Il
cammino verso Avalon era reso più agevole da strade comode e
larghe
– lascito dei romani che avevano dominato l’isola
fino a trecento
anni addietro – e solo per dormire il cavaliere e la sua
regina si
fermarono al riparo dei boschi.
Il
sole stava tramontando sul loro quinto giorno di viaggio quando
giunsero al lago che circondava l’Isola Sacra.
Gareth
fermò il cavallo sulla riva, e Arianrhod lo
imitò. Lui notò che
aveva il volto teso e segnato dalla stanchezza. Ma il suo sguardo era
determinato e fiero, e dalle sue labbra non era venuto neppure un
lamento; nemmeno quando avevano dovuto percorrere le ultime leghe in
fretta, senza potersi riposare se non per quelle poche,
indispensabili ore di sonno.
Arianrhod
si girò alla sua sinistra, socchiudendo gli occhi per
riuscire a
scorgere, nella nebbia, il monastero di Ynis Witrin, arroccato sulla
cima di una collina che sembrava dominare il lago. Proprio in quel
momento le campane cominciarono a suonare, interrompendo l'umido
silenzio che permeava la terra, e facendo vibrare l'aria intorno a
loro. Non fu una sensazione spiacevole: le campane ebbero un effetto
calmante su di lei. Quel posto sembrava fin troppo tetro e
silenzioso.
“Le
campane richiamano i monaci ai Vespri”, commentò
Gareth.
“Dov'è
Avalon?” chiese. “E' lì, dove si trova
il monastero?”
“No.
L'Isola Sacra e il monastero sono adiacenti, ma non si toccano. E
mentre gli abitanti dell'Isola possono vedere i monaci, i monaci non
possono vedere loro.”
“Sei
già stato prima sull'Isola?”
“Diverse
volte.”
“E
come la raggiungeremo? Dove si trova?”
Gareth
fece un gesto con la mano. “E' proprio davanti a te. Solo che
non
puoi vederla.”
Arianrhod
rimase in silenzio, in attesa. Sebbene non avesse capito appieno
ciò
che Gareth intendesse dire, decise di avere fiducia in lui.
Ma
i minuti passavano e, nonostante si avvolgesse nel mantello di stoffa
ruvida, l'umidità cominciò a penetrarle nelle
ossa, condensandosi
in piccole goccioline tra i suoi capelli.
“Come
arriveremo ad Avalon?”, chiese infine, in tono spazientito.
“Non
possiamo certo attraversare il lago a nuoto.”
“No.
A quest’ora sapranno che siamo qui e avranno mandato la
barca.”
Sapranno
chi? Avrebbe
voluto chiedere Arianrhod. E
soprattutto... come possono sapere che siamo qui?
“Sai,
in fondo quasi mi dispiace che questo viaggio finisca”
commentò
dopo qualche istante, in tono remoto, quasi tra se e se. “E'
come
se mi lasciassi definitivamente alle spalle quello che avevo creduto
di essere. Come se stessi per aprire la porta su un abisso oscuro e
misterioso, su un futuro incerto...”
Gareth
sentì un nodo serrargli lo stomaco: anche lui avrebbe voluto
che il
loro viaggio non avesse mai termine, nonostante tutto quello che
avevano passato, nonostante tutti i pericoli che avevano corso.
Perché da adesso in poi lei sarebbe stata per lui solo la
regina:
splendida, austera e irraggiungibile. Non sarebbe stata più
Arianrhod,
la ragazza che aveva imparato a conoscere così profondamente
da
quando le aveva salvato la vita.
Gareth
la osservò assorto, ma lei era persa nelle sue riflessioni,
lo
sguardo fisso sul lago, e non se ne accorse. Che stesse già
pensando
a cosa l'aspettava? Ma poteva poi averne davvero un'idea?
Probabilmente no, concluse Gareth. La sua forza d'animo e il suo
coraggio l'avrebbero sicuramente aiutata nelle prove che
l'attendevano, ma prepararla? Questo no, mai.
Come
obbedendo a un muto segnale di Gareth, pochi minuti più
tardi sulle
acque grigie apparve una barca.
Avanzava
tanto silenziosamente che all'inizio Arianrhod neppure la
notò,
scambiandola per un gioco di luci sull'acqua, o il riflesso di un
uccello di palude. Era parata di nero e d’argento e avanzava
silenziosa, quasi sfiorando la superficie. Quando giunse più
vicina,
Arianrhod notò che trasportava tre persone: i rematori, due
uomini
minuti e dalla pelle scura, con il corpo dipinto di azzurro e solo un
perizoma di pelle a coprire la loro nudità. Non aveva mai
visto
uomini come quelli, ma li riconobbe, da ciò che le avevano
raccontato, come appartenenti al Piccolo Popolo della Britannia. In
effetti, sapeva che erano dei ferventi pagani, e molto legati ad
Avalon e ai suoi Misteri.
La
terza persona, che stava accanto a loro a prua, era una donna.
Indossava una veste scura, austera, e portava i lunghi capelli
sciolti.
Una
Sacerdotessa,
pensò Arianrhod sgranando gli occhi, ma non disse nulla.
Quando
la grande barca toccò la riva sabbiosa, sempre senza fare il
minimo
rumore, i due rematori scesero e la tennero ferma, prendendo entrambi
un capo della fune che era legata ad essa. Sembrava stessero loro
dicendo di salire, ma Arianrhod era talmente attonita che
aspettò
che fosse Gareth per primo a smontare da cavallo e condurlo per le
briglie sulla barca. La sacerdotessa non si era mossa dal posto in
cui si trovava, né aveva fatto loro alcun cenno di saluto o
di
riconoscimento. Arianrhod pensò che fosse molto strano.
Erano
davvero così insoliti i costumi presso gli abitanti di
Avalon?
Gareth
le tese la mano per aiutarla a scendere da cavallo. Non che lei ne
avesse bisogno, ma sembrava talmente intimorita da quello spettacolo,
che il cavaliere temeva sarebbe rimasta per sempre in groppa
all'animale, lo sguardo spalancato dalla sorpresa e dal timore. Anche
il cavallo di Arianrhod fu condotto a bordo e lei salì,
sedendosi
accanto a Gareth. La sacerdotessa sembrava ancora inconsapevole della
loro presenza, come se fosse in uno stato di estrema concentrazione.
Le
nebbie cominciarono ad avvilupparli, sempre più spesse e
dense,
rendendo impossibile vedere alcunché. Arianrhod comprese che
si
trattava delle nebbie magiche, che proteggevano e nascondevano alla
vista l’Isola Sacra.
La
barca avanzò silenziosa fino a circa metà del
lago, poi si arrestò
bruscamente. La Sacerdotessa non aveva detto una parola fino a quel
momento. D’improvviso trasse un profondo respiro e rimase
immobile
nella tensione della magia. Nonostante la sua statura minuta, in quel
momento la donna apparve alta e maestosa, e d’istinto
Arianrhod si
aggrappò al braccio di Gareth, atterrita. Lui le sorrise per
rassicurarla e la giovane lasciò immediatamente la presa,
vergognandosi della sua debolezza.
La
Sacerdotessa tese le braccia verso il cielo, con le palme rivolte
all'insù, quindi le riabbassò con un gesto secco.
Improvvisamente
la nebbia calò, e il monastero cristiano scomparve alla
vista,
repentinamente celato. La barca continuò a procedere.
Ad
Arianrhod apparvero finalmente le rive di Avalon. Erano acque calme,
quiete, illuminate dai raggi del sole morente che le rendeva
scintillanti. Moltissimi uccelli acquatici nuotavano al pelo
dell'acqua o su di essa. La visione più maestosa, che subito
colpì
il suo sguardo, fu la collina sacra, sulla cui cima sorgeva il Tor,
un immenso cerchio di pietre di un bianco abbagliante. Tutto intorno
alla collina si avvolgeva un grande sentiero. Gareth le aveva parlato
a lungo di Avalon e ora le sembrava incredibile trovarsi davanti agli
occhi tutte le meraviglie che lui le aveva descritto.
Era
talmente rapita da quella visione che, quando la barca toccò
la
riva, ebbe un sussulto. La sacerdotessa scese, seguita da Arianrhod e
da Gareth, subito dietro di lei. I rematori si occuparono dei
cavalli.
Vennero
loro incontro alcune donne, abbigliate di scuro e con una mezzaluna
azzurra tatuata sulla fronte.
Una
di loro si staccò dal gruppo e venne loro incontro. Gareth
le si
inchinò e altrettanto fece Arianrhod, intuendo chi potesse
essere la
donna.
“Non
c’è bisogno che vi inchiniate a me,
Regina”, disse la
Sacerdotessa. “Siete una mia pari.”
“Voi
siete…?”, mormorò Arianrhod.
“Sì,
io sono Viviana, Somma Sacerdotessa di Avalon e Dama del Lago. E voi
siete la benvenuta qui, Regina di Svezia.”
“E’
un onore per me conoscervi”. La giovane si accorse che,
nonostante
fosse molto più piccola di lei, che la sovrastava con la sua
statura, la profonda saggezza e la calma regalità di Viviana
avevano
il potere di metterla in soggezione.
“Siete
una nostra ospite. Sarete molto stanca, Raven vi
accompagnerà al
vostro alloggio e provvederà alle vostre
necessità”, disse
facendo un cenno a una giovane donna.
“Domani
potremo parlare tranquillamente, e sicuramente ci sarà molto
di cui
discutere. Vi avverto però che Raven ha fatto voto di
silenzio, per
cui non vi risponderà.”
Raven
la prese gentilmente per un braccio e cominciò a condurla
via.
Arianrhod si voltò verso Gareth che era rimasto dove si
trovava.
Avrebbe tanto voluto chiamarlo, dirgli di non lasciarla
sola… ma
poi cosa avrebbero pensato le Sacerdotesse?
Gareth
la seguì con lo sguardo, quasi dolorosamente,
finché un sacerdote
si avvicinò per condurlo alla casa degli apprendisti druidi,
dove
avrebbe alloggiato.
Raven
la condusse silenziosamente verso l'interno dell'isola. Arianrhod
vide molti edifici diversi, da cui entravano e uscivano druidi,
sacerdotesse e alcune giovani donne che sembravano essere novizie.
Avrebbe voluto chiedere spiegazioni a Raven, ma ogni volta si mordeva
la lingua, ricordando a se stessa che la sacerdotessa non le avrebbe
risposto. Attraversarono un frutteto pieno di meli, ognuno carico di
quei deliziosi frutti dalla sfumatura rossastra. Ancora una volta
Arianrhod sgranò gli occhi per la meraviglia.
Appena
superato il meleto, vi era una piccola costruzione, bassa e
più
piccola delle altre che aveva visto fin'ora. Forse si trattava di un
edificio riservato agli ospiti di riguardo.
In
silenzio, Raven portò una veste pulita ad Arianrhod e
l’acqua per
lavarsi. La giovane indirizzò a Raven un muto
ringraziamento. La
Sacerdotessa chinò il capo, poi la lasciò sola.
Nella casa già
ardeva un bel fuoco e su un tavolino davanti ad esso, era imbandita
una cena frugale a base di pane, carne e birra. Arianrhod
sospirò di
gioia a quella vista: poter mangiare con tranquillità,
godendo del
tepore del fuoco, le sembrava un sogno insperato.
Mentre
aspettava con pazienza che i capelli appena lavati si asciugassero al
calore del focolare, si concentrò sulla sua attuale
situazione e su
ciò che l'attendeva.
Arianrhod
si sentiva spossata, come se ogni osso del corpo le dolesse. Ma
più
dei patimenti del fisico, la colpirono quelli dell’animo. Non
se ne
era resa conto finché non si era trovata separata da lui, ma
Gareth
era divenuto, in poco tempo, un punto di riferimento nella sua vita
altrimenti stravolta e alla deriva come una barca nel mare in
tempesta. La sua voce dolce e rassicurante, i suoi espressivi occhi
grigi, la sicurezza del suo tocco… la sua vicinanza in quei
giorni
di viaggio aveva risvegliato in lei sensazioni mai provate prima.
Sensazioni che nessun altro uomo le aveva mai provocato.
Senza
la sua solida presenza rassicurante si sentiva stranamente sola e
vulnerabile. Qualcuno avrebbe potuto dire che una giovane capace di
uccidere due assassini addestrati non poteva certo considerarsi
vulnerabile,
ma il peso che le sue appena rivelate origini le facevano gravare
sulle spalle sembrava schiacciarla.
Lei
Regina di Svezia! Come poteva lei reggere un simile destino, quando
fino a pochi giorni prima era stata solo Ainslee, la figlia di un
fabbro? Cosa volevano che facesse? Che si riprendesse il suo trono,
ciò che le spettava di diritto? Ma in quale modo sarebbe
stata in
grado di riuscire in una simile impresa?
Come
avrebbe voluto risvegliarsi il mattino seguente nel suo letto, nella
fattoria dei suoi genitori…
Eachann
e Gwenael erano morti a causa di quello che lei era, e perseverare
nel conseguimento del suo destino le sembrava un’offesa alla
loro
memoria.
Ma
se avesse rinunciato, non sarebbe stata un’offesa altrettanto
grande nei confronti di quegli altri
genitori,
quelli che l’avevano messa al mondo ma non avevano potuto
allevarla? Non doveva la propria fedeltà anche a loro, e
alla stirpe
regale che lei rappresentava?
Il
fuoco si stava lentamente spegnendo nel camino, quando Arianrhod
sentì che le palpebre minacciavano di chiudersi. Il letto,
invitantemente preparato, le ricordava che erano giorni che dormiva
per terra, all’aperto. Faticosamente, si sdraiò
sul comodo
giaciglio tirandosi le coperte fin sopra la testa. Si
addormentò
immediatamente, di un sonno pesante e senza sogni.
Angolo
Autrice: Ed
eccoci arrivati infine ad Avalon e al crossover preannunciato, quello
con alcuni personaggi arturiani nella versione della Bradley. Ho
cercato di introdurre, senza dilungarmi troppo, la famosa leggenda
inglese dell'isola di Avalon, sulla quale si narra tra l'altro che
giaccia Artù addormentato, il quale si
risveglierà quando
l'Inghilterra avrà bisogno di lui. Ma ovviamente
Artù è ancora di
là da venire all'epoca della nostra storia! :)
Che
dire... spero che il capitolo, pur se di passaggio, vi sia piaciuto.
Grazie a tutti!
Alla
prossima,
Eilan
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