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Ottobre, sabato - Sheffield (Milton St.)
Marshall
osservò il fumo della sigaretta risalire in lente spire
verso il soffitto, perdendosi tra le figure che disegnava come stesse
giocando ad indovinare le forme nelle nuvole. Niente pecore o orsetti,
per lui erano tutti serpenti, indifferentemente dalla lunghezza e la
larghezza.
Il
telefono lì accanto fece vibrare l'intero
materasso un paio di volte prima che si decidesse a rispondere.
«
No » disse, senza nemmeno dover sentire la
domanda. La voce lamentosa di Luke dall'altro capo gli
strappò un sorrisetto.
Era
un piacere sentirlo andare nel panico, per quanto sadico. «
Ti prego, non darmi buca anche tu! ».
«
Anche? A quanta gente hai chiesto? ».
«
Tre persone, ma chi se ne frega. Ascolta, mi hanno parlato di questo
pub dove non chiedono la carta d'identità, volevo andarci
stasera ».
Il
ragazzo sbuffò sonoramente, guardando la pioggia cadere a
secchiate oltre la finestra.
Aveva
bocciato tutte le proposte, quel pomeriggio, di uomini o donne che
fossero.
La
pioggia lo deprimeva in ogni periodo dell'anno, ma ad ottobre era
più insopportabile, dato che la ricollegava al giorno in cui
il funerale del padre era stato sospeso a causa di un forte temporale.
Lui era rimasto a prendersi tutta l'acqua che, impietosa, si abbatteva
dal cielo, mentre la madre recitava le ultime preghiere nella piccola
cappella del quartiere. I giorni passati in ospedale per una
broncopolmonite non erano bastati a tenerlo lontano dal cimitero.
«
Dov'è? » chiese, senza un briciolo di entusiasmo.
Quando
Luke gli comunicò che sarebbero dovuti andare fino a
Withwell gli salì la nausea. « Mezz'ora di strada
non me la faccio. Ho la birra in frigo ».
«
Sì, quella da due sterline del tizio che ti abita sotto, ed
è pure in lattina. Un affare ».
Okay,
l'amico lo avrebbe tartassato fino ad un responso positivo, e Dio solo
sapeva quanto fosse testardo. Mosso da compassione, Marshall
accettò solo dopo avergli fatto promettere che non ci
avrebbe messo un centesimo, anche considerando il biglietto dei due
autobus che dovevano prendere per arrivare al quartiere fuori
Sheffield. La sua paghetta, al momento, era dell'irrisoria cifra di
venti sterline al mese, che la madre si sudava con un sacco di ore
filate da Marks&Spencer. La
situazione economica dei due l'aveva reso più tirchio di
quanto già non fosse. I
compari si accordarono sul punto d'incontro e l'orario, che secondo i
calcoli del moro prevedeva l'arrivo attorno alle nove e trenta di sera,
poi Luke elencò tutte le birre nella sua wishlist e Marshall
mise il pilota automatico, posando il cellulare accanto all'orecchio
senza ascoltare davvero. Era proprio il ritratto della
vitalità, nulla da dire. A
diciotto anni i giovani si svagavano in ogni modo possibile (legale e
non), affollando locali notturni, pub, ristoranti, e lui se ne stava
sdraiato a fissare il vuoto con una sigaretta che andava consumandosi
pian piano, il posacenere sul torace a raccoglierne i residui. Aveva
sempre sostenuto di essere vecchio nell’animo, lo confermava
il mal di schiena e la memoria corta. « Allora ci vediamo
alle otto ». Colse solo l’ultima parte di un
lunghissimo discorso, quella fondamentale, e chiuse la chiamata con un
sospiro di sollievo. Luke rappresentava l’ideale di amico
perfetto, ma ogni tanto sapeva essere pesante come un macigno. Quando
si perdeva nelle sue fantasie, poi, non vi era scampo.
-
E andiamo a prendere ‘sta birra -.
Guardare
la pioggia attraverso un vetro e beccarsela dritta in testa erano due
cose ben diverse. Al posto di un cappuccio, riflettè
Marshall, sarebbe stato utile un elmetto, e del compare nessuna
traccia. L’autobus per Withwell attraversava la
città per il lungo, quindi fra traffico e maltempo raramente
rispettava gli orari, ma questo non era un motivo valido per tardare di
dieci minuti. La sagoma imponente di Luke si stagliò
all’orizzonte dopo diverse imprecazioni da parte del ragazzo,
che ripetè ad alta voce non appena vide il visetto
impertinente di Amanda fare capolino da un ombrello color arcobaleno al
suo fianco. « Una cagna ti sta seguendo, te ne sei accorto?
» sibilò, prima di scansare uno schiaffo diretto
alla guancia.
La
tenera fanciulla elencò una serie di
aggettivi per descrivelo, tra cui “merdaccia”
e “bastardo
schifoso”,
mentre Luke ancora si domandava dove avesse sbagliato. « Ti
avevo detto che sarebbe venuta anche lei ».
Ah,
si era perso un pezzo importante della storia, alla fine.
Finché il ragazzone fungeva da divisorio, Marshall poteva
tollerare la sua presenza per qualche minuto in più, forse
addirittura un’ora, ma promise a sé stesso di
dileguarsi non appena le cose si fossero fatte insostenibili. Amanda
reagiva all’alcool come un ninfomane rispondeva agli
afrodisiaci. In pratica sembrava sempre
ubriaca. I tre aspettarono l’autobus in silenzio, lanciandosi
occhiataccie di traverso e tenendosi il muso, e una volta saliti a
bordo presero direzioni diverse. Marshall puntò al piano di
sopra, quello che preferiva, e l’improvvisata coppietta
scelse il posto più discreto dove poter pomiciare in pace.
Luke
aveva la testa altrove, inutile negarlo, ma il modo migliore per
dimenticare una sbandata era tenere i pensieri occupati con altre
distrazioni.
Che
fosse il caso di dirgli che la biondina aveva un
pessimo carattere? L’ingiustificato dito medio ancora
bruciava, nonostante fosse riuscito a vendicarsi. Gli dava i nervi, non
poteva farci niente. L’aria da santarellina e lo sprezzo nei
confronti degli stolti popolani che la circondavano la rendeva lo
stereotipo perfetto di bambina viziata. Chissà come mai si
era disonorata prendendo un mezzo pubblico. Poco importava. Se mai
l’amico fosse riuscito a frequentarla, in un futuro
ipotetico, si sarebbe accorto da solo del tempo buttato nel correre
dietro ad una regina dei ghiacci. Nella zona di Withwell la pioggia era
meno fitta che in città, quasi sopportabile, e rese la
passeggiata fino al bar vagamente sopportabile.
«
Boot & Shoe? » domandò Marshall una volta
arrivati davanti al locale in pieno stile scozzese, con botti scure
ricolme di fiori ad adornare l’esterno ed
un’insegna dorata su sfondo verde comune a tante altre. Luke
annuì, gonfio di orgoglio, e indicò il listino
appeso fuori per fargli leggere tutte le varietà di birre
che offriva. Su una lavagnetta accanto alla porta sponsorizzavano una
degustazione di vini francesi, ma grazie a Dio si sarebbe tenuta il
giorno dopo. « Se guardi dentro ci trovi tutta gente della
nostra età » continuò il gigante buono,
scandagliando la sala con meno interesse di Amanda, che prediligeva
solo gli individui di una certa levatura e di sesso maschile.
« Ah, c’è un bel gruppo di uomini in
giacca e cravatta, laggiù ». Luke
spostò lo sguardo verso la coppia di divani che ospitava dei
personaggi abbastanza distinti, presi a chiacchierare e ridere mentre
facevano ondeggiare ciascuno la propria sigaretta, poi
l’attenzione ricadde sulla cameriera che posò sul
loro tavolo quattro boccali, e rimase completamente paralizzato. Fu
come osservare una pentola a pressione: un fischio assordante ed
un’esplosione di vapore. « Marsh, è lei!
Oddio, non ci credo! L’hai vista? Ma che fortuna sfacciata!
». Marshall sperò che non lo facesse, e invece gli
saltò al collo nemmeno pesasse venti chili, stringendolo in
una morsa soffocante. Purtroppo per tutti non si era sbagliato, la
biondina corrispondeva ai ricordi della giornata
sull’autobus, solo che da così distante era
impossibile dire se ci avessero azzeccato o meno, e per di
più il contesto suonava sbagliato. Una riccastra che faceva
la cameriera in un pub?
«
Quando avete finito entriamo, magari » sbottò la
ragazza, ormai ridotta a terzo incomodo. Trascinare Luke nel locale fu
anche più difficile che metterlo a tacere, purtroppo.
Vennero accolti dalla seconda cameriera, un tipetto pieno di lentiggini
ed il rossetto di uno stravagante color vinaccia, che li
deviò verso la sala di destra, un tripudio di schiamazzi,
parole volgari e visi accaldati. La voce che non chiedessero la carta
d’identità doveva essersi sparsa per tutta
Sheffield, dato che Amanda riconobbe e salutò calorosamente
diversi ragazzi che non potevano avere più di
vent’anni.
Marshall
spinse il compare verso un tavolo libero a due passi dal bancone,
esperienza molto simile al far rotolare un masso in salita, dato che
non smetteva per un secondo di lanciare occhiate ovunque, tranne
davanti a sé. « Sei imbarazzante »
disse, una volta seduti, « ti scambierà per il
solito maniaco che ci prova ». «
Ma di chi parlate? ». Amanda, ovviamente, non poteva non
avere voce in capitolo. Intercettò la figura minuta della
vittima e le fece un check completo, accompagnata dalle accurate
descrizioni di Luke, tipo speaker di un documentario.
«
Complimenti, bei gusti del cazzo » commentò alla
fine dell’esame, irritata per essersi fatta rubare la scena
da una persona tanto insignificante. « Pensavo ti piacessero
le tette grandi. Quella è piatta come questo tavolo
». Poteva infamarla all’infinito, ormai il
ragazzone aveva già l’anello di fidanzamento in
mano. La cameriera si presentò con il nome di Wellsie, ed
elencò loro le birre più economiche del
menù per risparmiare ai tre la fatica di leggere ogni
singola pagina. La clientela media del sabato sera non arrivava mai
fino in fondo, probabilmente, ed il tasso alcolemico assicurava
comunque un po’ di sballo. « Scusa, potresti farci
servire dall’altra ragazza? Al mio amico piace un sacco
» esordì Luke, prendendo sotto braccio
l’innocente capro espiatorio che per la seconda volta veniva
chiamato in causa. Wellsie trovò la cosa abbastanza
divertente da acconsentire, provocando così un secondo
effetto “pentola a pressione” che fece perdere le
staffe all’unica star della serata. Amanda fu abbastanza
furba da liquidare i compagni di classe per aggregarsi al tavolo
accanto, dove la accolsero fischi e apprezzamenti circa
l’orlo del reggiseno in vista e le calze a rete bucate.
«
Dio, ti ringrazio ». Marshall non pregava spesso, ma
l’occasione lo richiedeva. Ora che il chihuahua si era levato
di mezzo poteva concentrarsi sulle cose importanti. «
Buonasera » disse la cameriera bionda, nonché
apparizione di Luke. Il suo sorriso aveva davvero un che di angelico,
insieme a un paio di occhi chiari ed il viso pulito di chi non badava
troppo alle apparenze. Portava i capelli legati in una coda alta,
nessuna collana o bracciale ad arricchire la divisa del locale (un
semplice grembiule verde). Aveva il block notes pronto in mano, in
attesa del loro ordine. Il gigante fece la sua magra figura,
osservandola a bocca spalancata per un attimo abbastanza lungo da
potersi definire imbarazzante, e si riprese solo grazie ad un calcio di
Marshall.
«
Ah, uhm... buonasera! Io prendo una bionda da litro »
balbettò, con una frase a doppio senso che non fece
scomporre minimamente la cameriera. Si apprestò ad appuntare
l’ordine e rivolgere a Marshall uno sguardo privo di
qualsiasi emozione, quel maledetto sorriso a prenderlo per i fondelli.
«
Una rossa. Le bionde non fanno per me ». Credeva che quella
provocazione l’avrebbe quantomeno offesa, e invece la
santarellina non cambiò espressione. « Oggi
offriamo un assaggio della nuova Red
Erik
». Aprì il listino sulla pagina delle birre e lo
voltò nella direzione di lui, usando il solo dito medio per
indicargli le due varietà a disposizione.
«
Questa e questa qui, leggermente più amara. Vuoi provarle?
».
Era
brava a giocare sporco, altroché suora di campagna. Marshall
le rivolse un’occhiata poco amichevole e rispose per le rime,
puntando allo stesso modo quella che aveva scelto. « Amara va
benissimo ». Luke seguì lo scambio di battute e
attese che la ragazza se ne andasse per bisbigliare all’amico
che da vicino era ancora più bella, facendosi aria con la
mano e sbottonando il colletto della camicia. Aveva una strana
concezione della parola “finzione”, tonto
com’era. Meglio aprirgli gli occhi prima che accadesse
l’irreparabile. « Non ci arrivi, vero? Sta
prendendo tutti per il culo, te incluso ».
«
Ehi, ha fatto il suo lavoro e basta, non ci ha minacciati con un
coltello ».
«
Lo so, lo so, ma ti sono sfuggiti dei particolari che... ».
Il
vassoio atterrò sul tavolo con un tonfo, facendo tintinnare
i due bicchieri che la cameriera spostò davanti ai clienti,
lasciando anche una ciotola di arachidi e qualche oliva. Serafica come
al solito, augurò una buona serata ad entrambi e
tornò in cucina, con Luke che ne seguiva i movimenti tipo
cobra al suono del flauto. «
Io lo so che c’è del veleno nel mio bicchiere
» accusò Marshall, rigirando il liquido scuro che
si intravedeva attraverso la coltre di schiuma. Di donne ne conosceva
di tutti i tipi, e lei sembrava quella che si vendicava nei modi
più subdoli pur di averla vinta. Magari aveva sputato nella
birra. La saliva si cammuffava bene lì in mezzo.
«
Stai diventando paranoico ». Nulla avrebbe potuto distruggere
il buonumore di Luke, inutile parlarci. Era rinchiuso nella sua bolla
di sogni astratti e lì sarebbe rimasto, fino alla chiusura
del locale. « A me piace. Dammi un po’ di supporto
».
Gli
stava chiedendo di gettarlo nella tana della tigre con una bistecca
legata in cintura, praticamente. « Come ti pare. Non voglio
essere complice di un suicidio ». Marshall
abbassò lo sguardo sulla ciotolina delle olive per
disperazione (difficile sostituirle con qualche strana bacca
verdognola), e rimase di sasso nel vedere la piccola composizione a lui
riservata: cinque stuzzicadenti infilzati in fila indiana, di cui solo
il terzo stava perfettamente eretto. In bilico tra
l’incazzatura ed una sonora risata, il moro optò
per mangiare quell’unico bastoncino che saltava subito
all’occhio, intercettando la figura minuta della cameriera
mentre passava nell’altra sala.
Aveva
un paio d’ore per elaborare un’umiliazione degna di
tale nome, e non se ne sarebbe andato finché la biondina non
avesse imparato la lezione.
Ogni
tanto era bello potersi sfogare sui clienti. Evangeline
guardò dall’oblò della cucina la
reazione estremamente soddisfacente del teppista alla sua opera
d’arte, intitolata “Vaffanculo
in salamoia”. Non
le piaceva perdere, in fondo. Il cuoco le passò delle
profumatissime fette di garlic
bread,
il bigliettino sul vassoio che recava il numero due. Joel e i suoi
colleghi stavano mangiando e bevendo senza freni, forse per festeggiare
qualcosa.
Non
aveva avuto tempo di leggere gli ultimi messaggi
dell’uomo, assorbita com’era dal lavoro.
« Ecco qui, ragazzi » disse, una volta arrivata al
tavolo. Passò davanti a Joel di proposito, i loro visi
così vicini che voltandosi appena avrebbe potuto sfiorare
con le labbra la barba incolta sulla sua guancia. I colleghi si
avventarono sul cibo come digiunassero da giorni, approfittando della
sua presenza per chiedere il secondo (o terzo), giro di birra della
serata. Lei annuì con il solito sorriso impostato,
raccattando i bicchieri vuoti per far posto a quelli nuovi, e
l’uomo glieli passò uno ad uno, non mancando di
sfiorarle le dita ogni volta. Era estremamente affettuoso per essere
già sulla trentina e con un matrimonio alle spalle.
Evangeline credeva che dopo tante delusioni si sarebbe stancato di
dispensare amore e attenzioni verso il prossimo, ma purtroppo non era
così. A volte un abbraccio le faceva comodo, il sesso con
lui era più che soddisfacente, ma lei stava bene da sola. Si
erano conosciuti nell’unico periodo in cui sentiva di aver
bisogno di qualcuno, ed era durato poco più di un mese.
Il
turno della cameriera trascorse a rilento, con occhiate da parte del
compagno di letto, di quella coppia bizzarra di teppisti e di una
ragazza che non mancava di far cadere cose dal tavolo al suo passaggio.
Sembrava una congiura ordita alle sue spalle.
Il
locale iniziò a svuotarsi solo a mezzanotte inoltrata,
quando ormai Evangeline aveva i nervi a pezzi e le dolevano gli angoli
della bocca per i troppi sorrisi forzati. Passò in modo
metodico le superfici dei tavoli sgombri, gli occhi fissi
sull’alone umido lasciato dalla spugna che talvolta correvano
all’orologio appeso accanto all’ingresso. Joel
aveva detto che l’avrebbe aspettata fuori, anche se dalle
finestre non gli sembrava di scorgere la sua sagoma. -
Avrei preferito andare da sola .- Era
tardi per montare su un autobus e sperare di arrivare illesa, senza
nemmeno una palpatina al didietro o qualche commento sconcio, ma in
quel momento desiderava solo buttarsi a letto e dormire fino a sembrare
morta. « Evie, il secchio! » gridò
Wellsie dalla cucina, indicandole il ragazzone che barcollava fuori con
il sostegno dell’amico teppista. Okay, una nuova sfida per il
suo stomaco di ferro. Quante birre si era fatto portare? Quattro?
Cinque?
Ed
ecco tutti i suoi soldi che finivano sul bel praticello
all’inglese fuori dal pub. Non fu abbastanza svelta, il tipo
riversò ventidue sterline di alcolici pregiati proprio sopra
al cespuglio di rose. Guardò la scena da un metro di
distanza, il secchio abbandonato mollemente nella mano ed un
sopracciglio inarcato. Magari sarebbe nata una nuova varietà
di rosa, una “Rosaceae
Vomitum”
unica
nel suo genere, ma ne dubitava. Il teppista si accorse di lei con
qualche minuto di ritardo, squadrandola da sotto in su come a voler
dire “che
hai da guardare?”
finché l’altro sputava gli ultimi residui con un
colpo di tosse. La presenza di Evangeline sembrò fungere da
anti-sbronza istantaneo, il gigante si risollevò
immediatamente sfregando la bocca contro la manica. « Oddio,
scusa tanto. Di solito resisto fino a casa... ». Aveva un
atteggiamento troppo tenero per essere frainteso, nonostante la bocca
impastata dalla bile e le gote arrossate. Che fosse una marionetta
nelle mani del moro vicino a lui? La ragazza sospirò e gli
porse il secchio, incapace di guardare in che stato fosse ridotto il
cespuglio cresciuto con amore fino a quel giorno.
«
Non preoccuparti. Pensi che ti servirà ancora? ».
«
No no, sono a secco ormai! ». Pareva quasi vantarsene, un
bambino che esibisce la pagella perfetta ai genitori. « Ah,
pulisco io. C’è dell’acqua? ».
La
cameriera gli indicò la pompa nascosta dietro ad una
piramide di barili, la stessa che usava per innaffiare le piante e
lavare l’ingresso, ma non appena il gigante buono fece per
raggiungerla si piegò in due e vomitò il resto.
Il compare imprecò così sonoramente da far uscire
anche Wellsie, che forse temeva per l’incolumità
della collega.
«
Dammi, faccio io » borbottò, allungando la mano
verso il secchio. Non capiva se fosse una persona gentile nascosta
dietro ad una maschera da stronzo, oppure se fosse nel suo carattere
regalare occhiatacce a destra e manca. « Piaciuto il finger
food? » gli chiese, un sorriso angelico progettato
appositamente per irritarlo, e l’altro le strappò
via il secchio senza aggiungere nulla. Lo sguardo assassino parlava da
sé.
{
Author's Note }
Mi rendo conto che è
passato un sacco di tempo, chiedo immensamente scusa. (dopo tutta
l'attesa non è nemmeno un granché).
Grazie a chi, come herflowers
, ha sempre la pazienza di recensire, e grazie anche a Giu_LS
per aver aggiunto la storia tra i seguiti.
A presto (si spera), much love!