Da
quando erano montate in
sella ai loro cavalli, Marissa non aveva aperto bocca, limitandosi a
fissare il movimento del collo dell'animale che la portava in groppa.
D'altra parte neanche Siobhan sembrava in vena di fare conversazione,
né di spiegare a Marissa dove stessero andando. Dietro di
loro
cavalcava un servitore di poche parole e di aspetto comune, e con lui
sulla sella portava i bagagli delle due donne. Marissa alzò
le
spalle a quella mancanza di interesse che Siobhan manifestava nei
suoi confronti. Al diavolo! Pensò
irritata. Se non è
interessata a me perché io dovrei esserlo a lei?
Con
questa rinnovata
risolutezza si dedicò intensamente a guardarsi intorno,
visto che,
da quando era nata, non aveva mai avuto occasione di lasciare il
monastero e non conosceva che quelle anguste, grigie mura. Aveva solo
potuto immaginare il mondo esterno, da quel poco che si intravedeva
dalle strette finestre e dal chiostro del monastero. Da quella
prospettiva le era sembrato che la foresta di Argoer fosse molto
fitta e incredibilmente verde, e si accorse che non aveva avuto
torto. Il monastero era immerso nel cuore della foresta, senza altri
insediamenti umani per molte miglia. La cittadina più
vicina,
Dewville, si trovava parecchio più a sud, tanto che quando
al
monastero occorrevano provviste che le monache non potevano
coltivare, o quando il cibo scarseggiava, o quando mancava la stoffa
per gli abiti, ognuno di quei beni impiegava giorni e giorni per
raggiungere il monastero. Questo era dovuto non solo alla distanza,
ma anche al fatto che nella foresta non esistessero strade degne di
questo nome, sicuramente non le strade cui la gente delle grandi
città del sud era abituata; piuttosto stretti sentieri, erti
e
scoscesi, che si snodavano tra rocce e vegetazione.
La
foresta era composta
principalmente di alberi sempreverdi, conifere e abeti che
ricoprivano il grande nord di Itul a perdita d'occhio. Il clima
lì
era molto freddo d'inverno, e Argoer, e con essa anche i tetti del
monastero, veniva puntualmente ricoperta da uno spesso strato di neve
che imbiancava ogni cosa già all'inizio di novembre, mentre
le
monache e le novizie erano costrette ad avvolgersi in pesanti scialli
di lana non tinta e a soffiarsi continuamente sulle mani inguantate
per scaldarle. Ripensando ai rigidi inverni trascorsi ad Argoer
Marissa rabbrividì: se c'era qualcosa che si augurava di non
dover
più sperimentare, era quel freddo terribile.
Chissà se nel posto in
cui la stavano portando, Letha, il clima era più mite? La
ragazza si
augurò ardentemente di sì.
La
foresta era anche
popolata di moltissimi animali, alcuni, piccoli come i prilne,
riuscivano perfino a sconfinare nel monastero, arrampicandosi sui
muri o sfruttando qualche porta di servizio lasciata aperta. Tuttavia
qualsiasi tipo di animale era severamente vietato all'interno
dell'edificio e, se era abbastanza piccolo da essere maneggiato senza
pericolo, sorella Jania lo affogava in un secchio d'acqua. Per questo
Marissa si era data tanta pena per salvare quella povera bestiolina:
sapeva che la vita era ingiusta, ma non doveva esserlo per forza se
lei poteva fare qualcosa. Alemno Siobhan era giunta in tempo a
salvarla dalla punizione che Jania le avrebbe riservato. Come odiava
quella donna! Era così contenta di non doverla vedere mai
più in
vita sua. Una fitta di rimorso le agitò lo stomaco pensando
ad
Orlen, e a tutte le altre bambine e ragazze che non erano state
fortunate quanto lei e che non avrebbero potuto lasciare il
monastero. E tutto per quella strana cosa che chiamavano magia;
quella forza misteriosa che le era toccata in sorte. Perché
proprio
a lei? Cosa aveva di tanto speciale per meritare quel dono?
Dopo
qualche ora di marcia
in Marissa cominciò a prevalere la curiosità
sulla risolutezza ad
ignorare Siobhan, e, poiché sapeva che non le era permesso
fare
domande, si dedicò a studiare la sua misteriosa salvatrice.
Siobhan
era senza dubbio la donna più bella che avesse mai visto, e
al suo
confronto Marissa si sentì piccola e scialba, con quella
chioma di
capelli rossi che tutti le prendevano in giro. Invece i capelli di
Siobhan erano del colore del grano maturo, e il suo viso ricordava a
Marissa l'angelica perfezione marmorea della statua della beata
Laodamia che troneggiava nella cappella del monastero. Ad Argoen non
si era mai badato all'aspetto fisico: le monache erano coperte da
capo a piedi, cosicché del loro corpo non fosse visibile che
l'ovale
del viso; e alle allieve veniva inculcato lo stesso senso di modestia
mediante abiti informi e dai colori scialbi, che le facevano sembrare
tutte uguali, tutte accomunate dal medesimo aspetto triste e scialbo.
Ma Siobhan indossava un corpetto attillato, stretto sotto il seno con
dei lacci, e addirittura dei pantaloni aderenti che le mettevano in
risalto le belle gambe, senza preoccuparsi di sembrare impudica.
Lasciava che la chioma dorata le fluisse libera lungo la schiena e
non temeva di dire ciò che pensava, ignorando l'obbedienza e
la
modestia che a Marissa erano state insegnate per tutta la vita. Tutto
in Siobhan le parlava di spregiudicata femminilità e Marissa
avrebbe
dato qualunque cosa per assomigliarle almeno un po'.
Doveva
averla fissata con
troppa insistenza perché ad un certo punto Siobhan si
voltò a
guardarla. Marissa era sicura che l'avrebbe rimproverata, invece la
donna rimase in silenzio alcuni attimi prima di chiedere:
“Quanti
anni hai, Marissa?”
La
ragazzina arrossì.
“Tredici, signora.”
“Tredici?
Sei grande per
iniziare il noviziato...”
Irritata
dal non sapere
nemmeno di cosa quella donna stesse parlando, Marissa
sbottò:
“Allora avreste dovuto scegliermi prima!”
“Impertinente!”
rispose
Siobhan secca. “Non sta a te questionare l'operato
dell'Alleanza.”
Marissa si zittì, riportando lo sguardo sul collo del
cavallo,
ancora contrariata.
Quella
ragazzina era
un'insolente, ma Siobhan non poteva negare che avesse ragione.
Perché
l'Airknoril non aveva visto il suo potere fino a quel
momento?
La
figura incappucciata dava le spalle alla stanza in penombra, lo
sguardo fisso sulla finestra di vetro e ossidiana che aveva davanti.
Non si voltò quando i passi si fermarono appena dietro di
lei.
Sapeva già chi fosse.
“L'hanno
trovata”, annunciò gravemente colui che gli si era
avvicinato.
“E
questo ti stupisce?” ribatté l'altro con quello
che, su un essere
umano, avrebbe potuto sembrare un sorriso beffardo.
“Sapevamo
che sarebbe accaduto, prima o poi. Era inevitabile, abbiamo solo
ritardato l'evento; e per tredici anni oltretutto, il che non mi
sembra male come traguardo.”
“Ma
Lysar aveva detto...”
“Lysar
è uno sciocco! Ed è ora che lasci il suo posto,
non credi? Non ha
più l'età per ricoprire la sua carica. Mentre lui
se ne sta lassù,
in quella maledetta torre, a lanciare profezie idiote,
quaggiù c'è
qualcuno che ha deciso di agire invece di farsi guidare dagli dei.
Chi pensi che abbia avuto l'idea di oscurare la ragazza per tutto
questo tempo?”
“Tu....?”
commentò l'altro sbalordito. “Ma gli anziani lo
avevano proibito!
Dicevano che era troppo pericoloso, che c'era il rischio di essere
scoperti....”
“Ecco
perché gli anziani seguiranno il destino di Lysar. Se
vogliamo che i
nostri piani funzionano bisogna correre qualche rischio. È
tempo di
lasciare spazio alla nuova generazione.”
“Ma
alla fine l'Airknoril l'ha trovata lo stesso...”
obiettò dubbioso.
“Non
so come sia successo. Non doveva succedere. È come se la
pietra
avesse sentito il suo richiamo.”
“Ma...”
L'altro
lo bloccò con un cenno della mano. “Non chiedermi
come sia
possibile, ma è quello che è successo.”
Seguirono
alcuni secondi di silenzio assorto. Infine colui che era entrato
nella stanza chiese: “Cosa intendevi quando hai detto che
Lysar e
gli altri della casta devono lasciare spazio? Cosa hai in
mente?”
La
creatura si voltò all'improvviso. Il suo volto non aveva
nulla di
umano, un adunco naso a becco era sormontato da occhi piccoli e
gialli. La sua pelle aveva un colorito ceruleo, cosparso di piccole
macchie nere.
E
questa volta il sorriso malvagio che incurvò il suo volto fu
inequivocabile.
Marissa
si svegliò di
soprassalto, la fronte madida di sudore e il respiro corto,
mettendosi a sedere di scatto. Quel sogno era stato strano e
inquietante, e quella creatura... semplicemente orribile. Si chiese
come avesse fatto la sua mente a partorire simili mostri. Si
guardò
intorno, le pupille dilatate. Poco distante da lei il fuoco ardeva
ancora vivido come la sera prima nonostante fosse quasi l'alba; era
merito della magia di Siobhan, la più straordinaria che
Marissa
avrebbe mai creduto possibile. Con solo poche parole aveva acceso il
fuoco, e aveva fatto sì che si mantenesse vivo tutta la
notte. Le
aveva perfino mostrato che poteva infilare le mani tra le braci ed
afferrare uno dei ciocchi di legno incandescenti senza bruciarsi.
La
delegata era già sveglia
e vigile, in piedi dall'altra parte del fuoco, e si accorse subito
dello stato di agitazione di Marissa. Le si avvicinò, se non
premurosa quantomeno sollecita, e le chiese se fosse tutto a posto.
Marissa
annuì, passandosi
una mano sulla fronte. Le piccole gocce di sudore le bagnarono il
palmo.
“Solo
un brutto sogno”
mormorò imbarazzata. Ora Siobhan l'avrebbe creduta una
ragazzina
paurosa e piagnucolosa.
“Raccontamelo”
ordinò
lei perentoria.
Marissa
storse il naso
infastidita. Cosa dava il diritto a quella donna di immischiarsi dei
suoi sogni, quando lei non le permetteva nemmeno di fare una semplice
domanda? Al monastero l'avevano sempre giudicata refrattaria
all'autorità e in quel momento Marissa pensò che
non avessero avuto
tutti i torti. Non era portata alla cieca obbedienza, e se Siobhan
non era propensa a fidarsi di lei, lei avrebbe agito di conseguenza.
Avrebbe tenuto per sé i propri pensieri, e soprattutto i
propri
sogni. Almeno fin quando non avesse saputo di più della
donna con
cui stava viaggiando e sul luogo dove aveva intenzione di portarla.
“Non
lo ricordo, mi
dispiace” disse alzando le spalle.
Siobhan
la fissò dritta
negli occhi per qualche attimo, come se volesse comunicarle che non
le credeva minimamente. Marissa pensò che avrebbe
insistito... o
peggio: che avrebbe tirato fuori uno dei suoi incantesimi per
costringerla a dire la verità.
Ma
la donna distolse lo
sguardo, apparentemente disinteressata di ciò che poteva
nascondere
Marissa.
“Preparati
a partire” si
limitò a ordinarle. “E' già l'alba e ci
aspetta un altro lungo
giorno di cammino.”
Marissa
consumò la sua
colazione più in fretta che poté, poi
risalì di malavoglia a
cavallo.
Quel
secondo giorno di
marcia sembrò del tutto simile al primo, e già la
ragazza avrebbe
voluto sbuffare dalla noia. Ma con il trascorrere delle ore si
accorse che il paesaggio stava lentamente cambiando. I fitti boschi
di conifere e gli stretti sentieri rocciosi lasciarono il posto a un
immensa valle di erba verde, sul cui fondo scorreva un fiume piccolo
ma impetuoso. Finalmente l'azzurro del cielo, non più
oppresso dalla
cupezza della foresta di Argoer, apparve in tutta la sua
maestosità.
A Marissa sembrò che un peso le venisse tolto dal petto
nell'ammirare quegli spazi aperti così nuovi per lei.
“Quello
è il fiume
Lleney” annunciò Siobhan, rallentando il cavallo
di modo che
Marissa potesse affiancarla. “Siamo fuori dalla foresta di
Argoer.”
“E'...
è bellissimo”
mormorò Marissa estasiata. Un'aquila sorvolò le
loro teste in
quello stesso momento, lanciando il suo fiero richiamo.
Per
la prima volta, di
fronte all'ingenuo stupore di Marissa, le labbra di Siobhan si
incurvarono in un accenno di sorriso, che però si spense
quasi
immediatamente. Un raggio di sole aveva illuminato la figura della
ragazzina, e l'occhio attento della delegata aveva colto uno strano
particolare.
Nel
momento in cui la luce
del sole li aveva colpiti, i suoi occhi avevano cambiato colore.
Dall'azzurro erano divenuti argentei. Per una frazione di secondo, ma
Siobhan era convinta di aver visto giusto.
No,
non è possibile. Non può essere!
“Marissa!”
la chiamò in
tono fermo. E quando la ragazza si voltò verso di lei, si
accorse
che non si era sbagliata. I suoi occhi ora erano argentati,
sfavillanti nella calda luce del giorno.
Le
venne in mente che
l'aveva vista sempre con i capelli sciolti, mentre le altre novizie
del monastero – da quel che aveva potuto notare –
li tenevano
raccolti in trecce.
Marissa
nel frattempo la
stava guardando interrogativamente, chiedendosi se era il caso di
domandare cosa volesse da lei. Ma Siobhan la precedette.
“Raccogli
i capelli”
ordinò.
Marissa
si chiese se avesse
compreso bene. “Cosa?”
“Raccogli
i capelli con le
mani” spiegò impaziente la delegata.
“Mostrami le orecchie.”
Marissa
obbedì, confusa. E
quando eseguì ciò che Siobhan le aveva chiesto,
quest'ultima seppe
di aver visto giusto. Dunque era questo ciò che la priora
non aveva
voluto rivelarle sul conto della ragazza.
“Per
tutti gli dei... un
mezzelfo!” esclamò sbalordita. Il servitore dietro
di lei si
ritrasse istintivamente, facendo innervosire il cavallo che
batté lo
zoccolo sul terreno.
“Padrona!”
esclamò
quasi spaventato. “Dite sul serio?”
Siobhan
si voltò verso di
lui e lo fulminò con lo sguardo. “Stai calmo
Kyrel! Non una parola
di più!”
“Ma..
di cosa state
parlando?” chiese Marissa sempre più confusa.
“Tu
sei un mezzelfo
Marissa” le spiegò la donna in tono calmo.
“Non ne eri al
corrente?”
“Io..
no. Non so nemmeno
di cosa stiate parlando. E perché lui mi guarda
così?” chiese
esasperata facendo un cenno in direzione del servitore.
“Perché
tu sei il frutto
dell'unione tra un elfo e un umano, ma le unioni tra elfi umani sono
proibite qui a Itul, ed anche nel sud e nell'est. Sono proibite da
più di duecento anni.”
Angolo
Autrice: Ed
eccoci al terzo
capitolo, incentrato su Marissa e nel quale si scopre qualcosina in
più su di lei. Quali saranno le sue origini? E
qual'è il suo legame
con le creature che vogliono nasconderla all'Airknoril, la pietra di
cui sapremo di più nei prossimi capitoli? Spero di essere
riuscita a
incuriosirvi e ringrazio come sempre tutti coloro che
recensiscono/leggono/seguono.
Alla
prossima,
Eilan
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