Fanfic su attori > Orlando Bloom
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Autore: 68Keira68    27/04/2009    1 recensioni
Ciao
a tutti^^! Questa è la prima
volta che scrivo una ficcy su un attore e non potevo non farla sul
mitico
Orlando Bloom! Spero che vi piaccia e che commenterete numerosi^^! Ora
passo a
dirvi qualcosa sulla ficcy:
"Elisabetta Sogni è una
famosissima attrice italiana, ma ad un certo punto della sua breve ma
già
brillante carriera decide di sperimentare il cinema estero, e cosa
c'è di
meglio che un bel fantasy di produzione inglese? Nuovo regista, nuova
città e
nuova casa, ma probabilmente il cambiamento più grande lo
subirà il suo cuore
in questa nuova fase della sua vita, quando scoprirà che il
co-protagonista che
girerà il film assieme a lei è niente di meno che
Orlando Bloom, l'attore che
lei ammira più di chiunque altro""Aspetta, ti
aiuto" si avvicinò a me e appoggiò la sua mano
sulla mia, che al momento
aveva le nocche bianche a causa della forza con la quale stavo
stringendo
l'arco. Tutta colpa del nervosismo. E del mio cuore che aveva iniziato
a battere
a mille... Quando mise il suo mento nell'incavo del mio collo,
probabilmente
per avere il mio stesso punto di riferimento per il bersaglio, fu
troppo...
Sentivo il suo respiro vicino al mio orecchio, e i brividi che
trasmetteva
erano quasi insostenibili... Se non si fosse allontanato subito
probabilmente
me ne sarei infischiata di arco e cast e l'avrei baciato lì
davanti a
tutti....
Genere: Commedia, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Nuovo personaggio, Orlando Bloom
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Ciao a tutte^^ scusate il disastroso ritardo, non ci sono scuse degne di questo nome!!! Crcherò di essere più celere in futuro, lo prometto, anche se non sarò velocissima cercherò di non far passare di nuovo tutto questo tempo! Spero che leggiate in tanti questo cappy, mi scuso ancora e ora vi lascio alla lettura^^

kisskisses 68Keira68

Ringraziamenti:

Klood: grazie per aver recensito anke il cap due^^ non ti preoc, io sn contenta se mi segnalate gli errori così posso correggerli, altrimenti rimarrebbe sbagliato^^ e poi così miglioro il mio inglese, hihih^^ quindi grazie e quando vedi qualcosa che non va scrivilo tranquillamente^^ spero che ti piaccia anke questo cappy e ke lo recensirai^^ grazie ancora kisskisses 68Keira68

2_ Fiorini ed Equini

 

“Ehi, bell’addormentata, per favore, cerchiamo di non arrivare in ritardo al tuo primo giorno, ieri eravamo puntuali per chi sa quale miracolo, dubito che oggi avremmo la stessa fortuna”

Marta mi stava urlando contro di muovermi da più o meno una ventina di minuti.

“Un secondo e arrivo” le risposi dalla camera di sopra. Era incredibile come riuscissimo a comunicare con tanta facilità da una piano all’altro, considerando che lei era in cucina. Le cose erano due, o la casa aveva un eco straordinario, o sia io che Marty eravamo dotate di due bei polmoni.

“è quello che hai detto più o meno 1200 secondi fa, cara. Mi spieghi qual è la difficoltà di scegliere un vestito? Stai per consumare lo specchio, accidenti!”

Io sbuffai. Per fortuna questo non lo sentì. E già, per lei era facile, si era subito messa gonna e giacca et voilà! Era pronta. Ma io cosa dovevo indossare? Come diavolo ci si vestiva per una lezione di scherma?

Sentii dei passi per le scale. Fantastico, la mia amica probabilmente aveva intenzione di venirmi a prendere per la collottola, ma io ero ancora in biancheria intima! Dubito che sarei potuta andare in palestra con solo il reggiseno e le mutandine addosso!

“Betta, se non ti vesti entro cinque minuti ti ricevi un fioretto in testa” mi avvertì mentre spalancava la porta della camera.

“Sono indecisa! In teoria dovrei mettermi la tuta dato che dobbiamo fare allenamento, ma non vorrei sembrare poco professionale ad andare solo con quella! E poi mi vergognerei ad andare per le vie di Londra con solo dei pantaloni di tela addosso!” mi difesi.

Marta alzò gli occhi al cielo. “No, non ci credo, ti prego dimmi che non è questo il problema che ti poni da mezz’ora a questa parte”

“Mezz’ora, esagerata! Saranno a mala pena quindici minuti”

“Come minimo venti, ma non è questo il punto!” Mi guardò in cagnesco.

Io allora, fingendomi offesa provai a far valere le mie motivazioni. “è un problema serio! E tu che sei mia amica, al posto di stare qui a sgridarmi, dovresti suggerirmi una soluzione!”

La mia manager fece un profondo respiro, come per riprendere la calma, infine mi fissò dritta negli occhi e a denti stretti mi rispose “Elisabetta, dentro la palestra ci sono gli spogliatoi, devi portarti semplicemente una sacca con la tuta e le scarpe da ginnastica, ma per uscire puoi metterti quello che ti pare. Anche gli altri faranno così, credo che tutto il mondo quando deve andare ad allenarsi faccia così. Ti consiglierei di portarti anche un asciugamano e il bagnoschiuma per farti la doccia dopo, sempre là nella palestra. Ora hai capito?”

Io la guardai con la bocca spalancata, dopodichè mi sentii una benemerita idiota. È vero, gli spogliatoi, non li avevo minimamente considerati! Uffa però, non entravo in una palestra da sei anni e non ero mai stata una sportiva. L’unica attività motoria che ho fatto nel corso della mia breve vita è stata quella che mi costringevano a praticare a scuola.

“Ah.” Mi uscì semplicemente.

Marta scosse la testa e, dal silenzio che ne seguì, credo contò fino a dieci per evitare di sbraitarmi addosso.

“Io vado di sotto, se entro cinque minuti, e dico proprio CINQUE minuti, non sei pronta, ti porto là esattamente come sei” minacciò uscendo teatralmente dalla stanza.

Ok, con Marty non si scherza quando è arrabbiata. Avrei scommesso qualsiasi cosa che avrebbe messo in atto l’avvertimento se non mi fossi sbrigata.

Velocissima indossai i miei jeans preferiti (blu scuro, a vita bassa e con la gamba a sigaretta) e una camicetta bianca. Afferrai la mia tuta rossa e delle scarpe da ginnastica, li buttai dentro lo zainetto colorato e mi diressi velocemente in bagno per procurarmi asciugamano, spazzola, deodorante e bagnoschiuma. Infine mi catapultai nuovamente in camera per mettere delle ballerine nere. Pronta!

Presi giacca e zaino, e mi fiondai al piano di sotto.

“Spero sarai contenta, per fare in fretta ho infranto la barriera del suono e non mi sono nemmeno truccata!” inveii contro Miss Puntualità.

“Se serve a farti arrivare in orario sono contenta si, comunque stai benissimo anche senza lucidalabbra, tranquilla.”

Uffa, sapevo anche io che le mie labbra sopravvivevano senza lips-gloss, anzi, a meno che non avevo impegni importanti non mi truccavo neanche, e la palestra non era inclusa tra quelli, ma era una questione di principio, non sopportavo che qualcuno mi mettesse fretta! Purtroppo però dovevo anche ammettere che senza quel “qualcuno” probabilmente quel giorno sarei arrivata a destinazione per le due del pomeriggio anziché alle otto. Le otto, sigh, a causa di questo orribile orario mi ero dovuta svegliare alle sette! Dico, le SETTE!!!!! Per me è notte inoltrata, altro che mattina, la mia alba arriva verso mezzogiorno. Destino infame!

 

Uscimmo dalla villetta e ci avviammo per l’acciottolato rosso fino a raggiungere il cancelletto. Una volta chiuso alle nostre spalle quello, salimmo nella Peugeot di Marta, che ci aspettava parcheggiata tranquilla davanti a casa.

“Allora, il programma della giornata è semplice, lo ricordi?” mi domandò mentre sfrecciavamo verso la palestra.

“Si, non sono così smemorata! Lezione di scherma nella mattinata e tiro con l’arco nel pomeriggio, giusto?”

“No! Ecco, vedi che te lo eri già scordata? Alle tre hai ippica!” mi ricordò.

“Caspita è vero!” Mi sbattei una mano sulla fronte. E pensare che l’ultima cosa che avevo fatto ieri sera era stata leggermi la programmazione!

“Ecco, lasciamo stare è meglio. Comunque, io non starò con te oggi pomeriggio, ho del lavoro da sbrigare, quindi per favore, evita di cadere da cavallo solo perché non ci sono io a tenerti d’occhio, va bene?” mi ammonì.

“Ah, ah, come sei spiritosa! È la mia prima lezione, probabilmente il cavallo lo vedrò solo da lontano, figurati se me lo fanno montare! Ma cosa devi fare? Il tuo lavoro sono io e mi sembra di essere sistemata con un imminente futuro da cavallerizza”

Mi guardò di sottecchi sorridendo beffarda. “Difatti oggi pomeriggio lavoro proprio per te. Mi sto occupando di un contratto che prevedrebbe te come testimonial per una marca di profumi, il tuo impegno sarebbe minimo, un piccolo spot e qualche foto, ma ne ricaveresti un sacco di pubblicità”

Rimasi a bocca aperta. Wow, io testimonial? Fantastico!!

“Fico, e di quale marca si parla?” domandai contenta.

“Chanel. A quante pare è scaduto il contratto del Knightley.” Chanel! Ho già detto che adoro la donna che ho davanti? Però poi mi venne un dubbio.

“Scusami, ma come faccio ad essere presente a scherma, ippica, tiro con l’arco e chi più ne a più ne metta e fare in contemporanea questa pubblicità? Non ce la farò mai! E poi dove devo scattarle queste foto?”

“Cara, se ti dovessi occupare tu di tutte queste cose, io che ci starei qui a fare? Tu non ti preoccupare, ci penso io a far combaciare il tutto, tu pensa solo a diventare un buon fantino, ok?” scherzò.

“Sei mitica” la ringraziai. Evvai, prima il film e ora lo sponsor. Londra era la città dei miracoli.

 

Dopo poco arrivammo davanti alla suddetta palestra. Era piuttosto anonima, un edificio di mattoni rossi posta nel bel mezzo della via, con una grande insegna blu che recitava: “Sword’s Land”.

Entrammo dalla porta principale, molto grande e in vetro. Appena dentro ci accolse una temperatura fantastica, probabilmente merito di un buon condizionatore. C’era un piccolo corridoio che immetteva in un bivio. Le scritte rosse sopra due cartelli bianchi ci informarono che ha destra si trovavano gli spogliatoi e la palestra, mentre a sinistra c’era il centro informazioni.

Marta imboccò sicura il corridoio sinistro, dicendomi di attenderla lì un attimo. Di sicuro era andata a chiedere indicazioni a qualcuno. Difatti tornò poco dopo con un piccolo sorriso.

“Sono già arrivati tutti. Ti stanno aspettando di là in palestra, però prima devi passare per lo spogliatoi e cambiarti.”

“Bene” perfetto, come sempre ero l’ultima. Possibile che dovessi sempre distinguermi? Decisi di sorvolare. “Dov’è lo spogliatoio?” chiesi invece.

“Quello delle ragazze è infondo sulla destra. C’è un cartello enorme, se ti perdi anche qui finisci nel guiness dei primati” mi prese in giro. Le feci la linguaccia mentre mi avviavo verso la direzione indicatami, sperando di non perdermi davvero, perché in tal caso avrei fatta davvero una figuraccia, mi avrebbe preso in giro per un mese di fila.

“Vado a chiedere un’ultima cosa al punto informazioni, poi ti aspetto in palestra, ok? Tu sbrigati però!” mi urlò come ultima cosa.

Annuii distrattamente con la testa. Dopo pochi passi giunsi al cartello e imboccai sicura la porta dello spogliatoio femminile. Era piuttosto grande, due panche centrali e gli armadietti ai lati. In fondo c’era un’altra piccola porta che immaginai conducesse al bagno. Mi avvicinai all’armadietto più vicino e cominciai a cambiarmi. Tuta, maglietta con scritta rossa“Dance”, scarpe e coda di cavallo. I’m ready! Buttai la sacca e i miei vestiti dentro l’armadietto di fronte a me ed uscii dalla stanza.

Ero curiosa di vedere come si sarebbe svolta la lezione. Non avendo mai preso una spada in mano in vita mia la cosa mi eccitava, avevo smania di imparare. Soprattutto perché mi avevano assicurato che non dovevo fare alcun esercizio di riscaldamento. Meglio di così!

Nel corridoio c’erano altre due porte, ed escludendo quella dello spogliatoio maschile puntai sicura su un’entrata a due ante. Mi ritrovai in una spaziosa palestra. Le pareti erano bianche e il pavimento marroncino, come da manuale. Guardai con astio il quadro svedese posto in fondo alla sala e le quattro spalliere a lato. Tra me quegli attrezzi era in atto una guerra fredda da quando ero nata, ma finite le scuole avevamo firmato una specie di armistizio. Io non andavo da loro e loro non mi facevano rompere l’osso del collo. Patto che non avevo mai avuto difficoltà a rispettare.

Un campanello di voci richiamò la mia attenzione. Voltandomi notai che Orlando, Julia, Ralph, un altro uomo che riconobbi subito essere Sean Bean e due donne sulla trentina che immaginai essere le nostre istruttrici. Mi stavano chiamando e io non mi feci attendere. Anzi, erano già stati troppo gentili ad aspettarmi.

Hello everybody!” li salutai di rimando.

“Ciao, tu devi essere Elisabetta Sogni, ieri non ho avuto il piacere di conoscerti, comunque io sono Sean Bean” L’attore inglese non tardò a presentarsi molto cordialmente.

“Piacere mio” risposi stringendogli la mano.

“Perfetto ora che ci siamo tutti direi che possiamo iniziare la lezione” la voce di una delle due istruttrici ci richiamò tutti.

Per le tre ore seguenti mi sembrò di essere tornata a scuola. Le due donne si erano divise, una si occupava di me e di Julia, la mia partner per la mattinata, mentre l’altra aiutava Sean e Orlando, e faceva da partner a Ralph. La nostra insegnante aveva una voce da sergente e il portamento non era da meno. Dritta e rigida nel suo metro e settanta, capelli neri cortissimi e sguardo severo, portava fieramente il suo fischietto appeso al collo e non tardava ad utilizzarlo. Era insopportabile e el suo bersaglio preferito pareva che fossi proprio io. Non so quante volte mi aveva fischiato nelle orecchie. Ammetto che io ero esasperante. Dopo che mi aveva ripetuto tre volte la posizione corretta per fare un affondo, ero riuscita a sbagliare tutto. Al che era arrivato il fischio, secco e acuto, al mio timpano, seguito a ruota dalla sua “dolcissima” voce che mi sgridava. “Non è quella la posizione, possibile che te la sei già dimenticata? Gamba destra avanti e sinistra indietro, un passo in avanti con la destra accompagnato dal busto e allunghi il braccio, non è così difficile”.

La scena si era ripetuta più o meno per ogni singolo mio movimento, al che ad un certo punto provai l’istinto di farle ingoiare il fischietto con tutto il cordino.

Par contro, la mia partner, Julia, sembrava parecchio divertita. Cercava di trattenere le risate ad ogni fischio e io l’avevo fulminata con gli occhi più di una volta. A lei non aveva mai detto niente, non era giusto! Anche Marta rideva, dal suo angolo in fondo alla stanza, e ciò non mi aiutava affatto.

Dall’altra parte della palestra, Orlando e Sean invece sembravano Artù e Lancillotto. La loro istruttrice non aveva molto lavoro da fare, pareva fossero nati con una spada in mano. Non sbagliavano un affondo e duellavano con una naturalezza ed eleganza naturale. Provai una fitta di invidia. Erano davvero bravi, sopratutto Orlando. Affondo, parata, affondo, parata, pareva danzasse. Aveva i capelli lunghi e scuri legati dietro da un codino, la tuta blu notte marcata Kappa e una maglietta bianca che gli evidenziava il torace. L’abbigliamento era semplice, eppure lui sembrava un Dio greco lo stesso. Era davvero bello.

Par contro, il povero Ralph sembrava che avesse intrapreso una crociata personale contro tutta la categoria della spade, dalle sciabole ai fiorini. Non riusciva a fare un affondo degno di questo nome, esattamente come me. Mi rincuorò un poco. Però, a differenza di me, non aveva un’anatra starnazzante incollata all’orecchio. La sua insegnante, una ragazza molto carina con una fluente coda bionda, doveva essere molto paziente, perché ogni volta che sbagliava gli ripeteva con calma la posizione corretta, senza urlare, e sorridendo gli faceva l’ennesima dimostrazione pratica. Tra poco gli chiedevo se si poteva fare cambio. Le mie rosee congetture furono però interrotte da attacco a tradimento da parte di Julia, che mi riportò al presente.

 

Dopo quattro ore di affondi, dei quali, tra parentesi, non me ne era venuto manco uno, finalmente Carol-istruttrice-sergente militare, decretò la fine della lezione. Qualcuno aveva ascoltato le mie preghiere. Tutta la mia voglia di imparare a tirar di scherma era svanita appena quella donna aveva aperto bocca.

Mi trascinai fino allo spogliatoio chiacchierando con Julia.

“Non è stata male come prima lezione” mi disse prendendomi in giro.

“Parla per te, io temo che di averci rimesso l’udito a causa di tutti quei fischi.” Mi lamentai.

“è il suo mestiere correggere chi sbaglia, non può dirti che vai bene se non è la realtà, e ti assicuro che i tuoi affondi avevano bisogno di una revisionata” si intromise Marta, ancora ridendo

“Ahaha, a parte gli scherzi, Carol è stata un po’ severa con te, sembrava che non fossi capace di tenere in mano un qualsiasi oggetto, non solo una spada” mi difese Julia.

Quella ragazza iniziava a starmi sempre più simpatica. “Grazie Julia”.

Mentre uscivamo dal mio inferno personale, con la coda dell’occhio notai che Orlando e Sean proseguivano con l’addestramento, come due spadaccini provetti. Ralph Fiennes aveva finito invece e si stava già cambiando. 

“Certo che ne hanno di energie quei due” commentò Julia.

La fissai, e con una certa soddisfazione notai che anche lei non era immune al fisico di Orlando. Lo stavo guardando con lo stesso interesse che avevo io prima.

“Più di me di sicuro” le risposi sorridendo e raggiungendo la porta dello spogliatoio.

 

 

“Quanto tempo abbiamo?”

“3 ore, dopodichè devi imparare a montare un cavallo” mi rispose Marty guardando il suo Swatch grigio metallizzato con il bordo dorato.

“Incredibile, ho quattro ore libere?”

“Non ti ci abituare, quando dovremo girare non ne avremo neanche mezza” una voce dolce e profonda mi raggiunse da dietro. Quando mi girai, un sorriso a trentadue denti mi accolse, accompagnato da due occhi nocciola che mi fissavano divertiti. Anche Orlando si era cambiato e aveva raggiunto me, Marty, Julia e Ralph. Dalla tuta blu era passato ad un look casual, jeans chiari, in alcuni punti strappati come impone la moda, una maglia nera e un giubbotto anch’esso di jeans.

Nel complesso? Un piacere per gli occhi.

“Allora è meglio che ne approfitto, casa mia non può rimanere spoglia per sempre. A proposito, sai per caso dove posso trovare un mobilificio? Tipo l’Ikea, Casa del Mobile…?” chiesi, lieta di poter istaurare una discussione con lui. Prima di iniziare le riprese mi ero prefissata di stringere un minimo di amicizia con tutti, primo perché ci sarebbe stata più armonia e complicità tra un ciack e l’altro ed era essenziale per un buon film, secondo perché ero venuta a Londra anche per ampliare il giro delle mie conoscenze, volevo cambiare aria, conoscere gente nuova e stringere nuove amicizie.

Lui soppesò un attimo la mia domanda. “Non conosco quelli che hai nominato tu ma che io sappia qui vicino c’è Mobile Here. È molto grande e ben fornito, ho comprato tutto l’arredamento del salotto là. È lungo questa strada, alla seconda traversa svolti a sinistra e sei arrivata.”

Ma che ragazzo d’oro. “Grazie, allora ci farò un salto prima di andare ad ippica, anzi, conoscendomi è meglio che mi avvii subito”

“Figurati. Ci vediamo alle tre allora. Good shopping”

“Thanks, good bye everybody” dissi poi rivolta al resto del gruppo, alla quale si era aggiunto anche Sean Bean.

 

Marta ed io uscimmo dal centro sportivo e raggiungemmo la nostra auto.

“Cosa facciamo? Andiamo subito al mobilificio?” mi chiese.

Ci pensai un attimo, ma fu il mio stomaco a decidere per me, brontolando sonoramente.

Marta rise e io sprofondai nell’imbarazzo. “Capito, andiamo a casa a pranzare, i mobili attenderanno”

“Si è meglio” risposi pregustando una buona pastasciutta.

 

 

“è meglio blu, rosso, bianco o nero secondo te?”

Il quesito era di vitale importanza, e io ci stavo riflettendo da ben quindici minuti.

“Betta, è un tappeto, non una questione di stato” a Marta stavano saltando i nervi.

“No, non è un tappeto” le feci il verso “è il NOSTRO tappeto e dovrà fare bella mostra di sé a casa NOSTRA, quindi deve essere quello giusto”

Continuai a fissare a lungo i due tappeti e pelo alto, morbidi e soffici, i miei preferiti, ancora a lungo, finché la mia agente non fece un’osservazione illuminante.

“Pensa a che colore vorresti dipingere le pareti del tinello”

Mi si accese la lampadina. Sapevo esattamente che colore volevo per quei muri, arancione.

“Deciso, lo prendo rosso, che te ne pare?” con un sorriso degno di una bimba di cinque anni, guardai Marta.

Lei alzò gli occhi al cielo. “Va benissimo” rispose esasperata, senza comprendere il mio entusiasmo per l’acquisto. Mi aveva esplicitamente detto che non le interessava minimamente che mobili avrei scelto per la casa, a patto che non avessi messo piede in camera sua, e quindi il suo interesse nel mio acquisto era minimo. Nonostante ciò aveva pazientemente deciso di accompagnarmi al negozio lo stesso.

“Yuppie, comprato all’ora!”

Lo misi nel carrello, piegandolo con cura. Per fortuna non era molto grande, la misura giusta per stare sotto il tavolo in cucina. Finalmente non avrei più dovuto sopportare quell’obbrobrio marroncino.

Il carrello comprendeva già un lampadario con la ventola in legno, destinato anche quello per la cucina, e una lampada rosa, con la base decorata da ghirigori complessi, per la scrivania in camera mia.

Il lampadario mi aveva colpito particolarmente. Le ventole erano in ciliegio, intersiate anch’esse con dei piccoli disegni sui bordi, mentre le quattro lampade che le univano erano di un bianco latte e avevano la forma dei petali di un fiore. Assomigliavano a quattro campanelle. Stupendo.

La mia manager mi aveva gentilmente fatto notare che solitamente si inizia ad arredare una casa dai mobili e non dagli accessori, ma quel giorno avevamo solo due ore, tempo insufficiente per scelte complicate come cucina, divani o librerie. Per quelli mi sarei dovuta prendere una giornata intera.

“Bene, sono le due, abbiamo giusto il tempo per andare a casa a cambiarci e andare ad ippica” decretai diligente, guardando l’ora.

“Incredibile, tu che rispetti un orario, Londra fa miracoli”

Le feci la linguaccia.

Pagammo il conto e grazie a qualche miracolo, riuscimmo a caricare tutto in auto. Da fuori non avrei mai detto che la Pegeout fosse così capiente.

Con calma raggiungemmo la villa e depositammo lampade e tappeti nel corridoio. Il tappetino marrone aveva le ore contate, me ne sarei sbarazzata con gioia dopo la lezione di quel pomeriggio.

Mi cambiai indossando dei jeans comodi e una camicetta a mezze maniche. Marta era come sempre perfetta in un completo beige pantalone e giacca.

 

 

A bordo della sua macchina metallizzata giungemmo a destinazione con il tetto abbassato. La giornata era calda, il sole era alto e faceva bella mostra di sé in un cielo limpido. Il tragitto fu più lungo del precedente, la nostra meta infatti, un piccolo maniero, era leggermente fuori città, a poco più di venti minuti di viaggio senza traffico.

“Go Horse-Riding” era l’insegna in legno che ci indicò che eravamo giunti a destinazione.

L’edificio era ben tenuto, in mattoni come la palestra, ma totalmente diverso. Era vissuto e trasmetteva un senso di familiarità incredibile. Era uno di quei luoghi dove ti senti subito a tuo agio, non freddo e impersonale come gli edificio pubblici di un centro cittadino. Aveva il sapore delle cose vecchie, fresche e genuine, come il pane fatto in casa. Mi piacque subito.

Un grande portone aperto permetteva l’accesso ad un cortile spazioso dove si poteva parcheggiare. Quando entrammo notammo tre auto. Una multipla blu, una mercedes nera e una cabriolet rossa fiammante. Di sicuro tre dei miei colleghi erano già arrivati. Sbavai circa dieci minuti sull’ultima macchina, era magnifica, prima o poi me ne sarei comprata una.

Due secondi dopo essere scese dalla nostra auto notai con disappunto il selciato irregolare. Era tutta ghiaia, e al momento stava facendo una guerra spietata alle mie povere nike nere. Ormai erano quasi diventate bianche, avrei dovuto pulirle tornati a casa.

Alzando la testa da terra, trovai che il maniero da dentro era ancora più grazioso. Quattro mura rosse circondavano il parcheggio. L’edificio rettangolare aveva due piani e numerose finestre, dalla quale spuntavano dei fiori di campo di tutti i colori. Un’edera rigogliosa ricopriva buona parte della parete alla destra del portone, mentre quella di fronte contava un’altra grande porta che conducevano ad uno spazio aperto molto ampio, da quello che potevo scorgere.

“Di là” mi informò Marta, precedendomi diretta proprio a quest’ultima apertura.

Un clacson ci bloccò a metà strada. Mi voltai sorpresa, e vidi un mano che mi salutava dal finestrino di una porsches nera metallizzata. La musica tecno trasmessa dal potente stereo dell’auto si sentiva da lì.

Le mie labbra si curvarono automaticamente in un sorriso quando dall’auto scese il futuro Learco.

“Ciao ragazze” ci salutò allegro, togliendosi gli occhi da sole griffati Armani.

“Ciao” risposi io. Ecco, lo stato di trance che mi prendeva quando ero a meno di un metro da quell’uomo era tornato a trovarmi. Pian piano la mia lucidità stava svanendo. Orlando aveva su di me un incredibile ascendente

“Ciao” mi fece eco Marta “Bene, ora che non sei più sola posso anche andare, ho quel lavoretto da sbrigare. Vi auguro una buona lezione ad entrambi” aggiunse poi, tranquilla, come se avesse appena salutato il giardiniere. In quel momento la invidiai tantissimo, possibile che lei non si facesse intimidire mai da nessuno? Come poteva essere immune a quel viso d’angelo?

“Grazie, buon lavoro anche a te” le rispose impeccabile, con quella sua voce soffice e indimenticabile.

“Ci vediamo dopo Betta” mi salutò nuovamente Marta, con un tono di voce un po’ più alto del normale. Probabilmente l’aveva fatto a posta, giusto per svegliarmi dallo stato di catalessi in cui ero momentaneamente caduta.

Funzionò. Scossi impercettibilmente la testa e sorridendole la salutai.

 

“è un’ottima manager, non ti lascia sola un attimo, vero?” mi domandò mentre ci dirigevamo verso il cortile esterno, insieme.

Era la prima volta che stavo sola con lui, e intraprendere una discussione, seppur leggera, mi fece un certo effetto. Io, Elisabetta Sogni, stavo chiacchierando del più e del meno con LUI, Orlando Bloom, mio idolo personale, e mi accingevo a frequentare, sempre con lui, un corso di ippica per girare un film assieme. Il mondo doveva aver iniziato a girare al contrario.

Ci misi qualche secondo più del dovuto per rispondere, ma alla fine riuscii a formulare una frase di senso compiuto.

“Ehm, si, si, è una donna eccezionale, si divide in quattro e fa di tutto per me e per la mia carriera, è impagabile. Però prima di essere la mia agente è l’amica più cara che ho”.

“Si vede che non siete solo colleghe. C’è molta complicità tra voi. L’avevo già vista prima che arrivassi a Londra, e si nota subito che prende il suo lavoro molto a cuore perché non opera per una normale cliente ma per una persona a cui vuole bene. Ti ha persino accompagnato a scherma, né Jonathan, il mio manager, né altri lo hanno fatto.”

Rimasi affascinata dal suo breve discorso. Era un acuto osservatore, conosceva da poco sia me che Marta ma aveva compreso bene il nostro legame. Di solito i ragazzi non avevano tutta questa perspicacia in questi ambiti.

“ è una cara amica, si è anche preoccupata di trovare una casa vicino al centro, una villetta stupenda”

“Quella che devi arredare giusto? Ah, sei poi andata al mobilificio?” si informò mosso da un vivo interesse per i miei acquisti casalinghi, non per cortesia. Mi fissava curioso con i suoi meravigliosi occhi castani.

Lusingata, non esitai a rispondere. “Si, siamo riuscite a trovare il negozio, è molto ampio e fornito, avevi ragione. Ho già comprato un tappeto, un lampadario e una lampada da scrivania, ma ho visto dei mobili molto interessanti, appena ho un po’ di tempo in più ci rivado per comprarli, grazie del consiglio”

“Lieto di essermi reso utile” mi sciolse con un sorriso a trentadue denti.

Per non rischiare di rimanerne abbacinata come prima puntai lo sguardo attorno a noi. Senza accorgermene eravamo entrati nell’altro cortile. Era davvero enorme, una spazio aperto pieno di betulle e alberi da frutto. Al centro stavano degli ostacoli da saltare a cavallo e dei percorsi vari. Poco più in là un recinto per i meno esperti, per imparare a stare sopra un cavallo senza rompersi il collo. Probabilmente io avrei iniziato da lì, anche se non ero sicura di uscirne indenne lo stesso.

“Che bel posto, mi è piaciuto da subito” esclamò Orlando, guardandosi attorno anche lui.

“Si, piace anche a me” 

“La stalla è di là, immagino che Ralph e gli altri saranno già lì. Sai montare a cavallo?” aggiunse poi. Ahaha, cos’era? Una battuta? Io fantina? Era un miracolo se non cadevo dalla bicicletta. Ma essendo terribilmente masochista, per uno strano senso del destino, invece di essere terrorizzata all’idea di trovarmi di fronte ad un equino di due metri e mezzo, ero entusiasta all’idea di provare. A pensarci meglio però era un bene che il mio spirito di sopravvivenza fosse momentaneamente in vacanza, altrimenti non avrei mai avuto il coraggio di arrivare fin lì.

“No” fu la mia risposta sincera “ma non è mai troppo tardi per imparare, giusto? Tu invece?” chiesi a mia volta.

“Si, la maggior parte dei film che ho fatto lo richiedevano, alla fine ho imparato per forza. Comunque non è difficile, la parte più dura è restare in sella, una volta appreso quello il resto viene naturale.” Mi rassicurò.

Con queste erano due. Prima la scherma e ora l’equitazione. Sapevo già che anche con l’arco era un asso. Era la personificazione di Legolas dopotutto, di sicuro non avrà avuto le capacità dell’elfo nel film ma l’arma la sapeva usare.

 

Entrammo nella stalla dal portone socchiuso e, come aveva previsto Orlando, Julia, Ralph e Sean erano già lì, insieme ai nostri futuri insegnanti di equitazione. Accanto al loro cinque quadrupedi grossi il quadruplo di me facevano bella mostra di sé nitrendo e scuotendo la criniera. Evidentemente lo spirito di sopravvivenza doveva essere appena tornato perché iniziai a sentire un certo timore che faceva piazza pulita del mio entusiasmo. Forse l’idea di un’altra commedia non era poi così malvagia… Imitando gli animali, scossi la mia di testa per scacciare quel pensiero. Ero lì per una ragione, e nessun equino mi avrebbe fermata, parola di Betta.

Mi avvicinai cercando di non guardare le creature e salutai i presenti. Gli istruttori si presentarono, erano in quattro, due uomini, Kevin e Clark, una donna giovane, Michelle e un uomo più anziano sulla cinquantina, Micheal.

“Allora, chi tra voi sa già montare?” indagò Micheal.

Orlando e Sean risposero affermativamente, ammiccandosi a vicenda. Prevedibile.

Io sospirai, pronta per l’ennesima figuraccia dopo le spade. Pazienza.

“Bene, allora voi vi allenerete assieme a me e a Kevin nel percorso a ostacoli dopo un giro di riscaldamento” predispose la donna, una giovane castana chiara e con un fisico molto minuto, indicando l’uomo alto e slanciato accanto a lei.

“Voi altri, invece” riprese l’uomo più vecchio “imparerete a montare con me e Clark” e accennò al giovane trentenne, più basso di Kevin ma con un fisico ben proporzionato al suo corpo.

Iniziai a sentirmi male, quasi quasi chiedevo se le lezioni pratiche si potessero rimandare a tempo indefinito.

Una rapida occhiata al viso della mia giovane collega mi confortò. Era della mia stessa tonalità biancastra, non ero l’unica a temere i quadrupedi giganti.

 

Uscimmo tutti e nove dalla stalla portandoci le creature a presso. Orlando e Sean stavano già prendendo confidenza con i loro rispettivi cavalli accarezzandone i musi e affermando, da semi-esperti, che erano due esemplari molti ben tenuti e belli, facendo varie affermazioni a sostegno del loro giudizio. Io non me ne intendevo minimamente e capii meno della metà del loro discorso, però accantonando momentaneamente la paura, potevo darli ragione relativamente alla bellezza. Erano grandi e mi mettevano in soggezione, però erano delle creature maestose, trasmettevano potenza. Il destriero di Orlando era nero pece, con una folta criniera dello stesso colore, che esibiva scuotendola, mentre quello di Sean era castano scuro con la criniera di una tonalità più chiara. Si guardavano attorno, padroni del luogo e della situazione. Pareva che ai due giovani ragazzi facessero la grande concessione di cavalcarli. Quest’ultimi difatti erano appena saliti con un balzo sulla groppa degli animali, prendendo con non-chalance le redini e ridendo tra loro. Che invidia.

Un’ombra gigantesca mi oscurò all’improvviso, facendomi distogliere lo sguardo dai due fantini. Sorpresa mi girai per vedere la fonte di tale oscurità. Il mio cuore perse un colpo. Ad un palmo di distanza dal mio volto c’era quello che avrebbe dovuto essere la mia cavalcatura. Feci un salto all’indietro sgranando gli occhi. Quello intanto continuava a fissarmi, scuotendo nervoso la testa e scalciando con la zampa sinistra. E no, iniziavamo molto male se si presentava così.

“Vieni, ti aiuto a salire” Micheal mi si era avvicinato, probabilmente allarmato dal mio sguardo impaurito, e mi porgeva la mano gentilmente. Incredibile, dopo la pazza sclerata di scherma finalmente qualcuno di normale.

Lo seguii fino alla staffa destra attaccata alla sella. Mi consigliò di mettere entrambe le mani all’inizio della sella, il piede sinistro sulla staffa e di spingere con quello destro per issarmi su. Mi aiutò a salire spingendomi da dietro. Abbastanza imbarazzante ma funzionò, mi ritrovai seduta sull’equino marroncino chiaro e la criniera avorio. Guardai sotto. Non ero così distante da terra come temevo ma abbastanza da rompermi il collo in caso di caduta. Sperai ardentemente che qualcuno lassù avesse dieci minuti da dedicarmi.

Girandomi vidi Julia alla mia destra, che come me stava calcolando la distanza tra lei e l’erba. Le lanciai un sorriso mesto, come a dire: “Tranquilla, ti capisco”.

Micheal, in groppa al suo cavallo, mi si era intanto avvicinato. “Allora, iniziamo, prima di tutto devi prendere le redini con mano ferma”  e fin qui tutto ok. Presi le redini. “Poi dai un lieve colpo con i talloni al fianco, lieve mi raccomando, altrimenti inizia a correre e per una principiante non è il caso, e dai anche un piccolo colpo con le redini spingendo in avanti il busto” Lieve colpo. Memorizzai a macchinetta. “Tieni ben strette le redini, non le devi mai lasciare andare o sono guai e…” un nitrito e un funesto rumore di zoccoli ci fecero voltare entrambi. Mentre Clark insegnava a Ralph a montare, Julia era rimasta sola alle prese con il suo destriero che aveva cominciato a scalpitare nervoso. Mi preoccupai, Julia era brava quanto me come fantina e ciò era tutto dire, e se il quadrupede avesse iniziato ad impennarsi e a correre la ragazza si sarebbe fatta male senz’altro.

“Tu prova a fare qualche passo, torno subito” Micheal fu vicino alla mia collega in un secondo e con l’esperienza dalla sua cercò di calmare l’animale finché stava ancora solo scalpitando, cercando di capire cosa lo stesse facendo imbizzarrire. Con poche ma abili mosse l’istruttore riuscì a riportarlo alla tranquillità, con grande sollievo di Julia. Pericolo scampato.

Liberando un respiro, mi concentrai sul mio di cavallo. Oddio, cos’è che dovevo fare? Ah, già. Un colpo con i tacchi e uno con le redini. Ce la potevo fare. In più il mio equino sembrava più quieto di quello della mia amica. Un respiro profondo e…via! Spronai il cavallo con un forte colpo di talloni. Neanche mezzo secondo dopo mi maledissi mentalmente. Forte, il colpo lo avevo dato troppo forte! Il cavallo prese a scalpitare e ad alzare di poco le zampe anteriori, per iniziare a correre sempre più velocemente. Iniziavo a vedere il paesaggio scivolarmi accanto e io strinsi più che potei le redini. Cavolo, cavolo, cavolo!!!!

“Aiuto! Aiuto, aiutatemi!” urlai, sbarrando gli occhi e sperando con tutta me stessa che qualcuno venisse a soccorrermi. Maledettissimi equini, altro che essere “entusiasta all’idea di provare”!

Ma proprio mentre iniziavo a recitare mentalmente il rosario, una voce calda e profonda mi salvò dalla mia caduta eminente.

“Fermo, buono, buono”. Una mano afferrò le mie briglie con fermezza e, grazie a qualche miracolo, il cavallo si calmò.

“è tutto a posto, puoi aprire gli occhi”. Ne aprii prima uno, per assicurarmi che fosse davvero tutto finito, poi aprii anche l’altro. Lentamente mi resi conto che il paesaggio attorno a me si era fermato, ma il mio cuore non la voleva smettere di galoppare ancora più veloce di come aveva fatto il cavallo poco fa. Mamma che paura, ma chi me l'aveva fatto fare?

Mi volsi verso Micheal con un sorriso pieno di gratitudine ma… non era stato l’istruttore a salvarmi. Nella confusione che c’era stata non avevo riconosciuto la voce ma gli occhi castano scuri che mi scrutavano preoccupati erano inconfondibili. Orlando teneva ancora strette le mie redini, perfettamente a suo agio sul suo cavallo nero.

“Tutto ok? Stai bene?” mi chiese apprensivo.

Ma che tenero. Rimasi un secondo imbambolata ad osservarlo, incredula che era accorso a salvarmi e ancora sotto shock a causa della corsa. Quando mi ripresi me ne uscii con una serie di “Si, si, grazie, sto bene”.

“Meno male, avresti potuto farti male sai? Da come stava andando il ritmo della corsa potevi arrivare prima ad una gara” la battuta era al puro scopo di farmi rinsavire e io non gli negai la risata, anche se debole.

Continuava a fissarmi con ansia. Dieci ad uno che era per il mio colorito verde pallido che ero certa di avere. La “corsetta” mi aveva messo in subbuglio lo stomaco oltre che la mente.

“State tutti bene? Scusami Elisabetta, me ne sono accorto tardi, comunque non avrei dovuto farti provare la prima volta da sola. Meno male che l’hai aiutata tu, io non sarei riuscito ad arrivare in tempo.” Micheal era arrivato con una sequela di scuse.

Si, non avresti dovuto lasciarmi sola, sei un’idiotaaaaa!! Glielo avrei voluto urlare in faccia, ma decisi di trattenermi. Non era il caso di inimicarsi un altro insegnante.

“Non importa, adesso è tutto finito e sono sana e salva” mentii sul “sana”, e dall’occhiata scettica che ricevetti da entrambi crede se ne accorsero anche loro.

“Come va lì? Ci sono problemi?” era Clark.

Ruotai il busto quel tanto che bastava per guardare gli altri presenti senza mettere troppo alla prova il mio stomaco. Avevano tutti lo sguardo angosciato puntato verso di noi. Mi sentii in dovere di tranquillizzarli.

Con un sorriso tirato e un cenno della mano, che staccai a fatica dalle briglie alla quale si erano aggrappate, feci capire a loro che ero ancora viva e vegeta.

“Bene, io dovrei tornare da Julia, prima che capiti un’altra situazione del genere, Orlando, ti dispiacerebbe farle fare un giro tu? Basta che la fai andare avanti, neanche al trotto.” Micheal si rivolse all’attore con tono supplichevole. Forse era l'età che avanzava, magari un tempo ce l'avrebbe fatta da solo anche con due alunne. Poverino.

Io ero già pronta a dire che di non preoccuparsi, che avrei aspettato pazientemente che Julia finisse il suo giro, così avrei avuto anche il tempo di riprendermi, ma il mio collega accettò senza esitazioni. Rimasi di nuovo piacevolmente sorpresa. E poi dicevano che gli inglesi erano chiusi agli stranieri, questo ragazzo mi conosceva da meno di due giorni e mi trattava come una persona cara, salvandomi addirittura da un cavallo in piena corsa.

Quando l’istruttore si fu allontanato però non potei fare a meno di dirgli che non si doveva sentire obbligato a farlo, ma mi liquidò con un’espressione ilare.

“Lo faccio con piacere, e poi Sean voleva gareggiare e dato che sono certo che avrei perso, mi evito anche una brutta figura.”

Risi, contenta della prospettiva di passare un po’ di tempo con lui, sperimentando la veridicità del detto "non tutto il male vien per nuocere". Andava a finire che avrei dovuto ringraziare il cavallo.

 

“Allora, dai un leggero colpo con i talloni e avanza con il busto, capito?”

“Ci provo” risposi io, iniziando a pregare. Per precauzione lui teneva ancora ben strette le mie briglie, e ciò un po’ mi rincuorava. Se fosse andata male anche stavolta avrebbe potuto fare un altro salvataggio miracoloso.

Diedi un colpetto ai fianchi dell’animale e mi sporsi in avanti. Il quadrupede iniziò ad avanzare con calma. Yuppie! Ce l’avevo fatta!

Gli sorrisi meravigliata del mio piccolo successo. Lui mi sorrise a sua volta e lasciò le mie redini, rilassandosi e stando al passo con il mio equino.

“Cosa stavi urlando prima, quando il cavallo ha iniziato a correre?” la domanda mi colse di sorpresa.

“Ho gridato aiuto, credo”

“No, hai detto qualcosa di diverso, tipo aito, uato, auto…” lo guardai confusa finché non compresi.

“Ho urlato aiuto, solo che l’ho detto in italiano senza accorgermene evidentemente” presa dal panico non avevo fatto molto caso a certi dettagli.

“Ah, capito” mi sorrise, dolce. “Allora, com’è l’Italia?” aggiunse intavolando una conversazione “Sai, è un paese che mi è sempre piaciuto anche se non ci sono mai andato”

Anche se probabilmente me lo diceva solo per cortesia, ero lusingata a nome dell’Italia,

“è molto bella e soprattutto varia, ogni regione ha una sua particolarità, un suo dialetto, un piatto tradizionale, dei monumenti. È molto artistica e calda” mi sentii in dovere di tessere le lodi del mio paese.

“Magari un giorno mi accompagni a visitarla” scherzò lui.

“Quando vuoi” stetti al gioco io, anche se non mi sarebbe dispiaciuto affatto fargli da guida turistica.

“Invece qui a Londra come ti trovi?” mi domandò.

“è stupenda, era un sogno del cassetto venire qui e non mi sembra vero che lo sto realizzando. In più adoro la mia nuova casa”

“Domani vai a comprare gli altri mobili?”

“Non credo, dubito che Marta possa accompagnarmi, credo abbia del lavoro da sbrigare” gli risposi abbassando la testa sconsolata. Non vedevo l’ora di tornarci, però la mia agente era impegnata.

“Se vuoi posso accompagnarti io”. La proposta mi sorprese tanto da farmi rialzare di botto la testa.

“Davvero?” probabilmente fraintese la mia incredulità perché cercò di giustificarsi.

“Solo se vuoi e se non sono troppo indiscreto. Io domani ho la giornata libera dopo le lezioni, quindi se vuoi sono disponibile.” Era imbarazzato e provai subito a formulare una frase migliore di quella di prima.

“Si, certo, a me farebbe molto piacere, lo dicevo per te, sei propri sicuro di voler utilizzare un tuo pomeriggio senza impegni per accompagnarmi a comprare i mobili?” continuavo ad essere incredula.

Lui mi regalò un altro sorriso. “Certo, è un’occasione per conoscersi un po’ meglio, dato che dovremmo lavorare insieme trovo importante stringere amicizia, non trovi? E poi mi fa piacere aiutarti ad ambientarti qui.”

Ma che angelo, credevo che certi personaggi esistessero solo nei film, o meglio, finora tutte le persone che avevo conosciuto erano così dolci solo dietro la cinepresa per trasformarsi poi in concentrati di egoismo una volta spenta la telecamera. Possibile che esistessero ragazzi così premurosi? In più la pensavamo alla stessa maniera.

“Lo credo anch’io” fu la mia brillante risposta. Ero troppo presa ad ammirarlo per formulare qualcosa di coerente.

“Bene, passo da casa tua un’ora dopo lezione di tiro con l’arco, d’accordo?”

“Perfetto, e grazie mille, davvero”

“E di cosa?” e mi fece l’occhiolino. Il mio cuore perse un battito, ma fu un secondo, una leggerissima stretta al cuore durata un attimo, niente di più. Un minuto dopo era già dimenticato.

 

Chiacchierammo ancora per un’oretta, finché Micheal non ci richiamò indietro. Il sole stava calando e scoprii che Marta era già ritornata e che mi stava aspettando vicino alla stalla. Mi salutò con un cenno della mano. Chissà da quanto tempo era lì.

Orlando scese agilmente da cavallo con un piccolo balzo. Invidiai la sua atleticità, di certo non sarei stata altrettanto brava. Guardai la distanza tra me e il duro terreno. Mi dissi che se ero riuscita a salire in qualche modo sarei riuscita anche scendere.

“Aspetta, ti do una mano” la calda voce divenuta familiare nell’arco di quel pomeriggio mi raggiunse.

Molto cavallerescamente si stava avvicinando al mio fianco destro per aiutarmi.

“Prima devi sfilare il piede sinistro dalla staffa e metterlo vicino a quello destro” mi consigliò. Lo feci, ritrovandomi seduta di lato sulla sella. Dopo sentii due mani cingermi i fianchi e io istintivamente misi le mie sui suoi avambracci per far leva. Mi sollevò di poco dal cavallo e un attimo dopo mi ritrovai con i piedi per terra illesa, senza rendermi conto che gli ero avvinghiata, in una momentanea fase di trance.

“Grazie”

“Dovere” mi rispose scuotendo le spalle. Il suo viso era incredibilmente vicino al mio, e mi stava ancora tenendo per i fianchi. I suoi occhi, ad un palmo di distanza dai miei, mi guardavano intensamente. Erano davvero splendidi, per non parlare della forma delle sue labbra, una morbida curva perfetta… il mio cervello era decisamente andato in stand-bye.

Il cavallo scalciò e lanciò un nitrito, facendoci allontanare l’un dall’altro. Probabilmente fu quello a farmi perdere altri due battiti, mi colse di sorpresa.

“Com’è andata? A me è piaciuto tantissimo, non vedo l’ora di rimontare” Julia ci venne incontro entusiasta della nuova esperienza, facendomi ricollegare definitivamente la spina.

“Anche a me è piaciuto molto, quando prendi un po’ di confidenza con il cavallo poi è più facile stare in sella” Alla fine dovevo ammetterlo, nonostante l’approccio disastroso era piaciuto anche a me fare equitazione. Anche se probabilmente la buona riuscita del pomeriggio non era tutto merito del quadrupede, ma decisi di non soffermarmi su quel pensiero.

“Sono contenta di ritrovarti tutta intera, sai?” Ci raggiunse anche Marta, sorridendomi. “Ti ho osservata prima, per essere la prima volta che montavi è andata piuttosto bene.” si congratulò.

“Grazie, grazie, troppo buoni” mi vantai scherzosamente, facendo ridere il gruppetto.

“Io devo andare ragazzi, allora ci vediamo tutti quanti stasera al ristorante?” ci salutò l’attrice inglese.

“Certo, ci ritroviamo tutti più tardi, dobbiamo andare anche io e la futura fantina qua presente” rispose la mia amica.

Salutammo tutti e ci dirigemmo verso la Peugeot. Non volevo andarmene, la giornata era davvero stata divertente. Mi consolai con il pensiero che non era ancora del tutto finita, la cena mi stava aspettando.

   
 
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