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Autore: SpicyTuna    02/08/2016    1 recensioni
Sullo sfondo grigio e piovoso di Sheffield si intrecciano le storie di tre personaggi alla ricerca del loro raggio di sole: Evangeline, ragazza di buona famiglia che tenta di sfuggire al futuro pianificato dai genitori in un modo tutto suo, Joel, ventottenne accecato dall'amore per lei e incurante del divario di età, e Marshall, studente senza regole che vorrebbe non aver mai incontrato la biondina sulla sua strada.
Genere: Drammatico, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Lemon | Avvertimenti: Triangolo | Contesto: Contesto generale/vago, Scolastico
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13 Ottobre, sabato - Sheffield (Milton St.)

Marshall osservò il fumo della sigaretta risalire in lente spire verso il soffitto, perdendosi tra le figure che disegnava come stesse giocando ad indovinare le forme nelle nuvole. Niente pecore o orsetti, per lui erano tutti serpenti, indifferentemente dalla lunghezza e la larghezza.

Il telefono lì accanto fece vibrare l'intero materasso un paio di volte prima che si decidesse a rispondere.

« No » disse, senza nemmeno dover sentire la domanda. La voce lamentosa di Luke dall'altro capo gli strappò un sorrisetto.

Era un piacere sentirlo andare nel panico, per quanto sadico. « Ti prego, non darmi buca anche tu! ».

« Anche? A quanta gente hai chiesto? ».

« Tre persone, ma chi se ne frega. Ascolta, mi hanno parlato di questo pub dove non chiedono la carta d'identità, volevo andarci stasera ».

Il ragazzo sbuffò sonoramente, guardando la pioggia cadere a secchiate oltre la finestra.

Aveva bocciato tutte le proposte, quel pomeriggio, di uomini o donne che fossero.

La pioggia lo deprimeva in ogni periodo dell'anno, ma ad ottobre era più insopportabile, dato che la ricollegava al giorno in cui il funerale del padre era stato sospeso a causa di un forte temporale. Lui era rimasto a prendersi tutta l'acqua che, impietosa, si abbatteva dal cielo, mentre la madre recitava le ultime preghiere nella piccola cappella del quartiere. I giorni passati in ospedale per una broncopolmonite non erano bastati a tenerlo lontano dal cimitero. « Dov'è? » chiese, senza un briciolo di entusiasmo.

Quando Luke gli comunicò che sarebbero dovuti andare fino a Withwell gli salì la nausea. « Mezz'ora di strada non me la faccio. Ho la birra in frigo ».

« Sì, quella da due sterline del tizio che ti abita sotto, ed è pure in lattina. Un affare ».

Okay, l'amico lo avrebbe tartassato fino ad un responso positivo, e Dio solo sapeva quanto fosse testardo. Mosso da compassione, Marshall accettò solo dopo avergli fatto promettere che non ci avrebbe messo un centesimo, anche considerando il biglietto dei due autobus che dovevano prendere per arrivare al quartiere fuori Sheffield. La sua paghetta, al momento, era dell'irrisoria cifra di venti sterline al mese, che la madre si sudava con un sacco di ore filate da Marks&Spencer. La situazione economica dei due l'aveva reso più tirchio di quanto già non fosse. I compari si accordarono sul punto d'incontro e l'orario, che secondo i calcoli del moro prevedeva l'arrivo attorno alle nove e trenta di sera, poi Luke elencò tutte le birre nella sua wishlist e Marshall mise il pilota automatico, posando il cellulare accanto all'orecchio senza ascoltare davvero. Era proprio il ritratto della vitalità, nulla da dire. A diciotto anni i giovani si svagavano in ogni modo possibile (legale e non), affollando locali notturni, pub, ristoranti, e lui se ne stava sdraiato a fissare il vuoto con una sigaretta che andava consumandosi pian piano, il posacenere sul torace a raccoglierne i residui. Aveva sempre sostenuto di essere vecchio nell’animo, lo confermava il mal di schiena e la memoria corta. « Allora ci vediamo alle otto ». Colse solo l’ultima parte di un lunghissimo discorso, quella fondamentale, e chiuse la chiamata con un sospiro di sollievo. Luke rappresentava l’ideale di amico perfetto, ma ogni tanto sapeva essere pesante come un macigno. Quando si perdeva nelle sue fantasie, poi, non vi era scampo.

- E andiamo a prendere ‘sta birra -.

Guardare la pioggia attraverso un vetro e beccarsela dritta in testa erano due cose ben diverse. Al posto di un cappuccio, riflettè Marshall, sarebbe stato utile un elmetto, e del compare nessuna traccia. L’autobus per Withwell attraversava la città per il lungo, quindi fra traffico e maltempo raramente rispettava gli orari, ma questo non era un motivo valido per tardare di dieci minuti. La sagoma imponente di Luke si stagliò all’orizzonte dopo diverse imprecazioni da parte del ragazzo, che ripetè ad alta voce non appena vide il visetto impertinente di Amanda fare capolino da un ombrello color arcobaleno al suo fianco. « Una cagna ti sta seguendo, te ne sei accorto? » sibilò, prima di scansare uno schiaffo diretto alla guancia.

La tenera fanciulla elencò una serie di aggettivi per descrivelo, tra cui “merdaccia” e “bastardo schifoso”, mentre Luke ancora si domandava dove avesse sbagliato. « Ti avevo detto che sarebbe venuta anche lei ».

Ah, si era perso un pezzo importante della storia, alla fine. Finché il ragazzone fungeva da divisorio, Marshall poteva tollerare la sua presenza per qualche minuto in più, forse addirittura un’ora, ma promise a sé stesso di dileguarsi non appena le cose si fossero fatte insostenibili. Amanda reagiva all’alcool come un ninfomane rispondeva agli afrodisiaci. In pratica sembrava sempre ubriaca. I tre aspettarono l’autobus in silenzio, lanciandosi occhiataccie di traverso e tenendosi il muso, e una volta saliti a bordo presero direzioni diverse. Marshall puntò al piano di sopra, quello che preferiva, e l’improvvisata coppietta scelse il posto più discreto dove poter pomiciare in pace.

Luke aveva la testa altrove, inutile negarlo, ma il modo migliore per dimenticare una sbandata era tenere i pensieri occupati con altre distrazioni.

Che fosse il caso di dirgli che la biondina aveva un pessimo carattere? L’ingiustificato dito medio ancora bruciava, nonostante fosse riuscito a vendicarsi. Gli dava i nervi, non poteva farci niente. L’aria da santarellina e lo sprezzo nei confronti degli stolti popolani che la circondavano la rendeva lo stereotipo perfetto di bambina viziata. Chissà come mai si era disonorata prendendo un mezzo pubblico. Poco importava. Se mai l’amico fosse riuscito a frequentarla, in un futuro ipotetico, si sarebbe accorto da solo del tempo buttato nel correre dietro ad una regina dei ghiacci. Nella zona di Withwell la pioggia era meno fitta che in città, quasi sopportabile, e rese la passeggiata fino al bar vagamente sopportabile.

« Boot & Shoe? » domandò Marshall una volta arrivati davanti al locale in pieno stile scozzese, con botti scure ricolme di fiori ad adornare l’esterno ed un’insegna dorata su sfondo verde comune a tante altre. Luke annuì, gonfio di orgoglio, e indicò il listino appeso fuori per fargli leggere tutte le varietà di birre che offriva. Su una lavagnetta accanto alla porta sponsorizzavano una degustazione di vini francesi, ma grazie a Dio si sarebbe tenuta il giorno dopo. « Se guardi dentro ci trovi tutta gente della nostra età » continuò il gigante buono, scandagliando la sala con meno interesse di Amanda, che prediligeva solo gli individui di una certa levatura e di sesso maschile. « Ah, c’è un bel gruppo di uomini in giacca e cravatta, laggiù ». Luke spostò lo sguardo verso la coppia di divani che ospitava dei personaggi abbastanza distinti, presi a chiacchierare e ridere mentre facevano ondeggiare ciascuno la propria sigaretta, poi l’attenzione ricadde sulla cameriera che posò sul loro tavolo quattro boccali, e rimase completamente paralizzato. Fu come osservare una pentola a pressione: un fischio assordante ed un’esplosione di vapore. « Marsh, è lei! Oddio, non ci credo! L’hai vista? Ma che fortuna sfacciata! ». Marshall sperò che non lo facesse, e invece gli saltò al collo nemmeno pesasse venti chili, stringendolo in una morsa soffocante. Purtroppo per tutti non si era sbagliato, la biondina corrispondeva ai ricordi della giornata sull’autobus, solo che da così distante era impossibile dire se ci avessero azzeccato o meno, e per di più il contesto suonava sbagliato. Una riccastra che faceva la cameriera in un pub?

« Quando avete finito entriamo, magari » sbottò la ragazza, ormai ridotta a terzo incomodo. Trascinare Luke nel locale fu anche più difficile che metterlo a tacere, purtroppo. Vennero accolti dalla seconda cameriera, un tipetto pieno di lentiggini ed il rossetto di uno stravagante color vinaccia, che li deviò verso la sala di destra, un tripudio di schiamazzi, parole volgari e visi accaldati. La voce che non chiedessero la carta d’identità doveva essersi sparsa per tutta Sheffield, dato che Amanda riconobbe e salutò calorosamente diversi ragazzi che non potevano avere più di vent’anni.

Marshall spinse il compare verso un tavolo libero a due passi dal bancone, esperienza molto simile al far rotolare un masso in salita, dato che non smetteva per un secondo di lanciare occhiate ovunque, tranne davanti a sé. « Sei imbarazzante » disse, una volta seduti, « ti scambierà per il solito maniaco che ci prova ». « Ma di chi parlate? ». Amanda, ovviamente, non poteva non avere voce in capitolo. Intercettò la figura minuta della vittima e le fece un check completo, accompagnata dalle accurate descrizioni di Luke, tipo speaker di un documentario.

« Complimenti, bei gusti del cazzo » commentò alla fine dell’esame, irritata per essersi fatta rubare la scena da una persona tanto insignificante. « Pensavo ti piacessero le tette grandi. Quella è piatta come questo tavolo ». Poteva infamarla all’infinito, ormai il ragazzone aveva già l’anello di fidanzamento in mano. La cameriera si presentò con il nome di Wellsie, ed elencò loro le birre più economiche del menù per risparmiare ai tre la fatica di leggere ogni singola pagina. La clientela media del sabato sera non arrivava mai fino in fondo, probabilmente, ed il tasso alcolemico assicurava comunque un po’ di sballo. « Scusa, potresti farci servire dall’altra ragazza? Al mio amico piace un sacco » esordì Luke, prendendo sotto braccio l’innocente capro espiatorio che per la seconda volta veniva chiamato in causa. Wellsie trovò la cosa abbastanza divertente da acconsentire, provocando così un secondo effetto “pentola a pressione” che fece perdere le staffe all’unica star della serata. Amanda fu abbastanza furba da liquidare i compagni di classe per aggregarsi al tavolo accanto, dove la accolsero fischi e apprezzamenti circa l’orlo del reggiseno in vista e le calze a rete bucate. « Dio, ti ringrazio ». Marshall non pregava spesso, ma l’occasione lo richiedeva. Ora che il chihuahua si era levato di mezzo poteva concentrarsi sulle cose importanti. « Buonasera » disse la cameriera bionda, nonché apparizione di Luke. Il suo sorriso aveva davvero un che di angelico, insieme a un paio di occhi chiari ed il viso pulito di chi non badava troppo alle apparenze. Portava i capelli legati in una coda alta, nessuna collana o bracciale ad arricchire la divisa del locale (un semplice grembiule verde). Aveva il block notes pronto in mano, in attesa del loro ordine. Il gigante fece la sua magra figura, osservandola a bocca spalancata per un attimo abbastanza lungo da potersi definire imbarazzante, e si riprese solo grazie ad un calcio di Marshall.

« Ah, uhm... buonasera! Io prendo una bionda da litro » balbettò, con una frase a doppio senso che non fece scomporre minimamente la cameriera. Si apprestò ad appuntare l’ordine e rivolgere a Marshall uno sguardo privo di qualsiasi emozione, quel maledetto sorriso a prenderlo per i fondelli.

« Una rossa. Le bionde non fanno per me ». Credeva che quella provocazione l’avrebbe quantomeno offesa, e invece la santarellina non cambiò espressione. « Oggi offriamo un assaggio della nuova Red Erik ». Aprì il listino sulla pagina delle birre e lo voltò nella direzione di lui, usando il solo dito medio per indicargli le due varietà a disposizione.

« Questa e questa qui, leggermente più amara. Vuoi provarle? ».

Era brava a giocare sporco, altroché suora di campagna. Marshall le rivolse un’occhiata poco amichevole e rispose per le rime, puntando allo stesso modo quella che aveva scelto. « Amara va benissimo ». Luke seguì lo scambio di battute e attese che la ragazza se ne andasse per bisbigliare all’amico che da vicino era ancora più bella, facendosi aria con la mano e sbottonando il colletto della camicia. Aveva una strana concezione della parola “finzione”, tonto com’era. Meglio aprirgli gli occhi prima che accadesse l’irreparabile. « Non ci arrivi, vero? Sta prendendo tutti per il culo, te incluso ».

« Ehi, ha fatto il suo lavoro e basta, non ci ha minacciati con un coltello ».

« Lo so, lo so, ma ti sono sfuggiti dei particolari che... ».

Il vassoio atterrò sul tavolo con un tonfo, facendo tintinnare i due bicchieri che la cameriera spostò davanti ai clienti, lasciando anche una ciotola di arachidi e qualche oliva. Serafica come al solito, augurò una buona serata ad entrambi e tornò in cucina, con Luke che ne seguiva i movimenti tipo cobra al suono del flauto. « Io lo so che c’è del veleno nel mio bicchiere » accusò Marshall, rigirando il liquido scuro che si intravedeva attraverso la coltre di schiuma. Di donne ne conosceva di tutti i tipi, e lei sembrava quella che si vendicava nei modi più subdoli pur di averla vinta. Magari aveva sputato nella birra. La saliva si cammuffava bene lì in mezzo.

« Stai diventando paranoico ». Nulla avrebbe potuto distruggere il buonumore di Luke, inutile parlarci. Era rinchiuso nella sua bolla di sogni astratti e lì sarebbe rimasto, fino alla chiusura del locale. « A me piace. Dammi un po’ di supporto ».

Gli stava chiedendo di gettarlo nella tana della tigre con una bistecca legata in cintura, praticamente. « Come ti pare. Non voglio essere complice di un suicidio ». Marshall abbassò lo sguardo sulla ciotolina delle olive per disperazione (difficile sostituirle con qualche strana bacca verdognola), e rimase di sasso nel vedere la piccola composizione a lui riservata: cinque stuzzicadenti infilzati in fila indiana, di cui solo il terzo stava perfettamente eretto. In bilico tra l’incazzatura ed una sonora risata, il moro optò per mangiare quell’unico bastoncino che saltava subito all’occhio, intercettando la figura minuta della cameriera mentre passava nell’altra sala.

Aveva un paio d’ore per elaborare un’umiliazione degna di tale nome, e non se ne sarebbe andato finché la biondina non avesse imparato la lezione.


Ogni tanto era bello potersi sfogare sui clienti. Evangeline guardò dall’oblò della cucina la reazione estremamente soddisfacente del teppista alla sua opera d’arte, intitolata “Vaffanculo in salamoia”. Non le piaceva perdere, in fondo. Il cuoco le passò delle profumatissime fette di garlic bread, il bigliettino sul vassoio che recava il numero due. Joel e i suoi colleghi stavano mangiando e bevendo senza freni, forse per festeggiare qualcosa.

Non aveva avuto tempo di leggere gli ultimi messaggi dell’uomo, assorbita com’era dal lavoro. « Ecco qui, ragazzi » disse, una volta arrivata al tavolo. Passò davanti a Joel di proposito, i loro visi così vicini che voltandosi appena avrebbe potuto sfiorare con le labbra la barba incolta sulla sua guancia. I colleghi si avventarono sul cibo come digiunassero da giorni, approfittando della sua presenza per chiedere il secondo (o terzo), giro di birra della serata. Lei annuì con il solito sorriso impostato, raccattando i bicchieri vuoti per far posto a quelli nuovi, e l’uomo glieli passò uno ad uno, non mancando di sfiorarle le dita ogni volta. Era estremamente affettuoso per essere già sulla trentina e con un matrimonio alle spalle. Evangeline credeva che dopo tante delusioni si sarebbe stancato di dispensare amore e attenzioni verso il prossimo, ma purtroppo non era così. A volte un abbraccio le faceva comodo, il sesso con lui era più che soddisfacente, ma lei stava bene da sola. Si erano conosciuti nell’unico periodo in cui sentiva di aver bisogno di qualcuno, ed era durato poco più di un mese.

Il turno della cameriera trascorse a rilento, con occhiate da parte del compagno di letto, di quella coppia bizzarra di teppisti e di una ragazza che non mancava di far cadere cose dal tavolo al suo passaggio. Sembrava una congiura ordita alle sue spalle.

Il locale iniziò a svuotarsi solo a mezzanotte inoltrata, quando ormai Evangeline aveva i nervi a pezzi e le dolevano gli angoli della bocca per i troppi sorrisi forzati. Passò in modo metodico le superfici dei tavoli sgombri, gli occhi fissi sull’alone umido lasciato dalla spugna che talvolta correvano all’orologio appeso accanto all’ingresso. Joel aveva detto che l’avrebbe aspettata fuori, anche se dalle finestre non gli sembrava di scorgere la sua sagoma. - Avrei preferito andare da sola .- Era tardi per montare su un autobus e sperare di arrivare illesa, senza nemmeno una palpatina al didietro o qualche commento sconcio, ma in quel momento desiderava solo buttarsi a letto e dormire fino a sembrare morta. « Evie, il secchio! » gridò Wellsie dalla cucina, indicandole il ragazzone che barcollava fuori con il sostegno dell’amico teppista. Okay, una nuova sfida per il suo stomaco di ferro. Quante birre si era fatto portare? Quattro? Cinque?

Ed ecco tutti i suoi soldi che finivano sul bel praticello all’inglese fuori dal pub. Non fu abbastanza svelta, il tipo riversò ventidue sterline di alcolici pregiati proprio sopra al cespuglio di rose. Guardò la scena da un metro di distanza, il secchio abbandonato mollemente nella mano ed un sopracciglio inarcato. Magari sarebbe nata una nuova varietà di rosa, una Rosaceae Vomitum” unica nel suo genere, ma ne dubitava. Il teppista si accorse di lei con qualche minuto di ritardo, squadrandola da sotto in su come a voler dire “che hai da guardare?” finché l’altro sputava gli ultimi residui con un colpo di tosse. La presenza di Evangeline sembrò fungere da anti-sbronza istantaneo, il gigante si risollevò immediatamente sfregando la bocca contro la manica. « Oddio, scusa tanto. Di solito resisto fino a casa... ». Aveva un atteggiamento troppo tenero per essere frainteso, nonostante la bocca impastata dalla bile e le gote arrossate. Che fosse una marionetta nelle mani del moro vicino a lui? La ragazza sospirò e gli porse il secchio, incapace di guardare in che stato fosse ridotto il cespuglio cresciuto con amore fino a quel giorno.

« Non preoccuparti. Pensi che ti servirà ancora? ».

« No no, sono a secco ormai! ». Pareva quasi vantarsene, un bambino che esibisce la pagella perfetta ai genitori. « Ah, pulisco io. C’è dell’acqua? ».

La cameriera gli indicò la pompa nascosta dietro ad una piramide di barili, la stessa che usava per innaffiare le piante e lavare l’ingresso, ma non appena il gigante buono fece per raggiungerla si piegò in due e vomitò il resto. Il compare imprecò così sonoramente da far uscire anche Wellsie, che forse temeva per l’incolumità della collega. 

« Dammi, faccio io » borbottò, allungando la mano verso il secchio. Non capiva se fosse una persona gentile nascosta dietro ad una maschera da stronzo, oppure se fosse nel suo carattere regalare occhiatacce a destra e manca. « Piaciuto il finger food? » gli chiese, un sorriso angelico progettato appositamente per irritarlo, e l’altro le strappò via il secchio senza aggiungere nulla. Lo sguardo assassino parlava da sé.


{ Author's Note }

Mi rendo conto che è passato un sacco di tempo, chiedo immensamente scusa. (dopo tutta l'attesa non è nemmeno un granché).

Grazie a chi, come herflowers , ha sempre la pazienza di recensire, e grazie anche a  Giu_LS per aver aggiunto la storia tra i seguiti.

A presto (si spera), much love!

  
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