3) Una nuova
scuola.
La visita alla prozia Sarah si rivelò
inutile. Sia lei sia Mei-Lin Xiang, la proprietaria della drogheria
presente al funerale della nonna, seppur dubbiose e timorose,
sembravano volermi far intendere qualcosa. Qualcosa che temevano di
pronunciare ad alta voce e che io dovevo assolutamente scoprire. Entrambe farneticavano di cose strane, di correnti, di magia e
addirittura di stregoneria, ma subito dopo affermavano fermamente
di non crederci a queste fandonie e di restarne fuori. Secondo me
fingevano come fingevano di non sapere come fosse davvero morta la
nonna.
Tornai
sconsolata a casa. Era domenica pomeriggio e c'era una
gran noia nell'aria: Joseph aveva trovato lavoro in un ospedale poco
fuori Salem, mia madre era a far la spesa, Ashley era a fare shopping
perché l'indomani saremo andati a scuola e voleva essere impeccabile e Jeremy
zappingava col telecomando in salotto davanti al televisore.
«Dove sei stata stamattina?» mi
domandò con tono scontroso quando mi vide sedermi sul divano insieme a
lui.
«A fare un giro.»
«Non è che eri a
cercare quel tipo di ieri?»
«Quale tipo?»
«Quello nascosto
dietro l'albero, durante il funerale.»
Mi ero completamente scordata di quel
ragazzo. Chissà chi era o cosa voleva o perché fosse lì nascosto. Era
un'altra persona, oltre la prozia Morgan e la signora Xiang, che dovevo
tenere d'occhio. Sarei andata a fondo in ogni mistero!
Il resto della
giornata trascorse tranquillo, rimasi a guardare la televisione con
Jeremy, mangiai e dormii serenamente tutta la notte. Le pareti lilla
sbiadite mi davano un senso di conforto e familiarità, l'aria fresca
che entrava dalla finestra mi donava un senso di pace e tranquillità.
Sì, ero proprio a casa.
Dormii come un sasso fino alla mattina dopo. Dovevo
essere ben riposata perché l'indomani sarei andata a scuola e dovevo
fare bella figura: quella era un'occasione per reinventare me stessa e
liberarmi dalla nomina di sfigata che mi aveva perseguitato durante i
due anni e mezzo precedenti al liceo di Coral Spring.
Nei tre giorni che seguirono la notizia del decesso
della nonna, prima di trasferirci qui a Salem, mia madre e Joseph
contattarono il liceo di Salem e sbrigarono tutte le pratiche
burocratiche per non farci perdere giorni di lezione anche perché
quest'anno Ashley si sarebbe diplomata. Io e Jeremy invece eravamo al
terzo anno.
Mi svegliai di
buon ora e cercai di rendermi il più presentabile possibile. Certo, non
sarei stata ai livelli di Ashley che per l'occasione si era rifatta
interamente il guardaroba ed era già di per sé bellissima. Purtroppo
sapevo bene che l'occhio vuole la sua parte e che se davvero avessi
voluto uscire dall'ombra in cui ero stata avvolta durante gli anni
della scuola e stringere nuove amicizie, avrei dovuto rendermi almeno
presentabile. Solo che non avevo nulla di carino da mettermi e per
quanto ci provassi a curarmi e agghindarmi continuavo a considerarmi
goffa e impacciata e poco attraente, così mi feci coraggio e...
«Ashley, non è che
potresti prestarmi qualcosa?» dissi entrando nella sua nuova camera già
perfettamente riordinata e decorata con peluche, foto appese al muro e
premi sportivi vari in bella mostra. Lei mi squadrò dalla testa ai piedi
e annuì sbuffando. Frugò un po' nel suo armadio e mi passò un paio di
jeans attillatissimi a vita bassa e un maglioncino azzurro
scollatissimo.
«Cosa c'è? Non ti
piacciono? Sempre meglio di quel che ti metti di solito.»
Feci spallucce
mordendomi la lingua e andai a cambiarmi e a truccarmi un po'. Era
tardi, dovevo ancora truccarmi e fare colazione.
«Quel maglione non
va indossato con una canotta sotto, lo sai? Serve per mostrare le tette
e così le nascondi- sottolineò Ashley quando scesi in
cucina per mangiare-e poi l'ombretto celeste no, ti
prego levalo!» feci finta di non
averla neanche sentita. Non avevo tempo di cambiarmi e rifarmi il
trucco.
«Come ti sei
conciata?» sbeffeggiò invece Jeremy non appena mi vide. Lo fulminai con lo sguardo e andai a
fare colazione. Speravo solo di non fare lo stesso effetto ache agli
altri studenti. Avevo fantasticato parecchio in questi ultimi giorni
sulla nuova me e sul fatto che sarei riuscita ad integrarmi
nell'ambiente scolastico di Salem, che a differenza di Coral Spring era
una cittadina di provincia, che non avevo messo in conto che poteva
anche andarmi peggio. Potevo venir presa in giro o nuovamente messa da
parte. Scacciai quei pensieri e corsi a lavarmi i denti. Eravamo pronti.
Prima di uscire mia madre si
raccomandò di comportarci bene, di fare nuove amicizie e di studiare
sin da subito per non rimanere indietro proprio come se fossimo dei
bambini il primo giorno delle elementari.
La Salem High
School non era molto distante dalla nostra casa. Anche la scuola che
frequentavamo prima in Florida era piuttosto vicina ma da quando Jeremy
aveva preso la patente era raro che qualcuna di noi ci andasse a piedi.
«Beh siete
pronti?» esultai appena giungemmo di fronte all'edificio scolastico. Il
loro silenzio faceva presagire quanto entusiasmo potessero avere, ma
per me, l'idea di frequentare una nuova scuola, era davvero un vero e
proprio nuovo inizio. Persi il conto di tutte le volte che lo ripetei.
I miei fratellastri non erano molti emozionati all'idea. Ashley era
ancora di umore nero e voleva assolutamente entrare nella squadra delle
cheerleader mentre Jeremy, come al solito, era impassibile.
Mi guardai attorno analizzando ogni centimetro
dell'edificio scolastico.
La struttura era
piuttosto grande e di color rosso mattone, con un piccolo prato verde
che spartiva il corpo principale dal parcheggio. Sia l'edificio sia il
parcheggio erano delimitati da delle mura abbastanza alte che
terminavano con un enorme cancello in ferro che dava accesso anche alle
auto. Non erano in molti ad andare a scuola in macchina, mi sentivo
quasi privilegiata. C'era inoltre un altro giardino interno dove si
poteva mangiare all'aperto nei giorni di sole ed infine i campi
sportivi nel retro.
Per prima cosa
andammo in segreteria a chiedere l’orario delle lezioni: io e Jeremy
avevamo scelto la maggior parte dei corsi uguali per non essere soli e
a disagio, anzi, più che altro ero stata io a scegliere le materie
uguali alle sue nonostante non fossero propriamente coordinate con il
mio precedente piano di studi. Invece Ashley, che era un anno più
grande di noi, non aveva questi problemi di socializzazione, fece
presto amicizia con il gruppo delle cheerleader di cui tanto desiderava
far parte acquistando fin da subito popolarità, mentre io e Jeremy
rimanemmo tutto il tempo insieme, ma senza parlare.
Trovammo subito l'aula per la prima lezione, quella
di matematica, e ci sedemmo vicini aspettando che arrivasse il
professore.
Questo entrò pochi secondi prima che suonasse la
campanella: era un bell'uomo sulla quarantina, vestito elegantemente in
giacca e cravatta e portava con sé una ventiquattrore in pelle.
«Buongiorno signori- disse il
professor Richardson osservando me e Jeremy -abbiamo alcuni nuovi
studenti, due dei quali frequenteranno questo corso. Prego» ci fece
cenno di alzarci e ci presentò.
«Il signor Jeremy Stanley e la
signorina Meredith Victoria Spencer. Siete fratelli giusto?»
«Fratellastri» lo
corresse Jeremy, quasi a voler sottolineare il nostro non legame di
sangue.
Il professore fece un mugugnò di
sorpresa e poi ci esortò a presentarci. Tutti ci guardavano con aria
incuriosita, probabilmente perché era raro che qualcuno si trasferisse
dalla Florida al Massachusetts, soprattutto in una cittadina come
Salem. Jeremy fu il primo di noi a presentarsi di fronte alla classe.
Si avvicinò alla lavagna come gli chiese il professore e fece una breve
introduzione di se stesso.
«Mi chiamo Jeremy
Stanley, ho sedici anni e vengo dalla Florida.»
Il professor
Richardson lo guardò per persuaderlo ad amplieare la sua descrizione e
raccontare qualcos'altro su di sé. Jeremy fece spalluce come a volergli
chiedere che diamine si aspettasse e poi aggiunse solo:«Faccio atletica da dieci anni e mi
piace leggere». Il professore gli fece qualche domanda sui suoi gusti
in fatto di lettura, sulla parte di programma di matematica a cui era
arrivato nella precedente scuola e poi gli concluse dicendo che era
spiacente poiché alla Salem High School non si praticavano sport
individuali ma vi era solo il basket per i ragazzi e la squadra delle
cheerleader per le ragazze.
Jeremy fece spallucce e tornò a sedersi accanto a
me. Era il mio turno. Ero nel panico, iniziavo a sudare freddo e avevo
il cuore a mille. Se quella di Jeremy era una descrizione scarna, la
mia sarebbe stata ancora più riduttiva.
Presi fiato e mi avvicinai alla lavagna. Avevo la
visuale dell'intera classe di fronte a me e tutti mi guardavano con
occhi curiosi in attesa che dicessi qualcosa.
«Ciao a tutti. Il mio nome è Meredith
Victoria Spencer. Sono nata qua a Salem ma ho vissuto praticamente
tutta la mia vita in Florida, a Coral Spring. Di recente la mia
famiglia ha deciso di ritornare a vivere a Salem ed ora abitiamo nella
Villa dei Morgan vicino alla Riserva. Ho sedici anni, come Jeremy, ed
anche a me piace leggere, uscire con gli amici, andare al cinema.
Insomma le solite cose.»
Il professore mi
ringraziò per esser stata un po' più esauriente del mio fratellastro e
fece anche a me qualche domanda sul programma precedente. Tornai a
sedermi, in fondo non era stato poi così traumatico.
Dopo matematica,
avevamo due ore di letteratura, poi alla quarta ora io avevo lezione di
spagnolo e Jeremy aveva lezione di francese. In questo caso non potevo
affatto iniziare un altro corso di lingue straniere, avrei dovuto
prendere lezioni private e riniziare dall'alfabeto. Nuovamente i
professori delle discipline successive ci chiesero di presentarci e a
che punto del programma fossimo arrivati. Non eravamo molto più avanti
rispetto al programma del liceo di Salem. Ripetemmo le stesse
presentazioni per altre due volte in maniera robotica e automatica e
sicuramente lo avremo fatto anche i giorni seguenti per le altre
materie di cui non conoscevamo i professori.
Durante la pausa
pranzo, io e Jeremy, ci sedemmo ad un tavolo per conto nostro nel
giardino interno all'ombra di un albero. Si vedeva lontano un miglio
che eravamo nuovi e spaesati, mentre Ashley stava già socializzando a
quello che, secondo me, era il tavolo a cui sedevano gli studenti più
popolari della scuola.
A un certo punto
si avvicinò a noi un gruppetto di tre ragazzi e una ragazza che ci
invitarono a visitare un po’ l’istituto e ci diedero il benvenuto.
Sembravano simpatici e disponibili. Ovviamente anche qui a Salem non
mancavano gli snob, ma non era il caso di quei quattro ragazzi: i
fratelli Alexis e Matt Cooper, George Wetmor e Nicholas Barret.
Rispettivamente avevano lei quindici anni e suo fratello diciotto, poi
George sedici, che avevo già visto al corso di spagnolo quella stessa
mattina, e Nicholas dell'ultimo anno quindi coetaneo di Matt ed Ashley,
diciotto anni.
«Piacere Nicholas,
ma puoi... cioè, voglio dire, potete chiamarmi Nick» si presentò
stringendoci la mano tutto sorridente mostrando i suoi denti
bianchissimi e non mi tolse gli occhi di dosso nemmeno per un istante.
Non potevo aver fatto colpo il primo giorno su un ragazzo così! Era
impossibile.
Quando anche gli altri finirono di presentarsi, Nick
ci chiese se io e Jeremy volessimo comprare i biglietti per il ballo di
primavera che, guarda caso, si sarebbe tenuto proprio fra una settimana
e ne approfittò per invitarmi ad andarci insieme. Scioccante.
Scioccante perché la mia insicurezza era talmente radicata nella mia
testa che doveva esserci per forza qualcosa sotto se un tipo come
Nicholas mi avesse appena invitata al ballo. Era impossibile che non
avesse già un'accompagnatrice dal momento che il ballo si sarebbe
tenuto fra una settimana. Mi prese dunque molto alla sprovvista
e inizialmente non seppi che rispondergli. Inoltre dovevo ammettere che
fosse davvero carino e nessun ragazzo davvero carino mi aveva mai
invitato a un ballo scolastico prima d'allora e questo mi mise ancora
più a disagio lasciandomi incapace di pronunciare una qualche risposta
o fare un cenno con la testa. Nick mi guardava in attesa di una mia
reazione ed io rimasi imbambolata alcuni
secondi ad analizzarlo. Aveva un'aria sicura di sé ma senza
apparire altezzoso, sembrava gentile e loquace. Era molto alto e ben piazzato, sicuramente superava il metro e ottanta, aveva dei
capelli castano chiaro un po' riccioluti e gli occhi celesti. Probabilmente
faceva qualche sport. Però, sebbene fosse attraente e di bell'aspetto,
aveva un qualcosa che non mi convinceva, o piaceva, nel complesso,
avrei perciò declinato l'invito anche per la mia repulsione verso i
balli scolastici. Odiavo questo genere di cose, troppo impegnative:
vestiti, scarpe, trucco, parrucco, fiori... Questo poteva anche
sembrare incoerente dal momento che per anni mi son lamentata che
nessun ragazzo attraente mi calcolasse, ma il mio istinto mi diceva di
rifiutare.
«Lei è con me al ballo. Quanto
vengono i biglietti?» esultò Jeremy poggiandomi una mano sulla spalla e
avvicinandomi a lui prima che potessi rispondere a Nick distogliendomi
dai miei pensieri sul suo aspetto. Mi sentii improvvisamente
rassicurata e credevo che egli stesso avesse intuito che non volevo
andarci e che non volessi sembrare scortese rispondendogli di no per
questo aveva inventato quella scusa di andarci insieme.
«Ma non siete
fratelli?» replicò prontamente Alexis, probabilmente era intenzionata
ad invitarlo lei.
«Fratellastri»
sottolineò lui, di nuovo.
«Ah, ok» bofonchiò
delusa la ragazza.
«Beh, finiamo di
visitare il liceo?» chiesi per smorzare un po’ quell'atmosfera che
iniziava a diventare ostile.
Ci alzammo e
seguimmo i quattro che ci portarono a visitare la scuola partendo
dall'esterno dove c'erano i campi sportivi. Il giardino dietro l’edificio era
diviso in due e delimitato da una rete: lì si trovavano il campo di
basket e l'area dedicata agli allenamenti delle ragazze pon-pon con
delle piccole tribune per gli spettatori. Quei campi erano decisamente
troppo piccoli ma Nicholas sottolineò quanto fosse forte la loro
squadra di basket di cui era capitano:«Dobbiamo solo sconfiggere un'ultima
squadra per diventare campioni del Massachusetts!» esultò fiero. Il giardino
interno dove ci trovavamo poco prima a mangiare era,
invece, adibito a zona ricreativa: c'erano delle panchine e dei
tavoli al coperto dove mangiare ed infatti vi si accedeva attraverso la
mensa. Dai campi sportivi, rientrammo
nuovamente nell'edificio passando accanto agli spogliatoi e ai bagni
con le docce. Salimmo ai piani superiori dove stavano le varie aule e i
laboratori e poi di nuovo al piano terra in cui stavano la segreteria,
gli uffici dei professori, la sede della redazione del giornalino della
scuola e la biblioteca.
Quella sì che era grande e maestosa, e profumava di antico a differenza
della biblioteca del liceo in Florida in cui vi erano soltanto
scaffalature moderne e posti a sedere.
«Qui ci sono anche
vecchi libri di incantesimi e alcuni grimori* autentici risalenti al
periodo della caccia alle streghe» disse Alexis. Sorrisi sentendo la
parola streghe.
«Sapete, il
consiglio di Salem si è battuto molte volte nel corso degli anni per
impedire che questi libri venissero venduti e portati in qualche museo
di Boston o di New York o peggio, in Europa, a prendere polvere senza
che potessero più essere consultati. Sono un patrimonio della nostra
città e sono accessibili a tutti i cittadini: chiunque può leggere
questi libri» aggiunse.
«Questa città è
famosa per queste cose» commentò poi Nicholas, meno orgoglioso sul
passato infausto di Salem rispetto alla squadra di basket che tanto
elogiava. Io però già lo sapevo, annuii
comunque per sembrare interessata e per rimediare al bidone che gli
avevo fatto poco prima.
«Ti rendi conto
che ora sono costretta ad andare al ballo?» sussurrai a Jeremy mentre
gli altri proseguivao a raccontare vecchie leggende.
«Ce ne andremo
subito, se vuoi. Volevo evitare inviti non richiesti» mi rispose
indicando Alexis con lo sguardo.
«Ah, quindi l’hai
fatto per te?»
«Hai visto come mi
guardava la ragazzina?»
Ero quasi delusa.
Pensavo volesse salvarmi da
Nicholas, non evitare Alexis.
«Beh, almeno
accompagnami a prendere il vestito!»
«Posso unirmi a
voi? Anch'io devo ancora comprarlo!» disse lei entusiasta. Speravo non avesse
sentito l'intero discorso. Era evidente che avesse già un interesse per
mio fratello, anzi fratellastro come precisava sempre lui,
non potevo dunque rovinarle pure questo tentativo di approccio così la
invitai ad unirsi a noi. Certo che qui le persone erano davvero
sfacciate!
«Ecco, hai trovato
compagnia- disse Jeremy -io posso pure starmene a casa allora.»
Lo presi per un braccio e lo trascinai
un po' distante dal gruppo con Alexis che ci guardava di sottecchi.
«Non puoi cercare
di essere carino? Per favore» lo supplicai.
«Mmh. Ci proverò.»
«Voglio iniziare
una nuova vita ed avere degli amici!»
Sbuffò e con aria
rassegnata annuì.
Tornammo dagli
altri e George, che era stato silenzioso tutto il tempo lasciando
parlare Nick e Alexis, volle raccontarci una vecchia leggenda poco
prima che finisse la pausa pranzo e prima dell'ora di ginnastica.
Tutti restammo in
silenzio in attesa che iniziasse a raccontare. Nicholas invece sbuffò
affermando di conoscere a memoria questa storia e George, appena
ricevette l'attenzione di tutti, si stirò la sua vecchia giacca di
pelle, diede un colpo di tosse e si sistemò gli occhiali dalla
montatura squadrata prima di iniziare:«Bene, partirò dal principio» asserì.
Era un tipo
strano, decisamente strano: era vestito di nero dalla testa ai piedi,
compresa la T-Shirt degli AC/DC un po' sgualcita che indossava, e
portava degli occhiali dalla montatura spessa e dalle lenti
rettangolari che velavano i suoi grandi occhi verdi nascosti
ulteriormente da alcuni ciuffi ribelli che gli uscivano dal berretto. I
capelli lunghi e arruffati di un nero corvino opaco gli donavano,
insieme agli occhiali, l'aria di un intellettuale un po' trascurato
dedito solo alla lettura. Si scrocchiò le dita e il collo, inspirò
profondamente e cominciò a raccontarci questa leggenda.
«Nell'inverno del
1692, Betty ed Abigail Williams, rispettivamente la figlia e la nipote
del reverendo Parris della chiesa di Salem, iniziarono a
comportarsi in modo strano: non dormivano mai, camminavano strisciando
sul pavimento e dicevano cose assurde e blasfeme. I medici inizialmente
ritennero che fossero affette dall'isteria ma, con l'andare del tempo,
i dottori non riuscirono a dare alcuna spiegazione logico-scientifica a
questi comportamenti, fin quando qualcuno non azzardò l'ipotesi della
possessione demoniaca. In quel periodo si credeva che l'essere
posseduti o indemoniati fosse causato da un maleficio o da una fattura,
insomma da una sorta di incantesimo, e la stregoneria era ritenuta un
vero e proprio crimine provocato da una persona (una strega o uno
stregone) per danneggiarne un’altra e quindi il caso di Betty e Abigail
divenne di competenza delle autorità giudiziarie. Bisognava dunque
scovare chi avesse compiuto quell'incantesimo e punirlo severamente.
«Passò però un mese prima che si giunse
alle accuse di stregoneria, in un primo momento infatti, il reverendo
Parris decise di non rivolgersi alle autorità giudiziarie e di
affidarsi a Dio. Poi però anche altre ragazze della città cominciarono
a comportarsi allo stesso modo e iniziarono ad accusare diverse donne
del villaggio di essere delle streghe che per gelosia avevano lanciato
una maledizione sulle ragazze della nobiltà e delle classi più agiate.
Venne istituito un tribunale speciale con sede nella Meeting House,
cioè l’edificio adibito alla vita pubblica del paese. Le donne accusate
vennero arrestate e anche torturate durante gli interrogatori, ma
questo non portò alla fine degli isterismi che avevano colpito le
giovani altolocate di Salem.
«La caccia alle streghe continuò e
sempre più donne vennero imprigionate, vi erano anche degli uomini
accusati di essere stregoni o demoni e furono incarcerati anche loro.
Le proporzioni del caso erano nel frattempo aumentate e si erano
allargate a tutta la colonia del Massachusetts. Non essendoci
un'autorità ufficiale, non era stato ancora possibile iniziare alcun
processo. Così, alla fine del mese di maggio, per volere del re di
Inghilterra, giunse a Salem il Governatore Sir William Phips per
avviare le udienze del processo insieme alla corte composta da sei
membri nominati da egli stesso. Si dice tra l'altro che alcuni membri
di quel consiglio e che il Governatore stesso fossero dei vampiri che
volevano vendicarsi delle streghe le quali, per difendersi dalle accuse
di stregoneria, avevano confessato l'esistenza degli esseri della notte
rompendo un patto speciale stipulato con la razza dei vampiri. Altre
leggende affermano invece che il Governatore e i suoi consiglieri
fossero in realtà dei licantropi che stipularono un altro patto segreto
con le streghe in modo da eliminare per sempre la stirpe dei vampiri,
razza considerata nemica giurata dei lupi mannari. Il patto che
coinvolgeva i vampiri, più che altro, era una vera e propria
minaccia e prevedeva infatti che delle streghe facessero degli
incantesimi in modo tale che questi potessero vivere anche alla luce
del sole. Terrorizzate dalla morte imminente, per salvarsi, decisero di
spifferare tutto sull'esistenza dei vampiri e unirsi ai licantropi nel
vano tentativo che magari la caccia alle streghe si sarebbe placata
spostando l'attenzione verso la caccia ai vampiri. Ma non fu così.
«Queste comunque sono solo delle
leggende che fanno da contorno alla vera e propria storia della caccia
alle Streghe di Salem. Il primo processo si tenne il 2
giugno e l'ultimo il 17 settembre e in tutti vi furono dei condannati a
morte. Il 22 settembre fu il giorno delle
ultime esecuzioni; una leggenda racconta che, mentre il carro che
trasportava i condannati si dirigeva verso il patibolo, una ruota si
infilò in una buca nel terreno: le ragazze ritenute vittime del
maleficio che assistettero alla scena gridarono che il diavolo stesse
cercando di salvare i suoi seguaci. L'esecuzione alle streghe
accompagnò quella di alcuni uomini, o meglio vampiri, ritenuti anche
loro seguaci del diavolo, e, secondo il mito, lasciarono per sempre
Salem.
«Le case delle streghe condannate a
morte furono saccheggiate: i loro gioielli, utensili e qualunque altro
tipo di oggetto di valore si dice che sia stato portato nella residenza
di Sir William Phips, per poi, dopo molti decenni, esser trasferiti
al Salem Witch Museum, un museo interamente dedicato alle streghe,
mentre i loro libri di magia vennero portati qui dove poi fu costruita
questa scuola nel 1850, eccetto uno, che era una sorta di Bibbia delle
Streghe che non venne mai più ritrovato. Si pensa che sia contenuto in
quel libro l'incantesimo per spezzare la maledizione dei vampiri e dei
licantropi. Prima ancora, al posto della nostra scuola l'edificio era
utilizzato come manicomio e si racconta che venissero portate le donne
che ancora si ritenevano streghe per torturarle, e mi riferisco ai
primi dell'Ottocento, quando ormai le condanne al rogo per stregoneria
erano ritenute illegali. La leggenda finale a cui volevo arrivare dopo
questa lunga premessa è che ogni tanto, soprattutto nelle notti di luna
piena, accompagnati dai loro famigli*, gli spiriti delle streghe
vengano qui di notte a consultare i propri grimori nel tentativo di
tornare in vita e che i vampiri sfuggiti all'esecuzione diano la caccia
ai discendenti di quelle streghe per ucciderli e vendicarsi.»
«La solita vecchia e noiosa storia di
George» commentò Nicholas annoiato e un po' infastidito.
«Non è vero!» si
difese lui. Ascoltai tutte le sue parole con attenzione e interesse ed
ero curiosa di sapere come faceva a sapere tutte queste cose.
«Ha ragione, son
tutte sciocchezze. Streghe, vampiri, licantropi...mah» bofonchiò Jeremy.
«Io ci credo
invece. Magari non credo all'esistenza dei vampiri o dei lupi mannari o
che esistano o che siano esistite delle streghe capaci di fare veri e
propri incantesimi, però il tuo racconto mi ha affiscinata, George.
Come fai a sapere tutte queste cose?» gli chiesi io. Lui arrossì un po'
e intimidito mi rispose che era sua nonna a raccontargli queste storie
prima che morisse in un incidente qualche tempo fa. Nicholas scosse la
testa e lo guardò con aria di disapprovazione come se si fosse lasciato
sfuggire qualcosa di troppo.
Alle due in punto la campanella
suonò: Nick, Matt e Alexis andarono a seguire le proprie lezioni mentre
io, Jeremy e George andammo in palestra per l'ora di educazione fisica.
«Dunque? Quando
andiamo a fare shopping?» ci domandò Alexis prima di congedarci.
Proposi di vederci
tutti alle cinque dell'indomani alla fermata del bus davanti alla
scuola.
«Va benissimo!
Così vi mostrerò anche i luoghi meno noiosi di Salem» rispose lei esultando.
Gli altri ragazzi
rifiutarono: «lo shopping- precisò Nicholas -non è esattamente una cosa da uomini.»
***
Il profumo di sformato e patate al
forno si era diffuso in tutta la casa dandomi, al mio ritorno da
scuola, il benvenuto e rendendo l'atmosfera domestica accogliente e
familiare. Mia madre si era data molto da fare per farci sentire tutti
a casa, specialmente aveva premura di Jeremy ma soprattutto di Ashley
che era colei, fra noi tre, ad aver avuto un impatto negativo maggiore
nel dover abbandonare Coral Spring e di conseguenza il suo ragazzo, i
suoi amici, la sua squadra e le sue ambizioni. Sembrava però già
essersi ambientata e ritagliata lo spazio necessario all'interno della
scuola per mantenere il suo tenore di vita sociale come in Florida. Un
po' la invidiavo perché io non ero così e avrei voluto essere come lei
ma quella mattina mi ero sentita quasi accolta, non mi ero sentita
invisibile e inadeguata, non avevo provato un senso di apprensione
nell'andare a scuola. E poi potevo finalemente rilassarmi e godere
della mia solitudine e tranquillità nella mia stanza.
«Che bello essere a casa» pensai varcando la porta
d'ingresso.
La vecchia villa della nonna era stata completamente
pulita e rimessa a nuovo: i divani e i cuscini furono rivestiti con
nuove federe, le tende e i tappeti vennero fatti arieggiare, gli
oggetti antichi di cristalleria e argenteria all'interno delle credenze
del soggiorno e i soprammobili e le cornici con le foto di famiglia
spolverati meticolosamente, gli oggetti più intimi della nonna come
abiti, gioielli ed altri effetti personali furono riposti accuratamente in una scatola
e trasferiti nella cameretta degli ospiti al
primo piano e, infine, la sua collezione di erbe, talismani, boccette
per pozioni ed altri utensili magici vennero raccolti in una busta da
riporre su in soffitta. Avrei voluto portarla io stessa ma, ancora
fedele all'ammonimento della nonna, non vi entrai. Sicuramente non ero
ancora pronta per conoscerne i misteri contenuti lì.
«Beh come è andato il primo giorno di
scuola?» domandò mia mamma a cena mentre eravamo tutti riuniti a tavola.
«Sebbene Salem sembri un paesino un
po' arretrato e fuori dal mondo, non c'è male. Domani inizio gli
allenamenti con il gruppo delle cheerleaders» esultò la mia sorellastra
abbastanza contenta. Finalmente l'aveva piantata di lamentarsi.
«E a voi piace
qui?» chiese nuovamente mia madre rivolgendosi a me e a Jeremy.
Lui fece una smorfia di disgusto e io
annuii. Io risposti estasiata che fossi felicissima di essere tornata e
che il primo giorno di scuola fosse andato alla grande. A me Salem
piaceva, ero legata a questa città, qui c'erano i miei ricordi
d'infanzia e mi faceva sentire più vicina alla nonna di recente venuta
a mancare e poi non vedevo l'ora di fare amicizia con tutti, Alexis,
Matt, George e anche Nicholas. Ero certa che mi sarei pentita
amaramente di non aver accettato il suo invito ma ormai era fatta anche
perché non ero proprio alla ricerca di una relazione né di una
frequentazione. Dovevo prima superare le mie turbe mentali e i miei
complessi di inferiorità.
Joseph raccontò della sua prima giornata
all'ospedale: lavorarci gli ricordava i tempi del suo tirocinio da
studente poiché a Coral Spring lavorava in una clinica privata ed
ovviamente guadagnava molto di più rispetto al piccolo ospedale di
provincia poco fuori Salem, a Lynn, dove aveva trovato impiego grazie a
delle raccomandazioni visto che la richiesta di cardiologi non era
particolarmente alta. Speravo soltanto che non si ripetesse nuovamente
ciò che successe con mio padre, il quale, detestando Salem, decise di
ritornare a Coral Spring per poi divorziare da mia madre per stare con
un'altra donna. Non avrei sopportato un altro abbandono paterno.
Anche quella notte
trascorse serena come le precedenti: l'unico rumore che spezzava il
silenzio notturno era l'ululato proveniente dal bosco dietro casa.
Chiusi la finestra ma non riuscii comunque a dormire. Il mio cervello
era invaso da emozioni e pensieri diversi che mi tenevano sveglia a
ragionare e a fare il punto della situazione. Continuavo a pensare alla
storia che ci aveva raccontato George quella mattina, al processo alle
streghe del 1692, a sua nonna scomparsa di recente come la mia, alla
misteriosa prozia Sarah e alla signora Xiang, come se tutte queste
vicende e persone fossero in qualche modo connesse fra loro senza che
però potessi trovare un comun denominatore che potesse collegarle
logicamente. Poi, finalmente, crollai in un sonno profondo.
La mattina dopo mi
alzai di buon ora anche se avevo dormito poco, mi preparai e feci
colazione con tutta calma: mi attendevano due ore di matematica e due
ore di storia. Speravo che il fenomeno dei nuovi arrivati fosse
superato ma anche il secondo giorno la professoressa di storia, che non
aveva ancora conosciuto me e Jeremy, ci chiese di presentarci e ci fece
qualche domanda sul programma per testare la nostra conoscenza nel
campo della storiografia e noi ripetemmo come un copione le
presentazioni già recitate il giorno precedente: «Mi chiamo Jeremy Stanley, ho sedici
anni e vengo dalla Florida. Faccio
atletica da dieci anni e mi piace leggere» e «Ciao
a tutti. Il mio nome è Meredith Victoria Spencer. Sono nata qua a Salem
ma ho vissuto praticamente tutta la mia vita in Florida, a Coral
Spring. Di recente la mia famiglia ha deciso di ritornare a vivere a
Salem ed ora abitiamo nella Villa dei Morgan vicino alla Riserva. Ho
sedici anni, come Jeremy, ed anche a me piace leggere, uscire con gli
amici, andare al cinema». Ormai molti degli studenti già ci
conoscevano perché ci avevano visti e ascoltati durante le altre
lezioni. E poi ero stanca di impersonificare
la parte della ragazzina banale e di recitare a memoria quelle poche
frasi sciocche di presentazione.
Anche in storia,
comunque, io e Jeremy non eravamo molto più avanti rispetto al
programma del liceo di Salem. La Professoressa Lewis spiegò per due ore
ininterrotte le vicende principali della Guerra di Seccessione,
facendomi venire un sonno tremendo, tant'è che pensai che per
conoscerne ogni minimo dettaglio insignificante probabilmente la guerra
l'avesse vissuta in prima persona.
Non appena la campanella suonò, io e Jeremy ci
dirigemmo insieme verso la sala mensa per fare la fine per prendere il
pranzo. Era una giornata particolarmente soleggiata e mentre ci
guardavamo intorno alla ricerca di un tavolo libero nel giardino
interno, vidi Alexis, seduta con suo fratello Matt e il loro amico
George, che con la mano ci faceva cenno di unirci a loro. Nicholas
invece non c'era, stava seduto al tavolo dei ragazzi e delle ragazze, a
mio avviso, popolari che già notai il giorno precedente, e vidi che
conversava amabilmente con Ashley che si atteggiava a vip della scuola.
Alexis ci domandò
cosa ne pensassimo di Salem, della città e della scuola. In realtà
sembrava molto più interessata a conversare e a far colpo su Jeremy che
non la degnava di uno sguardo e le rispondeva a monosillabi piuttosto
che intavolare una conversazione con entrambi. Guardandomi un po'
attorno, notai che non vi erano molti bei ragazzi, sì qualche d'uno
carino c'era, Nicholas ad esempio era un bel ragazzo, ma nessuno
particolarmente attreante o che si distinguesse. Jeremy probabilmente
era fra i più degni di nota e rappresentava una novità alla Salem High
School ed Alexis, considerando che avevo notato anche altre ragazze che
lo osservavano e parlottavano, non voleva farselo sfuggire.
Io cercai invece di intraprendere una conversazione
con George e saperne di più riguardo le vecchie leggende che ci
raccontò il giorno prima in biblioteca.
«Beh, la caccia
alle streghe vi è stata davvero però le altre vicende son
semplici...leggende» esitò. Io insistetti nel saperne di più e lui
ripeté che gliele raccontava la nonna e aveva fatto qualche ricerca su
Wikipedia. Alexis e Matt lo guardarono in maniera bieca come se George
avesse detto o fatto qualcosa di sbagliato.
«Ora devo andare. Ho lezione di arte»
disse alzandosi in piedi. Io gli risposi che anche io avevo lezione
pomeridiana di arte e lo seguii. George mi vide come una palla al piede
in quel momento dunque evitai di fargli ulteriori domande ambigue sul
processo alle streghe.
Dopo la scuola,
alle quattro e mezza circa, io e Alexis ci incontrammo alla fermata
dello scuolabus. Venne anche Jeremy, quasi sotto costrizione, ma venne
anche lui. Cercai di lasciarlo solo il più
possibile con lei per quanto non ci tenessi a fare il terzo incomodo ma
come al solito Jremy mantenne un atteggiamento freddo e distaccato. La nostra nuova amica ci portò nel
centro commeciale più grande di Salem e poi nei negozi d'abbigliamento
delle vie del centro che avevo già intravisto quando andai a cercare la
prozia Sarah e quando andai a fare shopping con Ashley.
Eravamo tutti un
po' a disagio, soprattutto Jeremy che si vide costretto ad accompagnare
ben due ragazze a fare shopping e a farsi corteggiare da una
sconosciuta nei miei appuntamenti combinati.
«Non puoi cercare di essere un
po' più carino con Alexis?» gli bisbigliai mentre la ragazza
curiosava fra i vestiti di un negozio. Lui per tutta risposta sbuffò e
andò a sedersi sui divanetti. Girammo ben altri cinque negozi prima
di trovare qualcosa di decente anche per me.
«Non dobbiamo
andare a un funerale Mer, sai?» commentò Jeremy in modo alquanto
sarcastico mentre mi specchiavo fuori dal camerino. Ormai avevo deciso:
dopo diverse prove d’abito optai per un vestito grigio lungo fino al
ginocchio e un paio di scarpe col tacco non molto alto: non volevo
essere né troppo appariscente né rischiare di cadere rovinosamente. Poi
avevo già speso per comprarmi un abito scuro la settimana scorsa
proprio per il funerale della nonna e non ero una fan dei vestiti
eleganti.
Quando andai a
pagare, Alexis si avvicinò alla cassa domandandomi se potesse mai
interessare almeno un po’ a mio fratello.
«Ehm...non so. Lui
parla così poco. È difficile sapere cosa pensa. Inoltre non ho mai
conosciuto o visto nessuna delle ragazze con cui è uscito quindi non
saprei proprio dirti che gusti abbia» non sapevo proprio che dire per
poterla aiutare in questa impresa quasi impossibile di conquistare
Jeremy.
Verso le nove
tornammo a casa. Sentivo nuovamente quella strana sensazione di
felicità nel tornare alla villa, sensazione che non percepivo da tempo.
La casa mi piaceva
e finalmente avevo una camera tutta mia, ancora da sistemare però era
mia, e pure la scuola mi stava piacendo e mi ci trovavo bene. Le persone invece mi sembravano un
po' impertinenti, però alla fine Alexis non era male e magari saremmo
potute anche diventare amiche. Anche George, sebbene fosse un tipo
strano, sembrava simpatico, e in mancanza di un ragazzo avrei sempre
potuto chiedere a Nicholas di uscire. Ma intraprendere una relazione
non era tra le mie priorità in quel momento.
I giorni che
precedettero la sera del ballo andarono sempre meglio, avevo fatto
amicizia anche con Matt, il fratello di Alexis, e George, mentre
Nicholas a causa del bidone che gli avevo dato per il ballo, si stava
dimostrando un po' ostile, soprattutto nei confronti di Jeremy. Alexis invece continuava ad
assillarmi chiedendomi di tutto e di più sul mio fratellastro, consigli
per piacergli e domande sui suoi gusti ma sinceramente sapevo ben
poco di lui e di quel che gli potesse passare per la testa.
Angolo autrice.
*Grimorio: è il libro degli
incantesimi di una strega.
*Famiglio: per chi non lo
sapesse, è il guardiano delle streghe quasi sempre identificato con un
animale.
La
leggenda raccontata da George l'ho presa da Wikipedia e l'ho romanzata, ai fini della trama,
aggiungendovi nuovi particolari.
A
presto (:
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