capitoloXV
CAPITOLO
XV
Quando
aveva detto di volere nulla più che il suo corpo, nel momento in
cui aveva tacitamente accettato quell'accordo, di certo Cara aveva
sottovalutato le capacità dell'uomo che gliel'aveva proposto. Le
gambe le facevano male, gli addominali tiravano e sotto le dita
riusciva a sentire i due lividi all'altezza del bacino che sembravano
non voler più guarire. Sei giorni, sei interi giorni in cui non
avevano fatto altro che provare ad evitarsi per poi accoppiarsi come
animali sulla prima superficie utile.
Succedeva
così, a volte dal nulla, a volte in risposta a qualcuno dei suoi
acidi commenti, altre volte alla fine dell'ennesima lite sul da
farsi. Qualsiasi cosa significasse, di certo li aiutava a non legare
troppo, costretti com'erano sotto lo stesso tetto. Consumavano i
pasti in silenzio, condividendo poi lo stesso letto ogni notte, lui
dal proprio lato e lei che gli dava le spalle, stringendo sé stessa
negli ultimi venti centimetri di materasso. Poteva sentire gli occhi
di Joseph che le accarezzavano le spalle per poi tornare a fissare il
soffitto, aveva qualcosa da dire, ma continuava a trattenersi,
consapevole del fatto che lei non avrebbe voluto ascoltare.
Ci
aveva provato. Aveva provato ad accettare la sua presenza tra quelle
quattro mura, fingendo che non fosse nulla di diverso dall'avere tra
i piedi Morgan o Little K, ma la realtà l'aveva presto smentita. Tre
sere prima aveva diviso con lui un sacchetto di patatine davanti
alla tv. Il silenzio era esattamente lo stesso. Cara si era voltata
distrattamente verso di lui ed era rimasta a guardarlo mentre si
leccava il sale dalle dita. Joseph aveva intercettato il suo sguardo
curioso e per una volta, senza lussuria e senza malizia, le aveva
sorriso. Il suo minuscolo cuore aveva sobbalzato, mettendosi a
battere forte. Da quel momento le condivisioni si erano interrotte ed
i suoi occhi raramente lasciavano il pavimento. L'unico argomento
consentito era il piano per uccidere William.
Il
sesso era tutta un'altra storia. Senza vestiti ogni parola era
concessa, soprattutto qualsiasi cattiveria potesse venire fuori dalle
labbra di Joseph e portarla all'orgasmo ancor più velocemente. Era
arrabbiato con lei, così profondamente arrabbiato da farle scontare
le sue colpe ogni volta che poteva. Contro il muro, sul pavimento, su
quella pidocchiosa poltrona.
Ed
eccolo lì, entrare dalla porta interrompendo i suoi pensieri prima
che scavassero troppo a fondo. Era uscito nel cuore di quella notte
fredda, indossando nulla più che dei jeans ed una t-shirt grigia,
per incontrare il suo uomo, una delle guardie di suo padre disposta a
rischiare la pelle per consegnargli le mappe dei sotterranei della
villa. Conosceva le gallerie sotto quei terreni come il palmo della
sua mano, ma non sarebbe potuto essere al fianco di Cara mentre le
attraversava e voleva che tutto fosse preparato alla perfezione.
Stese
la mappa sul letto dopo aver preso a calci l'ennesimo cartone della
pizza che gli intralciava il cammino
“Vieni
qui.”
Le
ordinò piuttosto atono, aspettando che si alzasse dal suo angolino
sul pavimento e lo raggiungesse. Cara obbedì al comando senza
proteste, portandosi al suo fianco a piedi nudi, scrutando le linee
confuse che spiccavano sulla carta giallastra. Joseph si chinò
abbastanza da raggiungere un punto preciso del disegno col
polpastrello dell'indice
“Entrerai
da qui...”
Il
suo dito prese a scorrere sulla carta
“...Destra.
Sinistra. Dritta fino al secondo snodo. Destra di nuovo e sali la
scala fino alla botola.”
Lei
ripercorse la traccia immaginaria lasciata dalla sua mano
“Destra.
Sinistra. Dritto fino al secondo. Destra.”
Ripeté
a mezza voce ancora una volta benché quelle istruzioni fossero già
incise a fuoco nella sua mente. Lui continuò invece ad esplorare la
cartina, cercando bene che non ci fossero variazioni fatte negli
ultimi anni che lui ignorava. Tutto sembrava a posto. Rimasero a
fissare il foglio ancora per un minuto, poi lei si allontanò per
prima
“Sei
sicura di avere tutto chiaro?”
Chiese
Joseph continuando a darle le spalle. Non gli serviva voltarsi per
sapere che stava fissando la moquette con sufficienza.
“E'
il mio lavoro. Sono capace di farlo.”
Lui
strinse i pugni, ormai abituato a sentire i nervi solleticati da quel
tono distaccato, quasi saccente. Era cambiato tutto di botto, proprio
nel momento in cui pensava di essere riuscito a scalfire la sua
solida corazza. L'aveva vista rilassata, riempirsi la bocca di
schifezze come se non ci fosse un domani, appallottolarsi tra le
lenzuola e cercare più calore avvicinandosi piano al centro del
letto. Aveva visto il suo lato umano, apparso lentamente e poi
sfuggito in un batter d'occhio. Ora stava andando dritta in bagno,
senza più degnarlo di uno sguardo.
“Fermati.”
Cara
bloccò i passi sulla soglia del bagno, attendendo la sua calda
presenza alle spalle. Malgrado i muscoli chiedessero già pietà, non
avrebbe disdegnato un altro round. Era tesa, nervosa, perfino
spaventata al pensiero dell'ultima missione che di lì a poco avrebbe
affrontato. Le serviva una distrazione efficace.
Il
braccio di Joseph le cinse la vita e strinse, forte. L'altra mano le
afferrò i capelli e tirò. La barba incolta le solleticava
l'orecchio e la curva del collo appena scoperti
“Non
c'è bisogno di fare la stronza...”
Piazzò
un primo bacio umido sulla sua pelle
“...O
l'insolente.”
Il
suo tono era suadente, ma autoritario, il suo tocco leggero, ma
possessivo. La vide chiudere gli occhi e capì di avere ancora una
volta libero accesso. Era il loro gioco e lui doveva giocare. Aveva
promesso di non chiedere nulla più di quel corpo e l'orgoglio gli
impediva di ammettere che era ormai stanco. Non di lei, no, solo di
quella partita, della freddezza, del dover essere dominatore a tutti
i costi. Aveva bisogno di qualcosa in più, soprattutto adesso che la
sua vita volgeva al punto di svolta. Sarebbe morto o sarebbe stato
libero, non c'era via di mezzo.
Allentò
la presa appena un po' per sollevare l'orlo della maglietta di Cara e
sentire la sua pelle contro la propria. Aveva davanti il lavandino
del bagno e decise che proprio lì l'avrebbe presa, da dietro, tanto
per testare una nuova variazione sul tema. Prima però l'avrebbe
spogliata. Tutta.
Nonostante
avesse un gran bel corpo, la ragazzina sembrava avere problemi con la
propria nudità. Pareva sempre ritrarsi, cercando di nascondersi nel
buio o dietro le proprie mani, quasi riuscisse a provare della
genuina vergogna. L'idea lo faceva eccitare.
Strinse
di nuovo la presa, mordendo la tenera carne della sua spalla,
cercando la zip dei suoi jeans con la mano libera. Cara se li lasciò
sfilare lungo i fianchi, calciandoli via non appena sul pavimento.
Solo allora lui la spinse dentro la piccola stanza dalle piastrelle
color pervinca e contro il bordo della fredda ceramica.
Immediatamente poggiò i palmi su quello stesso gelido materiale,
aspettando trepidante che lui facesse tutto il resto. Joseph le
sollevò velocemente la t-shirt sulle spalle e senza troppa grazia
gliela sfilò dalla testa. Cara cercò subito di voltarsi verso di
lui, ma Joseph la spinse di nuovo giù sul lavandino, il suo
tentativo di protesta presto soffocato dalla sua mano sulla labbra
“Nessuna
chiacchiera. Guarda e basta.”
Ordinò
con un cenno del viso rivolto allo specchio che avevano davanti. Cara
incontrò i suoi occhi riflessi sul vetro e rimase immobile mentre lo
guardava sbottonare i pantaloni, scuro e freddo come al solito. La
guardava ancora con lo stesso disperato desiderio, ma mal celava la
rabbia e l'odio che gli si mescolavano dentro. Avrebbe probabilmente
provato lo stesso identico piacere nel sbatterle la testa al muro.
Cara
sentì il tessuto leggero della biancheria accarezzarle le gambe e si
tese come una corda di violino. Abbassò le palpebre appena un
attimo, ma immediatamente sentì le sue dita sotto il mento
“Ti
ho detto di guardare.”
Quel
tono glaciale le faceva tremare le ginocchia e contrarre le viscere,
ma non era certo eccitante quanto quella scintilla, quell'impeto di
passione e speranza che aveva spinto il Lupo a lottare per lei e che
adesso sembrava sparito. Per colpa sua.
Le
afferrò la vita con le mani ancora una volta, stringendo con
fermezza mentre la penetrava con una sola spinta decisa. Cara strizzò
gli occhi per un istante e lui non poté non apprezzare quella
smorfia di dolore. Non voleva che soffrisse, ma nemmeno che le
piacesse troppo. Per avere ancora la sua completa attenzione la
ragazzina avrebbe dovuto mettere sul piatto molto più che le sue
sole carni. Un paio di gambe tornite ed una vagina calda non erano
certo abbastanza per uno nella sua posizione. Joseph voleva scalfire
lo spessore del suo orgoglio, voleva veder la sua corazza sanguinare
il fuoco delle sue emozioni e convincersi attraverso lei che qualcuno
al mondo l'avrebbe finalmente amato di nuovo.
Spinse
ancor più forte pensando a Mancini, digrignando i denti al cocente
pensiero che proprio lui tra tutti possedeva l'anima di quella donna.
Forse l'aveva anche scopata per primo, prendendosi la sua verginità
e la sua innocenza per sempre, rendendola inservibile, lasciandogli
null'altro che un guscio vuoto in cui riversare le sue inutile
fantasie. L'immagine delle mani del vecchio su quella stessa pelle
infuocarono l'ira che aveva dentro, trasformando quell'amplesso in
una tortura. Conficcò le dita nella carne di Cara fino a toglierle
il respiro, spingendo come un forsennato e da un angolo innaturale
che sapeva avrebbe fatto null'altro che male contro le sue pareti
interne. Lei tentò di sollevarsi , ma la sua forza la teneva giù,
con gli occhi piantati contro lo specchio. Joseph non la stava più
guardando però, fissava il vuoto perso in non si sa quali pensieri,
gli occhi anneriti dalla rabbia e la mascella serrata. Le sue mani la
stavano ferendo deliberatamente ed il dolore che sentiva dentro aveva
ormai cancellato ogni ombra di passione.
“Ba..
Basta.”
Balbettò.
Il suo respiro appannò il vetro, ma la sua voce non coprì il rumore
dei loro corpi che sbattevano con violenza. Ancora una volta cercò
invano di sollevarsi dalla sua morsa e lanciò indietro il braccio
destro cerando di colpirlo e riportarlo alla realtà. Un pugno. Due
pugni. Un colpo ancora contro il braccio, più forte che poteva.
“Fermati..
Ti prego basta!”
Lui
si congelò all'istante, finalmente immobile. Nel battere inesorabile
del suo cuore poteva ora sentire il lontano ma pesante respiro di
Cara. Abbassò lo sguardo lì dove le sue dita avevano ormai lasciato
profondi segni rossi ed immediatamente ritrasse le mani.
Inaspettatamente lei non si mosse. Teneva di nuovo la testa giù, non
abbastanza bassa da nascondere quella sola singola lacrima che
pendeva dal monte del suo zigomo, pronta a cadere e sparire tra altre
mille gocce d'acqua, come non fosse mai stata lì.
Joseph
sentì il mondo fermarsi. Era anche quella un'emozione, ma non certo
la stessa che aveva sperato di farle provare.
“Mi...
Mi dispiace.”
Fu
un suono appena udibile. Non abbastanza da farla smuovere. Provò a
toccarla di nuovo, ma non ne ebbe il coraggio. Le sue gambe
tremavano, ma non accennava a volersi muovere o a voler dire
qualcosa. Un nuovo tipo di panico gli si dipinse in volto in quel
silenzio assordante. Era davvero un mostro dopo tutto.
Dopo
brevi secondi che a lui sembrarono ore finalmente Cara si mosse,
sollevandosi piano, facendo ben cura che i loro occhi non si
incrociassero più in quel maledetto specchio. Si voltò sentendosi
più nuda di quanto già non fosse, incapace di guardarlo in faccia e
chiedergli di sparire il più veloce possibile dalla sua vista. Se
avesse aperto bocca, fosse stato anche solo per una sillaba,
tonnellate di lacrime e singhiozzi si sarebbero riversati senza
sosta. Se lo sentiva dentro quel fiume in piena, pronto a trascinarla
via.
“Mi
dispiace.”
Ripeté
lui, ancora esitante, ma più convinto di pochi secondi prima, pronto
a sollevare piano una mano alla ricerca del suo viso. Cara scosse
subito la testa e lui si ritirò, senza sapere che pensieri
diametralmente opposti affollavano le loro menti. Non lo stava
scacciando per paura di lui, e nemmeno per il dolore fisico, a quello
era abituata. Ciò che la teneva incollata a quelle mattonelle era il
timore di frantumarsi tra le sue mani, l'immensa sorpresa ed il
terrore di desiderare un po' di umano conforto, la voglia di essere
abbracciata.
Come
quasi potesse leggerle nella mente Joseph fece un altro tentativo,
allungando le dita e sfiorandole appena la guancia. Cara chiuse gli
occhi, ma stavolta non si mosse, lasciando che pian piano le
spostasse una ciocca di biondi capelli arruffati dietro l'orecchio.
“Scusami.”
Sussurrò
e fuori dalle sue labbra fu una parola così strana e preziosa che
quell'onda la travolse ancora, affacciandosi ai suoi occhi ancor più
prepotente. Joseph non poté non notare il bordo delle sue ciglia che
diveniva lucido e d'improvviso, mentre lo stomaco gli si torceva
dietro le costole, si sentì a disagio davanti a quel corpo nudo che
tanto amava. Senza chiedere più permessi la sollevò di peso tra le
braccia e la portò in stanza, adagiandola sulle lenzuola sgualcite
con quanta più delicatezza possibile. Tirò su le coperte fino alle
spalle e solo allora lei riaprì gli occhi. Gli fu immediatamente
chiaro che tratteneva un singhiozzo di pianto con tutte le sue forze,
le labbra serrate e le iridi lucenti che lo fissavano in cerca di
qualcosa, non aveva idea cosa.
Fu
come un miracolo che gli si palesava davanti, esattamente come il
primo momento in cui l'aveva vista. Il suo cuore prese a battere
veloce ancora una volta e decise che, proprio come su quell'aereo,
anche stavolta avrebbe giocato tutta la sua fortuna.
Delicatamente
salì sul letto e le si sdraiò accanto, sopra le coperte ma
abbastanza vicino da poter poggiare la testa sul suo stesso cuscino.
L'odore dolce dei suoi capelli gli riempì il naso non appena posò
le labbra sul suo scalpo. Allungò il braccio e le cinse la vita
ancora una volta, nel più inesperto e tremolante abbraccio di
sempre. Lo spasmo delle spalle di Cara lo fece quasi ritrarre, ma non
gli ci volle molto più di una manciata di secondi per realizzare che
non lo stava scacciando. Stava piangendo.
Il
suono delle sue lacrime riempì la stanza sovrastando ogni altro
rumore, singhiozzava e tremava come una foglia, totalmente spogliata
di ogni superbia ed ogni armatura, immensamente piccola e fragile nel
suo grande abbraccio.
Era
qualcosa di completamente nuovo per tutti e due, lei disperata e lui
terrorizzato, del tutto ignaro di cosa avrebbe dovuto dire o fare.
Avrebbe voluto accarezzarle i capelli e sussurrarle dolci nonnulla
nelle orecchie, ma le sue mani pesavano come massi e la sua lingua
era incollata al palato.
Cara
aveva ormai le guance infiammate ed il respiro corto, ma non riusciva
a fermarsi, neanche provando con tutte le sue forze. Improvvisamente
la realtà le era crollata addosso da tutti i punti, colpendola di
forza coi macigni del dolore e gli schiaffi sonanti della paura. Era
sola ed impaurita come quella sera nella toilette della Salle de
Paris, troppo piccola e debole per affrontare i mostri che la
circondavano. Le mancava sua madre e le dolevano tutti i lividi e le
cicatrici dei colpi presi. Le mancava il suo letto ed il profumo dei
panni puliti. Non ne avrebbe più avuti, non avrebbe più avuto nulla
eccetto quel vuoto dentro, quell'enorme voragine che inghiottiva
tutto ciò che toccava, che minacciava di mandarla giù tutt'intera.
Riusciva
bene a sentire il corpo di Joseph accanto al suo e quel calore la
faceva sprofondare ancor più in fretta nell'oblio. Non voleva e non
poteva aver bisogno di lui. Se l'avesse lasciato entrare, quel pesto
buio avrebbe presto masticato anche lui, lasciandola senza cuore e
senza più nemici da combattere.
William.
Un
altro sussulto l'attraversò da capo a piedi. Il terrore. E se non
fosse stata abbastanza forte? E se non fosse stata abbastanza brava?
Non era la morte a spaventarla, ma l'idea che forse nulla sarebbe
cambiato, quel dubbio strisciante con cui aveva sempre convissuto, ma
che solo ora urlava libero nella sua testa. Joseph aveva ragione. I
suoi genitori non sarebbero più tornati. Nessuno l'avrebbe più
abbracciata.
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Elia
spalancò gli occhi di colpo. Gli ci vollero un paio di secondi
almeno per mettere a fuoco la stanza e capire che si trovava nel suo
studio, con la faccia spalmata sulla scrivania ed il braccio destro
addormentato. Si tirò su lentamente, allungando la schiena affinché
quelle fitte dolorose sparissero il prima possibile. Non ricordava
come e quando si fosse addormentato, l'ultima reminiscenza un sms da
uno dei suoi collaboratori che confermava di non aver visto Joseph
avvicinarsi alla villa. Prese immediatamente il telefono in mano e
controllò che non ci fossero nuovi messaggi. Nulla. Suo fratello
sembrava sparito nel nulla. L'aveva cercato dappertutto in quei
giorni, in tutti i posti che era solito frequentare, ma niente,
nessuno sembrava averlo più visto o sentito. L'idea che si fosse
lasciato la vendetta alle spalle non lo sfiorava nemmeno da lontano,
temeva piuttosto che stesse preparando un colpo in grande stile e che
alla fine della fiera sarebbe riuscito solo a farsi ammazzare.
Si
passò una mano sulla faccia cercando di scrollarsi definitivamente
il sonno di dosso. Era così frustrato che non riusciva più a
mangiare né a riposare decentemente, le sue camicie erano ormai
sempre stropicciate e la sua barba non veniva rasata da almeno tre
giorni.
Era
anche stato alla tomba di sua madre con un mazzo di rose gialle.
Aveva fissato la lapide per quasi mezz'ora sperando che il riverbero
del sole sul marmo bianco gli illuminasse la mente. Niente.
Continuava a sentirsi vuoto ed inerme come al solito.
Si
trascinò fino alla doccia e per mezz'ora almeno lasciò che lo
scroscio dell'acqua gli riempisse la mente. Dov'era Joseph? Che cosa
stava tramando? Sarebbe mai riuscito a fermarlo? E cosa avrebbe fatto
William se lui non fosse arrivato in tempo? Gli si torse lo stomaco.
Quella domanda aveva già una riposta. Lo avrebbe ucciso senza
pensarci due volte e lui avrebbe perso suo fratello. La famiglia
viene prima di tutto per un Michaelson ed Elia continuava a chiedersi
incessantemente se avesse dovuto seguire solo il sangue o ascoltare
il film nella sua testa che continuava a riproporre tutti i ricordi
della sua infanzia. Joseph era sempre lì con lui. William no.
Scese
le scale e fu avvolto dall'odore forte di qualcosa di caldo e
saporito. Fu come entrare nella sua cucina in una domenica mattina
nel periodo di Natale, aspettandosi pile di piatti sporchi nel
lavandino ed i piatti del servizio buono sulla tovaglia di lino
bianco. Katrina gli dava le spalle, tutta indaffarata sul piano di
lavoro. I lunghi capelli scuri raccolti in un chignon spettinato ed
il corpo avvolto in un grembiule verde che lasciava appena
intravedere l'abito chiaro che indossava sotto. Gli si strinse il
cuore, sicuro per un attimo di essersi di nuovo addormentato sotto la
doccia.
Si
schiarì la voce e Katrina si voltò immediatamente, scattando sul
posto e quasi rovesciando la ciotola che teneva tra le mani. Prese un
lungo respiro e tentò di sorridere, ma quello stesso sorriso le morì
subito tra le labbra. Tornò a dargli le spalle
“Il
pranzo è quasi pronto.”
Esordì,
fingendo di essere più interessata allo sportello del forno che a
lui. La bocca di Elia salivava di già per la fame, ma era nuovamente
incerto sul da farsi. Non era la prima volta che Katrina tentava
l'approccio “come se nulla fosse mai successo”, solo che lui non
era ancora pronto a lasciar andare l'ascia di guerra
“Non
dovevi.”
Le
rispose restando impalato e continuando a fissare la sua schiena. Lei
sembrò scuotere il capo come per ricomporsi e finalmente si voltò
di nuovo
“Mangia...Per
favore.”
Senza
aggiungere altro Elia prese posto a tavola e rimase in attesa della
sua prossima mossa. C'era qualcosa di diverso in Katrina, qualcosa
che ancora non riusciva ad identificare, ma che certamente gli dava
un pensiero in più. Aveva smesso con gli attacchi diretti, senza più
urlare o pararglisi di fronte come una furia. Aveva lasciato che si
rifugiasse ogni notte nel suo studio senza proferire parola, senza
più piangere le sue lacrime di coccodrillo. Ciononostante pareva più
tesa di prima, sfilava per casa dritta e guardinga come un'aquila,
cercando di tenersi impegnata in faccende casalinghe che mai prima
l'avevano interessata.
Un
piatto traboccante di arrosto e patate gli comparve sotto gli occhi.
L'odore intenso della carne e del rosmarino gli riempì le narici.
Quando aveva imparato a cucinare? Rimase immobile ancora un po'
aspettando che anche lei prendesse posto a tavola, tuttavia Katrina
non si mosse dalla sua nuova posizione davanti al lavandino. Sentiva
i piatti sporchi scontrarsi violentemente l'uno contro l'altro, ma
all'apparenza tutto continuava a sembrava inverosimilmente calmo.
Si
ficcò in bocca un primo boccone e rimase immediatamente colpito dal
sapore ricco che andava risvegliando le sue papille gustative. Quella
donna era davvero un mistero, bella ai suoi occhi come nessun'altra,
così tanto che a stento riusciva ancora a trattenersi.
Si
alzò piano dopo l'ultimo boccone ed un sorso di vino bianco,
stringendo il suo piatto sporco tra le dita. La raggiunse alle spalle
e la vide immediatamente irrigidirsi. Katrina bloccò ogni movimento
lasciando che l'acqua continuasse a scorrere da sola, in attesa nulla
più che dell'ennesima ammonizione da parte di suo marito. Avvertì
il suo calore alle spalle ed inaspettatamente sentì la mano di Elia
posarsi sul suo fianco sinistro con delicatezza, sfiorandola appena
mentre l'altra si allungava a poggiare il piatto ormai vuoto nel
lavandino.
“Grazie.”
Lo
sentì pronunciare in tutta la sua imperturbabile grazia, il suono
attutito alle sue orecchie come se provenisse da metri di distanza.
Quelle stesse dita le indugiarono addosso abbastanza da farle
chiudere gli occhi per un istante e dimenticare tutto ciò che
avevano attorno.
Elia
aveva pianificato quell'azione della sua mente, un semplice gesto
gentile per ricambiare la cortesia di quel pranzo. Non aveva però
calcolato quanto sarebbe stato difficile staccarsi da lei, così
piccola contro la sua mole e così profumata. Sapeva bene di doversi
allontanare il prima possibile, ma non riusciva a muovere mezzo
passo. Quando finalmente pensò di farcela, sentì di colpo la mano
bagnata di Katrina sulla sua che supplicava di non lasciarla andare
proprio adesso. Invece di indietreggiare come avrebbe dovuto fare,
rimase attaccato a lei ancora un po', sfiorandole il capo col viso e
respirando la sua dolce essenza. Solo allora gli sembrò di riuscire
finalmente a sentire qualcosa, solo ora che stringeva tra le mani la
stessa donna che gli aveva spezzato il cuore.
“Katrina...”
Sussurrò
il suo nome in una debole richiesta. Voleva che lo lasciasse andare,
ma allo stesso tempo voleva stringerla ancor più forte e trascinarla
fino alla loro camera da letto, quello stesso letto che da troppo
tempo non vedeva l'intreccio di due corpi caldi. Le mani fremevano
contro la stoffa ruvida del suo grembiule e quasi cedettero a quel
languido pensiero, giusto un attimo prima che si sentisse battere
forte contro la porta d'ingresso della loro casa.
Tump.
Tump. Tump.
Elia
si staccò immediatamente da quel mezzo abbraccio gettando gli occhi
all'orologio. Chi poteva essere? Katrina invece non si mosse nemmeno,
quella era la loro fortuna, un destino beffardo che trovava sempre il
modo di separarli. Riprese ad occuparsi dei piatti sporchi
esattamente da dove aveva lasciato.
Elia
lisciò la camicia ed andò ad aprire la porta. Un ragazzo dai
capelli biondicci che riconobbe quasi immediatamente come Rob, nuova
recluta di suo padre, sorrise porgendogli un cesto avvolto nel
cellophane trasparente
“Da
parte di suo padre Signor Michaelson.”
Osservò
scetticamente quell'offerta, ma non di meno la prelevò dalle mani
del ragazzo
“Grazie
Rob.”
L'altro
rispose con un nuovo sorriso ed un saluto militare mentre la grande
porta gli si chiudeva in faccia. Elia ripose immediatamente il cesto
sul tavolo e ne osservò il contenuto. Vino rosso, cioccolatini al
caramello e sigari pregiati. Passò allora ad esaminare il biglietto
che portava sopra la caratteristica ed irripetibile firma di suo
padre. All'interno stava un cartoncino bordato d'oro che portava le
sue iniziali ed un messaggio nella sua calligrafia. Erano invitati ad
una cena alla villa il prossimo sabato. Elia rivoltò il biglietto
tra le dita un paio di volte, strano che suo padre continuasse a
mandare omaggi ed inviti a casa anche se si vedevano o sentivano
praticamente tutti i giorni. E' vero che la sua mente era stata
particolarmente altrove negli ultimi giorni, tuttavia non aveva
lasciato trapelare alcun sospetto alla presenza di William.
Solo
allora Katrina emerse dalla cucina senza più il grembiule addosso,
avvolta solamente nel suo morbido abito color avorio. Le sue iridi si
posarono immediatamente sul cesto e senza che proferisse parola Elia
chiarì i suoi dubbi
“Un
altro omaggio da parte di mio padre.”
Katrina
respirò a fondo per non sgranare gli occhi di fronte a lui. Quelli
non erano gentili omaggi, bensì silenti minacce nei suoi confronti.
“Siamo
invitati alla villa questo sabato.”
Stavolta
sentì le ginocchia minacciarla di interrompere il loro sostegno
“Io
non verrò.”
Sentenziò.
Nulla di più scontato per le orecchie di suo marito, anche se Elia
non riusciva ancora a capire da dove venisse tutto quel disprezzo. I
regali di William restavano a marcire sul pavimento o finivano
diretti nella pattumiera, senza che Katrina avesse mai assaggiato un
singolo biscotto o annusato uno solo di quei fiori. Lei sfilò su per
le scale lasciandolo solo ancora una volta, del tutto privo della
voglia di controbattere.
Katrina
si chiuse dietro la porta del bagno girando immediatamente la chiave
nella toppa. Le mancava il fiato. William era dappertutto e da ogni
angolo si sentiva i suoi occhi addosso. Anche se teneva tutte le
porte e le finestre chiuse sapeva che lui la stava osservando e che
presto o tardi avrebbe fatto la sua mossa. Aveva solo tre opzioni per
risolvere quel problema: chiedere aiuto a suo padre, raccontare la
verità ad Elia o fuggire di nuovo, stavolta più lontano e per
sempre.
L'idea
di contattare Vladijmir l'aveva sfiorata più di una volta, ma non
avrebbe portato a nulla più che ad una nuova guerra. Era abbastanza
grande da risolvere i suoi problemi da sola, era una regina dopo
tutto.
Elia.
Se gli avesse raccontato di quell'ultima notte più di due anni
prima, se gli avesse raccontato di come William l'aveva convinta a
sparire, allora la terra gli sarebbe crollata sotto i piedi. Voleva
liberarsi di suo suocero in ogni modo, ma non voleva che fosse
proprio Elia a pagarne le conseguenze, senza contare che
probabilmente avrebbe di nuovo perso quell'ombra di fiducia che con
tanta tenacia e tanta pazienza sembrava essersi riconquistata.
Restava
l'opzione numero tre. La fuga senza più ritorno. Ci aveva già
provato, ma i suoi stessi piedi l'avevano riportata al punto di
partenza. Aveva pensato a suo marito ogni singolo giorno, sentito la
mancanza del suo abbraccio forte ogni singola notte. Non avrebbe
sopportato quella tortura di nuovo, non sapendo che stavolta sarebbe
durata per sempre. Inspirò a fondo. Non poteva permettergli di
metterla al tappeto ancora una volta, doveva trovare il modo di
reagire. Ed in fondo forse un modo c'era, una quarta opzione che non
aveva ancora realisticamente vagliato. Poteva ucciderlo, poteva farlo
fuori con le sue stesse mani senza bisogno dei merli o di chiunque
altro.
Elia
l'avrebbe odiata. Elia non l'avrebbe mai compreso, nemmeno sapendo la
verità.
-------
Era
già più che mattina inoltrata quando Joseph sentì quei fastidiosi
raggi di sole tentare di ferirgli gli occhi. Ancor prima di aprirli
il ricordo della notte precedente gli piombò addosso con tutta la
sua pesante mole e solo allora si accorse di essere esattamente nella
stessa posizione. Sotto il braccio poteva ancora sentire il corpo di
Cara che respirava piano nel silenzio della loro stanza. Mosse appena
le dita ed avvertì distintamente di non essere più a contatto con
la coperta, ma di avere addosso nulla più che la sua pelle. Nel
sonno doveva essersi scoperta.
Valutò
l'idea di fingersi addormentato ancora per un po', godendo nel suo
intimo di quella vicinanza. Non aveva mai visto nessuno piangere
così, nemmeno i tizi che aveva massacrato senza pietà, nemmeno sua
madre nei suoi momenti peggiori. Adesso la ragazzina dell'aereo
dormiva beata tra le sue braccia e nessun rumore al mondo sembrava
più piacevole di quei respiri lenti e cadenzati. Che cosa gli aveva
fatto? Dove era finito il famoso Lupo che tutti temevano e
rispettavano? Dovunque fosse in quel momento, non ne sentiva la
mancanza.
Non
resistette all'urgenza di aprire gli occhi ed apprezzare lo
spettacolo dei suoi capelli sparsi sul cuscino. Brillavano nel sole
ed incorniciavano a meraviglia il pallido profilo del suo viso
sprofondato nel cuscino. Il silenzio le donava più di ogni abito
avesse mai indossato, vestendola di una luce del tutto sua, la stessa
abbagliante luce che aveva risvegliato il cuore sopito di Joseph
Michaelson. Se solo fosse rimasta sempre così, ferma e zitta tra le
sue braccia. Quella lingua pungente era probabilmente in grado di
uccidere più uomini di tutte le sue armi messe insieme.
Controvoglia
si mosse piano per risvegliare qualcuno dei suoi muscoli. Aveva
dormito un'altra volta vestito e adesso ne avrebbe pagato le
conseguenze per tutto il giorno. Solo che oggi non era un giorno come
un altro, oggi era il giorno alla cui fine il piano avrebbe preso il
via. William sarebbe morto entro la prossima mezzanotte o giù di lì.
A quel pensiero una nuova ondata d'adrenalina e piacere lo attraversò
da capo a piedi e di nuovo guardò verso Cara. Il suo corpo era
ancora nudo sotto le lenzuola e si lasciava intravedere abbastanza da
suggerirgli un piacevole modo per farsi perdonare dopo l'ultima
volta. I suoi occhi accarezzarono adagio la curva della spalla
seguendola lungo il braccio fino al gomito piegato, lì dove i loro
arti si sfioravano. Contrastò il bisogno di toccarla per non
svegliarla ed interrompere quelle pace, ma i suoi occhi continuarono
a rimirare la lattea perfezione della sua schiena. Salì e discese la
sua colonna vertebrale un paio di volte prima che quel dettaglio gli
saltasse finalmente al naso, bloccando all'istante la lascivia dei
suoi pensieri mattutini. Aguzzò lo sguardo, ma non poté avere
dubbi. Quel giorno diventava migliore ad ogni secondo che passava.
Cara
aprì i suoi occhi, gonfi e pesanti, solo mezz'ora più tardi.
Sentiva freddo e pigramente ficcò le braccia di nuovo sotto le
coperte. Nel momento in cui riuscì a muoversi senza alcun intralcio,
d'improvviso realizzò che le mancava qualcosa, il peso addosso di
Joseph. Strizzò le palpebre cercandolo mimeticamente con la coda
dell'occhio. Non c'era. Per fortuna. Davvero non se la sentiva di
affrontare i suoi occhi pietosi di prima mattina. Si tirò su
lentamente riprendendo possesso della stanza e della realtà, gli
occhi bruciavano ancora e facevano fatica a restare aperti, nulla di
più atteso dopo il piagnisteo della sera prima. Si coprì il volto
con le mani scacciando la vergogna che andava annunciandosi sulle sue
guance. Come aveva potuto perdere il controllo così vistosamente?
Scosse il capo. Si sentiva più leggera e più rilassata, tuttavia
poteva solo guardare con terrore la porta della stanza. Aveva dato a
Joseph esattamente ciò che voleva, un appiglio per credere che
dentro di lei ci fossero ancora sentimenti, che potesse ancora
provare ciò che lui sperava... Se fosse stata sincera per una sola
frazione di secondo in vita sua, avrebbe anche potuto lasciargli
sapere che qualcosa c'era davvero dentro di lei, qualcosa che
continuava a bruciare ininterrottamente. Di nuovo scosse la testa.
Come l'avrebbe guardata? Cosa avrebbe detto? Come avrebbe potuto
continuare a nascondersi da lui? Sospirando scivolò di nuovo sotto
le coperte avvolgendosi nel buio. Era il loro grande giorno.
Quando
finalmente trovò il coraggio di attraversare quella soglia, Joseph
sedeva tranquillamente sulla poltrona reggendo una rivista tra le
mani. “Moto e motori”. Cara trattenne l'istinto di sollevare le
sopracciglia scetticamente e ringraziò il cielo di essere
magicamente invisibile ai suoi occhi. Inspirò più silenziosamente
che poteva, sistemò i capelli sulla spalla e decise di attraversare
la stanza fino alla prima risorsa d'acqua disponibile. Solo nel
momento in cui gli passò materialmente davanti, Joseph lasciò
cadere la rivista:
“Dormito
bene?”
Cara
riuscì chiaramente a cogliere il suo tono e, del tutto incredula,
voltò lo sguardo verso di lui. Un sorriso beffardo campeggiava sul
suo viso, rilassato e splendente come fosse tornato un ragazzino, le
iridi luccicanti di palese reale buonumore. Sentì la pressione
salire immediatamente alle stelle mentre il suo viso s'infiammava di
rabbia ed imbarazzo
“No...”
Intimò
stringendo i pugni
“...Togliti
immediatamente quel sorriso dalla faccia se non vuoi che ti prenda a
calci.”
Aveva
cercato di essere il più minacciosa possibile, ma evidentemente lui
la trovava divertente stamane, tanto era difficile trattenere quel
fastidioso sorrisetto. Joseph sospirò distogliendo lo sguardo per
primo, si schiarì la voce ed indicò le buste sul tavolo. Era stato
il suo turno di comprare la colazione.
“Oggi
è un grande giorno. Ho pensato che un caffè e delle calorie extra
potessero farti comodo.”
Cara
si rilassò lentamente e raggiunse il fumante bicchiere di cartone.
Il primo sorso andò giù come velluto. Doppio zucchero e un goccio
di latte. Joseph era senz'altro un osservatore migliore di lei. Era
sul punto di ficcare la mano nel sacchetto alla ricerca di una
ciambella quando la voce di lui la inchiodò di nuovo
“Dov'è
finito il tuo tatuaggio?”
Domandò
casualmente, quasi non fosse una bomba appena sganciata in territorio
nemico. Cara si congelò e stavolta il suo viso passò da roseo a
bianco cadavere in pochi istanti
“Quale
tatuaggio?”
Tentò
di mantenere la stessa aplomb, ma dentro andava maledicendosi. Come
aveva potuto dimenticarsene e dormire completamente nuda accanto a
lui? Era il suo segreto e Joseph non avrebbe mai dovuto scoprirlo,
era già abbastanza debole ai suoi occhi. Lui si alzò e la raggiunse
lentamente, nelle sue iridi un accenno del predatore che era sempre
stato
“Il
marchio di Mancini...”
Cara
gli diede subito le spalle per nascondere il panico che le si
dipingeva in volto, ma Joseph non si lasciò sfuggire l'occasione.
Poggiò il dito esattamente nel punto in cui l'aveva visto, il
ricordo indelebile nella sua mente
“Era
qui. Ricordo perfettamente il momento in cui l'ho visto, il giorno in
cui ti sei rivelata.”
Fece
una pausa per riprendere fiato. Quel momento era davvero inciso nella
sua memoria.
Lei
chiuse gli occhi scoprendo qualcosa di nuovo e di terrificante. Il
tocco di Joseph attraversava il suo abito blu come fosse fuoco,
facendola ardere non di sola lussuria come al solito, bensì di
imbarazzo.. e vergogna.. e timore, incertezza.. e trepidazione. Era
quasi insopportabile e Cara scattò voltandosi verso di lui
“Non
ce l'ho ok?!”
Joseph
indietreggiò di un passo e lei riprese allargando le braccia in
arresa, segnalando che ormai era rimasto ben poco di cui lui potesse
ancora spogliarla
“Non
me lo sono ancora meritato...”
Le
parole le uscirono a forza, quasi ferissero le sue labbra morbide e
carnose
“...Devo
uccidere tuo padre prima.”
Concluse
stringendo i pugni ancora una volta e guardando dritto nei suoi occhi
azzurri. Era stanca di sentirsi come una bambina, se voleva prenderla
ancora in giro bene, l'avrebbe lasciato fare, ma senza lasciargli la
soddisfazione di vederla piangere anche una sola singola lacrima in
più. Joseph ricambiò quello sguardo con altrettanta tenacia, ma il
suo viso si aprì quasi subito in un nuovo sorriso, lasciandola senza
parole e senza respiro
“Non
sei una di loro.”
Diede
voce al pensiero che gli affollava la mano da quando era sveglio. Se
Mancini non l'aveva ancora marchiata, Cara era ancora libera, libera
di fuggire da quella faida continua, libera di appartenere a chiunque
volesse. Il nodo nel suo stomaco si sciolse in quella consapevolezza
e tentò di raggiungerla, prendendole il viso tra le mani. Cara
riprese finalmente contatto con la realtà ed afferrò i polsi di
Joseph con le proprie dita, cercando di allontanare i palmi dalle sue
guance bollenti
“Sono
comunque una di loro...”
Avrebbe
voluto essere più decisa che mai, ma la speranza che leggeva negli
occhi di lui continuava a farle girare la testa
“...Quel
tatuaggio non cambia niente.”
Fu
il suo turno di scuotere il capo, Joseph si mosse di nuovo verso di
lei, cercando ancora di toccarla
“Non
capisci?”
Di
nuovo afferrò il suo volto tra le dita trovando quegli stessi occhi
blu, grandi e tremolanti
“Tu
non gli appartieni... Non sei sua... Sei libera...”
Cara
si sentì come se stesse entrando in una qualche forma di trance,
quegli occhi le scavavano dentro ad ogni respiro, cercando qualsiasi
piccolo dubbio o debolezza a cui aggrapparsi. Quel calore addosso e
quel suo profumo riuscivano a mandarla completamente in confusione,
lasciandole credere che dopotutto avesse ragione, che fosse ancora
possibile cambiare le cose. Non lo era, non più. Troppo sangue si
era asciugato sulle sue mani e troppa crudeltà avevano visto i suoi
occhi.
“...Quando
tutto questo sarà finito...”
Cara
fuggì dal suo tocco lasciando a metà le parole di Joseph
“Allora
cosa?”
Di
nuovo aveva allargato le braccia in rassegnazione, lasciandole cadere
senza resistenza sui suoi stessi fianchi
“Cosa
cambierà? Cosa sarò mai libera di fare...”
Cercò
gli occhi di Joseph mandando giù quel fastidioso boccone di paura e
d'imbarazzo
“...Innamorarmi
di te magari?”
Lui
trattenne il respiro, pensando che a quel punto sia Cara che l'intero
palazzo potessero sentire i potenti colpi del suo cuore contro le
costole. Era la prima volta che quell'ipotesi usciva dritta dalla sua
bocca senza suonare come uno scherno pietoso, quasi ci stesse
pensando davvero. Per la terza volta lui la raggiunse cercando un
contatto diretto coi suoi occhi e con la sua pelle
“Magari.”
Rispose
in un sussurro e lei chiuse le palpebre, respirando quella
possibilità per un secondo. Un secondo soltanto. E fece così male e
così terrore che le riaprì immediatamente
“Non
succederà mai.”
Lui
sembrò ferito per un istante, ma mise da parte l'orgoglio e strinse
la presa attorno al suo viso
“Puoi
avere una vita tua lontana da tutto questo. Con o senza di me.”
Lei
fece cenno di no con decisione
“Non
la voglio.”
Uscì
dalla sua presa e si allontanò raggiungendo l'angolo opposto della
stanza
“Non
ho nulla a parte questo. E nemmeno lo voglio... Sono un'assassina...
Un mostro... Non avrò mai nulla più di questo.”
Lui
si mosse richiamando l'attenzione di Cara. Rimase lontano abbastanza,
ma non di meno attraversò la sua vista
“Quindi
è solo questo che vedi quando mi guardi? Sono solo un assassino, un
mostro che non merita nulla?” Se valeva per lei, per lui era anche
peggio.
Cara
lo accarezzò con gli occhi dall'alto in basso. Aveva sempre saputo
di avere davanti un killer professionista, nondimeno aveva visto i
suoi splendidi lineamenti, ascoltato la sua voce vellutata e
desiderato la sua pelle addosso. Nondimeno si era lasciata cullare
nel sonno, mostrando la parte più fragile di sé proprio a lui. Era
pericolosamente più vicina al precipizio di quanto avesse mai
davvero realizzato
“Sì.”
Gli
sputò in viso benché non fosse vero. Joseph incassò il colpo
abbassando gli occhi per un solo secondo, passando la lingua sul
labbro superiore prima di guardarla di nuovo
“Bene.
Buono a sapersi.”
Voleva
davvero credere che non fosse sincera, ma quel gioco correva troppo
velocemente verso il suo estremo e Joseph non voleva finire ancora
una volta per sentirsi come il ragazzino con l'apparecchio con cui
nessuna ragazza delle superiori vorrebbe uscire. Lui era il Lupo.
Poteva avere qualsiasi donna volesse. Fanculo la stronza.
Il
silenzio aveva risucchiato la stanza sotto una coltre fredda e
pesante. Erano entrambi immobili, freddi come statue. Cara poteva
chiaramente vedere la sua schiena tendersi sotto la maglietta nera.
Sapeva di essere stata gratuitamente cattiva ed iniziava a sentire la
colpa farsi strada sotto i nervi tesi. Lei si sentiva davvero un
mostro senza speranza, ma non aveva alcun diritto di proiettare
quella paura su Joseph. Lui era chiaramente più forte di lei e
chissà, magari avrebbe davvero potuto farcela un giorno. Un giorno
dopo questo giorno. Un giorno dopo la vendetta.
“Io
non...”
Esordì
senza sapere cosa avrebbe potuto dire. Fortunatamente lui la bloccò
subito sollevando una mano
“Ti
sarei grato se stessi zitta.”
Il
suo tono era diventato freddo come la stanza, le parole affilate come
spade. Cara sospirò decidendosi a muovere qualche passo verso la
stanza da letto.
“E
sarei ancor più grato se te ne andassi.”
Aggiunse
lui con lo stesso tono, cogliendola totalmente di sorpresa. Cara
sollevò un sopracciglio
“E
dove dovrei andare?”
Finalmente
si voltò, il suo viso una maschera di freddo distacco
“Onestamente
non lo so e non mi interessa.”
Cara
sospirò. Aveva chiaramente colpito un punto debole.
“Ascolta.
So che quello che ho detto...”
Le
fu di fronte in un secondo, afferrandole il viso ancora una volta,
stavolta stringendolo con una sola mano
“Ascolta
tu...”
Guardò
dritto negli occhi sgranati di Cara. Qualsiasi cosa fosse, rabbia,
cattiveria o umiliazione, era scritto a chiare lettere e non lasciava
adito a dubbi. La modalità Lupo era di nuovo attiva.
“Non
sentirò più una sola parola uscita dalla tua bocca.”
Le
si avvicinò pericolosamente, tanto che Cara poté sentire il suo
respirò dritto in viso. Quegli occhi azzurri scavarono dritto fino a
sfiorarle l'anima, quella mano ruvida strinse la presa ancor più
forte
“Hai
ragione. Tu non meriti niente. Nemmeno da un mostro come me.”
Detto
ciò mollò sgraziatamente la presa e di nuovo le diede le spalle.
Cara riuscì a sentire chiaro il taglio netto nel suo ego e negli
stessi sentimenti che con tanto ardore aveva nascosto. Era proprio
quello che voleva, no?
Inspirando
per l'ultima volta l'aria densa di quella stanza che sapeva di
rabbia, di caffè e di sesso, strinse la maniglia nella mano
“Ci
vediamo stasera.”
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