pranzo.
«No...»,
soffiò Aric, ridimensionandosi immediatamente.
«Cosa
no? Sii più
preciso. È tutta la mattina che cerco di conversare con te
senza
successo e tra qualche giorno tornerai a Edwinstowe con il resto della
mia famiglia. Lasciami almeno capire cosa sto sbagliando!»,
esclamò esasperata. Nello sguardo di suo fratello le parve
di
scorgere imbarazzo insieme al nervosismo, ma per quanto si sforzasse di
trovare una ragione a quello strano comportamento di Aric non c'era
verso di riuscirci.
«Non
sono offeso in alcun modo», spiegò a voce e
sguardo bassi.
«Ma?»,
lo invogliò lei.
«Ma
l'unica persona con cui
condividerai il tuo tempo d'ora in poi è lui!»,
sbottò sputando finalmente la verità.
Kaelee impiegò qualche secondo per realizzare il senso di
quelle parole.
«Tu
sei geloso»,
sussurrò dolcemente. Si assicurò che il pranzo
non
prendesse fuoco - il che non era da escludersi - e si
avvicinò a
suo fratello per abbracciarlo con affetto.
«Sono
uno sciocco»,
mormorò lui con voce tremante tra i capelli di Kaelee,
più lunghi rispetto all'ultima volta che l'aveva vista prima
del
matrimonio, quando lei aveva riportato Rudyard a Edwinstowe in
compagnia di Gisborne e Fra Tuck.
«Hai
ragione. Avresti dovuto parlarmene liberamente», lo
rimproverò bonariamente. «Ti
vorrò sempre bene, Aric, per sempre. Potrai venire a
trovarmi
tutte le volte che vorrai. Puoi perfino trasferirti se lo
desideri!», gli disse con trasporto, senza sciogliere
l'abbraccio. «La casa a Locksley resterà vuota e
puoi abitarla tu. Cosa ne pensi?».
Sentì suo fratello sospirare e stringerla di più.
«Un
giorno, forse. Ho un
compito da portare a termine a Edwinstowe insieme a Dwight e gli altri
della nostra banda», mormorò.
Kaelee si allontanò da lui quel tanto che bastava per
sorridergli luminosa. «Sono orgogliosa di te»,
soffiò. «Sapevo
che avresti fatto grandi cose con la tua intelligenza. Lasciami
indovinare: sei lo stratega del gruppo!», gli disse per poi
veder
spuntare un enorme sorriso sulle labbra di lui mentre annuiva deciso.
I due, ritrovato un equilibrio, ripresero a chiacchierare come un tempo
e a cucinare fino al rientro di Gisborne.
Quest'ultimo aveva trascorso la mattinata a discutere con i suoi
fratelli alcuni dettagli per la gestione della città nel
rispetto delle
leggi e degli intenti di Re Riccardo e una volta messo piede fuori
dalla Fortezza non
aveva desiderato altro che raggiungere Kaelee per dedicarle il tempo
che meritava. Arrivato a ridosso dall'abitazione l'uomo
sentì
distintamente due voci provenire dal suo interno e comprese che Kaelee
doveva essere in compagnia di uno degli uomini della banda o uno dei
suoi fratelli.
Aprendo la porta fu subito travolto dalla felicità di sua
moglie che
lo guardò con occhi tanto intensi da metterlo quasi in
soggezione: poteva uno sguardo causargli un tale turbamento sebbene lo
incontrasse più volte nel corso della stessa giornata da
ormai
molti mesi? Guy non poté far altro che rispondere
positivamente
a sé stesso, dando credito all'evidenza che gli aveva
riscaldato le guance.
«Guy!»,
esclamò gioiosa e a lui parve che la sua voce fosse musica. «Sei
tornato finalmente. Ho una cosa da farti vedere!», aggiunse
la
donna con l'entusiamo e la meraviglia di un bambino che ha scoperto un
bruco farsi
farfalla.
Ricambiò il meraviglioso sorriso che lei gli aveva rivolto e
salutò cordialmente anche Aric invitandolo subito a fermarsi
per
il pranzo. Sebbene fosse sicuro che Kaelee gli avesse già
rivolto lo stesso invito, volle mostrarsi ben disposto verso il giovane
uomo il
quale gli aveva dato l'impressione, in quei giorni, di essere non
soltanto piuttosto timido ma anche non esattamente a proprio agio in
sua presenza. Quindi, chiusosi la porta alle spalle, si
avvicinò
a
Kaelee per baciarle la fronte con tutto l'amore che nutriva per lei.
Per tutta risposta sentì le braccia di lei avvolgerglisi
sulle
spalle in un breve, ma caldo e rassicurante abbraccio. Da quando Guy
aveva una relazione con Kaelee aveva scoperto il significato del
tornare a casa e trovare qualcuno che lo stesse aspettando non per
dargli un ordine oppure offenderlo, ma per accoglierlo con affetto e
con il reale desiderio di averlo attorno. Qualche istante più tardi l'uomo
gettò un'occhiata alla stanza e il suo sguardo cadde su una
pila di stoffe scure.
«Non
vuoi che ti aiuti a
scegliere il tessuto migliore per tendaggi e coperte, vero?»,
domandò a sua moglie, con un sopracciglio sollevato mentre
indicava il punto esatto in cui Kaelee aveva adagiato i suoi ultimi
acquisti.
«Ti
sembra stoffa per tende
quella?», gli chiese lei di rimando scuotendo il capo con
rassegnazione, ma rivolgendogli un ampio sorriso. «È evidente che ne sai ben poco di
queste cose», lo prese in giro.
Lui rise incrociando le braccia al petto. «Allora vuoi farti confezionare un nuovo
abito?», azzardò.
«Ci
sei quasi», mormorò lei avvicinandosi di nuovo e
facendogli così battere forte il cuore. «È
tempo che ti liberi di tutto questo nero, Guy»,
sussurrò.
Quando Gisborne sentì le dita di lei sfiorargli il petto
faticò a tenere alta la concentrazione sebbene uno spesso
strato
si frapponesse tra il calore di Kaelee e il proprio corpo desideroso di
un contatto più intimo. Gisborne dovette costringersi a
tenere
presente che nella stanza, insieme a lui e Kaelee, c'era anche Aric,
dettaglio questo che impediva a entrambi di lasciarsi andare ad
effusioni troppo spinte. Immerso nella confusione mentale causata da
Kaelee, Gisborne guardò quest'ultima, che si spostava verso
le stoffe, con aria interrogativa.
«Che
ne dici di questo bel blu
zaffiro? Io lo trovo perfetto!», scampanellò lei
sollevando un lembo di stoffa blu, piroettando poi su se stessa e
illuminando l'intera casa, l'intera esistenza di Gisborne.
Maniero di Robin,
Locksley.
Da diverse settimane Robin Hood e Luke Scarlett organizzavano il
viaggio verso la Terra Santa. Ormai non era più un segreto
per
nessuno della banda, né per gli abitanti di Locksley e
Nottingham, ma pochi erano davvero quelli che condividevano la scelta
di Robin sebbene tutti la rispettassero e nessuno, tranne Much, avesse
avuto l'ardire di chiedergli di restare.
Ora che Gisborne aveva trovato la propria strada e che Archer si era
legato
alla dolce Nettie, Robin sentiva di poter passare il testimone ai suoi
fratelli congedandosi in pace e serenità dai suoi compagni
di
avventura. Nemmeno lui sapeva come sarebbe andato a finire quel viaggio
che sarebbe durato mesi, neanche lui sapeva quanto si sarebbe fermato
ad Acri e se e quando avrebbe mai fatto ritorno nella sua amata
Inghilterra, né voleva pensarci. Tutto ciò che
gli era
chiaro da ormai diverso tempo era la necessità di doversi
ricongiungere a Marian. Aveva provato ad accantonare il dolore della
perdita, aveva provato ad innamorarsi ancora, aveva tentato un
approccio sereno alla vita e al rapporto con altre donne, aveva lottato
affinché i ricordi non lo assalissero
rendendogli la vita impossibile, aveva trovato un senso a se stesso
nella battaglia contro le ingiustizie perpertrate dallo Sceriffo di
Nottingham e dal Principe Giovanni, aveva perdonato Gisborne
accettandolo come alleato e fratello, aveva provato a ricostruirsi una
vita vera, nuova, priva di incubi dal passato, ma lei, Marian, era
sempre tornata ad affacciarsi alla sua mente per riscaldarlo con quel
sorriso ampio e incredibilmente bello, per rassicurarlo con quei suoi
occhi chiari e grandissimi, espressivi, indescrivibilmente unici,
inducendolo, di fatto, a porsi una serie di quesiti cui era impossibile
trovare risposta.
Quante volte si era chiesto cosa sarebbe accaduto se Marian
gli
avesse dato retta restando con lui a Sherwood anziché
tornare ad
abitare al Castello con lo Sceriffo e Gisborne? Quante altre si era
ritrovato a pensare a come sarebbero andate le cose se Marian avesse
davvero rinunciato ad essere il Guardiano Notturno perché
troppe
volte aveva rischiato di farsi scoprire e perfino uccidere da Guy?
Robin non era mai riuscito veramente a perdonarsi per non aver saputo
stare vicino a Marian come avrebbe voluto e dovuto, per non essere
riuscito a fermarla, a parlarle con calma e nella maniera giusta, per
non aver compreso il suo bisogno di essere libera e indipendente e di
sentirsi protetta dall'amore che nutriva per lui senza dover essere
rinchiusa in una gabbia.
Quando Robin aveva ascoltato la storia di Kaelee per la prima volta,
subito dopo il suo arrivo a Locksley, la giovane donna gli aveva
ricordato molto Marian per via del carattere indomabile che
contraddistingueva entrambe. Era evidente che una ventenne senza alcuna
familiarità con le armi e con l'unica abilità di
saper
cavalcare veloce e senza indugio doveva possedere una determinazione
incrollabile se era riuscita a raggiungere da sola Locksley incolume,
così come era chiaro che la ragazza sapeva il fatto suo se
incontrando Allan aveva letteralmente preteso di poter parlare con
Robin Hood in persona. L'arciere aveva rivolto un sorriso estasiato a
quella minuta straniera arrivata da Edwinstowe rincorrendo un mito,
come lei stessa aveva definito la figura di Robin Hood, e se l'aveva
accolta senza alcuna difficoltà né resistenza era
dovuto
in parte proprio all'animo ribelle di lei: il capo della banda aveva
intimamente scommesso su quella giovane donna dal primo momento in cui
l'aveva vista.
Ripensandoci ora, a distanza di molti mesi, Robin si rese conto che una
lezione dal passato l'aveva imparata. Ai tempi in cui Marian si
impuntava per essere il Guardiano Notturno e fare la spia al Castello
per i fuorilegge - così come Kaelee aveva messo tutta se
stessa
per poter essere utile al villaggio imparando alcuni mestieri, a
leggere e a maneggiare la spada come pochi altri -
l'arciere non aveva fatto altro che provare a dissuaderla da quelle
attività tutt'altro che femminili e sicuramente molto
più
rischiose del semplice dedicarsi al fare la maglia dinanzi ad un camino
acceso. Almeno verso Kaelee il suo atteggiamento era stato
completamente diverso sebbene questo non avesse comunque riportato in
vita Marian.
L'arciere era al Maniero quando, il giorno prima della partenza, un
uomo irruppe nella stanza in
cui si trovava, mettendolo in allarme. Appena si rese conto che si
trattava di Much tirò un sospiro di sollievo.
«Amico
mio, siedi, riprendi fiato e bevi il mio buon vino senza fare
complimenti», lo invitò Robin accogliendolo con il
suo solito sorriso amichevole.
L'uomo vide Much scuotere con vigore il capo e puntare nei suoi un paio
di occhi estremamente vivi e, in quel momento, disperati.
«Sono
venuto qui a dirvi che non potete partire», ansimò
accettando infine di sedersi.
«Much...»,
sospirò Robin.
«No,
padrone. Ascoltatemi.
L'Inghilterra ha bisogno di voi, Locksley ha bisogno di voi che ne
siete il Signore!», affermò con convinzione. «Con che coraggio abbandonate il vostro popolo
senza assicurare che farete ritorno? Vedete? Non potete
partire», concluse.
«Grazie
per aver tentato... di
nuovo. Ho già lasciato tutto nelle mani di Archer. E
smettila di
chiamarmi padrone: non lo sono più da molti anni», lo rimproverò allegramente
scompigliandogli i capelli e facendolo sorridere per qualche istante.
«Se
è così posso
accompagnarti. Avrai sicuramente bisogno di compagnia durante il
viaggio e io conosco ballate molto belle e so cucinare
bene!»,
continuò non volendosi proprio arrendere.
«E lasceresti Kate e il
vostro bambino in arrivo da soli?», obiettò subito Robin.
«Luke
verrà con me e ce la caveremo. Una volta lì Will
e Djaq,
o per meglio dire Safiya, ci ospiteranno e trascorrerò del
tempo
con loro. Sarò al sicuro, Much».
Robin vide gli occhi del suo amico farsi più lucidi, il
labbro
tremargli leggermente mentre di sicuro cercava una soluzione che non
contemplasse la sua partenza.
«Non
puoi...», mormorò tristemente.
Robin gli strinse una spalla volendolo confortare e non smise mai di
sorridergli.
«Non
puoi lasciarmi. Io non sono niente senza di te!»,
esclamò ormai in lacrime.
L'arciere
sospirò pensando di
non meritare tutto l'affetto e la devozione che quell'uomo gli
riservava da sempre. Molte volte Robin lo aveva preso in giro per il
suo essere troppo ingenuo e buono, troppe volte ne aveva sottovalutato
le qualità e capacità, tante volte non aveva
apprezzato
il legame che Much sentiva nei suoi confronti arrivando perfino ad
offenderlo davanti agli altri membri della banda, trattandolo come un
servo ignorante pur consapevole che il gruppo di fuorilegge non poteva
fare a meno di uno come lui. Much era sempre stato un uomo dalla lingua
più veloce del pensiero, un uomo sincero e leale, uno di
quegli
uomini buoni che si innamorano in fretta della prima donna che gli
concede una minima attenzione, un uomo ancora capace di commuoversi
dinanzi all'incontro con un vecchio amico o alla nascita di un bambino
o anche ad un pericolo scampato. Solo dopo anni trascorsi al fianco di
Much Robin si era reso conto di quanto fondamentale e prezioso fosse
quell'uomo ed ora salutarlo forse per sempre gli risultava
così
difficile che non riuscì a mandare giù il nodo
alla gola
causato dalle lacrime dell'amico.
«Io
e te siamo amici, Much, non è così?»,
chiese con un tremolio nella voce che non gli era mai appartenuto.
«È
così», fece Much tirando su col naso.
«E
allora, amico e compagno di
mille avventure, cerca di comprendere la mia decisione e non causarmi
dolore con il tuo pianto», confidò guardandolo
dritto
negli occhi sebbene la vista gli si stesse appannando man mano che le
lacrime salivano minacciando di scivolare via.
Much
si alzò e lo
abbracciò forte, affondando la testa sulla sua spalla e
singhiozzando come... "Come un bambino", pensò Robin
ricambiando
la stretta.
«Non
chiedermi questo. Io... Io non sono abbastanza forte».
«Non
essere sciocco adesso.
Come potresti essere il mio migliore amico se non fossi forte e
coraggioso e fedele?», soffiò Robin, anche lui in
lacrime.
Much scosse il capo senza mollare
la presa sulla schiena dell'arciere. «Non
ho la forza di dirti addio. Non posso. Perdonami, ti prego, perdonami,
non ci riesco».
Robin non sapeva più cosa dirgli; vederlo soffrire a quel
modo
lo devastava, eppure sapeva di non poter tornare indietro, sapeva che
non sarebbe mai riuscito a trovar pace a Locksley se prima non fosse
tornato sulla tomba dell'unica donna che aveva amato davvero.
Accarezzò con affetto le spalle contratte del suo amico
attendendo che lui si calmasse, sperando che smettesse di piangere
così tanto e tanto intensamente.
«Non
ti basta avere al tuo
fianco Little John, Allan, Tuck, Archer, Gisborne, Kate, Kaelee? Non ti
basta avere me?», chiese Much, implorante, dopo un po'.
«Basta
adesso», mormorò con dolcezza, discostando
lentamente l'amico da sé. «Tengo
molto a tutti i miei amici e a te in modo particolare, ma non
cambierò idea. Ho bisogno di rivederla, Much», si
confidò.
Much
aggrottò le sopracciglia. «La Terra Santa?», chiese, confuso.
«Marian!
E ora non dire "Lo sapevo"!», esclamò Robin
tornando a sorridere. Il
buonumore era ciò che più identificava Robin Hood
insieme
al suo infallibile arco, perciò anche in una situazione come
quella non era strano che riuscisse a scherzare e regalare un sorriso
al sensibile Much, risolvendo almeno momentaneamente la questione.
Robin sapeva che Much avrebbe pianto ancora e si sarebbe lasciato
prendere dallo sconforto per settimane assillando tutti con la
necessità di imbarcarsi per riportare a casa quella che lui
riteneva essere la loro guida; e sapeva anche che qualcuno gliele
avrebbe cantate per questo, qualcuno di nome Little John per la
precisione; e sapeva che Fra Tuck sarebbe poi dovuto intervenire per
dividerli e avrebbe dovuto tenere un discorso accorato per convincerli
che nella vita ci sono avventimenti che vanno accettati per come
arrivano, scelte che meritano di essere rispettate,
eventualità
che non si possono ostacolare. Robin li conosceva tutti con la stessa
sicurezza che gli avrebbe consentito di distinguere ad occhi chiusi una
freccia della propria faretra tra tante appartenenti ad altri, quasi
che negli anni una
piccola parte dei suoi compagni di avventura gli fosse rimasta nel
cuore. Era cosciente che prima o poi si sarebbero rassegnati alla sua
assenza e sarebbero andati avanti, ognuno con la propria vita e tutti
insieme per il bene comune. Forse, un giorno, qualcuno dei suoi vecchi
compagni e amici avrebbe raccontato la storia dei fuorilegge ai propri
figli e avrebbe rivisto nei loro occhi incantati quelli riconoscenti
dei poveri che avevano ricevuto pane e ortaggi grazie alla banda di
Robin Hood. Forse si sarebbe parlato per anni, magari decenni, di
ciò che lui e i fuorilegge avevano fatto per l'Inghilterra e
per
il Re.
«Potrò
venire a trovarti?», domandò Much dopo un po'.
Robin alzò gli occhi al cielo e abbracciò ancora
una volta l'amico.
Il resto della giornata fu un susseguirsi di amici che da Locksley,
Nottingham, Clun, Scarborough, Wadlow, Nettlestone, Huntingdon, York,
Knighton e Bonchurch raggiunsero il Maniero per augurare fortuna e pace
a quell'uomo che tanto aveva fatto per gli abitanti dei villaggi. Robin
li ricevette tutti indistintamente offrendo loro vino e frutta,
accogliendoli come se tra lui e i vari artigiani, contadini, fabbri e
mugnai non ci fosse alcuna differenza, scherzando, sorridendo e
spazzando via la malinconia e la commozione che tanto affetto gli
causavano. Non mancarono i piccoli amici per i quali Robin costituiva
un coraggioso eroe da imitare, come i giovanotti più
grandi avevano già iniziato a fare seguendo le lezioni di
tiro
con l'arco impartite dall'arciere e da suo fratello minore. Quando i
bambini,
con un pizzico di delusione, gli chiesero chi avrebbe insegnato loro ad
usare arco e frecce, assicurò che Archer era perfino
più bravo di lui e li convinse che da suo fratello avrebbero
imparato
anche moltissime altre cose interessanti e magiche.
Con sua grande sorpresa, trattenere l'emozione quando arrivò
il
momento di congedarsi dai componenti della banda, vecchi e nuovi, gli
risultò molto più difficile e, tra un abbraccio e
l'altro, Robin si lasciò andare perché in fondo
con loro
non era necessario fingere allegria. Indubbiamente lasciare Locksley lo
rattristava ed era giusto che i suoi amici ne fossero al corrente: non
voleva che pensassero di contare poco o nulla per lui quando invece non
gli sarebbe stato possibile, senza di loro, sfuggire per anni allo
Sceriffo e vivere
nella Foresta per far del bene.
A conferma che quando si desidera fermare il tempo questo si mette a
correre a perdifiato, dispettoso e implacabile, in quella che parve una
manciata di attimi il Sole lasciò il posto alla Luna e la
sera
calò sul Maniero e su tutta l'Inghilterra. Eppure i compagni
d'armi di Robin Hood erano restii ad andar via, così come lo
erano i suoi due fratelli che gli si erano seduti l'uno ad un fianco e
l'altro all'altro senza che nessuno riuscisse più a farli
spostare. Tanto Archer quanto Guy tentavano di mascherare la tristezza
dietro a racconti divertenti di avventure passate e aneddoti che fecero
arrossire Robin con grande soddisfazione di tutti i presenti, ma nello
sguardo di entrambi gli uomini era visibile un velo di malinconia per
l'imminente addio. L'unico veramente felice in quel frangente era Luke
Scarlett il quale si sarebbe ricongiunto con suo fratello Will.
«Gisborne,
devo ricordarti
quanto fossi ridicolo nella tua scintillante armatura prima che ti
dessi fuoco?», rispose a tono Robin dopo l'ennesima battuta
da
parte di suo fratello. Quanti avevano anni addietro assistito
alla scena scoppiarono a ridere di gusto e quasi si azzuffarono in un
"tutti contro tutti" a suon di sfottò e spallate.
«Io
almeno non sono mai fuggito passando attraverso le latrine!»,
disse Gisborne arricciando il naso. «Non
credevo che poteste puzzare ancora di più voi fuorilegge, ma
mi
sono divuto ricredere», aggiunse guadagnandosi un bel calcio
nel
sedere da parte di Robin.
«Nobili...
Che razza infelice», commentò ironico il capo
della banda.
«Senti
chi parla!», esclamò Allan, divertito. «Signore di Locksley, Conte di Huntingdon e
cos'altro?».
«Hai
dimenticato di dire che faceva parte della Guardia Privata del
Re», aggiunse Much con orgoglio. «Insieme a me», precisò.
Un sonoro «Much!», riempì la sala grande del
Maniero.
È così che si sarebbero detti addio: mangiando,
bevendo, ricordando, divertendosi in armonia.
Dopo l'ennesimo battibecco scherzoso tra Archer e Robin vi fu un
momento di silenzio in cui ognuno pensò a come sarebbe stato
l'indomani svegliarsi senza l'eroe che aveva dato vita al mito. Kate e
Kaelee furono sul punto di commuoversi quando Little John si
alzò in piedi e mostrò la piastrina di fuorilegge
con
inciso il simbolo della banda.
«Noi
siamo e saremo sempre Robin Hood», disse. La voce gli
tremò e Much cominciò a piangere.
«Noi
siamo Robin Hood!»,
esclamarono tutti a gran voce una, due, tre volte sentendosi parte di
una grande e indistruttibile famiglia.
Il giorno seguente,
Nottingham.
L'alba abbracciava le vie della città con la sua luce
soffusa e
calda
mentre Kaelee combatteva con il rimorso per non essere riuscita a dire
a
Robin tutto ciò che aveva in mente. Aveva a lungo pensato
alle
parole che gli avrebbe rivolto, ma al momento dei saluti era riuscita
soltanto ad abbracciarlo ringraziandolo, commossa, per averle
donato un futuro inaspettatamente ricco e bello. Non era mai stata
tanto brava con le parole quando si trattava di esprimere i suoi stessi
sentimenti.
Neanche le braccia di
Guy, in quella notte appena trascorsa senza che nessuno chiudesse
davvero occhio, le erano state di conforto dal
momento che lui per primo aveva avuto bisogno del sostegno di lei per
non crollare, per non sentirsi completamente perso.
Entrambi, in effetti, dovevano tutto a Robin Hood e per entrambi
quest'ultimo era una presenza importante, fondamentale
affinché
ogni giorno diventasse il dono meraviglioso che Dio faceva loro.
Kaelee ravviò il fuoco per distrarsi con la preparazione di
una
profumata tisana. "Ormai è fatta", pensò, "Robin
sarà già partito da un pezzo", si disse per nulla
rassicurata da quella constatazione. Kaelee non era affatto quel tipo
di donna che si rassegna agli eventi che le capitano e li accetta senza
fiatare, senza provare a cercare una soluzione, senza lottare per
cambiare le proprie sorti. Non era il tipo di donna che, rendendosi
conto di aver sbagliato qualcosa, lascia correre senza provare rimorso,
senza torturarsi, senza cercare di porre rimedio.
Prima che Gisborne, il quale intanto l'aveva raggiunta, potesse dire
qualsiasi cosa Kaelee lo guardò dritto negli occhi.
«Devo
parlargli», gli disse manifestando tutta l'urgenza di quella
necessità.
«Prendi
il mio cavallo,
è più veloce. Ti raggiungerò con il
tuo», le
rispose lui dandole la sensazione di aver compreso ogni cosa, che
l'avrebbe sostenuta sempre, ricordandole perché aveva
sposato proprio lui tra gli altri.
Kaelee non se lo fece ripetere, vestita soltanto dell'abito
leggero che era solita indossare quando era in casa, corse verso la
scuderia di loro proprietà e salì in groppa al
maestoso
destriero bianco partendo immediatamente al galoppo. Nonostante fosse
ancora molto presto la città era già sveglia e i
primi
commercianti iniziavano a preparare i loro banchi, tenendo
così
compagnia a chi per tutta la notte aveva lavorato ai
forni per garantire pane fresco a tutti i cittadini e ai proprietari
delle locande rimaste aperte nelle ore più buie per ospitare
viaggiatori e offrire divertimento a forestieri e non. Kaelee
sfilò loro accanto a tutta velocità, senza
soffermarsi
troppo sulle loro figure, impaziente di
superare le porte di Nottingham e fiondarsi tra gli alberi di Sherwood
alla ricerca di quell'eroe che la donna aveva ammirato prima di
conoscerlo personalmente e aveva continuato ad ammirare anche dopo. La
donna non sapeva quale via esattamente Robin avesse preso, ma
conosceva la strada che l'avrebbe condotta sulla costa al porto
più vicino ed era determinata a cavalcare fin lì
nel caso
in cui non si fosse imbattuta prima nel fuorilegge.
In sella al cavallo di suo marito Kaelee entrò in fretta
nella
Foresta di Sherwood, accompagnata dal suono degli zoccoli che battevano
il terreno con tutta la forza dei muscoli tesi ed eleganti e dal
fruscio delle foglie secche che si sollevavano al loro passaggio. Le
sue
narici furono subito punte dalla fragranza fresca del muschio,
dall'odore
tipico della terra bagnata e da una caratteristica profumazione che,
non sapendo definirla diversamente né attribuirla a qualcosa
di
preciso, Kaelee aveva ribattezzato come "profumo di sole"
perché poteva sentirla
quando i raggi solari riscaldavano le cime più alte
liberando
quell'aroma inconfondibile. Anche la prima volta che il profumo di
sole era arrivato al suo naso Kaelee stava cavalcando più
veloce
che poteva e se in quel momento sapeva esattamente chi stava cercando
nutrendo invece qualche dubbio sulla strada da prendere, all'epoca, al
contrario, la meta le era stata ben chiara senza che potesse
però immaginare neanche
lontanamente chi avrebbe davvero incontrato una volta giunta a
Locksley. Era come se un cerchio si stesse chiudendo.
Sfrecciò davanti ad uno dei luoghi preferiti da lei e
Gisborne
per le esercitazioni, poi raggiunse uno dei tanti vecchi e invisibili -
ad occhi che non erano quelli della banda - nascondigli
dei fuorilegge, costeggiò una deliziosa radura ricca di
minuscoli fiori colorati e attraversata da un rivolo d'acqua che
riluceva baciato dal sole, ma di Robin ancora nessuna traccia.
«Corri,
mio caro amico, corri
e trova Robin Hood», sussurrò all'animale che
sembrava ben
lontano dal volersi arrestare.
Kaelee constatò che Guy aveva ragione: il suo cavallo era
davvero più veloce di quello che lei si era portata da
Edwinstowe. Probabilmente
era una questione di razza dal momento che di sicuro il destriero di
Gisbone era uno di quegli esemplari selezionati per supportare i
Cavalieri in battaglia, uno di quegli animali che venivano venduti per
cifre che Kaelee non riusciva forse neanche a pensare, figurarsi
pagarle. Il suo, invece, era soltanto un cavallo come moltissimi altri.
Fu con questi pensieri che la donna passò nei
pressi dell'albero che i fuorilegge chiamavano "degli incontri"
poiché spesso il gruppo di riuniva sotto la sua grande ombra
per
discutere di piani, imboscate, informazioni rubate allo Sceriffo e
riguardo l'esistenza che tutti i membri erano costretti a vivere,
nascosti nel cuore della meravigliosa
Sherwood. Convinta di aver visto una figura vicino al grande
tronco, voltò il capo all'indietro per potersene accertare e
subito tirò le
briglie per frenare il cavallo e indurlo a mutare direzione.
Albero degli incontri,
Sherwood.
Robin Hood aveva chiesto a Luke di portare pazienza e concedergli di
congedarsi dalla sua Sherwood come la grande Foresta meritava. Del
resto se Robin e la sua banda avevano potuto permettersi di lottare
contro i piani malvagi e le tasse imposte dallo Sceriffo di Nottingham
era grazie alle alte betulle dai tronchi sottili e alle immense querce
che costituivano un riparo sicuro in caso di emergenza, alle ridenti
vallate, ai dolci declivi e ai nascondigli naturali che la Foresta
aveva offerto loro senza pretendere nulla in cambio se non il rispetto
che sempre gli uomini di Robin le avevano rivolto. In particolare, l'ex
fuorilegge aveva sentito l'esigenza di sostare un'ultima volta prima
della partenza sotto gli ampi rami dell'albero degli incontri che tante
ne aveva viste e sentite negli anni.
Avendo Luke preferito restare sul carro a badare ai cavalli, in
silenziosa attesa del suo compagno di viaggio, Robin aveva a
disposizione un momento tutto suo da dedicare all'amata Sherwood. Con
la dolcezza che si riserva alla donna del proprio cuore,
posò una mano sulla
ruvida corteccia a lui familiare e prese ad accarezzarla rivolgendo un
sorriso alla Natura circostante. I suoi pensieri vagavano tra i ricordi
delle tante avventure e disavventure vissute insieme ai suoi fedeli
compagni e la mente non poté soffermarsi sul giorno in cui
aveva
rimesso piede in terra inglese insieme a Much il quale non desiderava
altro che potersi riempire lo stomaco e dormire, ma che non era
riuscito a fare davvero
né l'una, né l'altra cosa. I due, infatti,
avevano trovato una
situazione tutt'altro che piacevole e decisamente diversa rispetto a
quando erano partiti per la Terra Santa cinque anni prima: Sir Edward
di Knighton, padre di Marian e fedelissimo di Re Riccardo, non era
più Sceriffo di Nottingham
e il nuovo che gli era subentrato simpatizzava per il Principe Giovanni
e non faceva altro che imporre tasse e diffondere terrore e violenza
affiancato dall'esattore delle tasse, nonché vecchia
conoscenza
di Robin, Sir Guy di Gisborne. Queste novità avevano spinto
Robin, in quanto nobile, a incontrare lo Sceriffo Vaisey e a prendere
parte alle riunioni che si tenevano regolarmente al Castello per
mettere in luce la cattiva amministrazione che aveva ridotto in miseria
Locksley. La poco calorosa accoglienza che gli era stata riservata non
era bastata a scoraggiarlo e lo aveva, anzi, convinto di poter davvero
cambiare le cose con la sua sola volontà e la collaborazione
dei
vecchi amici che aveva al villaggio e dintorni. Questi ultimi,
però, si rivelarono restii a rivolgergli parola - Sir Edward
compreso - mostrandosi completamente succubi del potere di Vaisey.
Neppure questo, però, aveva gettato Robin nello sconforto
né lo aveva convinto a ribellarsi immediatamente con forza e
decisione allo
Sceriffo. L'evento scatenante che gli era valso il titolo di fuorilegge
era consistito in un'importante e determinante scelta: Allan A Dale
insieme a Luke e Will Scarlett erano stati condannati ad impiccagione
per reati diversi e Robin non era intenzionato ad assistere senza
muovere un dito, perciò aveva cercato di convincere lo
Sceriffo
a evitare l'esecuzione - appellandosi a un diritto che era stato valido
finché la Contea di Nottingham era stata guidata da uomini
fedeli al Re - senza successo e anzi ottenendo lo sgradito
compito di proclamarla e autorizzarla pubblicamente. Consultarsi con
Marian e Sir
Edward, il quale aveva infine accettato di parlare con lui di nascosto,
era stato tutt'altro che costruttivo. Padre e figlia, infatti, gli
avevano consigliato di sacrificare i tre uomini per ingraziarsi lo
Sceriffo e contrastarlo poi dall'interno, ma Robin che a tante
uccisioni inutili aveva assistito in Terra Santa non si era trovato per
nulla in accordo con il suo vecchio amico e la giovane donna che amava.
Inoltre si trattava dei due figli di Dan Scarlett, un uomo cui Robin
doveva davvero tanto, quindi giunto il giorno dell'esecusione si era
ribellato allo Sceriffo dinanzi alla popolazione, aveva liberato i
prigionieri ed era fuggito insieme a Much, Allan e Will nella Foresta
di Sherwood. Tutti erano stati dichiarati fuorilegge e la grande
avventura della banda di Robin Hood aveva avuto inizio. Un'avventura
che neanche con il ritorno di Re Riccardo e la ricostruzione di
Nottingham aveva davvero avuto fine e che, in effetti, non si sarebbe
mai conclusa finché qualcuno avesse lottato contro le
ingiustizie dei potenti.
Mentre contemplava ancora l'albero degli incontri, Robin
sentì
un cavallo al galoppo che si faceva più vicino ma non si
voltò ritenendo che se si fosse trattato di un aggressore
Luke
sarebbe prontamente intervenuto in suo soccorso. Dal momento che il
ragazzo non reagì alla presenza estranea, che a Robin
sembrò aver legato il proprio destriero ad un tronco non
lontano
prima di avvicinarsi, l'arciere tornò a concentrarsi sui
ricordi.
«Salve
a voi, straniero», disse una profonda voce femminile alle sue
spalle. «Se mi dimostrerete di essere un uomo onesto vi
lascerò passare liberamente attraverso questa
foresta».
Robin sorrise divertito da quella strana situazione. «In caso contrario?», domandò
senza ancora voltarsi.
«Dovrete
risponderne a Robin
Hood, Signore di questa Foresta», fece la donna con un tono
completamente diverso rispetto a qualche attimo prima, un tono che
Robin conosceva bene e che riconobbe subito.
Voltandosi
l'arciere ebbe conferma
alle sue supposizioni e rivolse un ampio sorriso alla donna prima di
scoppiare a ridere scatenando anche la risata di lei.
«Che
ci fai qui?», le chiese poi.
«Proteggo
Sherwood dai
forestieri. Qualcuno deve pur farlo in tua assenza», fece con
un'alzata di spalle mentre Robin scuoteva
il capo.
«Sono
serio. Perché hai
cavalcato fin qui di prima mattina e con tanta fretta? E con il
cavallo di Gisborne», constatò notando il bianco
manto
dell'esemplare assicurato al tronco di una betulla.
La
vide sospirare e sospirò di rimando.
«Ti
stavo cercando», confessò distogliendo lo sguardo
dal suo.
«Dì
un po', vuoi davvero mettermi nei guai?», domandò
Robin, improvvisamente severo. «Sei
una donna sposata ormai! Se intendevi dichiararmi i tuoi sentimenti
avresti dovuto pensarci prima di concederti a Gisborne!»,
scherzò poi, com'era solito fare in ogni occasione.
Kaelee, che aveva puntato i suoi
occhi di caramello
in quelli del fuorilegge nel sentire quel tono quasi di rimprovero, lo
colpì al braccio. «Che
idiota», mormorò. «Con tutto il rispetto, preferisco i
mori», aggiunse abbagliandolo con un sorriso.
Robin non era rimasto indifferente alla dolcezza che regnava nei tratti
di Kaelee, nei suoi occhi luminosi e in quel corpo minuto ma avvezzo
alla fatica, però più che provare attrazione per
lei,
aveva da subito sentito un forte bisogno di integrarla al gruppo per
proteggerla da qualsiasi cosa stesse allontanando da sé.
Quella mattina,
all'ombra dell'albero degli incontri, Kaelee appariva molto diversa,
cresciuta e maturata nel fisico e nel carattere sfoggiando,
sì,
tutta la sua femminilità.
«È
accaduto qualcosa
con Guy? Oppure è Much a mandarti?»,
azzardò
riprendendo il discorso di poco prima.
La vide scuotere vigorosamente il capo. «Prima che tu vada ho bisogno di dirti una
cosa».
Gli occhi di caramello fuso stordirono Robin per un attimo e in quel
momento capì cosa suo fratello Guy avesse visto in lei: vita
nella sua forma più pura e sconvolgente. Kaelee era
più
viva che mai e affrontava ogni cosa tanto intensamente da travolgere
chi le stava attorno. Robin non poté fare a meno di
sorriderle
invitandola a proseguire.
«I
miei fratelli mi raccontavano di te come se fossi un eroe»,
esordì dopo un po'.
«E
ora che mi hai conosciuto
pensi che io non lo sia», si intromise l'ex fuorilegge
accompagnando le parole con una leggera risata.
«Hai
lasciato a Locksley l'educazione, Robin Hood?», lo riprese
Kaelee, divertita.
L'intento di Robin era alleggerire quanto più possibile
l'atmosfera. Nello sguardo della donna aveva infatti notato una vena di
tristezza quando aveva iniziato a parlare e immaginò che
Kaelee
lo avesse raggiunto per salutarlo come non era riuscita a fare il
giorno precedente. Sollevò i palmi in segno di scuse e le
chiese
di continuare.
«Mi
hanno riempito la testa
con le buone azioni di questo eroe volto al bene del popolo e di tutte
le persone in difficoltà, mi hanno fatto credere che il bene
può e deve vincere sempre ed è con queste
convinzioni che
ti ho cercato un anno fa. Sentivo di avere bisogno del tuo aiuto, ma
sapevo che non saresti venuto fino a Edwinstowe, così ho
lasciato tutto e sono partita, come sai. Ciò che
più mi
ha stupita e mi ha fatto riflettere in questo tempo che ho avuto
l'onore di trascorrere con te non è l'eroe che tutti amano,
rispettano
e onorano come merita, ma l'uomo che c'è dietro, dentro e
intorno. L'uomo che conforta i suoi amici, che si emoziona con loro,
che cade preda dei dubbi e che affronta situazioni emotivamente
difficili. L'uomo che si arrabbia e che alle volte sbaglia, l'uomo che
non si è mai arreso e infine ha vinto».
Robin notò che la voce le tremava e avvertì
l'esigenza di
stringerla a sé temendo che emozioni troppo intense
potessero
distruggere il corpo snello di Kaelee, perciò si
avvicinò
e la attirò a sé con delicatezza. La
sentì
irrigidirsi per un attimo e poi rilassarsi e sospirare.
«Lo
devo a te se oggi sono qui
e sono sposata con Guy e ho amici leali e sempre disponibili per
qualunque cosa. Lo devo a te se oggi sono felice», mormorò infine sul petto
dell'arciere.
«Lo
devi a te stessa», sussurrò lui. «Io
non ho fatto niente. Tu, invece, ci hai messo forza e determinazione e
anche nei momenti più cupi non hai ceduto».
«Non
sarei mai riuscita a fare
ciò che tu hai fatto per l'Inghilterra. Non avrei provato a
cambiare il corso degli eventi se tu non fossi esistito o se non avessi
fatto ciò che tutti sanno», gli rispose.
Vi furono diversi minuti di silenzio prima che Robin sciogliesse
l'abbraccio e tornasse a parlare. «È stato un onore averti nella mia
banda», le disse sinceramente.
La commozione di Kaelee fu evidente e Robin notò che
faticava a trattenere le lacrime.
«Non
tornerai, è
così?», gli chiese a mezza voce e con le spalle
scosse da
fremiti che annunciavano l'imminente pianto.
«Io
non lo so, ma so che devo andare e che ve la caverete anche senza di
me».
Kaelee annuì e spazzò via velocemente le lacrime
manifestando un carattere forte.
«Non
ti dimenticherò mai, Robin di Locksley».
«Neanch'io,
Lady Gisborne.
Abbi cura dei miei fratelli e dei miei adorati Much e Kate. Abbi cura
di te», disse, la strinse ancora una volta e poi si diresse
verso
il carro dove Luke era rimasto immobile ad osservare la scena.
Quando Kaelee si voltò vide Luke Scarlett salutarla con la
mano
mentre ripartiva insieme a Robin, ricambiò la cortesia e
solo
quando i due furono inghiottiti dal verde della foresta, la donna si
permise di dar sfogo alla tristezza.
Non aveva idea di quanto tempo fosse trascorso da quando si era messa
con le spalle contro il tronco a quando aveva sentito la presenza di
Guy
accanto a sé.
«Va
tutto bene?», le domandò, preoccupato.
«Ci
siamo salutati»,
mormorò lei accoccolandosi al petto ampio di suo marito,
conforto ad ogni dolore, rimedio ad ogni male.
Diversi mesi
più tardi, Acri, Israele.
Una bambina dalla carnagione scura e con grandissimi occhi
espressivi osservava Robin Hood con una curiosità
innarrestabile e lo rallegrava con immensi sorrisi.
Aveva all'incirca due anni ed emetteva una serie infinita di adorabili
versi a cui mescolava brevi parole che Robin non sempre comprendeva pur
conoscendo la lingua,
ma non assecondarla gli era impossibile, perciò trascorreva
gran
parte del suo tempo con lei, la figlia di Safiya e Will.
Lei, Safiya - un tempo Djaq - aveva guardato Robin con quei suoi
caratteristici occhi scuri e comunicativi quando l'aveva visto arrivare
insieme a Luke. Era esattamente come Robin la ricordava, eccezion fatta
per i capelli che ora portava lunghi sotto un velo leggero che le
ricopriva delicatamente il capo e le fasciava collo e spalle. Era in
tutto e per tutto la cara,
intelligente, pratica e coraggiosa Djaq, ma il matrimonio e la
maternità ne avevano addolcito il sorriso e le movenze.
Vedendola cullare con amore la tenera bambina Robin era stato travolto
dall'emozione e aveva compreso che intraprendere quel viaggio era stata
una
decisione appropriata: doveva sapere che i nodi nella vita di tutti i
suoi amici si erano sciolti prima di occuparsi dei propri.
Will era sempre il ragazzo allegro che Robin aveva conosciuto molti
anni prima, l'abilissimo artigiano che aveva intagliato nel legno di
Sherwood i tratti del volto di suo padre - dopo che lo
Sceriffo l'aveva fatto uccidere - in modo che, colpito dai raggi del
sole, il ciocco potesse proiettarne
l'immagine contro una roccia e ricordargli quanto importante era
stato per lui e Luke quell'uomo che si era sacrificato per i suoi due
figli
facendosi tagliare una mano, prendendosi l'assurda punizione al posto
loro. Anche con addosso abiti che poco avevano a
che fare con la lontana Inghilterra, Will appariva allegro e ottimista
come sempre.
L'abbraccio che il giovanotto aveva riservato a suo fratello Luke aveva
ricordato a Robin quanto importante fosse la famiglia, che si trattasse
di legami di sangue come era per i fratelli Scarlett oppure di legami
acquisiti come per tutti i membri della banda di Sherwood era chiaro
che una vita vissuta in solitudine non era una vita vissuta al meglio.
Per questo Robin aveva maturato la certezza che prima o poi avrebbe
fatto ritorno a
Locksley per riabbracciare i suoi amici prima di lasciare per sempre
quel mondo per un'avventura più grande ed eterna.
«Sei troppo vecchio per aspirare alla mano di mia figlia»,
disse Will distraendo Robin dalla contemplazione di un paesaggio
familiare sebbene completamente diverso da Sherwood, familiare
perché in quelle terre Robin aveva combattuto per cinque
lunghi anni al
fianco di Riccardo Cuor di Leone. L'arciere rise di gusto dando una
pacca sul braccio del suo amico.
«Aspetta
che cresca e lo vedremo», scherzò. «Non ti ho neppure chiesto come l'avete
chiamata».
«Inaya
Marian Scarlett è il suo nome»,
mormorò l'altro con una tale dolcezza nel tono da far girare
la
testa a Robin. Oppure forse era per il secondo nome che Will aveva
pronunciato?
Robin lo vide annuire, quasi che Will avesse intuito i suoi pensieri e
gli stesse rispondendo che avevano chiamato Marian la bambina in
memoria della Lady Marian che aveva lottato al fianco della banda, che
aveva rischiato per loro e per le loro idee, che si era sacrificata,
che aveva detto addio alla vita proprio in Terra Santa dove riposava
ormai da due anni, in pace e forse in attesa di ricongiungersi con
l'uomo che l'aveva amata.
«Sono
pronto», soffiò Robin. «Accompagnami sulla sua tomba. È troppo
tempo che non le parlo come vorrei», aggiunse sorridendo
malinconico.
N.d.A.
Questo capitolo è colmo di riferimenti alla serie
tv, che
voglio provare a chiarire qui per coloro i quali hanno deciso di
leggere la storia pur non avendo familiarità con il fandom.
È la prima volta che mi appello ad un flashback in questa
storia per raccontare un evento che altrimenti andrebbe perso o
richiederebbe almeno un capitolo in più. Anche questa scelta
è, come molti altri elementi di Locksley Tales, un richiamo
alla
serie tv - la storia della nascita di Archer, infatti, viene raccontata
attraverso questa tecnica. Spero non sia stato un elemento di disturbo
alla narrazione.
Forse vi siete chiesti perché dopo aver scritto per
ventiquattro
capitoli di "Sir Guy" in questo l'ho chiamato Lord. Essendo stato
nominato Signore di Nottingham da Re Riccardo, ha ottenuto questo nuovo
titolo così come Kaelee ha ereditato il diritto di essere
conosciuta come Lady Gisborne (non Lady Kaelee come era per Lady
Marian, in quanto Marian era nobile di nascita e poteva accompagnare il
titolo con il nome proprio mentre Kaelee ha origini umili ed ereditando
il titolo da suo marito deve accompagnarlo con il cognome di lui).
È anche la prima volta che mi intrufolo nella mente del
fuorilegge per eccellenza e spero di non averlo storpiato. Scrivere
l'addio di Robin a Much è stato terribile. Se avessi
immaginato quanto doloroso sarebbe stato, forse avrei cambiato il
corso degli eventi anche se credo che questa partenza sia necessaria.
L'albero degli incontri l'ho preso in prestito da Dumas, mentre il
racconto di come Robin è diventato un fuorilegge
è tratto
dalla serie tv, così come i riferimenti a Marian nei panni
di Guardiano Notturno e quelli riguardanti Will e la sua famiglia.
Safiya sarebbe Djaq che nella serie tv ha preso il nome di suo fratello
gemello (Djaq appunto) dopo la morte di lui unendosi ai fuorilegge
proprio con questo nome e fingendosi un uomo. Lei e Will hanno lasciato
la serie tv alla fine della seconda stagione, trattenendosi ad Acri,
luogo di nascita di lei.
Spero di non avervi annoiati con tutte queste precisazioni.
Alla prossima con il capitolo conclusivo!
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