“Ma
allora.. tu chi sei?”
La
domanda di Arianrhod giunse tanto inaspettata che Gareth ebbe un
sussulto. Ma avrebbe dovuto aspettarselo, lei non era affatto una
sciocca.
“Sono
un membro della Guardia Bianca, l'ordine di cavalieri creati dalla
stirpe degli Yngling, fedeli ai sovrani nella vita come nella morte.
Il nostro compito è servire e proteggere la stirpe reale, in
ogni
modo ci sia concesso e finché le forze non ci vengano
meno.”
“Proteggete...
me?” chiese Arianrhod scettica. Le sembrava ancora strano che
un
intero ordine fosse votato a lei, anima e corpo.
“Soprattutto
te. Devi capire che hai un valore inestimabile per il tuo paese e per
il tuo popolo.”
“Mi
fai sentire alla stregua di una gemma... o di un qualche altro
oggetto...” borbottò la ragazza, il tono velato da
una punta di
contrarietà.
“Scusami,
non so come meglio esprimere ciò che significhi per la
Svezia, non
sono mai stato un granché con le parole” sorrise
Gareth. “Ma c'è
un fondo di verità in quello che dici. Un sovrano
è prima di tutto
un simbolo per il suo popolo, una figura capace di unirlo sotto
un'unica bandiera e guidarlo verso un obiettivo comune.”
Arianrhod
batté le palpebre, perplessa. Le era difficile comprendere
il
concetto di un intero popolo che ubbidiva ad un unico sovrano
indiscusso. La Britannia era divisa in tribù, ognuna con un
proprio
principe, o re. Li governava un Grande Re, una sorta di comandante in
capo, soprattutto in tempi di guerra, ma ogni tribù rimaneva
autonoma e custodiva gelosamente la propria indipendenza. Ed anche
l'elezione del Grande Re era un costume recente: prima dell'attuale
grande re, Ambrosio Aureliano, ce n'era stato solo un altro.
“Dunque
sei svedese?” chiese infine a Gareth, senza essere riuscita a
ricavare molto da quella riflessione.
“Lo
sono per metà. Mia madre era britanna, e io sono nato e
cresciuto a
Leguvalium, su al nord. Mio padre era svedese ed era anch'egli un
membro della Guardia Bianca. È per questo che io lo sono
diventato.”
“E
perché hanno mandato proprio te a salvarmi? Dov'è
il resto di
questa Guardia Bianca?”
“Quando
ci è giunta notizia che stavi per subire un attacco era
troppo tardi
per mobilitare l'intero ordine. Io sono quello che è
riuscito ad
arrivare più in fretta... o dovrei dire appena in tempo. Il
resto
della Guardia Bianca è già in viaggio per
raggiungerci, insieme ai
nostri comandanti.”
“Ma
chi è che vi comanda? Chi è il vostro capo
supremo?”
“Il
capo supremo, se così si può chiamare,
è il Duca Fjölnir
di Silverdalen, uno dei nobili più potenti in Svezia e
grande amico
del defunto re... cioè, di tuo padre” si corresse
con un cenno del
capo.
“Cos'è
successo dopo che la Guardia Bianca mi portò via dalla
Svezia?”
“Dopo
che sei scomparsa il Trono del Drago è stato usurpato da tuo
zio, il
Principe Erik, il quale era manovrato dal Duca Aun di Skillingaryd,
un altro dei nobili più potenti del regno. Infatti, appena un
anno più
tardi, il Duca ha fatto assassinare tuo zio e si è
installato sul
trono. Otto anni fa Aun venne sconfitto in battaglia e da allora sul
trono di Svezia si sono succeduti altri due usurpatori, prima il
Nobile Halfdan e poi il Duca Ale di Vingåker, che attualmente
governa. Come avrai intuito, questi quattordici anni sono stati un
periodo buio per la Svezia, governata da tiranni usurpatori, lacerata
dalle lotte intestine e dalla guerra che le famiglie più
potenti del
paese stanno portando avanti per ottenere il trono.
In
tutti questi anni il tuo popolo ha atteso il tuo ritorno; ha atteso
perché la legittima Regina di Svezia sieda nuovamente sul
Trono del
Drago e ponga fine alle lotte e ai disordini. Anche se alcune potenti
famiglie hanno voluto questa era del caos tradendo la Casa Reale, il
popolo è sempre stato estremamente fedele agli Yngling, la
Stirpe
del Drago.”
“E’
stato questo Duca Ale a ordinare a quei sicari di
uccidermi…”
mormorò Arianrhod. “E' stato lui che ha
assassinato la mia
famiglia.” Senza rendersene conto strinse il tessuto del suo
abito
nel pugno, fino a farsi sbiancare le nocche.
“Lo
ucciderò” annunciò calma, il volto
impassibile. “Giuro davanti
agli dei che pagherà con il suo sangue per aver versato
senza pietà
quello di mia madre, mio padre e mio fratello.”
Gareth
allungò la mano e la posò su quella ancora
stretta a pugno di
Arianrhod. Con dolcezza le sciolse le dita da quella stretta ferrea.
“La
vendetta ti aiuterà a dare pace al tuo cuore, questo
è certo, ma
non è tutto. Tu sei nata per uno scopo molto più
alto di questo.”
Arianrhod
deglutì, ricacciando indietro un fastidioso nodo che le si
era
fermato in gola.
“Come...
come sono arrivata dai miei genitori adottivi?” chiese con un
filo
di voce.
“Ai
tuoi genitori adottivi fu spiegata ogni cosa: chi eri, come avrebbero
dovuto comportarsi con te. Per fare questo hanno ricevuto dalla
Guardia Bianca una notevole somma di denaro, con la quale credo che
abbiano comprato quella bella fattoria.”
“I
miei genitori lo hanno fatto solo per il denaro?” chiese
Arianrhod.
“Forse
all'inizio fu un fattore decisivo nel guadagnare il loro consenso, ma
puoi credermi quando ti dico che ti hanno amata come se fossi stata
davvero loro figlia. Ma credo che tu questo lo sappia
già”,
rispose Gareth.
Arianrhod
annuì. “Sono stati i migliori genitori che potessi
avere.”
“Se
hanno accettato il denaro è solo perché sapevano
il rischio che
correvano nel prenderti con loro.”
E'
anche colpa mia se sono morti, pensò
la ragazza con lucidità. Se
non fossi mai entrata nella loro vita a quest'ora sarebbero ancora
vivi. Dovunque mi trovi porto la morte: prima i miei veri genitori,
poi i miei fratelli e infine anche la mia famiglia adottiva. Sono
maledetta.
Era
un pensiero malsano, ma Arianrhod non riusciva a scacciarlo, per
quanto ne fosse consapevole e per quanto tentasse.
“Non
angustiarti, mia regina” disse Gareth come se potesse
leggerle nel
pensiero. “Non è stata colpa tua. Nulla che sia
successo fin'ora
lo è stato. Forse quando sarai di nuovo sul trono e dovrai
prendere
decisioni difficili, magari anche apparentemente ingiuste, potrai
sentirti, a buon diritto, in colpa. Ma non ora.”
Tra
di loro cadde improvvisamente il silenzio. Arianrhod se ne stava a
testa china, l'espressione indecifrabile. Per quanto tentasse Gareth
non riusciva più a capire cosa stesse pensando. Infine
decise di
rompere quell'inquietante silenzio.
“Tutti
i predecessori di Ale hanno tentato di trovarti, ma per quattordici
anni hanno fallito nel loro intento. La Guardia Bianca ti ha protetto
bene; anche se eri affidata ai tuoi genitori, noi non ti abbiamo mai
perso di vista.”
“Allora
come mai hanno massacrato la mia famiglia?”, chiese la
giovane
regina con voce tagliente.
Stava
cercando qualcuno da incolpare, Gareth lo capiva. E non aveva nemmeno
tutti i torti. Quei sicari erano passati sotto il loro naso come
volpi astute, e solo per un soffio non erano riusciti nel loro
intento.
“L'unico
modo in cui Ale poteva sapere dove ti trovavi” rispose
conciliante,
ӏ che qualcuno vicino a te abbia scoperto chi eri
veramente e ti
abbia venduta all'usurpatore.”
Arianrhod
fece un gesto con la mano come a escludere tassativamente
quell'ipotesi. “No, questo non può essere. Conosco
la gente del
mio villaggio da sempre, e mi fido di loro ad occhi chiusi.”
Gareth
preferì non insistere. Sapeva che lei sarebbe comunque
rimasta della
sua idea, testarda com'era.
“In
ogni caso ucciderti per il Duca Ale è l’unico modo
per legittimare
la sua posizione. Finché tu sarai in vita lui
rimarrà sempre un
usurpatore e il popolo non l’accetterà
mai.”
Arianrhod
sentì un brivido percorrerle la schiena, e Gareth se ne
accorse.
“Non
avere paura, farò tutto ciò che è in
mio potere per proteggerti. E
il luogo in cui ti sto portando è il più sicuro
di tutta la
Britannia.”
“Dove
siamo diretti?”
“Conosci
l'Isola Sacra di Avalon?”
“Certamente.
Qualche anno fa una ragazza che conoscevo ha scelto di prendere i
voti come sacerdotessa. Ma molti si sono convertiti alla nuova
religione e sempre meno famiglie accettano di mandare le loro figlie
ad Avalon.”
“Quello
che dici è vero, i cristiani stanno divenendo sempre
più numerosi.
Ma l'isola è nascosta tra le nebbie, è separata
da questo mondo
dalla magia delle sacerdotesse, e nessuno può trovarla senza
che
loro lo vogliano. Non c'è posto in cui potresti essere
più al
sicuro.”
“Ho
sentito tante storie su Avalon, mio padre me ne parlava spesso. E
ammetto di aver pensato anch'io alla vita sacerdotale, anche
perché
i miei genitori non sembravano considerare per me la via del
matrimonio. Ho sempre sognato di vedere l'Isola Sacra...”
“E'
una fortuna allora, perché è lì che
andremo e da nessun'altra
parte” esclamò Gareth, battendosi la mano sulla
coscia con uno
schiocco sonoro.
“Perché
ora non dormi un po’? Dovremo ripartire alle prime luci
dell'alba.
Farò io il primo turno di guardia.”
Arianrhod
annuì distrattamente e, senza dire una parola, si
sdraiò su un
fianco.
Gareth
rimase a guardare la sua giovane regina dormire, fino a che il fuoco
non si consumò del tutto e, con un ultimo guizzo, si spense.
Quando
si svegliò Arianrhod ebbe l'impressione di essersi coricata
appena
qualche minuto prima. Non era abituata a dormire all'addiaccio e i
suoi muscoli erano dolorosamente contratti. Inoltre sogni tormentati
ancora agitavano il suo riposo, e il doversi svegliare per permettere
a Gareth di riposare a sua volta non l'aveva aiutata.
Si
stiracchiò con uno sbadiglio e quasi sobbalzò
quando si accorse di
avere un pugnale all'altezza dello sguardo. Gareth si era avvicinato
silenziosamente e le stava porgendo un pugnale dalla parte del
manico. Arianrhod lo prese, incerta.
“So
che avresti bisogno di una spada, ma per ora non ho niente di meglio
da offrirti. Vista la tua abilità con le lame potrebbe
tornarti
utile. E mi raccomando, se se ne presentasse l'occasione, usalo senza
indugi.”
Arianrhod
gli sorrise, grata, infilandosi il pugnale alla cintura.
“Dovremo
procurarci anche un altro cavallo, o il mio da solo non
riuscirà a
portarci fino ad Avalon. Stramazzerà a terra morto prima, e
siccome
a lui ci tengo ci fermeremo al prossimo villaggio che incontriamo per
comprarne uno.”
“Sono
la prima a esserne felice, Gareth” rispose lei con un
sorrisetto
canzonatorio, accettando la mano che lui le porgeva per alzarsi.
“Dal
momento che procederei molto più veloce se fossi io a
guidare il
cavallo.”
“Non
ne dubito” ribatté lui divertito.
Non
passò molto tempo prima che si imbattessero in un villaggio
e ancor
meno ci impiegò Gareth a consegnarle un nuovo cavallo, dal
lucido
mantello nero e dai muscoli guizzanti.
“Tieni”
le disse porgendole le briglie. “E ora vediamo se riesci a
provare
quello che affermi tanto spavaldamente.”
“In
che senso?” chiese Arianrhod alzando un sopracciglio
interrogativamente.
“Non
hai detto che sei capace di battermi in velocità? Andiamo,
allora!”
esclamò saltando in groppa al proprio cavallo e spronandolo
al
trotto, non tanto veloce però che Arianrhod non potesse
avere il
tempo di raggiungerlo.
Lei
rimase sbalordita per qualche secondo, poi con una risata
montò il
suo cavallo e prese a rincorrere il cavaliere al galoppo giù
per la
collina.
Per
la prima volta da quando tutto era successo, si sentiva spensierata e
allegra. Era meraviglioso sentire il vento sferzarle il volto e
gonfiarle l'abito. Ogni volta che i loro sguardi si incrociavano,
nella frenesia della galoppata a briglia sciolta, Gareth e Arianrhod
sorridevano, come se non fosse esistito nient'altro al mondo che quel
momento.
Avevano
già coperto una considerevole distanza in direzione della
loro meta,
quando, esausti, frenarono i cavalli, procedendo al passo.
“Non
mentivi, dunque” commentò Gareth. “Sei
un'abile cavallerizza.”
Arianrhod
alzò le spalle gratificandolo con un sorriso sincero.
“Non direi.
Sei tu il cavaliere... io sono solo la figlia di un fabbro che tu
tenti di far passare per regina.”
Trascorse
un altro giorno di viaggio in quel modo. I due si fermavano soltanto
il tempo necessario per far riposare i cavalli o mangiare qualcosa
velocemente. La sera del terzo giorno si allontanarono dalla strada
costeggiata da muretti di pietra e si inoltrarono nel bosco.
Arianrhod era grata che avrebbero potuto accendere un fuoco,
perché
sentiva disperatamente il bisogno di un pasto caldo. Mangiare more e
carne secca per due giorni poteva rivelarsi avvilente.
Furono
tanto fortunati da non dover nemmeno preparare il posto per il
falò,
cosa che avrebbe portato loro via una buona parte del tempo. Al
centro della radura c'era un vecchio falò abbandonato,
composto di
grosse pietre disposte in circolo, completamente ricoperte di edera
rampicante e altre erbacce. Gareth si dedicò a ripulire il
falò e
raccogliere legna, mentre Arianrhod andò in cerca di radici,
erbe,
bacche e qualsiasi altra cosa commestibile con cui fare una zuppa.
Poco lontano dal loro accampamento notò un cespuglio carico
di
lamponi grossi e succosi. Ne raccolse diversi, ma quelli migliori
erano in alto, fuori della sua portata. Si fermò a
riflettere con le
mani sui fianchi, inclinando leggermente il capo: accanto al
cespuglio cresceva un grosso albero, dal quale un solido ramo si
protendeva proprio all'altezza dei lamponi che interessavano a lei.
La ragazza raccolse le gonne e, agile come un gatto, si
arrampicò
sull'albero e aiutandosi con mani e ginocchia, percorse il grosso
ramo fin quasi al suo estremo. Poi si sedette per avere le mani
libere e cominciò a raccogliere i lamponi che stipava nella
gonna,
raccolta come fosse un canestro.
Mentre
era intenta in questa attività, soddisfatta di se stessa per
aver
ovviato a quell'ostacolo, udì un rumore di passi poco
distante da
lei. Immediatamente vigile, si accovacciò sul ramo,
aggrappandosi al
tronco dell'albero per sporgersi e vedere meglio. Dopo pochi istanti
sotto di lei passò un uomo. Da dove si trovava non riusciva
a
vederlo in faccia o notarne gli abiti. Capiva solo che si trattava di
un uomo con i capelli biondi. Che fosse uno dei sicari che la
cercava? Arianrhod deglutì. Non poteva chiamare Gareth ad
aiutarla o
quell'uomo si sarebbe accorto di lei. Se non altro stavolta non era
impreparata, e poteva sfruttare l'effetto sorpresa. Sfilò
silenziosamente il pugnale dalla cintura e, svelta come un fulmine,
saltò a terra, proprio alle spalle dell'uomo. Fu questione
di un
attimo e lui non ebbe nemmeno il tempo di rendersi conto di cosa
fosse piovuto dal cielo. Arianrhod lo afferrò per la tunica
e gli
puntò il pugnale alla gola, così forte da
procurargli un graffio da
cui stillò una goccia di sangue.
“Dimmi
chi sei e cosa ci fai qui!” sibilò infuriata,
“o non vivrai un
attimo di più!”
Prima
che l'uomo, che aveva alzato le mani in segno di pace - forse
perché
aveva riconosciuto una voce femminile - potesse parlare,
arrivò di
corsa Gareth trafelato.
“Arianrhod
lascialo! È un amico.”
Arianrhod
spalancò la bocca dallo stupore, ma lasciò andare
l'uomo, che si
affrettò a voltarsi per trovarsela di fronte. Ora che lo
vedeva
bene, la ragazza si accorse che sopra la cotta di maglia indossava la
veste con lo stemma degli Yngling, il drago coronato.
“Questa
è la nostra regina?” disse l'uomo ansante.
“Allora possiamo ben
sperare.”
“Arianrhod,
ti presento Ősten,
un altro
cavaliere della Guardia Bianca.”
Arianrhod
chinò il capo. “Mi dispiace avervi
minacciato” disse con
cautela, spostando lo sguardo da un uomo all'altro.
Ősten
s'inginocchiò. “Mia regina...”
mormorò.
Tra
lo stupito e il divertito Arianrhod, tutt'altro che abituata a simili
formalità, gli chiese di rialzarsi.
“Finalmente
qualcun altro ce l'ha fatta a raggiungerci”
commentò Gareth
seccato.
“Non
prendertela con me. Quando sono arrivato alla fattoria eravate
già
partiti da un pezzo e ho viaggiato più veloce che ho potuto.
Vi
stanno seguendo. Dovete raggiungere Avalon il prima possibile, o la
regina sarà in pericolo.”
“Altri
sicari?”
“Sì,
almeno tre. Ho fatto l'impossibile per seminarli ma non ci sono
riuscito.”
“Sicari?”
s'intromise Arianrhod con una strana luce negli occhi.
“Lasciateli
a me, ci penserò io.”
“No!”
la interruppe secco Gareth. “E' troppo pericoloso.”
“Ma..”
“Ti
prometto che vendicherai la tua famiglia, ma non ora e non con dei
semplici sicari.”
Gareth
le rivolse uno sguardo quasi supplichevole, memore di quanto lei
poteva essere avventata e testarda. La tensione tra di loro si
tagliava con il coltello. Arianrhod teneva ancora l'arma sguainata in
mano. Poi rilassò le spalle. “D'accordo, hai
ragione” disse con
gran sollievo dei due cavalieri.
“Allora
dobbiamo raggiungere Avalon entro domani. Se ci fermiamo ora faremo
solo un favore a quegli assassini. Quanto vantaggio abbiamo su di
loro Ősten?”
“Direi
non più di una lega.”
“Ripartiamo
subito. Tu vieni con noi?”
Ősten
scosse il capo. “Ora che so la vostra posizione devo
avvertire il
Duca e gli altri perché vi raggiungano il prima possibile. E
cercherò di rallentare i sicari.”
“Grazie”
disse Arianrhod in un soffio. Ancora trovava incredibile che tutti
quegli uomini si dessero tanta pena per lei.
Lei
e Gareth ripresero i cavalli e continuarono il loro viaggio verso
sud, salutando Ősten che prese la direzione opposta.
Mentre
cavalcavano nel sole morente, stranamente Arianrhod pensò
con
rimpianto al pasto caldo che neppure quella sera avrebbero consumato.
Angolo
Autrice: Eccomi
qui con il nuovo capitolo e scusate il ritardo! Comunque ora che le
ferie sono definitivamente e irrimediabilmente (sigh!) finite non
dovrei avere più problemi ad aggiornare puntuale^^. Spero
che questo
capitolo vi piaccia. Grazie come al solito a chi
recensisce/segue/legge.
Alla
prossima,
Eilan
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