Ciao
a tutte^^ scusate il disastroso ritardo, non ci sono scuse degne di
questo nome!!! Crcherò di essere più celere in
futuro, lo prometto, anche se non sarò velocissima
cercherò di non far passare di nuovo tutto questo tempo!
Spero che leggiate in tanti questo cappy, mi scuso ancora e ora vi
lascio alla lettura^^
kisskisses 68Keira68
Ringraziamenti:
Klood:
grazie per aver recensito anke il cap due^^ non ti preoc, io sn
contenta se mi segnalate gli errori così posso correggerli,
altrimenti rimarrebbe sbagliato^^ e poi così miglioro il mio
inglese, hihih^^ quindi grazie e quando vedi qualcosa che non va
scrivilo tranquillamente^^ spero che ti piaccia anke questo cappy e ke
lo recensirai^^ grazie ancora kisskisses 68Keira68
2_
Fiorini ed Equini
“Ehi,
bell’addormentata, per favore, cerchiamo di non arrivare in
ritardo al tuo
primo giorno, ieri eravamo puntuali per chi sa quale miracolo, dubito
che oggi
avremmo la stessa fortuna”
Marta
mi stava urlando contro di muovermi da più o meno una
ventina di minuti.
“Un
secondo e arrivo” le risposi dalla camera di sopra. Era
incredibile come
riuscissimo a comunicare con tanta facilità da una piano
all’altro,
considerando che lei era in cucina. Le cose erano due, o la casa aveva
un eco
straordinario, o sia io che Marty eravamo dotate di due bei polmoni.
“è
quello che hai detto più o meno 1200 secondi fa, cara. Mi
spieghi qual è la
difficoltà di scegliere un vestito? Stai per consumare lo
specchio, accidenti!”
Io
sbuffai. Per fortuna questo non lo sentì. E già,
per lei era facile, si era
subito messa gonna e giacca et voilà! Era pronta. Ma io cosa
dovevo indossare? Come
diavolo ci si vestiva per una lezione di scherma?
Sentii
dei passi per le scale. Fantastico, la mia amica probabilmente aveva
intenzione
di venirmi a prendere per la collottola, ma io ero ancora in biancheria
intima!
Dubito che sarei potuta andare in palestra con solo il reggiseno e le
mutandine
addosso!
“Betta,
se non ti vesti entro cinque minuti ti ricevi un fioretto in
testa” mi avvertì
mentre spalancava la porta della camera.
“Sono
indecisa! In teoria dovrei mettermi la tuta dato che dobbiamo fare
allenamento,
ma non vorrei sembrare poco professionale ad andare solo con quella! E
poi mi
vergognerei ad andare per le vie di Londra con solo dei pantaloni di
tela
addosso!” mi difesi.
Marta
alzò gli occhi al cielo. “No, non ci credo, ti
prego dimmi che non è questo il
problema che ti poni da mezz’ora a questa parte”
“Mezz’ora,
esagerata! Saranno a mala pena quindici minuti”
“Come
minimo venti, ma non è questo il punto!” Mi
guardò in cagnesco.
Io
allora, fingendomi offesa provai a far valere le mie motivazioni.
“è un
problema serio! E tu che sei mia amica, al posto di stare qui a
sgridarmi,
dovresti suggerirmi una soluzione!”
La
mia manager fece un profondo respiro, come per riprendere la calma,
infine mi
fissò dritta negli occhi e a denti stretti mi rispose
“Elisabetta, dentro la
palestra ci sono gli spogliatoi, devi portarti semplicemente una sacca
con la
tuta e le scarpe da ginnastica, ma per uscire puoi metterti quello che
ti pare.
Anche gli altri faranno così, credo che tutto il mondo
quando deve andare ad
allenarsi faccia così. Ti consiglierei di portarti anche un
asciugamano e il
bagnoschiuma per farti la doccia dopo, sempre là nella
palestra. Ora hai
capito?”
Io
la guardai con la bocca spalancata, dopodichè mi sentii una
benemerita idiota.
È vero, gli spogliatoi, non li avevo minimamente
considerati! Uffa però, non
entravo in una palestra da sei anni e non ero mai stata una sportiva.
L’unica
attività motoria che ho fatto nel corso della mia breve vita
è stata quella che
mi costringevano a praticare a scuola.
“Ah.”
Mi uscì semplicemente.
Marta
scosse la testa e, dal silenzio che ne seguì, credo
contò fino a dieci per
evitare di sbraitarmi addosso.
“Io
vado di sotto, se entro cinque minuti, e dico proprio CINQUE minuti,
non sei
pronta, ti porto là esattamente come sei”
minacciò uscendo teatralmente dalla
stanza.
Ok,
con Marty non si scherza quando è arrabbiata. Avrei
scommesso qualsiasi cosa
che avrebbe messo in atto l’avvertimento se non mi fossi
sbrigata.
Velocissima
indossai i miei jeans preferiti (blu scuro, a vita bassa e con la gamba
a
sigaretta) e una camicetta bianca. Afferrai la mia tuta rossa e delle
scarpe da
ginnastica, li buttai dentro lo zainetto colorato e mi diressi
velocemente in
bagno per procurarmi asciugamano, spazzola, deodorante e bagnoschiuma.
Infine
mi catapultai nuovamente in camera per mettere delle ballerine nere.
Pronta!
Presi
giacca e zaino, e mi fiondai al piano di sotto.
“Spero
sarai contenta, per fare in fretta ho infranto la barriera del suono e
non mi
sono nemmeno truccata!” inveii contro Miss
Puntualità.
“Se
serve a farti arrivare in orario sono contenta si, comunque stai
benissimo
anche senza lucidalabbra, tranquilla.”
Uffa,
sapevo anche io che le mie labbra sopravvivevano senza lips-gloss,
anzi, a meno
che non avevo impegni importanti non mi truccavo neanche, e la palestra
non era
inclusa tra quelli, ma era una questione di principio, non sopportavo
che
qualcuno mi mettesse fretta! Purtroppo però dovevo anche
ammettere che senza
quel “qualcuno” probabilmente quel giorno sarei
arrivata a destinazione per le
due del pomeriggio anziché alle otto. Le otto, sigh, a causa
di questo orribile
orario mi ero dovuta svegliare alle sette! Dico, le SETTE!!!!! Per me
è notte
inoltrata, altro che mattina, la mia alba arriva verso mezzogiorno.
Destino
infame!
Uscimmo
dalla villetta e ci avviammo per l’acciottolato rosso fino a
raggiungere il
cancelletto. Una volta chiuso alle nostre spalle quello, salimmo nella
Peugeot
di Marta, che ci aspettava parcheggiata tranquilla davanti a casa.
“Allora,
il programma della giornata è semplice, lo
ricordi?” mi domandò mentre
sfrecciavamo verso la palestra.
“Si,
non sono così smemorata! Lezione di scherma nella mattinata
e tiro con l’arco
nel pomeriggio, giusto?”
“No!
Ecco, vedi che te lo eri già scordata? Alle tre hai
ippica!” mi ricordò.
“Caspita
è vero!” Mi sbattei una mano sulla fronte. E
pensare che l’ultima cosa che
avevo fatto ieri sera era stata leggermi la programmazione!
“Ecco,
lasciamo stare è meglio. Comunque, io non starò
con te oggi pomeriggio, ho del
lavoro da sbrigare, quindi per favore, evita di cadere da cavallo solo
perché
non ci sono io a tenerti d’occhio, va bene?” mi
ammonì.
“Ah,
ah, come sei spiritosa! È la mia prima lezione,
probabilmente il cavallo lo
vedrò solo da lontano, figurati se me lo fanno montare! Ma
cosa devi fare? Il
tuo lavoro sono io e mi sembra di essere sistemata con un imminente
futuro da
cavallerizza”
Mi
guardò di sottecchi sorridendo beffarda. “Difatti
oggi pomeriggio lavoro
proprio per te. Mi sto occupando di un contratto che prevedrebbe te
come
testimonial per una marca di profumi, il tuo impegno sarebbe minimo, un
piccolo
spot e qualche foto, ma ne ricaveresti un sacco di
pubblicità”
Rimasi
a bocca aperta. Wow, io testimonial? Fantastico!!
“Fico,
e di quale marca si parla?” domandai contenta.
“Chanel.
A quante pare è scaduto il contratto del
Knightley.” Chanel! Ho già detto che
adoro la donna che ho davanti? Però poi mi venne un dubbio.
“Scusami,
ma come faccio ad essere presente a scherma, ippica, tiro con
l’arco e chi più
ne a più ne metta e fare in contemporanea questa
pubblicità? Non ce la farò
mai! E poi dove devo scattarle queste foto?”
“Cara,
se ti dovessi occupare tu di tutte queste cose, io che ci starei qui a
fare? Tu
non ti preoccupare, ci penso io a far combaciare il tutto, tu pensa
solo a
diventare un buon fantino, ok?” scherzò.
“Sei
mitica” la ringraziai. Evvai, prima il film e ora lo sponsor.
Londra era la
città dei miracoli.
Dopo
poco arrivammo davanti alla suddetta palestra. Era piuttosto anonima,
un
edificio di mattoni rossi posta nel bel mezzo della via, con una grande
insegna
blu che recitava: “Sword’s
Land”.
Entrammo
dalla porta principale, molto grande e in vetro. Appena dentro ci
accolse una
temperatura fantastica, probabilmente merito di un buon condizionatore.
C’era
un piccolo corridoio che immetteva in un bivio. Le scritte rosse sopra
due
cartelli bianchi ci informarono che ha destra si trovavano gli
spogliatoi e la
palestra, mentre a sinistra c’era il centro informazioni.
Marta
imboccò sicura il corridoio sinistro, dicendomi di
attenderla lì un attimo. Di
sicuro era andata a chiedere indicazioni a qualcuno. Difatti
tornò poco dopo
con un piccolo sorriso.
“Sono
già arrivati tutti. Ti stanno aspettando di là in
palestra, però prima devi
passare per lo spogliatoi e cambiarti.”
“Bene”
perfetto, come sempre ero l’ultima. Possibile che dovessi
sempre distinguermi?
Decisi di sorvolare. “Dov’è lo
spogliatoio?” chiesi invece.
“Quello
delle ragazze è infondo sulla destra.
C’è un cartello enorme, se ti perdi anche
qui finisci nel guiness dei primati” mi prese in giro. Le
feci la linguaccia
mentre mi avviavo verso la direzione indicatami, sperando di non
perdermi
davvero, perché in tal caso avrei fatta davvero una
figuraccia, mi avrebbe
preso in giro per un mese di fila.
“Vado
a chiedere un’ultima cosa al punto informazioni, poi ti
aspetto in palestra,
ok? Tu sbrigati però!” mi urlò come
ultima cosa.
Annuii
distrattamente con la testa. Dopo pochi passi giunsi al cartello e
imboccai
sicura la porta dello spogliatoio femminile. Era piuttosto grande, due
panche
centrali e gli armadietti ai lati. In fondo c’era
un’altra piccola porta che
immaginai conducesse al bagno. Mi avvicinai all’armadietto
più vicino e
cominciai a cambiarmi. Tuta, maglietta con scritta
rossa“Dance”, scarpe e coda
di cavallo. I’m ready! Buttai la sacca e i miei vestiti
dentro l’armadietto di
fronte a me ed uscii dalla stanza.
Ero
curiosa di vedere come si sarebbe svolta la lezione. Non avendo mai
preso una
spada in mano in vita mia la cosa mi eccitava, avevo smania di
imparare.
Soprattutto perché mi avevano assicurato che non dovevo fare
alcun esercizio di
riscaldamento. Meglio di così!
Nel
corridoio c’erano altre due porte, ed escludendo quella dello
spogliatoio
maschile puntai sicura su un’entrata a due ante. Mi ritrovai
in una spaziosa
palestra. Le pareti erano bianche e il pavimento marroncino, come da
manuale.
Guardai con astio il quadro svedese posto in fondo alla sala e le
quattro
spalliere a lato. Tra me quegli attrezzi era in atto una guerra fredda
da
quando ero nata, ma finite le scuole avevamo firmato una specie di
armistizio.
Io non andavo da loro e loro non mi facevano rompere l’osso
del collo. Patto
che non avevo mai avuto difficoltà a rispettare.
Un
campanello di voci richiamò la mia attenzione. Voltandomi
notai che Orlando,
Julia, Ralph, un altro uomo che riconobbi subito essere Sean Bean e due
donne
sulla trentina che immaginai essere le nostre istruttrici. Mi stavano
chiamando
e io non mi feci attendere. Anzi, erano già stati troppo
gentili ad aspettarmi.
“Hello everybody!”
li salutai di rimando.
“Ciao,
tu devi essere Elisabetta Sogni, ieri non ho avuto il piacere di
conoscerti,
comunque io sono Sean Bean” L’attore inglese non
tardò a presentarsi molto
cordialmente.
“Piacere
mio” risposi stringendogli la mano.
“Perfetto
ora che ci siamo tutti direi che possiamo iniziare la
lezione” la voce di una
delle due istruttrici ci richiamò tutti.
Per
le tre ore seguenti mi sembrò di essere tornata a scuola. Le
due donne si erano
divise, una si occupava di me e di Julia, la mia partner per la
mattinata,
mentre l’altra aiutava Sean e Orlando, e faceva da partner a
Ralph. La nostra
insegnante aveva una voce da sergente e il portamento non era da meno.
Dritta e
rigida nel suo metro e settanta, capelli neri cortissimi e sguardo
severo,
portava fieramente il suo fischietto appeso al collo e non tardava ad
utilizzarlo. Era insopportabile e el suo bersaglio preferito pareva che
fossi
proprio io. Non so quante volte mi aveva fischiato nelle orecchie.
Ammetto che
io ero esasperante. Dopo che mi aveva ripetuto tre volte la posizione
corretta
per fare un affondo, ero riuscita a sbagliare tutto. Al che era
arrivato il
fischio, secco e acuto, al mio timpano, seguito a ruota dalla sua
“dolcissima” voce
che mi sgridava. “Non è quella la posizione,
possibile che te la sei già
dimenticata? Gamba destra avanti e sinistra indietro, un passo in
avanti con la
destra accompagnato dal busto e allunghi il braccio, non è
così difficile”.
La
scena si era ripetuta più o meno per ogni singolo mio
movimento, al che ad un
certo punto provai l’istinto di farle ingoiare il fischietto
con tutto il
cordino.
Par
contro, la mia partner, Julia, sembrava parecchio divertita. Cercava di
trattenere le risate ad ogni fischio e io l’avevo fulminata
con gli occhi più
di una volta. A lei non aveva mai detto niente, non era giusto! Anche
Marta
rideva, dal suo angolo in fondo alla stanza, e ciò non mi
aiutava affatto.
Dall’altra
parte della palestra, Orlando e Sean invece sembravano Artù
e Lancillotto. La
loro istruttrice non aveva molto lavoro da fare, pareva fossero nati
con una
spada in mano. Non sbagliavano un affondo e duellavano con una
naturalezza ed
eleganza naturale. Provai una fitta di invidia. Erano davvero bravi,
sopratutto
Orlando. Affondo, parata, affondo, parata, pareva danzasse. Aveva i
capelli
lunghi e scuri legati dietro da un codino, la tuta blu notte marcata
Kappa e
una maglietta bianca che gli evidenziava il torace.
L’abbigliamento era
semplice, eppure lui sembrava un Dio greco lo stesso. Era davvero
bello.
Par
contro, il povero Ralph sembrava che avesse intrapreso una crociata
personale
contro tutta la categoria della spade, dalle sciabole ai fiorini. Non
riusciva
a fare un affondo degno di questo nome, esattamente come me. Mi
rincuorò un
poco. Però, a differenza di me, non aveva
un’anatra starnazzante incollata
all’orecchio. La sua insegnante, una ragazza molto carina con
una fluente coda
bionda, doveva essere molto paziente, perché ogni volta che
sbagliava gli ripeteva
con calma la posizione corretta, senza urlare, e sorridendo gli faceva
l’ennesima dimostrazione pratica. Tra poco gli chiedevo se si
poteva fare
cambio. Le mie rosee congetture furono però interrotte da
attacco a tradimento
da parte di Julia, che mi riportò al presente.
Dopo
quattro ore di affondi, dei quali, tra parentesi, non me ne era venuto
manco
uno, finalmente Carol-istruttrice-sergente militare, decretò
la fine della
lezione. Qualcuno aveva ascoltato le mie preghiere. Tutta la mia voglia
di imparare
a tirar di scherma era svanita appena quella donna aveva aperto bocca.
Mi
trascinai fino allo spogliatoio chiacchierando con Julia.
“Non
è stata male come prima lezione” mi disse
prendendomi in giro.
“Parla
per te, io temo che di averci rimesso l’udito a causa di
tutti quei fischi.” Mi
lamentai.
“è
il suo mestiere correggere chi sbaglia, non può dirti che
vai bene se non è la
realtà, e ti assicuro che i tuoi affondi avevano bisogno di
una revisionata” si
intromise Marta, ancora ridendo
“Ahaha,
a parte gli scherzi, Carol è stata un po’ severa
con te, sembrava che non fossi
capace di tenere in mano un qualsiasi oggetto, non solo una
spada” mi difese
Julia.
Quella
ragazza iniziava a starmi sempre più simpatica.
“Grazie Julia”.
Mentre
uscivamo dal mio inferno personale, con la coda dell’occhio
notai che Orlando e
Sean proseguivano con l’addestramento, come due spadaccini
provetti. Ralph
Fiennes aveva finito invece e si stava già cambiando.
“Certo
che ne hanno di energie quei due” commentò Julia.
La
fissai, e con una certa soddisfazione notai che anche lei non era
immune al
fisico di Orlando. Lo stavo guardando con lo stesso interesse che avevo
io
prima.
“Più
di me di sicuro” le risposi sorridendo e raggiungendo la
porta dello
spogliatoio.
♥
“Quanto
tempo abbiamo?”
“3
ore, dopodichè devi imparare a montare un cavallo”
mi rispose Marty guardando il suo Swatch grigio metallizzato con il
bordo dorato.
“Incredibile,
ho quattro ore libere?”
“Non
ti ci abituare, quando dovremo girare non ne avremo neanche
mezza” una
voce dolce e profonda mi raggiunse da dietro. Quando mi girai, un
sorriso a
trentadue denti mi accolse, accompagnato da due occhi nocciola che mi
fissavano
divertiti. Anche Orlando si era cambiato e aveva raggiunto me, Marty,
Julia e
Ralph. Dalla tuta blu era passato ad un look casual, jeans chiari, in
alcuni
punti strappati come impone la moda, una maglia nera e un giubbotto
anch’esso
di jeans.
Nel
complesso? Un piacere per gli
occhi.
“Allora
è meglio che ne
approfitto, casa mia non può rimanere spoglia per sempre. A
proposito, sai per
caso dove posso trovare un mobilificio? Tipo l’Ikea,
Casa del Mobile…?”
chiesi, lieta di poter istaurare una discussione con lui. Prima di
iniziare le
riprese mi ero prefissata di stringere un minimo di amicizia con tutti,
primo
perché ci sarebbe stata più armonia e
complicità tra un ciack e l’altro ed era
essenziale per un buon film, secondo perché ero venuta a
Londra anche per
ampliare il giro delle mie conoscenze, volevo cambiare aria, conoscere
gente
nuova e stringere nuove amicizie.
Lui
soppesò un attimo la mia
domanda. “Non conosco quelli che hai nominato tu ma che io
sappia qui vicino c’è Mobile
Here. È molto grande e ben fornito, ho comprato
tutto l’arredamento del
salotto là. È lungo questa strada, alla seconda
traversa svolti a sinistra e
sei arrivata.”
Ma
che ragazzo d’oro. “Grazie,
allora ci farò un salto prima di andare ad ippica, anzi,
conoscendomi è meglio
che mi avvii subito”
“Figurati.
Ci vediamo alle tre
allora. Good shopping”
“Thanks,
good bye everybody”
dissi poi rivolta al resto del gruppo, alla quale si era aggiunto anche
Sean
Bean.
Marta
ed io uscimmo dal centro
sportivo e raggiungemmo la nostra auto.
“Cosa
facciamo? Andiamo subito al
mobilificio?” mi chiese.
Ci
pensai un attimo, ma fu il mio
stomaco a decidere per me, brontolando sonoramente.
Marta
rise e io sprofondai
nell’imbarazzo. “Capito, andiamo a casa a pranzare,
i mobili attenderanno”
“Si
è meglio” risposi pregustando
una buona pastasciutta.
♥
“è
meglio blu, rosso, bianco o
nero secondo te?”
Il
quesito era di vitale
importanza, e io ci stavo riflettendo da ben quindici minuti.
“Betta,
è un tappeto, non una
questione di stato” a Marta stavano saltando i nervi.
“No,
non è un tappeto”
le feci il verso “è il NOSTRO
tappeto e dovrà fare bella mostra di sé a casa
NOSTRA, quindi deve essere
quello giusto”
Continuai
a fissare a lungo i due
tappeti e pelo alto, morbidi e soffici, i miei preferiti, ancora a
lungo,
finché la mia agente non fece un’osservazione
illuminante.
“Pensa
a che colore vorresti
dipingere le pareti del tinello”
Mi
si accese la lampadina. Sapevo
esattamente che colore volevo per quei muri, arancione.
“Deciso,
lo prendo rosso, che te
ne pare?” con un sorriso degno di una bimba di cinque anni,
guardai Marta.
Lei
alzò gli occhi al cielo. “Va
benissimo” rispose esasperata, senza comprendere il mio
entusiasmo per
l’acquisto. Mi aveva esplicitamente detto che non le
interessava minimamente
che mobili avrei scelto per la casa, a patto che non avessi messo piede
in
camera sua, e quindi il suo interesse nel mio acquisto era minimo.
Nonostante
ciò aveva pazientemente deciso di accompagnarmi al negozio
lo stesso.
“Yuppie,
comprato all’ora!”
Lo
misi nel carrello, piegandolo
con cura. Per fortuna non era molto grande, la misura giusta per stare
sotto il
tavolo in cucina. Finalmente non avrei più dovuto sopportare
quell’obbrobrio
marroncino.
Il
carrello comprendeva già un
lampadario con la ventola in legno, destinato anche quello per la
cucina, e una
lampada rosa, con la base decorata da ghirigori complessi, per la
scrivania in
camera mia.
Il
lampadario mi aveva colpito
particolarmente. Le ventole erano in ciliegio, intersiate
anch’esse con dei
piccoli disegni sui bordi, mentre le quattro lampade che le univano
erano di un
bianco latte e avevano la forma dei petali di un fiore. Assomigliavano
a
quattro campanelle. Stupendo.
La
mia manager mi aveva
gentilmente fatto notare che solitamente si inizia ad arredare una casa
dai
mobili e non dagli accessori, ma quel giorno avevamo solo due ore,
tempo
insufficiente per scelte complicate come cucina, divani o librerie. Per
quelli
mi sarei dovuta prendere una giornata intera.
“Bene,
sono le due, abbiamo
giusto il tempo per andare a casa a cambiarci e andare ad
ippica” decretai
diligente, guardando l’ora.
“Incredibile,
tu che rispetti un
orario, Londra fa miracoli”
Le
feci la linguaccia.
Pagammo
il conto e grazie a
qualche miracolo, riuscimmo a caricare tutto in auto. Da fuori non
avrei mai
detto che la
Pegeout
fosse così capiente.
Con
calma raggiungemmo la villa e
depositammo lampade e tappeti nel corridoio. Il tappetino marrone aveva
le ore
contate, me ne sarei sbarazzata con gioia dopo la lezione di quel
pomeriggio.
Mi
cambiai indossando dei jeans comodi e una camicetta a mezze maniche.
Marta era come sempre perfetta in un completo beige pantalone
e giacca.
♥
A
bordo della sua macchina
metallizzata giungemmo a destinazione con il tetto abbassato. La
giornata era
calda, il sole era alto e faceva bella mostra di sé in un
cielo limpido. Il
tragitto fu più lungo del precedente, la nostra meta
infatti, un piccolo
maniero, era leggermente fuori città, a poco più
di venti minuti di viaggio
senza traffico.
“Go
Horse-Riding” era l’insegna
in legno che ci indicò che eravamo giunti a destinazione.
L’edificio
era ben tenuto, in
mattoni come la palestra, ma totalmente diverso. Era vissuto e
trasmetteva un
senso di familiarità incredibile. Era uno di quei luoghi
dove ti senti subito a
tuo agio, non freddo e impersonale come gli edificio pubblici di un
centro
cittadino. Aveva il sapore delle cose vecchie, fresche e genuine,
come il pane fatto in casa. Mi piacque subito.
Un
grande portone aperto
permetteva l’accesso ad un cortile spazioso dove si poteva
parcheggiare. Quando
entrammo notammo tre auto. Una multipla blu, una mercedes nera e una
cabriolet
rossa fiammante. Di sicuro tre dei miei colleghi erano già
arrivati. Sbavai
circa dieci minuti sull’ultima macchina, era magnifica, prima
o poi me ne sarei
comprata una.
Due
secondi dopo essere scese
dalla nostra auto notai con disappunto il selciato irregolare. Era
tutta
ghiaia, e al momento stava facendo una guerra spietata alle mie povere
nike nere. Ormai erano quasi diventate bianche, avrei dovuto pulirle
tornati a casa.
Alzando
la testa da terra, trovai
che il maniero da dentro era ancora più grazioso. Quattro
mura rosse
circondavano il parcheggio. L’edificio rettangolare aveva due
piani e numerose
finestre, dalla quale spuntavano dei fiori di campo di tutti i
colori. Un’edera rigogliosa ricopriva buona parte della
parete alla destra del
portone, mentre quella di fronte contava un’altra grande
porta che conducevano
ad uno spazio aperto molto ampio, da quello che potevo scorgere.
“Di
là” mi informò Marta,
precedendomi diretta proprio a quest’ultima apertura.
Un
clacson ci bloccò a metà
strada. Mi voltai sorpresa, e vidi un mano che mi salutava dal
finestrino di
una porsches nera metallizzata. La musica tecno trasmessa dal potente
stereo
dell’auto si sentiva da lì.
Le
mie labbra si curvarono
automaticamente in un sorriso quando dall’auto scese il
futuro Learco.
“Ciao
ragazze” ci salutò allegro,
togliendosi gli occhi da sole griffati Armani.
“Ciao”
risposi io. Ecco, lo stato
di trance che mi prendeva quando ero a meno di un metro da
quell’uomo era
tornato a trovarmi. Pian piano la mia lucidità stava
svanendo. Orlando aveva su
di me un incredibile ascendente
“Ciao”
mi fece eco Marta “Bene,
ora che non sei più sola posso anche andare, ho quel
lavoretto da sbrigare. Vi
auguro una buona lezione ad entrambi” aggiunse poi,
tranquilla, come se avesse
appena salutato il giardiniere. In quel momento la invidiai tantissimo,
possibile che lei non si facesse intimidire mai da nessuno? Come poteva
essere
immune a quel viso d’angelo?
“Grazie,
buon lavoro anche a te”
le rispose impeccabile, con quella sua voce soffice e indimenticabile.
“Ci
vediamo dopo Betta” mi salutò
nuovamente Marta, con un tono di voce un po’ più
alto del normale.
Probabilmente l’aveva fatto a posta, giusto per svegliarmi
dallo stato di
catalessi in cui ero momentaneamente caduta.
Funzionò.
Scossi
impercettibilmente la testa e sorridendole la salutai.
“è
un’ottima manager, non ti
lascia sola un attimo, vero?” mi domandò mentre ci
dirigevamo verso il cortile
esterno, insieme.
Era
la prima volta che stavo sola
con lui, e intraprendere una discussione, seppur leggera, mi fece un
certo
effetto. Io, Elisabetta Sogni, stavo chiacchierando del più
e del meno con LUI,
Orlando Bloom, mio idolo personale, e mi accingevo a frequentare,
sempre con
lui, un corso di ippica per girare un film assieme. Il mondo doveva
aver
iniziato a girare al contrario.
Ci
misi qualche secondo più del
dovuto per rispondere, ma alla fine riuscii a formulare una frase di
senso
compiuto.
“Ehm,
si, si, è una donna
eccezionale, si divide in quattro e fa di tutto per me e per la mia
carriera, è
impagabile. Però prima di essere la mia agente è
l’amica più cara che ho”.
“Si
vede che non siete solo
colleghe. C’è molta complicità tra voi.
L’avevo già vista prima che arrivassi a
Londra, e si nota subito che prende il suo lavoro molto a cuore
perché non
opera per una normale cliente ma per una persona a cui vuole bene. Ti
ha
persino accompagnato a scherma, né Jonathan, il mio manager,
né altri lo hanno
fatto.”
Rimasi
affascinata dal suo breve
discorso. Era un acuto osservatore, conosceva da poco sia me che Marta
ma aveva
compreso bene il nostro legame. Di solito i ragazzi non avevano tutta
questa perspicacia in questi ambiti.
“
è una cara amica, si è
anche preoccupata di trovare una casa vicino al centro, una villetta
stupenda”
“Quella
che devi arredare giusto?
Ah, sei poi andata al mobilificio?” si informò
mosso da un vivo interesse per i
miei acquisti casalinghi, non per cortesia. Mi fissava curioso con i
suoi
meravigliosi occhi castani.
Lusingata,
non esitai a
rispondere. “Si, siamo riuscite a trovare il negozio,
è molto ampio e fornito,
avevi ragione. Ho già comprato un tappeto, un lampadario e
una lampada da
scrivania, ma ho visto dei mobili molto interessanti, appena ho un
po’ di tempo
in più ci rivado per comprarli, grazie del
consiglio”
“Lieto
di essermi reso utile” mi
sciolse con un sorriso a trentadue denti.
Per
non rischiare di rimanerne
abbacinata come prima puntai lo sguardo attorno a noi. Senza
accorgermene
eravamo entrati nell’altro cortile. Era davvero enorme, una
spazio aperto pieno
di betulle e alberi da frutto. Al centro stavano degli ostacoli da
saltare a
cavallo e dei percorsi vari. Poco più in là un
recinto per i meno esperti, per
imparare a stare sopra un cavallo senza rompersi il collo.
Probabilmente io
avrei iniziato da lì, anche se non ero sicura di uscirne
indenne lo stesso.
“Che
bel posto, mi è piaciuto da
subito” esclamò Orlando, guardandosi attorno anche
lui.
“Si, piace
anche a me”
“La
stalla è di là, immagino che
Ralph e gli altri saranno già lì. Sai montare a
cavallo?” aggiunse poi. Ahaha,
cos’era? Una battuta? Io fantina? Era un miracolo se non
cadevo dalla
bicicletta. Ma essendo terribilmente masochista, per uno strano senso
del
destino, invece di essere terrorizzata all’idea di trovarmi
di fronte ad un
equino di due metri e mezzo, ero entusiasta all’idea di
provare. A pensarci meglio però era un bene che il mio
spirito di sopravvivenza fosse momentaneamente
in vacanza, altrimenti non avrei mai avuto il coraggio di arrivare fin
lì.
“No”
fu la mia risposta sincera
“ma non è mai troppo tardi per imparare, giusto?
Tu invece?” chiesi a mia
volta.
“Si,
la maggior parte dei film
che ho fatto lo richiedevano, alla fine ho imparato per forza. Comunque
non è
difficile, la parte più dura è restare in sella,
una volta appreso quello il
resto viene naturale.” Mi rassicurò.
Con
queste erano due. Prima la
scherma e ora l’equitazione. Sapevo già che anche
con l’arco era un asso. Era
la personificazione di Legolas dopotutto, di sicuro non avrà
avuto le capacità
dell’elfo nel film ma l’arma la sapeva usare.
Entrammo
nella stalla dal portone
socchiuso e, come aveva previsto Orlando, Julia, Ralph e Sean erano
già lì,
insieme ai nostri futuri insegnanti di equitazione. Accanto al loro
cinque quadrupedi
grossi il quadruplo di me facevano bella mostra di sé
nitrendo e scuotendo la
criniera. Evidentemente lo spirito di sopravvivenza doveva essere
appena
tornato perché iniziai a sentire un certo timore che faceva
piazza pulita del
mio entusiasmo. Forse l’idea di un’altra commedia
non era poi così malvagia…
Imitando gli animali, scossi la mia di testa per scacciare quel
pensiero. Ero
lì per una ragione, e nessun equino mi avrebbe fermata,
parola di Betta.
Mi
avvicinai cercando di non
guardare le creature e salutai i presenti. Gli istruttori si
presentarono,
erano in quattro, due uomini, Kevin e Clark, una donna giovane,
Michelle e un
uomo più anziano sulla cinquantina, Micheal.
“Allora,
chi tra voi sa già
montare?” indagò Micheal.
Orlando
e Sean risposero
affermativamente, ammiccandosi a vicenda. Prevedibile.
Io
sospirai, pronta per
l’ennesima figuraccia dopo le spade. Pazienza.
“Bene,
allora voi vi allenerete
assieme a me e a Kevin nel percorso a ostacoli dopo un giro di
riscaldamento”
predispose la donna, una giovane castana chiara e con un fisico molto
minuto,
indicando l’uomo alto e slanciato accanto a lei.
“Voi
altri, invece” riprese
l’uomo più vecchio “imparerete a montare
con me e Clark” e accennò al giovane
trentenne, più basso di Kevin ma con un fisico ben
proporzionato al suo corpo.
Iniziai
a sentirmi male, quasi
quasi chiedevo se le lezioni pratiche si potessero rimandare a tempo
indefinito.
Una
rapida occhiata al viso della
mia giovane collega mi confortò. Era della mia stessa
tonalità biancastra, non
ero l’unica a temere i quadrupedi giganti.
Uscimmo
tutti e nove dalla stalla
portandoci le creature a presso. Orlando e Sean stavano già
prendendo
confidenza con i loro rispettivi cavalli accarezzandone i musi e
affermando, da
semi-esperti, che erano due esemplari molti ben tenuti e belli, facendo
varie
affermazioni a sostegno del loro giudizio. Io non me ne intendevo
minimamente e
capii meno della metà del loro discorso, però
accantonando momentaneamente la
paura, potevo darli ragione relativamente alla bellezza. Erano grandi e
mi
mettevano in soggezione, però erano delle creature maestose,
trasmettevano
potenza. Il destriero di Orlando era nero pece, con una folta criniera
dello
stesso colore, che esibiva scuotendola, mentre quello di Sean era
castano scuro
con la criniera di una tonalità più chiara. Si
guardavano attorno, padroni del
luogo e della situazione. Pareva che ai due giovani ragazzi facessero
la grande
concessione di cavalcarli. Quest’ultimi difatti erano appena
saliti con un balzo
sulla groppa degli animali, prendendo con non-chalance le redini e
ridendo tra
loro. Che invidia.
Un’ombra
gigantesca mi oscurò
all’improvviso, facendomi distogliere lo sguardo dai due
fantini. Sorpresa mi
girai per vedere la fonte di tale oscurità. Il mio cuore
perse un colpo. Ad un
palmo di distanza dal mio volto c’era quello che avrebbe
dovuto essere la mia
cavalcatura. Feci un salto all’indietro sgranando gli occhi.
Quello intanto
continuava a fissarmi, scuotendo nervoso la testa e scalciando con la
zampa
sinistra. E no, iniziavamo molto male se si presentava così.
“Vieni,
ti aiuto a salire”
Micheal mi si era avvicinato, probabilmente allarmato dal mio sguardo
impaurito, e mi porgeva la mano gentilmente. Incredibile, dopo la pazza
sclerata di scherma finalmente qualcuno di normale.
Lo
seguii fino alla staffa destra
attaccata alla sella. Mi consigliò di mettere entrambe le
mani all’inizio della
sella, il piede sinistro sulla staffa e di spingere con quello destro
per
issarmi su. Mi aiutò a salire spingendomi da dietro.
Abbastanza imbarazzante ma
funzionò, mi ritrovai seduta sull’equino
marroncino chiaro e la criniera
avorio. Guardai sotto. Non ero così distante da terra come
temevo ma abbastanza
da rompermi il collo in caso di caduta. Sperai ardentemente che
qualcuno lassù
avesse dieci minuti da dedicarmi.
Girandomi
vidi Julia alla mia
destra, che come me stava calcolando la distanza tra lei e
l’erba. Le lanciai
un sorriso mesto, come a dire: “Tranquilla, ti
capisco”.
Micheal,
in groppa al suo
cavallo, mi si era intanto avvicinato. “Allora, iniziamo,
prima di tutto devi
prendere le redini con mano ferma” e
fin
qui tutto ok. Presi le redini. “Poi dai un lieve colpo con i
talloni al fianco,
lieve mi raccomando, altrimenti inizia a correre e per una principiante
non è
il caso, e dai anche un piccolo colpo con le redini spingendo in avanti
il
busto” Lieve colpo. Memorizzai a macchinetta.
“Tieni ben strette le redini, non
le devi mai lasciare andare o sono guai e…” un
nitrito e un funesto rumore di
zoccoli ci fecero voltare entrambi. Mentre Clark insegnava a Ralph a
montare,
Julia era rimasta sola alle prese con il suo destriero che aveva
cominciato a
scalpitare nervoso. Mi preoccupai, Julia era brava quanto me come
fantina e ciò
era tutto dire, e se il quadrupede avesse iniziato ad impennarsi e a
correre la
ragazza si sarebbe fatta male senz’altro.
“Tu
prova a fare qualche passo,
torno subito” Micheal fu vicino alla mia collega in un
secondo e con
l’esperienza dalla sua cercò di calmare
l’animale finché stava ancora solo
scalpitando, cercando di capire cosa lo stesse facendo imbizzarrire.
Con poche
ma abili mosse l’istruttore riuscì a riportarlo
alla tranquillità, con grande
sollievo di Julia. Pericolo scampato.
Liberando
un respiro, mi
concentrai sul mio di cavallo. Oddio, cos’è che
dovevo fare? Ah, già. Un colpo
con i tacchi e uno con le redini. Ce la potevo fare. In più
il mio equino
sembrava più quieto di quello della mia amica. Un respiro
profondo e…via!
Spronai il cavallo con un forte colpo di talloni. Neanche mezzo secondo
dopo mi
maledissi mentalmente. Forte, il colpo lo avevo dato troppo forte! Il
cavallo
prese a scalpitare e ad alzare di poco le zampe anteriori, per iniziare
a
correre sempre più velocemente. Iniziavo a vedere il
paesaggio scivolarmi accanto
e io strinsi più che potei le redini. Cavolo, cavolo,
cavolo!!!!
“Aiuto!
Aiuto, aiutatemi!” urlai,
sbarrando gli occhi e sperando con tutta me stessa che qualcuno venisse
a
soccorrermi. Maledettissimi equini, altro che essere
“entusiasta all’idea di
provare”!
Ma
proprio mentre iniziavo a
recitare mentalmente il rosario, una voce calda e profonda mi
salvò dalla mia
caduta eminente.
“Fermo,
buono, buono”. Una mano
afferrò le mie briglie con fermezza e, grazie a qualche
miracolo, il cavallo si
calmò.
“è
tutto a posto, puoi aprire gli
occhi”. Ne aprii prima uno, per assicurarmi che fosse davvero
tutto finito, poi
aprii anche l’altro. Lentamente mi resi conto che il
paesaggio attorno a me si era fermato, ma il mio cuore non la voleva
smettere di galoppare ancora più veloce di come aveva fatto
il cavallo poco fa. Mamma che paura, ma chi me l'aveva fatto fare?
Mi
volsi verso Micheal con un
sorriso pieno di gratitudine ma… non era stato
l’istruttore a salvarmi. Nella
confusione che c’era stata non avevo riconosciuto la voce ma
gli occhi castano
scuri che mi scrutavano preoccupati erano inconfondibili. Orlando
teneva ancora
strette le mie redini, perfettamente a suo agio sul suo cavallo nero.
“Tutto
ok? Stai bene?” mi chiese
apprensivo.
Ma
che tenero. Rimasi un secondo
imbambolata ad osservarlo, incredula che era accorso a salvarmi e
ancora sotto shock a causa della corsa. Quando
mi ripresi me ne uscii con una serie di “Si, si, grazie, sto
bene”.
“Meno
male, avresti potuto farti
male sai? Da come stava andando il ritmo della corsa potevi arrivare
prima ad
una gara” la battuta era al puro scopo di farmi rinsavire e
io non gli negai la
risata, anche se debole.
Continuava a
fissarmi con ansia. Dieci
ad uno che era per il mio colorito verde pallido che ero certa di
avere. La
“corsetta” mi aveva messo in subbuglio lo stomaco
oltre che la mente.
“State
tutti bene? Scusami
Elisabetta, me ne sono accorto tardi, comunque non avrei dovuto farti
provare
la prima volta da sola. Meno male che l’hai aiutata tu, io
non sarei riuscito
ad arrivare in tempo.” Micheal era arrivato con una sequela
di scuse.
Si, non avresti dovuto lasciarmi sola, sei
un’idiotaaaaa!! Glielo
avrei voluto urlare in faccia, ma decisi di trattenermi. Non era il
caso di
inimicarsi un altro insegnante.
“Non
importa, adesso è tutto
finito e sono sana e salva” mentii sul
“sana”, e dall’occhiata scettica che
ricevetti da entrambi crede se ne accorsero anche loro.
“Come
va lì? Ci sono problemi?”
era Clark.
Ruotai
il busto quel tanto che
bastava per guardare gli altri presenti senza mettere troppo alla prova
il mio stomaco. Avevano tutti lo sguardo angosciato puntato
verso di noi. Mi sentii in dovere di tranquillizzarli.
Con
un sorriso tirato e un cenno
della mano, che staccai a fatica dalle briglie alla quale si erano
aggrappate, feci capire a loro che ero
ancora viva e vegeta.
“Bene,
io dovrei tornare da
Julia, prima che capiti un’altra situazione del genere,
Orlando, ti
dispiacerebbe farle fare un giro tu? Basta che la fai andare avanti,
neanche al
trotto.” Micheal si rivolse all’attore con tono
supplichevole. Forse era l'età che avanzava, magari un tempo
ce l'avrebbe fatta da solo anche con due alunne. Poverino.
Io
ero già pronta a dire che di
non preoccuparsi, che avrei aspettato pazientemente che Julia finisse
il suo
giro, così avrei avuto anche il tempo di riprendermi, ma il
mio collega accettò senza esitazioni. Rimasi di nuovo
piacevolmente
sorpresa. E poi dicevano che gli inglesi erano chiusi agli stranieri,
questo
ragazzo mi conosceva da meno di due giorni e mi trattava come una
persona cara,
salvandomi addirittura da un cavallo in piena corsa.
Quando
l’istruttore si fu
allontanato però non potei fare a meno di dirgli che non si
doveva sentire
obbligato a farlo, ma mi liquidò con
un’espressione ilare.
“Lo
faccio con piacere, e poi
Sean voleva gareggiare e dato che sono certo che avrei perso, mi evito
anche
una brutta figura.”
Risi,
contenta della prospettiva
di passare un po’ di tempo con lui, sperimentando la
veridicità del detto "non tutto il male vien per nuocere".
Andava a finire che avrei dovuto ringraziare il cavallo.
“Allora,
dai un leggero colpo con
i talloni e avanza con il busto, capito?”
“Ci
provo” risposi io, iniziando
a pregare. Per precauzione lui teneva ancora ben strette le mie
briglie, e ciò
un po’ mi rincuorava. Se fosse andata male anche stavolta
avrebbe potuto fare
un altro salvataggio miracoloso.
Diedi
un colpetto ai fianchi
dell’animale e mi sporsi in avanti. Il quadrupede
iniziò
ad avanzare con calma. Yuppie! Ce l’avevo fatta!
Gli
sorrisi meravigliata del mio
piccolo successo. Lui mi sorrise a sua volta e lasciò le mie
redini,
rilassandosi e stando al passo con il mio equino.
“Cosa
stavi urlando prima, quando
il cavallo ha iniziato a correre?” la domanda mi colse di
sorpresa.
“Ho
gridato aiuto, credo”
“No,
hai detto qualcosa di
diverso, tipo aito, uato, auto…” lo guardai
confusa finché non compresi.
“Ho
urlato aiuto, solo che l’ho
detto in italiano senza accorgermene evidentemente” presa dal
panico non avevo
fatto molto caso a certi dettagli.
“Ah,
capito” mi sorrise, dolce. “Allora,
com’è l’Italia?” aggiunse
intavolando una conversazione “Sai, è un paese che
mi
è sempre piaciuto anche se non ci sono mai andato”
Anche
se probabilmente me lo
diceva solo per cortesia, ero lusingata a nome dell’Italia,
“è
molto bella e soprattutto
varia, ogni regione ha una sua particolarità, un suo
dialetto, un piatto
tradizionale, dei monumenti. È molto artistica e
calda” mi sentii in dovere di
tessere le lodi del mio paese.
“Magari
un giorno mi accompagni a
visitarla” scherzò lui.
“Quando
vuoi” stetti al gioco io,
anche se non mi sarebbe dispiaciuto affatto fargli da guida turistica.
“Invece
qui a Londra come ti
trovi?” mi domandò.
“è
stupenda, era un sogno del
cassetto venire qui e non mi sembra vero che lo sto realizzando. In
più adoro
la mia nuova casa”
“Domani
vai a comprare gli altri
mobili?”
“Non
credo, dubito che Marta
possa accompagnarmi, credo abbia del lavoro da sbrigare” gli
risposi
abbassando la testa sconsolata. Non vedevo l’ora di tornarci,
però la mia
agente era impegnata.
“Se
vuoi posso accompagnarti io”.
La proposta mi sorprese tanto da farmi rialzare di botto la testa.
“Davvero?”
probabilmente
fraintese la mia incredulità perché
cercò di giustificarsi.
“Solo
se vuoi e se non sono
troppo indiscreto. Io domani ho la giornata libera dopo le lezioni,
quindi se
vuoi sono disponibile.” Era imbarazzato e provai subito a
formulare una frase
migliore di quella di prima.
“Si,
certo, a me farebbe molto
piacere, lo dicevo per te, sei propri sicuro di voler utilizzare un tuo
pomeriggio senza impegni per accompagnarmi a comprare i
mobili?” continuavo ad
essere incredula.
Lui
mi regalò un altro sorriso.
“Certo, è un’occasione per conoscersi un
po’ meglio, dato che dovremmo lavorare
insieme trovo importante stringere amicizia, non trovi? E poi mi fa
piacere
aiutarti ad ambientarti qui.”
Ma
che angelo, credevo che certi
personaggi esistessero solo nei film, o meglio, finora tutte le persone
che
avevo conosciuto erano così dolci solo dietro la cinepresa
per trasformarsi poi
in concentrati di egoismo una volta spenta la telecamera. Possibile che
esistessero ragazzi così premurosi? In più la
pensavamo alla stessa maniera.
“Lo
credo anch’io” fu la mia
brillante risposta. Ero troppo presa ad ammirarlo per formulare
qualcosa di
coerente.
“Bene,
passo da casa tua un’ora
dopo lezione di tiro con l’arco,
d’accordo?”
“Perfetto,
e grazie mille,
davvero”
“E
di cosa?” e mi fece
l’occhiolino. Il mio cuore perse un battito, ma fu un
secondo, una leggerissima
stretta al cuore durata un attimo, niente di più. Un minuto
dopo era già
dimenticato.
Chiacchierammo
ancora per
un’oretta, finché Micheal non ci
richiamò indietro. Il sole stava calando e
scoprii che Marta era già ritornata e che mi stava
aspettando vicino alla
stalla. Mi salutò con un cenno della mano. Chissà
da quanto tempo era lì.
Orlando
scese agilmente da
cavallo con un piccolo balzo. Invidiai la sua atleticità, di
certo non sarei
stata altrettanto brava. Guardai la distanza tra me e il duro terreno.
Mi dissi che se ero riuscita a salire in qualche
modo sarei riuscita anche scendere.
“Aspetta,
ti do una mano” la
calda voce divenuta familiare nell’arco di quel pomeriggio mi
raggiunse.
Molto
cavallerescamente si stava
avvicinando al mio fianco destro per aiutarmi.
“Prima
devi sfilare il piede
sinistro dalla staffa e metterlo vicino a quello destro” mi
consigliò. Lo feci,
ritrovandomi seduta di lato sulla sella. Dopo sentii due mani cingermi
i
fianchi e io istintivamente misi le mie sui suoi avambracci per far
leva. Mi sollevò di poco dal cavallo e un attimo dopo mi
ritrovai con i
piedi per terra illesa, senza rendermi conto che gli ero avvinghiata,
in una
momentanea fase di trance.
“Grazie”
“Dovere”
mi rispose scuotendo le
spalle. Il suo viso era incredibilmente vicino al mio, e mi stava
ancora
tenendo per i fianchi. I suoi occhi, ad un palmo di distanza dai miei,
mi
guardavano intensamente. Erano davvero splendidi, per non parlare della
forma
delle sue labbra, una morbida curva perfetta… il mio
cervello era decisamente
andato in stand-bye.
Il
cavallo scalciò e lanciò un
nitrito, facendoci allontanare l’un dall’altro.
Probabilmente fu quello a farmi
perdere altri due battiti, mi colse di sorpresa.
“Com’è
andata? A me è piaciuto
tantissimo, non vedo l’ora di rimontare” Julia ci
venne incontro entusiasta
della nuova esperienza, facendomi ricollegare definitivamente la spina.
“Anche
a me è piaciuto molto, quando
prendi un po’ di confidenza con il cavallo poi è
più facile stare in sella”
Alla fine dovevo ammetterlo, nonostante l’approccio
disastroso era piaciuto
anche a me fare equitazione. Anche se probabilmente la buona riuscita
del
pomeriggio non era tutto merito del quadrupede, ma decisi di non
soffermarmi su
quel pensiero.
“Sono
contenta di ritrovarti
tutta intera, sai?” Ci raggiunse anche Marta, sorridendomi.
“Ti ho osservata
prima, per essere la prima volta che montavi è andata
piuttosto bene.” si congratulò.
“Grazie,
grazie, troppo buoni” mi
vantai scherzosamente, facendo ridere il gruppetto.
“Io
devo andare ragazzi, allora
ci vediamo tutti quanti stasera al ristorante?” ci
salutò l’attrice inglese.
“Certo,
ci ritroviamo tutti più
tardi, dobbiamo andare anche io e la futura fantina qua
presente” rispose la
mia amica.
Salutammo
tutti e ci dirigemmo
verso la Peugeot.
Non
volevo andarmene, la giornata era davvero stata divertente. Mi consolai
con il
pensiero che non era ancora del tutto finita, la cena mi stava
aspettando.
|