Erano
trascorsi solo due giorni dall'importante conversazione che il re
aveva avuto con i suoi due fedeli amici. Nessuno si sarebbe aspettato
che accadesse così presto, ma, senza alcun preavviso, la
regina
Drott entrò in travaglio. Fu un travaglio lungo e difficile
che durò
un giorno intero. Le levatrici riuscirono a fatica a far venire al
mondo una bambina già morta. Anche per la sovrana non ci fu
nulla da
fare: dopo il parto sopraggiunse una febbre puerperale che la
portò
alla morte in soli due giorni.
Arianrhod
accompagnò il padre in testa al corteo funebre di sua madre.
Nella
bella cornice di una scogliera che dava sul mare, Drott, regina di
Svezia, nata Principessa di Danimarca, fu posta sulla pira funebre.
Indossava una lussuosa tunica nera con una sopravveste dello stesso
colore corredata da molti gioielli preziosi; i lunghi capelli biondi
erano acconciati in due pesanti trecce, raccolte ai lati del capo, e
sormontati da una coroncina d’oro. Accanto a lei era stato
posato
il corpicino della figlioletta, avvolto in un telo ricamato. Entrambe
erano coperte da un sudario nero trasparente.
Mentre
i corpi della moglie e della figlia bruciavano sulla pira, il re
Jörundr aveva il viso contratto e sconvolto. Avrebbe voluto
piangere
mentre stringeva la mano della sua unica figlia superstite, ma non
voleva mostrare le sue emozioni di fronte all’intera corte,
riunita
per il funerale.
Infine,
le ceneri vennero raccolte in un’urna lavorata, che venne
posta
nella nicchia di un imponente mausoleo di forma conica, costruito con
blocchi di pietra dura, e voluto dal re appositamente per sua moglie.
Il monumento si affacciava sul mare, che Drott aveva amato
moltissimo.
Arianrhod,
vestita elegantemente di una tunica verde con la sopravveste color
ruggine, non comprese pienamente ciò che stava succedendo,
che non
avrebbe più rivisto sua madre. Probabilmente si aspettava,
con
l’ingenuità dei suoi quattro anni, che Drott
sarebbe ricomparsa il
giorno seguente come se niente fosse per prenderla in braccio e
stamparle un bacio su entrambe le guance, come faceva sempre.
Dopo
aver dato l’ultimo saluto all’adorata moglie,
Jörundr si
allontanò zoppicando vistosamente, sorretto e aiutato dal
Duca
Fjölnir di Silverdalen, sotto lo sguardo indagatore
dell’intera
corte. Fjölnir non poté fare a meno di rabbrividire
per il mormorio
che l’avanzare del re aveva provocato nella schiera di nobili
presenti. Non avevano più molto tempo ormai.
Pochi
giorni dopo il funerale di sua moglie il re fu costretto a letto
dalla febbre. L’infezione lo stava portando alla morte
più in
fretta del previsto. Diversi guaritori si susseguirono al capezzale
del re, impegnati a cercare di salvargli la vita, invano.
Verso
la mezzanotte Jörundr si spazientì e
cacciò fuori dalla stanza
tutti i guaritori e i cortigiani che gli stavano attorno come
avvoltoi su una preda, e ordinò di mandare a chiamare
l’Arcidruido
Sveigder e il Duca Fjölnir.
Quando
i due uomini si inginocchiarono al capezzale del loro sovrano,
Jörundr bruciava per la febbre e era madido di sudore. I suoi
occhi
erano velati, e il Duca, che aveva visto tante volte la morte in
faccia, sapeva cosa stesse a significare. Deglutì a vuoto,
la paura
che gli attanagliava la bocca dello stomaco.
Il
re parlò con un filo di voce, ma i suoi amici erano pronti a
cogliere ogni sua parola.
“Ora…
dovete onorare… la vostra promessa”, disse con
fatica
sollevandosi sui gomiti e guardando i due uomini negli occhi.
“Lo
faremo, sire”, mormorò l’anziano
Arcidruido con occhi umidi di
pianto. Jörundr era stato per lui come un figlio. Suo padre
Yngvi
era stato il suo migliore amico, e lui il suo più fedele
consigliere. Aveva visto il principe Jörundr crescere,
diventare un
uomo e poi - in un giorno al contempo triste e felice per Sveigder -
succedere al padre e sedere sul Trono del Drago. L’Arcidruido
era
stato uno dei precettori del giovane erede al trono per
volontà di
Re Yngvi; si era occupato anche di suo fratello minore Erik, anche se
con risultati molto più deludenti. A Erik decisamente
mancavano le
buone qualità che erano invece così vive in
Jörundr.
Il
re fece uno sforzo immane per riprendere a parlare.
“Ascoltate”,
mormorò, “qualunque cosa sia
necessaria… per proteggere
Arianrhod… dovrete metterla in atto. Credo che
sarà necessario…
portarla lontano dalla Svezia… almeno per alcuni
anni”.
“Avremo
bisogno della Guardia Bianca”, disse Fjölnir e il re
annuì.
“Promettetemi
che un giorno… riavrà il trono che… le
spetta”, gli occhi del
sovrano erano annebbiati dalla febbre ma la sua mente era ancora
lucida.
“Anche
se questo dovesse costarci la vita”, affermò il
Duca con
solennità.
Il
re indirizzò agli amici un sorriso colmo di gratitudine, poi
ricadde
sui cuscini privo di coscienza. Sveigder e Fjölnir dovettero
richiamare i guaritori perché si occupassero del re, poi
scivolarono
via nella notte silenziosa.
Prima
dell’alba appresero che il Re di Svezia era morto.
Arianrhod
fu svegliata nel cuore della notte. Una mano la scuoteva
delicatamente, e la bambina sbatté le palpebre assonnate.
Aprendo
gli occhi, si accorse che la donna che aveva davanti non era Caitlin,
come si sarebbe aspettata. La giovane bambinaia cristiana era stata
sostituita da una delle cameriere più fidate della regina,
una donna
di mezza età di nome Hejör. Arianrhod, abituata a
vederla insieme a
sua madre non si allarmò: ancora assonnata,
lasciò che la donna la
vestisse e la prendesse in braccio. Istintivamente la piccola
principessa le poggiò il capo sulla spalla, come era
abituata a fare
con sua madre. Dopo averla rassicurata con una carezza, Hejör
la
condusse fuori dalla sua stanza. Guardandosi a destra e a sinistra,
come se temesse di incontrare qualcuno, Hejör scese le scale,
e poi
altre ancora e ancora. Nel dormiveglia Arianrhod si rese conto che
stavano scendendo fin nei recessi del castello.
Alcune
guardie, di ronda davanti alle stalle, si diedero il cambio, e
Hejör
attese trattenendo il fiato, nascosta dietro una colonna. Non appena
la guardia, che sarebbe ripassata da quel punto entro novanta
secondi, fu andata via, la donna si precipitò giù
per le ultime
scale che l'avrebbero condotta nelle stalle.
Un
cavallo nitrì quando la serva e la principessa fecero il
loro
ingresso e questo svegliò del tutto Arianrhod. Fu abbastanza
lucida
da notare che nelle stalle, di solito deserte a quell'ora, vi erano
alcuni cavalli fuori dei loro recinti. Erano stati sellati e
preparati e ad attendere il loro arrivo c'erano anche
l’Arcidruido
Sveigder e il Duca di Silverdalen, accompagnati da alcune guardie
armate che indossavano tutti un uniforme bianca con il simbolo del
drago della Casa Reale di Svezia. Arianrhod aveva sentito vagamente
parlare della Guardia Bianca, l’organizzazione militare di
fedelissimi della Stirpe del Drago, ma non aveva mai visto uno dei
suoi guerrieri.
Ad
un cenno del Duca Hejör mise a terra la bambina.
L’Arcidruido si
chinò a parlare alla Principessa che, confusa e insonnolita,
si
stropicciava gli occhi con le mani.
“Ascoltate,
Altezza”, esordì Sveigder, “è
desiderio di vostro padre che voi
partiate con questi uomini. Conoscete il Duca Fjölnir, vero?
Lui è
un caro amico di vostro padre ed avrà cura di voi. Avete
capito,
Principessa?”
“E
mio padre? Verrà con me?”
Sveigder
scambiò un'occhiata significativa con il Duca, poi fece un
profondo
respiro.
“Più
avanti” disse, riuscendo miracolosamente a suonare
convincente.
“Più avanti vostro padre verrà da voi,
ma nel frattempo voi
dovrete ubbidire al Duca e fare il volere del re. Rendetelo fiero di
voi.”
Arianrhod
rimase a bocca aperta qualche secondo, quindi annuì
esitante. Si
lasciò sollevare sul cavallo governato da Hejör;
gli altri uomini,
con il Duca in testa, montarono i loro cavalli e, in fila indiana e
silenziosamente, uscirono nella notte.
La
cavalcata dello sparuto gruppo durò alcune ore, ma Arianrhod
non si
lasciò sfuggire neanche un lamento: doveva essere coraggiosa
per non
deludere suo padre, per il quale nutriva una smodata ammirazione.
Nonostante la testa le ciondolasse dal sonno, non si arrese, e rimase
sveglia per tutta la durata del viaggio.
Nel
tardo pomeriggio giunsero in vista della piccola baia di Bergkvara,
sulla costa sud della Svezia.
Ad
attenderli in una piccola insenatura era ancorata una nave. Era una
nave di medie dimensioni, capace di portare un nutrito numero di
soldati, mantenendo al contempo una velocità superiore a
quella
delle navi mercantili. Arianrhod la osservò a bocca aperta:
ai suoi
occhi infantili la nave sembrava enorme, ed era la prima volta che
viaggiava per mare. Non sapeva dove sarebbe stata portata, ma intuiva
che quello sarebbe stato il viaggio più lungo che avesse mai
intrapreso nella sua giovane vita.
Il
Duca Fjölnir ordinò di caricare i pochi bagagli e,
senza troppi
indugi, Arianrhod e la sua scorta vennero fatti salire a bordo. In
breve tempo la nave fu pronta a salpare. Hejör chiese alla
Principessa se volesse dormire un po’ nella sua cuccetta, ma
lei
scosse la testa chiedendo di poter stare ancora un po' sul ponte
della nave, nonostante gli occhi quasi le si chiudessero.
Il
sole stava sorgendo sull’azzurra distesa d’acqua
marina,
colorandola di sfumature rossastre. La Principessa Arianrhod -
inconsapevole che quella stessa notte era divenuta regina, seppure
senza un trono - osservò dalla prua della nave la sua terra
natia
farsi sempre più lontana e infine scomparire
all’orizzonte.
D’impulso agitò nell’aria la sua piccola
mano in segno di
saluto.
Angolo
Autrice: Rieccomi! Spero che questo capitolo, anche se di
passaggio, vi sia piaciuto.
Ci
tengo a dare un paio di cenni storici: Drott, la regina di Svezia,
è
un personaggio storico. Figlia del re Dan di Danimarca, è
una figura
avvolta nell'oscurità e di cui si sa poco o niente, incluso
chi
abbia sposato. Ho pensato di sceglierla come moglie di Jorundr
perché
il loro rango e la loro epoca di nascita coincidono. Gli Yngling, la
Stirpe del Drago, governava davvero la Svezia, e i nomi dei re che
trovate, inclusi quelli dei successivi usurpatori, sono tutti
storici. Ma qui si ferma la nostra conoscenza, perché di
avvenimenti
più approfonditi, di mogli e figli, non si fa cenno. Infine,
tutti i
nomi svedesi che troverete nel racconto sono nomi realmente usati
all'epoca. L'unica licenza poetica me la sono presa proprio con
Arianrhod, il nome di una dea britanna associata alla luna.
Ringrazio
tutti per le recensioni!
Alla
prossima,
Eilan
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