“Brutta
piccola strega!”
Sbraitò Jania. “Nessuno ti risparmierà
una buona frustata ora!”
E detto questo fece per colpire Marissa con il dorso della mano.
“Ferma!”
una voce
potente echeggiò nel corridoio, talmente autorevole che
bloccò la
mano della monaca a mezz'aria.
Jania
e Marissa si voltarono
contemporaneamente, l'una con il viso rosso dalla rabbia, l'altra con
gli occhi colmi di lacrime e il labbro tremante.
Lungo
il corridoio si stava
avvicinando una donna sconosciuta, seguita pochi passi più
indietro
dall'anziana priora Adeliz, che faticava a stare al passo con la sua
giovane ospite, soprattutto perché Siobhan aveva percorso
gli ultimi
metri che la separavano da Marissa a passo svelto.
“Lasciate
stare quella
ragazza!” tuonò la delegata piantandosi di fronte
a Jania, con le
mani sui fianchi.
La
monaca lasciò
istintivamente andare Marissa; la bambina appariva indecisa. Era
troppo spaventata per restare accanto alla propria tormentatrice, ma
ancora troppo intimidita per correre da una perfetta sconosciuta.
Jania
lanciò un'occhiata
alla priora Adeliz, che aveva nel frattempo raggiunto il gruppetto,
ancora col fiato grosso per lo scatto finale.
“Ma..
madre, la ragazza
deve essere punita, ha infranto diverse regole del
monastero!”
protestò Jania. “E' uscita senza permesso dalla
sua camerata, ha
nascosto un animale qui nell'edificio.... e ha usato la
magia!”
Siobhan
osservava divertita
la ragazzina intimorita che aveva di fronte.
“La
magia, eh? E dimmi
Marissa, come puoi usare la magia senza addestramento?”
“Mi
ha colpita!”
intervenne Jania ancora rossa in viso. “Mi ha colpita vi
dico! Qui
sulla mano...” la donna mostrò una bruciatura sul
dorso della
mano. “E poi ha fatto volare quella bestiaccia che teneva
nascosta.”
“Calmatevi
ora, sorella
Jania” intervenne la priora conciliante. “Lasciate
che sia
Marissa a rispondere alle domande della delegata. Voi andate a farvi
medicare quella mano, ne avete bisogno.”
“Ma,
madre...” tentò
ancora di protestare la donna. “La sua punizione...”
“Ora
basta sorella!”
tagliò corto Adeliz. “Sarà mia cura
occuparmi personalmente di
questa faccenda. Avete qualcosa in contrario forse?”
Sorella
Jania chinò il
capo. “No, certo, madre. Con permesso...” disse tra
i denti, poi
si allontanò ancora fumante e tenendosi la mano ferita.
Siobhan
attese che quella
donna sgradevole ebbe voltato l'angolo per riformulare la domanda a
Marissa. Quella buffa ragazzina dai capelli rossi non sembrava in
grado di mettere insieme due parole... come poteva usare la magia nel
modo descritto dalla monaca?
“Rispondi
alla delegata,
Marissa” la incoraggiò la priora.
“Io...
non lo so, signora.
È come se avessi quelle parole dentro di me, come se
premessero per
venire fuori. E tutto a un tratto – quando sono arrabbiata o
impaurita – riesco a tirarle fuori... e qualcosa
accade...”
concluse facendo un cenno con il capo nella direzione in cui si era
appena allontanata la prova vivente che, se minacciavi quella
ragazzina, qualcosa effettivamente accadeva,
Siobhan
pensò che Marissa
fosse meno debole e patetica di come l'avesse giudicata al primo
sguardo. Sapeva rispondere, e a tono, a quanto pareva.
“Sai
chi sono io,
ragazza?”
Marissa
annuì lentamente.
“Mi hanno parlato di voi. Mi hanno detto che sareste venuta a
portarmi via.”
“Bene,
così possiamo
risparmiarci i convenevoli. Io sono Siobhan e ho il compito di
accompagnarti a Letha, per iniziare il tuo addestramento. È
inutile
che tu faccia domande, perché non avrai risposte. Le cose ti
verranno spiegate a tempo debito, ma non sta a te decidere come e
quando. È tutto chiaro?”
Marissa
annuì, cupa. Quella
donna non le piaceva, ma tutto sarebbe stato meglio che restare al
monastero, alla mercé di sorella Jania. Non le importava
dove quella
donna volesse portarla, purché fosse molto lontano da
lì.
“Allora
vai a preparare il
tuo bagaglio, un baule piccolo al massimo. Partiremo da qui entro
un'ora.”
Città
di Conne
Palazzo
di Alcaeus
“Brindiamo
al mio amato
figlio, la cui partenza che si avvicina mi spezza già il
cuore!”
A
quelle parole Damien
guardò suo padre divertito. La sua faccia rubizza era
davvero buffa,
soprattutto se accostata a quelle parole drammatiche. Ma Alcaeus
aveva sempre avuto il gusto del dramma, inclusa l'idea di organizzare
quell'opulento banchetto per festeggiare la partenza di Damien. Suo
padre non aveva badato a spese per imbandire quella lunga tavolata,
né aveva lesinato sugli scellini sborsati per il corposo
vino rosso
che scorreva a fiumi tra i commensali. Damien ne aveva sorseggiato
una coppa, e sua madre Catlin e sua sorella Dorelynn avevano bevuto
appena un sorso, solo per non sembrare maleducate; ma era chiaro che
suo padre avesse alzato decisamente troppo il gomito. A metà
banchetto faceva già fatica ad alzarsi dalla sedia, ed ora
che il
dolce era stato servito e che i musici erano in procinto di attaccare
le loro melodie struggenti, Alcaeus era decisamente brillo. Dal
momento che Damien era stato costretto a sedere accanto a lui non
aveva avuto altro da fare che contare, bicchiere dopo bicchiere,
tutto il vino che suo padre aveva ingurgitato. Non che avesse avuto
molto altro da fare: i banchetti lo annoiavano a morte, soprattutto
perché erano pieni di gente noiosa e molto più
grande di lui.
Dopotutto quale sedicenne pieno di energia avrebbe desiderato
trascorrere il tempo in quel modo? Non vedeva l'ora di scappare via,
e a dimostrazione di questo teneva le mani sui braccioli della sedia
e i gomiti sollevati, come qualcuno che è pronto a fare uno
scatto
da manuale. Era almeno un'ora che attendeva la scusa per potersi
dileguare senza apparire maleducato agli occhi di quegli ospiti che,
in fondo, erano lì per lui. E per non mettere in imbarazzo
suo padre
davanti ai suoi amici della Gilda Mercantile di Conne. Damien non
ebbe altra scelta che sorbirsi il lungo intrattenimento dei
menestrelli, che gli altri ospiti ascoltarono rapiti; a qualche dama
scese perfino qualche lacrimuccia di commozione. Dopo un tempo che
gli sembrò interminabile, finalmente i menestrelli si
congedarono,
sparendo in un turbinio di applausi sentiti e con in collo i loro
strumenti.
Finalmente.
Damien
alzò gli occhi al cielo
con uno sbuffo, e poi si osservò rapidamente intorno per
assicurarsi
che nessuno lo avesse notato. Ma aveva esultato troppo presto,
perché
al posto dei musici, presentati con pomposità da Gurnan, il
maggiordomo della casa, fecero il loro ingresso i giocolieri e i
saltimbanchi.
Alcaeus
rivolse al figlio uno sguardo complice, convinto di averlo
piacevolmente sorpreso con quella trovata. Damien ricambiò
con un
sorrisetto forzato.
Presto
la sala del banchetto si riempì delle risa degli ospiti e
del
chiasso dell'esibizione. Era veramente troppo. Damien si
chinò per
sussurrare qualcosa all'orecchio del padre, ma quello, troppo brillo
e distratto dallo spettacolo per capire bene cosa il figlio gli
dicesse, fece appena un cenno di assenso in risposta. Damien si
alzò
e cominciò a guadagnare l'uscita della sala, ignorato dai
più. Si
voltò solo per afferrare l'occhiata significativa di sua
sorella,
seduta dall'altra parte della sala, nel settore riservato alle donne.
Dorelynn alzò un sopracciglio, e un sorriso divertito le
incurvò le
labbra. Damien sorrise in risposta e agitò la mano in un
ironico
segno di saluto.
Ti
odio, gli
disse lei in labiale.
Poi sorrise di nuovo e lo invitò ad allontanarsi con un
cenno del
mento. Cosa aspetti?
Quando
fu nel corridoio che
conduceva al piano di sopra, dove si trovavano le stanze della
famiglia, Damien tirò un sospiro di sollievo. Ancora un
altro minuto
in quella sala e si sarebbe colpito in testa con la coppa d'argento
massiccio da cui i commensali sorseggiavano il vino.
Seguì
il corridoio
illuminato da ampie vetrate che lasciavano filtrare la piena luce di
quel giorno d'estate, e decorato da numerosi arazzi ricamati appesi
alle pareti. All'improvviso uno di essi si mosse proprio mentre
Damien ci passava di fronte. Il ragazzo sussultò e fece un
balzo
all'indietro, portando la mano allo spadino che aveva alla cintura.
Era stato un dono di suo padre, qualcosa che tutti i gentiluomini di
Conne portavano come segno distintivo. Ma in realtà
praticamente
nessuno di loro avrebbe saputo come usarlo, e Damien non faceva
eccezione.
Una
risatina provenne da
dietro l'arazzo, e Damien, riconoscendola, scostò la tenda
senza più
timore.
“Sei
impazzita?”
bisbigliò divertito, mentre le braccia di Elise l'attiravano
a sé.
“Credevo
mi avresti fatto
aspettare in eterno! Non finiva più quello stupido
banchetto?”
mormorò la ragazza cominciando a baciarlo sulla bocca,
ricambiata da
Damien.
Elise
aveva la sua stessa
età ed era una delle cameriere di sua madre. La loro storia
andava
avanti ormai da due mesi, e Damien sapeva che si sarebbe presto
stancato di lei. Le sue cotte non duravano di solito più di
un mese.
Ma non era certo il caso di dirlo ad Elise.
“Bé,
come vedi ora sono
qui solo per te” disse con un sorriso seducente.
Quando
sgattaiolò fuori
dalla camera che Elise divideva con altre tre cameriere – ora
tutte
impegnate nel loro lavoro – Damien si aggiustò la
camicia, mentre
un servo che transitava per il corridoio si schiariva la gola facendo
finta di non averlo notato, e tributando al suo padroncino uno
sbrigativo cenno del capo. Damien si concesse un sorriso di
autocompiacimento.
Quando
entrò in camera sua,
invece della calma che avrebbe desiderato, ci trovò un
esercito di
domestici intenti a preparare i suoi bagagli, a piegare abiti, a
spostare bauli da una parte all'altra della stanza. Al centro della
stanza, intenta a dispensare ordini, rimproveri, e a coordinare
l'intera operazione, stava sua madre. Catlin, algida ed elegante nel
suo abito di seta viola, teneva tutto sotto controllo con pochi cenni
e parole misurate, senza scomporsi e senza perdere mai la calma. La
sua camera era talmente sottosopra che, sebbene non gli fosse mai
interessato nulla di tenerla in ordine o pulita, poiché
erano gli
altri a pensarci per lui, Damien provò l'impulso di mettersi
le mani
nei capelli.
“Oh,
Damien, sei qui
caro...” lo chiamò sua madre. “Che fine
avevi fatto? Tuo padre
ha detto che ti sentivi indisposto e per questo hai lasciato il
banchetto. Ma sei sparito per due ore...”
“Sono
stato occupato,
madre” rispose lui con noncuranza, individuando un angolo del
letto
sgombro da abiti e gettandovisi senza eleganza. Scalciò via
gli
stivali e si sdraiò intrecciando le mani dietro la nuca. Sua
madre
gli lanciò un'occhiataccia, notando che uno stivale per poco
non
aveva colpito uno dei servitori.
“Scusa
Marius!” gridò
Damien, alzando il braccio.
“Non
è niente signorino,
non preoccupatevi” rispose il servitore.
Damien
evitò con cura il
secondo sguardo inceneritore di Catlin.
Poi
con un sospiro la donna
prese due casacche che una serva le porgeva e le parò
davanti al
figlio, battendo il piede per terra per richiamare la sua attenzione.
“Credo
che ti serviranno
entrambe... cosa ne pensi?”
“Non
sono più un bambino,
madre!”
“Chi
ti tratta come un
bambino, Damien?”
“Papà
per esempio”
ribatté Damien tirandosi a sedere sul letto. “Non
conta niente che
io non voglia andarci in quella dannata accademia?”
“Non
parlare così
dell'Accademia. È un grande onore essere ammessi, lo sai.
Perfino i
figli del conte di Pontard erano in lizza per entrare, ma non sono
stati scelti. Dovresti essere fiero di essere tra i pochi
eletti.”
“Forse
non sono entrati
perché papà ha saputo oliare le ruote giuste e ha
fatto tintinnare
la sua borsa più rumorosamente del conte e di tutti gli
altri!”
“Damien!”
lo rimproverò
Catlin scuotendo la testa. Cosa doveva fare con quel figlio tanto
intelligente, quanto indolente e svogliato? Alcaeus non era mai
riuscito a farlo appassionare a niente: musica, latino,
equitazione... aveva provato qualunque cosa, speso un mucchio di
soldi per quel figlio prediletto e ingrato. La pressione a cui il
mercante sottoponeva il suo unico erede maschio aveva finito per
allontanare irreparabilmente padre e figlio, per far sì che
Damien
mal tollerasse l'ambizione e le aspettative che Alcaeus nutriva nei
suoi confronti.
Non
prendertela con mamma. Fa quello che può per mettere pace
tra te e
papà. Damien
sobbalzò
visibilmente e il cuore gli balzò in gola. Volgendo lo
sguardo oltre
sua madre, notò che sua sorella era appena entrata nella
stanza.
Ti
avevo proibito di farlo senza preavviso! Era
irritato: si era lasciato cogliere di sorpresa come un bambino.
Odiava quando Dorelynn entrava nella sua mente senza farsi avvertire.
Sebbene quella capacità fosse comune ai due fratelli, Damien
doveva
ammettere che lei sapeva padroneggiarla molto meglio. Forse
perché
aveva trascorso molte ore a esercitarla, e a studiare in biblioteca
su tomi polverosi che Damien non avrebbe toccato nemmeno con un
bastone.
“Buongiorno
madre” salutò Dorelynn, baciando la guancia di
Catlin. “Damien...”
aggiunse come se lo vedesse per la prima volta.
Lui
rispose con un sorrisetto forzato. Prima o poi
riuscirò
anch'io a coglierti impreparata. La
risata mentale di Dorelynn gli riempì le orecchie. Smettila!
Le
gridò.
Ok,
scusa. Pace d'accordo? Non sono venuta per farti arrabbiare.
Dopotutto questa sarà l'ultima notte che passeremo sotto lo
stesso
tetto.
“Dorelynn
visto che sei
qui, che ne dici di darmi una mano con le preparazioni? Non riesco a
trovare Elise da nessuna parte...”
“Ma
davvero?” commentò
Dorelynn scoccando un'occhiata divertita a Damien.
“Certo,
madre. Con
piacere.”
“Oh,
bene!” esclamò
Catlin sollevata, battendo le mani. “Allora vado a
controllare gli
abiti che sono negli armadi invernali... il mantello di pelliccia, e
forse anche quello di velluto... so che a nord può fare
freddo
d'inverno. E pensare che quei mantelli non escono dagli armadi da
quel viaggio che vostro padre fece a Thissuivalon! Dico io, non
potevano costruire qui a sud quell'Accademia? Gli iniziati avrebbero
goduto di un clima sicuramente più salubre...” e
continuando a
rimuginare sulla propria idea, uscì dalla stanza, seguita
ossequiosamente da un paio di cameriere.
Dorelynn
aspettò che la
porta si chiudesse alla spalle della madre, poi si sedette accanto al
fratello. Restarono alcuni minuti in silenzio, fissando la parete di
fronte a loro. Non avevano il coraggio di dirselo, ma l'imminente
separazione era dolorosa per entrambi. Fin da quando avevano
condiviso il ventre materno, sedici anni prima, i due gemelli non
erano mai stati troppo lontani l'uno dall'altra. Avevano condiviso un
affetto e un legame unici. Il fatto di potersi leggere nel pensiero e
di poter comunicare tra di loro senza usare le parole era forse una
manifestazione di questo legame, ma nessuno dei due poteva dirlo con
certezza. Solo fare ipotesi.
Fu
Damien a rompere quel
pesante silenzio. Ogni traccia di allegria era sparita dalla sua
voce.
“Allora
sei proprio
decisa?”
“Lo
sono” rispose
Dorelynn con fermezza. “Non ho nessuna intenzione di
fidanzarmi con
uno dei ricchi, vecchi e brutti soci in affari di nostro
padre.”
Era
tradizione a Conne, e in
tutti i territori del sud, che al compimento dei sedici anni le
giovani potessero scegliere se fidanzarsi o partire per unirsi alle
Zarall, le donne guerriere che vivevano nella foresta di Smeraldo, a
metà strada tra Conne, città portuale del grande
sud, e Letha,
principale centro dei territori dell'est. I due territori erano uniti
da poco più di un lembo di terra.
Pochissime
ragazze
sceglievano di barattare un futuro sicuro nelle loro città
natie,
per una vita sicuramente più dura e selvaggia, fatta di
lunghe ore
di addestramento e sacrifici, che le avrebbe trasformate in temibili
guerriere.
Le
Zarall avevano ottenuto
quell'accordo con il sud quasi due secoli prima, in cambio
dell'impegno a sorvegliare la frontiera tra i territori dell'est e le
città mercantili del sud. La foresta di Smeraldo si trovava
in
posizione strategica per questo scopo. Con il controllo delle Zarall
era impossibile che qualcuno ostile alle città del sud
superasse
quello stretto lembo di terra. Quindi, nessuna famiglia poteva negare
ad una ragazza il diritto di diventare una Zarall, se lo desiderava.
Le Zarall da parte loro avevano chiesto che nessuna ragazza venisse
obbligata: diventare una di loro doveva essere una libera scelta. Ed
una scelta libera era stata quella di Dorelynn.
“Lo
hai già detto a
nostro padre?”
“Sì,
ma non credo che
darà una festa per me, se è questo che ti stai
chiedendo. Non ha
nemmeno cercato di dissuadermi con molta energia. Sembrava perfino
sollevato quando non ho ceduto. Credo che alla fine sarà
contento.
Darà una figlia alla protezione delle nostre terre e un
figlio
all'Accademia delle Sette Stelle... e poi perché spendere
una dote
per farmi sposare? Così non gli costerò nemmeno
una sovrana d'oro.”
Damien
si accorse
dell'amarezza, ben mascherata, nelle parole della sorella e di
slancio l'abbracciò.
“Per
quel che vale, io
sono molto fiero di te. Sapevo che eri destinata a qualcosa di
grande.”
“E
a te non mancherà
Elise?” lo stuzzicò Dorelynn.
“Ma
smettila!” rise lui,
tirandole la treccia senza violenza, come facevano da bambini quando
volevano farsi i dispetti.
“Anche
tu rendimi fiera,
d'accordo?” disse Dorelynn in tono serio, dopo qualche attimo
di
silenzio. “So che non è quello che avresti voluto
fare... imparare
la magia. Ma cerca di farlo nel miglior modo possibile. Un buon mago
è cosa rara oggigiorno, ed è utile quanto una
Zarall per la
sicurezza delle nostre terre.”
“Lo
farò per te”
rispose Damien mettendole un braccio intorno alle spalle. “E
potremo tenerci sempre in contatto. Prometti di raccontarmi tutto? Io
farò altrettanto...”
“Non
ti libererai di me
così facilmente, fratellino” ed entrambi si
lasciarono andare a
una risata liberatoria.
Angolo
Autrice: Ed
ecco il secondo
capitolo, in cui facciamo la conoscenza di Damien e della sua gemella
Dorelynn. Marissa inoltre viene portata via dal monastero e inizia il
suo viaggio verso Letha e l'Accademia. Nei prossimi capitoli
cercherò
di spiegare meglio la geografia di Euhalon, il mondo in cui si
muovono i nostri personaggi. Lo farò sicuramente tramite una
breve
descrizione scritta, e spero di riuscire anche a pubblicare una mappa
o un link ad essa. Non so se sarà possibile, ma ci
proverò. Che ne
pensate di Damien? So che non è il classico eroe senza
macchia e
senza paura, e quindi mi incuriosisce sapere come vi sembra.
Ringrazio tutti coloro che leggono/seguono/recensiscono...
Alla
prossima,
Eilan
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