Buio.
Oscurità e silenzio. Gli unici due elementi che sembravano
circondarla, le uniche due forze che sembravano muovere quel mondo
sconosciuto. Ainslee ne era avvolta e si sentiva completamente persa.
Improvvisamente si accorse che il silenzio era stato interrotto da un
suono particolare. Sembrava un lamento o forse un pianto. Il pianto
di... un bambino, probabilmente. Le ci vollero alcuni secondi per
comprendere che quel suono veniva da lei, che era lei che
singhiozzava sommessamente. E non era nemmeno più buio. Come
aveva
fatto a pensarlo? Vedeva in maniera sfocata, era vero; ma solo
perché
le lacrime le offuscavano la vista, impedendole di vedere
chiaramente. Fece uno sforzo di volontà per asciugare le
lacrime.
Aveva paura di ciò che avrebbe trovato in quell'ambiente
sconosciuto, ma tutto era meglio che restare nella cecità.
Si
asciugò gli occhi con le mani, e non impiegò
molto ad accorgersi
che erano diverse, più piccole, più tenere. Le
mani di una bimba.
Ecco perché il suo pianto le era sembrato così...
infantile.
Eppure
quell'Ainslee che non riconosceva, quell'Ainslee bambina, non
sembrava stupita della condizione in cui si trovava. Era una parte di
sé che le era sconosciuta, ma era proprio lei, lo sentiva.
Si
trovava in un luogo strano, un luogo che avrebbe giurato di non aver
mai visto in vita sua, se non fosse che le sembrava stranamente
familiare. Era un castello: un grosso castello in pietra con strette
feritoie come finestre e arazzi alle pareti. Sembrava un luogo un po'
scuro, come lei immaginava dovesse essere un castello.
Delle
figure apparvero improvvisamente intorno a lei, serve, a giudicare
dall'abbigliamento. Le gridavano frasi sconnesse, che lei afferrava
solo a tratti.
“La
troveremo, principessa!” “Vi prego non
piangete!”
Ainslee
non capiva a cosa si riferissero. Da qui il sogno diventata confuso
fino al momento in cui una bellissima dama faceva il suo ingresso,
portando in mano una bambola. La dama si chinava ad abbracciarla e le
porgeva la bambola. Guardandola Ainslee la trovò familiare:
una
bambola di stoffa con un ricco abitino di seta tagliato su misura.
L'aveva chiamata Bron. Da quale parte della coscienza scaturiva quel
nome?
E
la dama... lei le era altrettanto familiare. Anzi, a voler essere
precisi, assomigliava a lei. Le assomigliava moltissimo. Era bella,
bionda e con un sorriso dolce come il miele. Tra le sue braccia
Ainslee si sentiva al sicuro. Quella donna era la sua casa.
“Mamma!”
la chiamò, con un moto di gioia.
Dei
colpi leggeri alla porta svegliarono Ainslee di soprassalto,
interrompendo bruscamente quello strano sogno. Non riuscirono
però a
cancellarle dalla mente due cose: la bambola di stoffa e il volto di
quella donna. Quei due elementi erano impressi a fuoco nella sua
mente e Ainslee quasi provò rammarico per il fatto di essere
stata
strappata a quel sogno così appagante.
“Ainslee,
è quasi l'alba, dobbiamo partire!” la
chiamò la voce di suo
fratello Ciaran al di là della porta. Ainslee fece un
sospiro
profondo e, cercando di ricomporsi, rispose: “Arrivo subito,
dammi
un minuto.”
L'acqua
fredda che aveva attinto la sera precedente al pozzo per riempire il
catino con cui si lavava la rinfrancò e, con ancora le
palpebre
appesantite dal sonno, si sfilò la veste da notte e
indossò la
tunica di stoffa che poteva allacciarsi da sola grazie alle stringhe
sul davanti.
Ancor
più svelto di lei, Ciaran già l'attendeva sul
carro, che aveva
provveduto a caricare con i prodotti da vendere al mercato: lana,
uova, latte e verdure, nonché la preziosa spada avvolta in
più
pezze di stoffa da consegnare al suo committente.
Si
misero in cammino mentre l'alba rosata faceva capolino da dietro le
colline. Il vecchio cavallo che trainava il carro procedeva a ritmo
moderato, guidato da Ciaran che stava a cassetta con la sorella al
fianco. La lunga lucente treccia bionda di Ainslee le sbatteva sulla
schiena ad ogni sobbalzo del carro, mentre lei stringeva le dita al
legno del veicolo per non cadere.
Il
carro stava attraversando il villaggio e Ciaran stava facendo un
cenno di saluto ad alcuni conoscenti, quando i due giovani udirono un
tonfo alle loro spalle e si voltarono all’unisono.
Si
accorsero con stupore che tra i sacchi e le casse era salito al volo
Owainn.
“Ehilà
Ciaran!”, salutò portandosi alle spalle dei due
ragazzi e
poggiando spavaldamente le mani sulla spalliera della cassetta.
“Dove
vai oggi, amico mio?”
Ciaran
rise. “Ti pare il modo di salire su un carro, Owainn? Se
rompevi
qualche giara di latte chi la sentiva mia madre?”
Owainn
diede una grossa pacca sulle spalle dell’amico.
“Non preoccuparti
sembro un orso ma sono delicato come una fanciulla!”
Ainslee
guardò il giovane colosso e sorrise tra sé
ritenendo la sua
affermazione alquanto improbabile.
“Scusa
se non ti ho salutato subito, mia adorata”, disse Owainn
scherzosamente prendendo una mano di Ainslee tra le sue grandi e
ruvide. “Diventi ogni giorno più bella…
e se consideriamo che ti
conosco da dieci anni ormai è facile fare le debite
proporzioni!”
“Sei
sempre il solito adulatore, Owainn!”, ribatté la
giovane. “Come
sta Enid?”
La
migliore amica di Ainslee – l'amore non corrisposto di Ciaran
- era
anche la sorella minore di Owainn.
“Bene,
la gravidanza procede per il meglio, e lei e suo marito sono molto
contenti”.
Ainslee
gettò un'occhiata preoccupata a Ciaran, che
deglutì visibilmente ma
non disse nulla.
“Mi
fa piacere sentirlo. Anch’io sono felice per lei”,
rispose con
cautela.
“Dove
ve ne andate a quest’ora?”, chiese di nuovo Owainn.
“Al
mercato di Eburacum”, rispose Ciaran, “per caso
vuoi unirti a
noi? Mi farebbero comodo un altro paio di braccia”.
Owainn
scosse la testa. “No, sono solo di passaggio. Approfitto del
vostro
carro per arrivare a casa. Sono stato alla bottega del
conciatore…
mio padre ha bisogno di nuovi finimenti per il cavallo”.
“In
ogni caso potevi farci segno di fermarci invece di salire come un
ladro”, ribatté Ainslee.
“Ah,
pungente come sempre! Così mi piaci! Beato l’uomo
che ti domerà”,
rise Owainn scuotendo la grossa testa sormontata da riccioli castani.
“Sul serio Ciaran, quando pensi che tuo padre si
deciderà a darmi
in moglie tua sorella?”
Ciaran
si accorse che, nonostante il tono del ragazzo fosse scherzoso,
c’era
una nota di desiderio nella sua voce che lo mise subito in allarme.
Si
girò appena verso l’amico e disse: “Mio
padre non vuole saperne
di trovare marito a mia sorella… mi dispiace, ma credo che
dovrai
desistere dal tuo proposito Owainn!”
“Neanche
per sogno, mia adorata. Lotterò per te fino alla
morte”, disse in
tono ironico rivolto a Ainslee.
Ainslee
alzò gli occhi al cielo, frenando l’impulso di
assestare un calcio
ad Owainn. Sua madre la pregava continuamente di non comportarsi
impulsivamente e di essere sempre posata ed educata, e lei faceva
ogni sforzo per seguire il suo consiglio.
“Ecco
casa tua”, disse Ainslee sollevata, indicando con il dito.
“Sei
capace di scendere al volo o devo buttarti giù io?”
“Non
sia mai! Ho troppa paura di te…”, rise il grosso
Owainn saltando
giù dal carro, non appena Ciaran ebbe frenato il cavallo
davanti
alla costruzione di pietra su due piani dove abitava con i genitori,
con la sorella e con suo marito.
Enid
uscì di casa non appena udì il rumore del carro e
rimase ad
attenderli sulla soglia. Il ventre rotondo non passava certo
inosservato e, quando le fu di fronte, Ciaran fece di tutto per
guardare da un'altra parte.
“Ciao
Ciaran” mormorò lei con voce dolce, e poi rivolta
all'amica
“Ainslee! Saranno settimane che non ci vediamo!”, e
le gettò le
braccia al collo. Le due amiche si abbracciarono teneramente.
Ainslee
allontanò Enid di un palmo per poterla osservare meglio.
“Santo
Cielo, questo bambino cresce a vista d'occhio! Quanto manca al
termine?”
“Poco
più di tre mesi... ho una paura matta all'idea del
parto!”
“Te
la caverai splendidamente” la rassicurò Ainslee.
“Non conosco
una ragazza forte come te.”
“Speriamo
sia come dici tu” sorrise Enid. “Vi fermate con
noi?”
“Non
possiamo Enid, grazie” intervenne in fretta Ciaran. Era
chiaro che
avrebbe voluto essere ovunque piuttosto che lì.
“Stiamo andando ad
Eburacum.”
Enid
cercò lo sguardo di Ainslee che annuì in
conferma.
“Perché
non vieni da me, domani? Potremmo cucire qualche fascia per il
bambino” disse abbracciandola di nuovo. “Se vuoi
mando Ciaran a
prenderti.”
“Non
ce n'è bisogno, mio padre deve recarsi da Gralon domani
mattina
presto. Mi farò dare un passaggio da lui.”
“A
domani, allora!” salutò mentre Ainslee stava
salendo sul carro.
“Ciao
Ciaran, grazie del passaggio”, aggiunse Owainn salutandoli
con la
mano mentre il carro si allontanava.
I
due fratelli salutarono a loro volta attraverso la nuvola di polvere
che si sollevava al loro passaggio.
Eburacum
era la grande città che Ainslee ricordava dalle sue
precedenti
visite. Nulla sembrava cambiato: un unico, grande assembramento di
esseri umani in uno spazio che, pur essendo oggettivamente grande,
lei trovava troppo piccolo per così tante persone. Le
mancava il
respiro e lo spazio aperti dei grandi campi del suo villaggio. Nel
giorno di mercato poi, la piazza principale si riempiva
all'inverosimile. Centinaia di bancarelle con tendoni colorati che
vendevano la merce più disparata: cibo, stoffe, oggetti di
artigianato, pasticci di carne e pagnotte appena sfornati che
solleticavano il naso in un effluvio di aromi.
“Fame?”
le chiese Ciaran con un sorriso, notando la sua espressione.
“Un
po'” rispose lei, “Ma è ancora presto,
c'è tempo per mangiare.”
Dopo
aver aiutato il fratello a scaricare il carro, lo lasciò a
contrattare con i mercanti che di solito acquistavano i loro
prodotti, e se ne andò a fare un giro per il mercato,
sentendo di
sfuggita la raccomandazione di Ciaran a non allontanarsi troppo e di
fare attenzione.
Dopo
aver passeggiato qualche minuto, Ainslee si fermò davanti ad
una
bancarella che vendeva fiaschette di cuoio, nastri e pettini
intagliati. Prese un pettine di legno chiaro su cui era intagliato un
uccellino: era un oggetto davvero ben fatto, osservò,
rigirandolo
tra le dita. Era quasi sul punto di decidere di acquistarlo quando si
sentì tirare per la manica.
Voltandosi
si trovò faccia a faccia con una donna anziana, vestita di
abiti
colorati. Ainslee la riconobbe subito: era una veggente, una di
quelle donne che si potevano trovare in qualsiasi fiera in Britannia.
Avevano molto successo perché la gente credeva che potessero
davvero
prevedere il futuro, e il loro borsello non era mai privo di monete
di rame.
“Bella
signora” gracchiò la vecchia. “Bella
signora”, ripeté quando
non ottenne risposta, “vuoi che ti predica il futuro? Solo
una
moneta per te.”
“No,
grazie...” declinò Ainslee con gentilezza, e fece
per voltarsi di
nuovo.
Ma
quella insistette e stavolta le si attaccò alla tunica.
Ainslee
sbuffò seccata. Sapeva che non si sarebbe liberata
facilmente della
donna, così prese una moneta dal borsello che aveva
attaccato alla
cintura e glielo mise in mano, rassegnata.
La
donna la gratificò con un sorriso sdentato, poi le prese una
mano
tra le proprie e, con gesti lenti e misurati – e,
pensò Ainslee,
un po' teatrali – si mise a studiarla.
Dopo
qualche attimo di silenzio, insolito perché le veggenti ci
tenevano
a sbrigarsi così da poter accumulare più clienti
possibili in una
giornata di lavoro, la donna lasciò inaspettatamente cadere
la mano.
La
guardò negli occhi in un modo che inquietò
Ainslee. In quel
momento, nonostante la confusione e le voci che riempivano l'aria
tutto intorno a loro, le sembrò che ci fossero solo lei e la
vecchia.
“Tu
non sei quella che sembri!” disse la donna in un sibilo.
“C-come?”
Ainslee era genuinamente confusa.
“Non
sei quella che dici di essere!” questa volta la donna aveva
alzato
la voce, e il proprietario del banco da cui Ainslee stava ammirando
il pettine qualche attimo prima, si fermò a osservarle.
“Calmatevi
signora, io...” cominciò la ragazza, ma la
veggente non le fece
nemmeno terminare la frase.
“Riprenditi
i tuoi soldi, non li voglio!” esclamò mettendole
in mano la moneta
che aveva ricevuto poco prima. Poi si allontanò in fretta,
sparendo
tra la folla.
Ainslee
avrebbe voluto chiederle spiegazioni, ma era ancora troppo confusa e
spiazzata per pensare di correre dietro alla veggente. Non sapeva
spiegare il nesso, ma alle parole della donna le era improvvisamente
tornato in mente il sogno che aveva fatto quella notte, e che le si
era ripresentato spesso negli ultimi mesi.
“Tutto
bene, ragazza?” la voce del mercante alle sue spalle la fece
sussultare, strappandola ai suoi pensieri.
“S-sì...
almeno credo. Non capisco che volesse quella donna...”
Il
mercante si abbandonò ad una risata. “Quella
è mezza matta
figliola!” esclamò portandosi il dito alla tempia.
“Come tutte
le veggenti, se volete il mio parere. Non posso credere che la gente
creda davvero a queste sciocchezze!”
“Sì,
probabilmente avete ragione” mormorò Ainslee.
“Ma
certo che ho ragione! Non fatevi rovinare l'umore da quella vecchia
strega.” Poi aggiuse, ritrovando il suo spirito affaristico:
“Allora, lo volete quel pettine, sì o
no?”
L'alba
di un nuovo giorno sorse sulla fattoria di Eachann il fabbro, e
trovò
la sua figlia minore già sveglia e in preda alle
riflessioni. Aveva
sognato di nuovo quella donna bionda: troppo per essere una
coincidenza. In più, questa volta si erano aggiunti altri
particolari. La donna l'aveva chiamata con un nome strano che al
momento non riusciva a ricordare, ma a cui nel sogno aveva risposto
prontamente, come se lo conoscesse da sempre. E le era sembrato che
ci fosse anche un uomo, ma era apparso per una frazione talmente
breve del sogno che Ainslee riusciva a ricordare solo che aveva una
cicatrice sul viso e un cerchio d'oro intorno alla fronte.
Dalla
finestra aperta della sua stanza udì il rumore di un carro
che si
fermava nel cortile della fattoria e scese in fretta ad accogliere
Enid. Le due amiche salirono insieme le scale che portavano alla
stanza di Ainslee chiacchierando del più e del meno.
Ainslee
mostrò ad Enid il pettine che aveva acquistato il giorno
prima, e
alla richiesta dell'amica le raccontò come era andata la
visita ad
Eburacum, che avevano venduto tutta la loro merce e che avevano
tardato a tornare perché una ruota del loro carro si era
rotta e si
erano dovuti fermare in città per farla sostituire. Omise
però
l'episodio dell'anziana veggente, senza una ragione apparente.
Quell'episodio era ancora troppo strano e confuso nella sua mente
forse, per poterlo tradurre in parole che avessero un senso.
“Quindi
ti ha convinto a comprarlo?” sorrise Enid divertita,
rigirandosi il
pettine tra le mani.
“Come
potevo resistere a tanta affabilità?” sorrise a
sua volta Ainslee.
“E
il figlio del governatore? Ha apprezzato la spada?”
“Oh,
moltissimo. Ne era entusiasta. Non faceva che ammirarne gli intarsi.
Avresti dovuto vedere che razza di casa possiedono! Per non parlare
del modo in cui era abbigliato. Quel ragazzo deve costare un
patrimonio a suo padre. Ma è evidente che il sale che ha in
zucca è
molto inferiore al suo gusto nel vestire.”
“Poveri
noi!” rise Enid.
Poi
le due ragazze cominciarono a cucire le fasce per il bambino di Enid,
concentrandosi su quel lavoro di precisione ed evitando di parlare
per qualche minuto.
Ma
c'era un pensiero che tormentava Ainslee e, dopo una breve lotta
interiore, giudicò che poteva parlarne a Enid senza
problemi. Se non
con lei, con chi altro avrebbe potuto mai parlarne?
Così
le raccontò tutto del suo sogno ricorrente. Della donna
bionda, del
castello sconosciuto, della bambola Bron.
Enid
ascoltò tutto attentamente, poi disse con cautela:
“Non hai
pensato che possa trattarsi di un semplice sogno? O di uno scherzo
della tua mente?”
Ainslee
doveva ammettere che ci aveva pensato, ma che piano piano aveva
finito con lo scartare questa ipotesi.
“E'
come se conoscessi quella donna. Mi è familiare capisci? So
che
suona assurdo, ma la bambola, il suo nome, il fatto che ricordi ogni
dettaglio di lei... è come se fosse un oggetto che mi era
molto
caro. Ma io non possiedo nessuna bambola come quella, ne sono certa.
Ho anche frugato nella cassapanca dove mia madre ha riposto i miei
oggetti e i miei abitini da bambina. A lei non l'ho detto, ho cercato
quando non c'era. Ma non ho trovato nulla che assomigliasse a quella
bambola. A dir la verità non conosco nessuno che possegga un
oggetto
simile a quello. E' una bambola vestita della migliore seta... chi
potrebbe possedere qualcosa così?”
Enid
scrollò le spalle. “Probabilmente è
solo un sogno...”
“Ma
lo faccio continuamente da mesi e mesi” le fece notare
Ainslee.
“Pensi che possa trattarsi di qualcosa che riguardi i miei
veri
genitori?”
L'amica
non poté replicare perché in quel momento si
udì un trambusto
sulle scale, rumore di passi concitati, grida... qualcuno stava
correndo. Le due ragazze balzarono in piedi proprio mentre la porta
della stanza si spalancava.
Apparve
Ciaran, visibilmente sconvolto e agitato.
“Ainslee!
Enid! Presto venite con me, dobbiamo scappare!”
“Ciaran!
Ma cosa...?” cominciò Ainslee, ma le parole le
morirono sulle
labbra. Enid lanciò un grido spaventoso.
La
bocca di Ciaran si contrasse in una smorfia da cui cominciò
a
gocciolare del sangue. Anche Ainslee urlò mentre Ciaran
cadeva a
faccia in avanti, il corpo scosso da orribili sussulti, rivelando
l'elsa di un pugnale che gli fuoriusciva dalla schiena. Un uomo, che
era rimasto all'ombra della porta, fece un passo avanti e si
chinò
su Ciaran, strappandogli il pugnale dalla schiena.
Guardò
le ragazze con un ghigno malvagio. “Ora tocca a
voi” disse.
Angolo
Autrice: Ciao a tutte/i carissime/i! Non ho molto da dire su
questo capitolo, c'è voluto un po' ma alla fine ho trovato
una
stesura che mi soddisfaceva abbastanza. Spero che piaccia anche voi,
mi raccomando fatemi sapere cosa ne pensate! Grazie come al solito a
tutti coloro che recensiscono/seguono/leggono ecc.
A
presto,
Eilan
|