capitoloXVII
Ciao
a tutti! Stavolta mi scuso davvero per l'ennesimo lunghissimo
ritardo. La storia va a singhiozzi per mille motivi che non sto qui
ad elencare, ma vi assicuro che non ho perso la passione e che
arriveremo comunque ad una conclusione. D'altronde ve lo devo, siete
così pazienti e numerosi che ogni volta mi riempite di nuova
ispirazione. Grazie davvero, di leggere, apprezzare ed aspettare ogni
volta.
Martina
CAPITOLO
XVII
“E
adesso chi diavolo sei tu?”
Mille
volte aveva visto quel viso. Fotografie. Scatti rubati. Reportage.
Telecamere nascoste. Ogni linea ed ogni piccolo dettaglio erano
esattamente dove s'aspettava che fossero, ma quegli occhi.. Il vuoto
di quei piccoli occhi marroni l'inghiottì come una voragine. Non
c'era sorpresa e non c'era paura tra le pagliuzze dorate di quelle
iridi, nulla che riconoscesse la sua presenza nella stanza. Era come
se non ci fosse, come se non esistesse. Forse la sua vita era davvero
finita nove anni prima nel bagno della Salle de Paris. Forse
avevano sparato anche a lei quel giorno. Forse si era solo trascinata
come uno spirito tra i viventi per tutto quel tempo. Forse era già
morta.
William
corrugò le sopracciglia mostrandosi basito per un secondo appena.
Lisciando il collo della giacca, accarezzò poi il liscio legno della
sua scrivania e nascose le mani sulle ginocchia.
“E'
opera tua questo blackout?”
Di
nuovo la sua voce fredda e strafottente. Gli occhi di Cara, incollati
a quelli di lui, guardavano una scena totalmente diversa da quella
che gli si parava davanti. Il cuore batteva così forte nelle sue
orecchie che quasi non riusciva più a distinguerne i battiti, la
mano destra, ormai più gelida del metallo, stringeva ancora la
pistola, senza più la forza di sollevarla e mirare.
Era
davvero il mostro che le avevano descritto, capace di risucchiare
tutta l'energia vitale di un essere in un solo sguardo, in grado di
renderti una nullità ancor prima d'aprir bocca.
“Hai
intenzione di parlare o no ragazzina?”
Le
dita di Cara si strinsero attorno al ferro ed il suo indice accarezzò
piano il grilletto. I suoi occhi si chiusero per un solo secondo,
abbastanza lungo da ricordare finalmente perché fosse lì. Il
sorriso di sua madre ed il sudore di suo padre. Le carezze della sera
e la terribile sveglia del mattino. L'allenamento delle cheerleader e
gli scontri a corpo libero. Le costole incrinate e la mano sempre
calda di Mancini. I regali di Natale e le lacrime salate. Un funerale
doppio e mille scatoloni da riempire.
Mandò
giù l'asciutto della sua bocca e finalmente sollevò le braccia,
arma stretta tra le dita e piedi ben piantati al terreno. Questa è
la fine. Questo è il momento.
“Il
mio nome è Cara. Cara Phillis.”
E
il mostro sfoderò un sorriso, senza neanche degnare la pistola d'uno
sguardo.
“Ci
conosciamo?”
E
di nuovo era nessuno. Solo una macchia scura sul tappeto,
un'insignificante visino pallido che non spaventava nemmeno le
mosche. Il cuore vacillò nel petto, ma i suoi grandi occhi blu non
mollarono la presa, nemmeno per una frazione di secondo. Avvolta
nella semioscurità le sue guance avrebbero potuto infiammarsi e le
sue ginocchia tremolare, ma nessuno se ne sarebbe accorto, nessuno
avrebbe mai saputo che aveva paura. Ancora una volta sentì nelle
orecchie l'applauso del pubblico dopo lo spettacolo di fine anno alla
prima liceo. L'orgoglio era sbocciato nel suo petto ed il sorriso le
era esploso in volto. Sentì la carezza di Robert, bollente sulla sua
guancia destra
“Sei
la donna più bella e più forte che abbia mai visto crescere.
Le
tue ossa potranno spezzarsi e le tue ferite sanguinare,
ma
continua a tenerli fuori Cara...”
Il
polpastrello ruvido aveva battuto delicatamente sulla sua tempia
“...Tienili
fuori da qui...”
Lo
stesso dito aveva battuto il suo petto con più decisione
“...Tienili
fuori da qui ...”
Il
suo sorriso aveva brillato fiero
“...Tieni
tutti fuori e sarai invincibile figlia mia.”
Cara
riempì i polmoni d'aria e chiuse i boccaporti del suo povero cuore.
Lei era il merlo. Lei era il gelo.
“Potrei
raccontarti di me e della mia famiglia...”
Con
lo sdegno più puro sulla lingua strinse la presa e si preparò a
premere il grilletto
“...Ma
non meriti che io sprechi anche solo un altro secondo parlando con
te.”
------------
“Elia.”
“Elia!”
“ELIA!!”
La
voce di Joseph rimbombava nella stanza, inutile e stanca contro le
pareti insonorizzate. Le mani ormai ferite cercavano ancora di
liberarsi, ignare che mai avrebbero potuto sfondare una porta
blindata. Il ritorno della luce aveva ferito i suoi occhi come una
lama nel petto. Non era arrivata. Cara non era venuta a liberarlo.
Eppure la corrente era saltata, quindi lei c'era, aveva seguito il
suo piano fino alla casa e poi... L'avevano presa? Erano riusciti a
bloccarla? L'avevano già ammazzata? Una voce strisciante nel retro
della sua mente continuava a ripetere che no, la ragazzina era ancora
viva e vegeta, solo l'aveva tagliato fuori, si era liberata di lui
nel momento più opportuno ed era corsa a fare a modo suo.
“ELIA!!”
Un
altro pugno nello stomaco lo colpì. Non poteva farcela, non da sola.
Non dentro quella casa degli orrori. Troppi uomini e troppa tensione.
Di nuovo si chiese se non fosse già morta.
“ELIAA!!”
La
telecamera di fronte al suo viso stava certo trasmettendo l'immagine
scomposta dei suoi patetici tentativi di liberarsi, rabbia ed
agitazione sul suo viso e nella sua voce.
“ELIA!!!”
Finalmente
la sentì aprirsi e la grande porta metallica strisciò sul pavimento
più lenta di quanto Joseph potesse sopportare
“Fammi
uscire da qui!”
Urlò
prima ancora di vederlo entrare nella stanza. Elia lo guardò stupito
e confuso
“Ti
avevo chiesto di calmarti.”
Joseph
si sollevò sulla sedia ancora una volta
“Devi
farmi uscire da qui immediatamente Elia.”
Il
tono assertivo non bastò per convincerlo all'istante
“Non
ho alcuna intenzione di liberarti in questo stato.”
Joseph
grugnì cercando per la millesima volta di venir fuori dalle manette.
“DEVI
farmi uscire!”
Elia,
davanti a tanta foga, mangiò finalmente la foglia. Cercò gli occhi
del fratello
“Perché?”
Lo
scrutò con attenzione cercando di leggergli nella mente mentre
l'altro valutava l'idea di lasciargli libero accesso. Quanto fiato
avrebbe risparmiato.
“Non
sono venuto qui da solo Elia.”
Il
maggiore corrugò la fronte
“Di
cosa stai parlando?”
Nemmeno
il tempo di finire la frase che già gli ingranaggi della sua mente
avevano preso a girare nel verso giusto. Ora tutto quel trambusto
prendeva senso.
“Che
cosa hai fatto Joseph?”
Il
Lupo si morse le labbra
“Ero
qui per distrarti...”
Gli
occhi di Elia si strinsero nei suoi
“...Ho
detto a Cara come far saltare la corrente ed entrare in casa...”
Gli
ci volle una manciata di secondi per ricollegare quel nome alla
bionda dalla lingua lunga che aveva colpito gli occhi di suo fratello
“...Sarebbe
dovuta venire a liberarmi quasi mezz'ora fa.”
Elia
abbassò gli occhi per un momento
“Probabilmente
è già morta.”
Joseph
ignorò il brivido lungo la schiena e tese i muscoli ancora una
volta. Scosse il capo davanti all'altro
“Credo
abbia deciso di affrontare William da sola.”
Elia
sollevò un sopracciglio
“Allora
è sicuramente già morta.”
Ancora
una volta il più giovane scosse la testa, fissando il fratello col
suo stesso mix di orgoglio e paura
“Non
sottovalutarla Elia. Lo odia. Forse anche più di noi.”
Quello
sguardo impassibile fece vacillare la pesante armatura del maggiore.
Poteva fidarsi di Joseph? Forse la sua era solo l'ennesima montatura
per farsi liberare, forse non c'era nessuna Cara Phillis in casa...
Ma d'altra parte si trovava lì proprio per difendere suo padre, per
evitare che qualcuno montasse un macello e finisse per peggiorare la
situazione. Se la ragazza di suo fratello fosse davvero riuscita a
raggiungerlo? Se mai fosse riuscita a soddisfare la sua vendetta?
Come avrebbe spiegato a Nathaniel che proprio quella sconosciuta era
riuscita a distruggere il grande impero dei Michaelson? Lanciò uno
sguardo al viso speranzoso di Joseph. La prima minaccia da fermare
era li e di certo non ne aveva bisogno per bloccare l'intrusione di
una ragazzina di Mancini in casa sua.
“Andrò
a controllare.”
Sentenziò
facendosi vicino alla porta. Joseph tirò ancora forte, sperando che
finalmente il pollice si dislocasse e potesse liberarsi per conto suo
“Elia
fammi uscire!”
L'altro
prese un lungo respiro
“Non
posso fidarmi di te.”
Gli
voltò le spalle, ma Joseph insistette dimenandosi sulla sedia
“Elia!...
Elia ti prego...”
Il
maggiore si fermò sulla soglia
“...Per
favore...”
Era
più di una preghiera vuota ed Elia non poté non notare l'onedto
tremolio nella voce di Joseph. Si voltò e trovò gli occhi sgranati
dell'altro che cercavano i suoi
“...Non
m'importa del piano. Voglio solo uscire da qui.”
Elia
si bagnò le labbra e palesò ciò che finalmente era riuscito a
leggere nella testa del fratello, per quanto strano suonasse
“Vuoi
assicurarti che lei stia bene.”
Joseph
abbassò lo sguardo, ma non ribatté. La vergogna in quel momento
grattava forte il suo petto, ma non avrebbe perso quell'appiglio per
uscire da lì. Cara era da qualche parte in quella casa e per quanto
fosse forte e motivata, non poteva affrontare il mostro da sola. Il
mostro l'avrebbe schiacciata come un moscerino.
Elia
s'avvicinò al fratello ed ancora una volta piegò le ginocchia al
suo livello, cercando uno sguardo che sapeva non avrebbe trovato
“Sei
innamorato di lei.”
C'era
meraviglia nella sua stessa voce, al solo pensiero che quel fratello
così schivo e cinico avesse provato ciò che anche lui aveva
scoperto con sconcerto. La bionda sconosciuta aveva scavato nella
testa di suo fratello come una serpe scava la tana nel terreno, ma
niente meno era arrivata fino al cuore. Erano entrambi sulla stessa
barca adesso e, nonostante il cervello remasse contro, poteva sentire
le pene del fratello come fossero le sue.
Joseph
prese coraggio e finalmente sollevò la testa
“Fammi
uscire da qui.”
Saltò
a piè pari l'imbarazzo e le giustificazioni, chiedendo ciò che in
quel momento importava davvero. Elia prese fiato e finalmente si
decise a liberare le mani dolenti di Joseph. Balzarono in piedi e
senza bisogno di dire altro presero a correre su per le scale,
diretti verso il silenzioso studio di William Michaelson terzo.
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Katrina
marciava a passi svelti da un lato all'altro del corridoio,
mordendosi le mani come un topo in gabbia. Poteva andarsene. Poteva
fregarsene di ciò che Cara aveva chiesto e fuggire il più lontano
possibile. Eppure era ancora lì. Il silenzio che proveniva dallo
studio era ormai preoccupante. In quella mancanza di suoni continuava
a chiedersi cosa avrebbe potuto e dovuto fare. La ragazza di Mancini
stava rincorrendo il suicidio per farle un favore, per fare un grosso
favore al mondo intero. Aspettava con ansia di sentire almeno uno
sparo o due, segno che quella tortura in un modo o nell'altra fosse
finita. Se fosse toccato a Cara, beh, avrebbe ancora avuto l'opzione
della fuga.
Appena
quel pensiero le sfiorava la mente, l'acidità le prendeva lo
stomaco. Non sarebbe fuggita ancora una volta per colpa di William.
Si voltò verso la porta, forse sarebbe dovuta entrare e darle una
mano. Non le sarebbe davvero dispiaciuto strappare la carne di quel
verme a mani nude. Le dita fremettero al pensiero di vendicare con le
proprie forze quel che lui le aveva tolto.
Fu
quasi sul punto di muoversi quando sentì passi svelti alle sue
spalle. Ruotò immediatamente il busto e subito le gambe seguirono il
movimento. Strinse i pugni ripensando a ciò che Cara ed i gemelli
Pryce le avevano insegnato. Dove colpire per rompere un naso, quanto
forte calciare per togliere il fiato.
Quando
la prima figura voltò l'angolo, i suoi occhi faticarono nel mettere
a fuoco la sagoma di Joseph. Subito dietro di lui niente meno che suo
marito. Katrina puntò i piedi al centro del corridoio, decidendo di
far fede alla promessa fatta alla ragazza sparita, forse per sempre,
dietro quella porta.
“Katrina...”
Joseph
frenò suo malgrado, apostrofandola con sorpresa e palpabile sdegno
“...Fammi
passare.”
La
russa gli si parò davanti in tutta la sua minuta stazza, lo sguardo
abbastanza aguzzo da far risuonare l'antifona. Dietro di lui Elia
faticò nel trovare da solo una spiegazione plausibile
“Che
ci fai tu qui Katrina?”
Sua
moglie cercò d'ignorare l'incertezza che quella voce le smuoveva
dentro e non si mosse d'un millimetro. Joseph avanzò con la sua mole
“Togliti
di mezzo.”
Katrina
ricambiò i suoi occhi con la stessa decisione
“E'
lì dentro, vero?”
Insistette
lui mentre l'ansia montava. Non fosse stato per suo fratello, avrebbe
già tolto la russa di mezzo senza troppa delicatezza
“Sì...
E nessuno può entrare.”
Tanto
gli bastava. Cercò di bypassare Katrina, ma lei lo respinse a palmi
aperti
“Non
andrai lì dentro.”
“Che
stai facendo Katrina?”
Finalmente
Elia s'inserì nella conversazione, consapevole che forse anche sua
moglie era parte di questo piano alle sue spalle. Ecco il perché
delle sue dolci maniere e dell'amore ritrovato. Tutto portava lì
ancora una volta, non è vero?
Katrina
gli regalò uno sguardo veloce
“Aiuto
la mia amica.”
“Cosa?!”
Elia
aggrottò le sopracciglia, onestamente perso nella scena che stava
vivendo.
“Lasciami
passare.”
Di
nuovo uno scambio di occhiate come uno scontro di spade, Joseph
incalzava premendo contro le piccole mani della cognata,
appigliandosi all'ultimo brandello di decenza prima di sbatterla al
muro e raggiungere lo studio.
“E'
sua vendetta.”
Joseph
scosse la testa
“Non
può farcela da sola!”
“Non
puoi fermarla!”
Lui
le afferrò i polsi
“Non
voglio fermarla.”
Katrina
si perse in quella confusione di voci e pensieri cercando di capire
cosa dovesse fare. Perché diavolo non succedeva ancora niente? Cosa
doveva fare a quel punto? I suoi grandi occhi scuri rimbalzarono da
un fratello all'altro prima di fermarsi su Joseph. Sembrava
stressato, frustrato, preoccupato perfino. Stando alle parole di Cara
era un alleato, non un nemico. Poteva fidarsi di lui?
Inconsapevolmente allentò la presa, quasi decisa a farsi da parte.
Il
respiro di Joseph si rilassò appena...
BANG.
BANG.
...Ed
immediatamente gli morì dentro.
Due
spari. Due spari forti e ravvicinati.
Era
successo. Era finita.
Che
si trattasse di William o di Cara, quella lenta agonia era finalmente
finita.
A
cervello spento e col gelo nel cuore Joseph sorpassò l'ormai
minuscola sagoma di Katrina e coprì a lunghi passi la breve infinita
distanza tra lui e la sua fine. Spalancò la grande porta ad occhi
chiusi, pregando un dio in cui nemmeno credeva affinché riaprendoli
potesse vedere solo il sorriso della sua ragazzina.
Elia
fissò gli occhi spalancati di sua moglie. Le avrebbe dato la colpa?
Sarebbe finalmente riuscito ad odiarla come tanto sperava? Come
avrebbero potuto sopravvivere anche a questo?
Decise
di seguire suo fratello, ma immediatamente si scontrò contro il
corpo rigido di quella donna, la stessa che forse non avrebbe più
riconosciuto
“No.”
Lei
lo spinse indietro con tutte le sue forze
“Cosa?!”
Non
l'avrebbe sopportato. Non adesso, non senza sapere se quell'impero
era davvero improvvisamente caduto tra le sue mani
“Non
andrai lì dentro.”
Era
ferma e gelida, ancor più fredda di quanto non fosse mai stata. I
pugni chiusi tremavano contro la curva tornita dei suoi fianchi ed i
suoi grandi occhi scuri andavano velandosi di lacrime e paura. Quasi
sembrava più spaventata di lui.
“Devo
sapere cos'è successo!”
Sentenziò
spostandola con un colpo di spalla, ma Katrina fu pronta ad
afferrarlo per il polso
“Spero
sia morto.”
La
cattiveria delle sue poche parole grondava di lacrime non ancora
versate
“Tu
non sai...”
Elia
la bloccò subito liberandosi il polso in malo modo
“Non
ho tempo per le tue stupidaggini adesso!”
Era
già due passi avanti a lei quando finalmente Katrina aprì bocca
“Non
vuoi sapere verità?”
L'accento
sovietico tornò ad arrotarsi prepotente sulla sua lingua, segno che
stava perdendo il suo amato controllo. Elia esitò per un momento, ma
non si voltò nemmeno
“Tu
non sei capace di dire alcuna verità.”
Aveva
già deciso di lasciarla in quell'angolo e tagliarla fuori. Se
William fosse morto non avrebbe perso solo un padre ed un fratello,
ma anche una moglie. Katrina guardò la sua schiena allontanarsi
veloce e raccolse il suo coraggio
“E'
stato lui!”
Non
fu abbastanza. Suo marito continuava ad avvicinarsi pericolosamente a
quella soglia, divenuta ormai il simbolico confine tra il futuro che
aveva cercato di costruire e la misera fine di ogni ingenua speranza
“Lui
ha mandato via me!”
Urlò
di nuovo, più forte di prima. Lui s'irrigidì ed i suoi passi
rallentarono senza fermarsi. Katrina si riempì i polmoni quasi fino
a scoppiare
“Non
ho lasciato te...”
Forse
avrebbe dovuto strillare ancora una volta, ma suo malgrado quelle
parole uscirono biascicate e spaventate. Elia finalmente si fermò
“...Lui
mi ha obbligata.”
Stavolta
suo marito si voltò, trovandola piccola e tremante. Le sue labbra
schiuse vibravano d'aspettativa.
“Vuoi
sapere la verità Elia?”
Gli
domandò. Lui buttò gli occhi alla porta di suo padre ancora una
volta
“Adesso
o mai più.”
Katrina
aveva finito gli appelli ed aveva ragione, una volta varcata quella
soglia nulla sarebbe più stato uguale. Se ne avessero trascinato
fuori il cadavere di William lui non l'avrebbe più guardata negli
occhi in quel modo, forse per mesi, forse per anni, forse per sempre.
Se invece fossero finiti a seppellire Cara Phillis ogni sua speranza
sarebbe marcita sotto terra assieme a lei. William l'avrebbe fatta
presto sparire, ne era più che sicura.
Elia
si bagnò nervosamente le labbra e tornò indietro d'un passo
“Posso
darti un minuto. Niente di più.”
Come
poteva tutta la loro vita non vissuta stare in un solo misero minuto?
Annuendo
in silenzio lo raggiunse senza toccarlo
“Ero
appena tornata a casa quella sera...”
Stava
piovendo. Le goccioline sbattevano sul parabrezza dell'auto con un
ritmo lento ed incessante, spezzato solo dal calmo andirivieni del
tergicristalli. L'autista proseguiva verso casa senza fretta, del
tutto ignaro del suo cuore, ben più battente della pioggia. Katrina
stringeva la bustina tra le mani, trepidante e terrorizzata allo
stesso tempo.
Era
corsa in casa senza nemmeno aprire l'ombrello, fregandosene dei
capelli bagnati e delle impronte sul tappeto persiano. Voleva solo un
tè caldo e magari un paio di biscotti in attesa che Elia finalmente
rincasasse.
Forse
avrebbe dormito fuori anche stanotte.
Scacciando
il pensiero poggiò la bustina sul bancone della cucina ed inserì la
spina del bollitore.
TOC
TOC
Buttò
gli occhi all'orologio. Quasi le dieci. Chi poteva essere?
La
sua espressione cadde a picco trovando William sotto il suo portico,
un sorriso plastico dipinto sul suo viso ed una bottiglia di
champagne nella mano destra. Si fece avanti senza chiedere il
permesso, riempendo la stanza di gelo come ad ogni sua visita.
Katrina mandò giù l'inevitabile timore che lui le suscitava ed
accennò un sorriso di circostanza
“Cosa
potere fare per te William?”
Lui
arricciò il naso come avesse sentito lo stridere di una forchetta
sul piatto. Con tanto tempo da perdere la cara Pushkina avrebbe
almeno potuto perfezionare il suo inglese. Sollevò la bottiglia
“Sono
qui per festeggiare!”
Lei
guardò la bustina marrone ancora in cucina e scosse il capo. Era sì
il terzo test che comprava, ma non ne aveva fatta parola né con Elia
né con altri. Era impossibile che sapesse. Vero?
“Festeggiare
cosa?”
La
sua falsa ignoranza diede ai nervi del suocero che presto poggiò lo
champagne sul tavolo e la fulminò col suo sguardo
“Avrò
presto un nipote. Non ti sembra un evento da festeggiare?”
Prese
a scartare la bottiglia
“So
che tu non dovresti bere nel tuo stato, ma andiamo, cosa vuoi che
succeda per un goccetto?”
Katrina
divenne di pietra nell'istante in cui il tappo saltò fuori col suo
“pop”.
“Come...
Come sai?”
La
lingua le si era appiccicata al palato e tutta quella sceneggiata
sapeva improvvisamente di preludio alla tragedia. Lui sfoderò un
altro sorriso, facendo brillare i denti tra la folta barba scura
“Davvero
credi che non controlli ogni tua mossa?”
Buttò
lì con leggerezza, andandosi a cercare un bicchiere degno
dell'occasione. Katrina sentì il respiro che accelerava ed
istintivamente cercò la porta con gli occhi
“Conosco
ogni tuo spostamento. Ogni cosa che fai, dove, quando e come la
fai...”
Buttò
giù d'un fiato la prima flute di bollicine
“...Ma
devo dartene atto. Questa non me l'aspettavo.”
Katrina
portò il palmo sinistro sulla pancia
“Io
nemmeno.”
Rispose
in un sussurro, ma lui scrollò le spalle e mollò il bicchiere per
avvicinarla
“Piccola
dolce Pushkina...”
Katrina
indietreggiò fino a raggiungere la parete, lui le fu presto davanti,
alto e possente
“...Così
giovane ed innocente...”
La
nocche ruvide di William le sfiorarono il viso e lei si voltò
immediatamente per evitare quel fastidioso contatto. Suo suocero le
afferrò il mento con decisione e la costrinse a guardarlo
“...Credo
che tu sia molto più furba di quanto non voglia dare a vedere.”
Lei
sgranò gli occhi. Non avrebbe saputo come difendersi se
quell'assalto fosse continuato. Fortunatamente William mollò presto
la presa e tornò ad abbeverarsi
“Ti
ho lasciato sposare mio figlio per poter siglare un contratto...”
Di
nuovo quel tono pacato l'accarezzava con false attenzioni
“...Di
certo non volevo che lo trasformassi in un bamboccio malato d'amore.”
Con
disprezzo tornò a guardarla, dall'alto in basso. Si leccò le labbra
e di nuovo le fu vicino
“Sono
certo che si stia davvero bene tra le tue gambe Katrina...”
Lei
rispose con una smorfia di disgusto, apparentemente gradita. William
rise di gusto, stavolta accarezzandole i capelli
“...Anche
a me piace la carne giovane e profumata.”
Katrina
si liberò dalle sue grinfie e corse all'altro lato della stanza
“Non
toccarmi!”
Lui
rise di nuovo versandosi il terzo bicchiere
“Sto
solo dicendo che capisco Elia. Ma un figlio?”
Buttò
giù tutto ancora una volta
“Un
figlio crea troppe complicazioni, non credi anche tu?”
“No.”
Ribatté
con decisione. Ne era felice, assolutamente felice, e lui non avrebbe
distrutto quel momento. William fu di un'altra opinione, il suo
sorriso sparì ed il volto gli si fece nero in un istante
“Non
stavo davvero chiedendo la tua opinione.”
Stavolta
la raggiunse minaccioso. Afferrò una ciocca dei suoi lunghi capelli
nel pugno e strattonò senza grazia, ignorando il suo lamento di
dolore
“Non
ti lascerò rovinare mio figlio stupida russa.”
L'atmosfera
piombò nel terrore in pochi istanti e Katrina si trovò nuovamente
spinta al muro con un tonfo secco
“Lui
ama me.”
Tentò
di difendersi, ovviamente con le parole sbagliate
“Lui
è il mio figlio migliore...”
Esordì
afferrandole la faccia e battendole la testa al muro
“...Ho
passato anni a plasmarlo a mia immagine e di certo non ti lascerò
rovinare tutto.”
Le
si avvicinò tanto da sfiorare il naso di Katrina col proprio,
mischiando il fiato alcolico a quello di lei
“Quindi
io e te faremo un accordo adesso, intesi?”
Katrina
cercò di dimenarsi, ma lui la inchiodò ancora una volta col suo
peso
“Lascia
che ti elenchi le opzioni...”
Le
cinse la vita sottile con la sinistra, stringendo più del dovuto
mentre il ruvido della sua barba pizzicava il lobo della nuora
“...Puoi
avere questo bambino e darlo a me non appena sarà nato. Posso farne
un altro ottimo guerriero...”
“NO!”
Niente
di più scontato. William strinse ancora un po'
“Bene.
Allora non avrai nessun bambino.”
Katrina
si dimenò più forte che poteva leggendo tra le righe di quelle
parole. Non avrebbe mai abortito.
“Lasciami!”
William
stavolta sembrò più scocciato che divertito. Voltò il viso di
Katrina perché i loro occhi potessero incrociarsi e si leccò le
labbra ancora una volta. La mano che le cingeva la vita mollò la
presa per impugnare quanta più stoffa del suo vestito potesse,
tirando su con decisione. Lei si mosse disperatamente come
un'anguilla, ma non v'era confronto
“Di
quante settimane sei? Tre? Forse quattro?”
Mentre
le scopriva le gambe sembrava tutt'intento a fare i suoi calcoli,
sempre e comunque freddo come un robot. Ciò che non sembrava affatto
freddo erano le sue mani che cercavano di ficcarsi sotto la gonna e
tra le sue gambe
“No
no no no no.”
I
suoi lamenti erano ormai solo un inutile sottofondo. Con la gamba
l'aveva già obbligata ad allargare le ginocchia e le sue dita erano
inesorabilmente riuscite ad accarezzare la sua parte più privata
attraverso la biancheria. Quell'unico gemito di soddisfazione che
William pronunciò nel suo orecchio la convinse che presto avrebbe
vomitato. I pugni di Katrina sulla schiena lo sfioravano appena
“Abbastanza
presto da instillare il dubbio...”
L'altra
mano di William mollò la presa per cercare uno dei suoi seni
“...Potrei
scoparti qui ed ora come la troia che sei...”
Le
si spalmò addosso tornando a sussurrarle nell'orecchio
“...Ti
piacerebbe credimi...”
Lei
trattenne un conato
“...Ma
non piacerebbe ad Elia.”
Le
sue manovre si bloccarono di colpo e tornò a fissare le sue iridi
terrorizzate
“Come
pensi che ti guarderebbe dovendosi chiedere ogni giorno se porti in
grembo suo figlio o suo fratello?”
Katrina
approfittò immediatamente di quel piccolo varco e fuggì il più
lontano possibile per riprendere fiato
“Elia
non può credere questo.”
Lui
sorrise vittorioso
“Ci
crederebbe invece. Lui ascolta ogni mia parola e tu lo sai.”
Katrina
strinse i denti. Davvero non aveva armi contro quel mostro. Si calmò
abbastanza da riuscire a star dritta e tirò su col naso, cercando di
riprendere quanto più contegno possibile
“Io
voglio mio bambino.”
Lui
non sbottò nuovamente come poteva immaginarsi, bensì si versò
l'ennesimo bicchiere come niente fosse
“Benissimo.
Vattene allora.”
La
russa scosse il capo ancora stordita
“Cosa?”
William
poggiò il bicchiere per l'ultima volta e le rivolse lo sguardo più
autoritario che avesse mai ricevuto
“Vattene
da qui. Stanotte. Subito. Prendi tutte le tue cose e sparisci il più
lontano possibile senza mai tornare. Penserò io ad Elia.”
Katrina
aprì la bocca, ma lui la bloccò con un solo cenno dell'indice
“Se
sarai ancora qui domani, il bastardo che porti in grembo non sarà
l'unico a dire addio alla sua vita.”
Non appena ebbe finito quel racconto,
durato forse un minuto forse un'ora, le parve di aver finito anche
tutte le lacrime che aveva in corpo. Era leggera adesso, era leggera
e pulita, non aveva più bisogno di piangere. Cercò Elia e lo trovò
più vicino di quanto ricordasse. Anche i suoi piangevano in
silenzio, il suo viso rigato per la prima volta di fronte ad una
donna che non fosse sua madre. Il pallore sulle sue guance a conferma
di aver vissuto quel terribile ricordo con lei. Quel padre che aveva
apparentemente distrutto ogni cosa, davvero ogni cosa.
Fu lui a muoversi per primo, provando
a toccarle la pancia, ma immediatamente ritraendo la mano
“Tu...”
Sussurrò appena. Non c'era bisogno di
chiederlo a parole. Katrina abbassò il viso e scosse la testa
“No. Ho perso il bambino... Ad
undici settimane... Su un treno per il Nevada.”
Elia strinse i denti come se avesse
preso un colpo allo stomaco. Lei inspirò
“Tutto è finito quella notte. Ha
fatto male e...”
“Ti prego fermati.”
Lei si zittì, ma solo per una
manciata di secondi
“Merita di morire.”
Aggiunse per chiudere quel cerchio,
scacciando quei terribili ricordi ancora una volta nel buio della sua
mente. Era scesa da quel treno vuota e decisa, ripartendo il più
presto possibile in senso contrario. Lei non avrebbe potuto far nulla
contro William, ma qualcun altro forse sì. I Merli Mancini. Così li
chiamava Elia ed a quello strano nome tutta la casata sembrava
tremare per un istante. Se erano abbastanza forti da spaventare i
Michaelson, allora forse avrebbero potuto aiutarla a schiacciare
William come il verme che era. Li avrebbe trovati, li avrebbe trovati
e pregati. Sarebbe diventata una di loro fosse stato necessario. Quel
crimine non sarebbe rimasto impunito.
“Lo so.”
Rispose Elia tornando a guardare la
grande porta in fondo al corridoio.
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