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Sweet Dear Midori }
“Midori!”
la chiamò a gran voce il padre della ragazza dai lunghi
capelli fulvi, dal piano principale ove v'era situato il ristorante,
prendendo uno dei corridoi del locale: un uomo dalla folta barba nera
e dai lunghi capelli del medesimo colore raccolti in un codino, dalla
corporatura asciutta e dallo sguardo tagliente ed azzurro, s'era
appena fermato innanzi ad una lignea porta con sopra attaccato un
cartellino con su scritto “RISERVATO” a
caratteri cubitali. Egli indossava un semplice grembiule bianco e una
bandana anch'essa candida, considerando ch'era soltanto il
proprietario di quel modesto ristorante di Ramen & Sushi.
L'uomo
trafficava con delle chiavi e dopo qualche secondo, trovando quella
giusta, si apprestò ad aprire finalmente la porta.
“Midori!”
urlò ancora egli, rivolgendo lo sguardo in alto; su delle
scale che portavano al piano successivo: laddove era nascosto il
piccolo ma confortevole appartamento “Midori, forza! Sai che
la sera il locale è praticamente pieno!”
“Arrivo
subito, papà!” rispose in lontananza la ragazza, “Un
minuto ed arrivo!”
L'uomo
mormorò qualcosa e tornò indietro, afferrando il
pomello della porta con una certa pressione – ogni qualvolta
che c'era il pienone, il padre di Midori diveniva sempre più
nervoso – e prima di chiudere essa dietro di sé, egli
disse: “Vedi di darti una mossa”.
Intanto,
Midori, aveva appena finito di passare l'aspirapolvere, posandosi poi
il dorso d'una mano sulla fronte, una volta spento il marchingegno.
Tutto
risplendeva per quanto fosse pulito: d'altronde la fanciulla ci
teneva che tutto fosse in ordine, senza neanche un puntino minuscolo
di sporco.
La
fanciulla si affrettò a raggiungere le scale, annodandosi il
fiocco sulla schiena per tenere stretto il grembiule bianco ch'ella
aveva appena indossato, assieme alla classica bandana.
Se
avesse fatto un solo altro minuto di ritardo, probabilmente suo padre
avrebbe cominciato a borbottare tra sé e sé: ciò
stava a significare che egli era arrabbiato.
*
* *
“Ve
lo assicuro” cominciò Matsui, – una delle
migliori amiche di Haruko – scorrendo da un lato una delle
ante della porta del ristorante “Al 'Drago Rosso' si mangia
davvero bene. Sono sicura che non ve ne pentirete!”
Haruko
si guardò intorno “Pur non essendo piuttosto grande,
devo dire che è stra-pieno”.
“Troveremo
dei posti, secondo voi?” domandò Fuji, col suo solito
tono di voce insicuro.
“Ehi,
Haruko: girati alla tua destra”, fece ad un tratto Matsui, una
volta avvicinata all'amica per poterle sussurrare meglio: “Ma
fallo lentamente”.
La
bruna sbatté le palpebre, ma tuttavia ascoltò le parole
dell'amica e piano piano girò il capo, ritrovandosi a sgranare
gli occhi per la sorpresa.
Cosa
ci faceva, lui, lì?!
“R-Ru...”
Haruko non riusciva davvero a credere ai suoi occhi: Kaede Rukawa era
proprio in quel locale, seduto da solo in uno dei tavoli, aspettando
soltanto di poter ordinare?
Le
sembrava un sogno; un bellissimo sogno che presto fu spazzato via dal
rumore assordante di un piatto sul pavimento.
“Midori!”
il proprietario riprese la figlia, portandosi le mani ai fianchi
“'Sta più attenta!”
Haruko
rivolse, dunque, l'attenzione alla ragazza dai capelli rossi,
rimanendo un poco sbalordita per il semplice fatto di vederla lì,
con indosso un grembiule ed intenta a servire ai tavoli.
“Mi
dispiace molto” rispose la giovane Moroboshi, “Pulisco
immediatamente!”.
–
Perché lui è qui? – si
chiese Midori, col viso chino sul pavimento. Non sapeva del perché
Rukawa fosse lì, ma il solo pensiero di ciò che accadde
il giorno prima, la fece imbarazzare parecchio: ma sapeva che doveva
mantenere la calma, in un modo o nell'altro.
Rukawa
aveva assistito a tutta la scena, comprendendo anche il perché
della reazione di Midori. Forse avrebbe dovuto sentirsi in colpa
per ciò che era accaduto fra lui e Moroboshi il giorno prima,
ma a dire la verità non si era pentito affatto. Ed era quello
il guaio maggiore: Rukawa era un continuo mistero per chi lo
circondava, e a quanto pareva, sembrava esserlo pure per se stesso.
“Torno
subito, papà” la fanciulla avvertì l'uomo, il
quale borbottò qualcosa ma poi se ne tornò al proprio
lavoro.
Haruko
e le sue amiche, osservando tutta la scena del piatto, avevano
trascurato il 'povero' Rukawa; difatti, non appena Fuji riportò
l'attenzione laddove l'undici dello Shohoku era seduto in precedenza,
s'allarmò di colpo.
“M-ma
dov'è andato a finire Rukawa!?”
Haruko
fissò il punto dove la sua amica stava guardando, non sapendo
davvero a cosa pensare, tanto meno cosa fare.
-Si
può sapere cos'hai, Rukawa? –
*
* *
Midori
aprì la porta dello stretto sgabuzzino e ciò che la
bloccò per un attimo fu il buio pesto che le si presentò
innanzi, successivamente ella fece un piccolo sospiro e si apprestò
ad accendere la luce. Ma pareva che nulla fosse cambiato.
Oscurità
perenne.
“Oh,
no” mormorò la fanciulla “Si sarà fulminata
la lampadina”. Ella non poteva pensare di cambiarla, non in
quel momento. Suo padre aveva assolutamente bisogno di una mano e lei
doveva al più presto riparare al danno che aveva causato.
Dunque,
la giovane si addentrò nel buio, camminando lentamente e
testando a tentoni ciò che aveva di fronte; fortunatamente lo
stanzino era talmente piccolo da poterle permettere di afferrare
qualsiasi cosa con estrema facilità.
D'un
tratto, la ragazza sussultò e percepì le sue guance
arrossarsi; stretta da braccia per lei sconosciute, appartenenti a
qualcuno il cui volto non poteva essere momentaneamente scrutato.
“C-chi
sei?” chiese ella senza pensarci nemmeno su, sebbene qualche
sospetto pareva avercelo: perciò deglutì pesantemente e
il cuore aumentò di molto il suo battito cardiaco, poiché
ella si ritrovò essere totalmente nel panico.
-
Non non può essere. Non può essere Gatsuo –
rifletté Midori, mordendosi il labbro inferiore. Tuttavia,
ricordava perfettamente le minacce del ragazzo, ed ogni parola
diveniva, ogni secondo che passava, sempre più raccapricciante
ed oppressiva.
Verrò
a prenderti presto.
Tu
ed io siamo fatti per stare insieme.
Non
ci sarà altro uomo che potrà farti sua, Midori.
E
mai ci sarà.
Glielo diceva spesso, ed ogni
volta riusciva a scampargli. Nonostante ciò, Midori non sapeva
davvero cosa fare, se andarlo a denunciare o meno; sapeva però
che la gang di Gatsuo era tra le più pericolose, e
l'interessato si comportava da vero Leader; un Leader con non si sa
quanti precedenti al suo seguito.
Chissà cosa passava per la
testa di quel ragazzo, chissà davvero a cosa egli stesse
pensando.
Avrebbe potuto fare male anche a
suo padre, se solo avesse voluto. Con un semplice schiocco dita.
Midori lo sapeva cosa Gatsuo
desiderava ardentemente: che lei si sottomettesse completamente a
lui, che fosse la sua schiavetta sino a ché egli non si fosse
stufato di averla fra i piedi ed avesse, quindi, cambiato soggetto.
O perlomeno... si trattava
sicuramente di una cosa del genere.
“Per favore, lasciami...”
Midori non si dimenò; non aveva alcun senso farlo. Sapeva bene
che lei era certamente più debole, quindi dimenarsi non
sarebbe davvero servito a nulla, se non a dar ulteriore piacere e
soddisfazione all'interlocutore.
Le mani delle forti braccia che la
stavano tenendo, le strinsero le spalle e la girarono: Midori strizzò
gli occhi, con il suo petto che in quel momento s'era appiccicato al
torace del probabile Gatsuo, con la paura che le scorreva
inevitabilmente nelle vene.
Sentiva gli occhi inumidirsi,
bagnando le gote di leggere gocce salate. Midori posò le
delicate mani sulle scapole altrui e facendo pressione su di esse,
cercava invano di scansarlo via.
Ma era troppo tardi; le rosee e
carnose labbra erano ormai su quelle dell'altro, così sottili
ma incredibilmente perfette.
Fu allora ch'ella capì.
Istintivamente, la rossa strinse
la maglietta del ragazzo, dandosi della stupida per non averlo capito
prima.
“Mi dispiace”, disse
lei, dopo essersi staccata da quella bocca “I-io...”
“Non scambiarmi mai più
per quel demente” fu la risposta secca e diretta di Rukawa
Kaede, mentre sospirava aria calda sul di lei viso, tramutando quasi
le proprie parole in una sorta di rauca minaccia.
Rukawa lo aveva già capito;
lo sentiva benissimo il corpo di lei che sino a poco prima aveva
tremato al contatto con la pelle d'egli; mentre, in quel momento,
pareva essersi rilassato tutto ad un tratto, come se il tocco di una
leggera piuma l'avesse percorsa sino alla punta dei piedi.
Dopo averla stretta a sé il
giorno prima, il basket-man aveva sentito come il bisogno di andare
oltre, andarci a qualsiasi costo. Come quando in una partita egli era
in possesso della palla e doveva assolutamente portarla a canestro;
scansando ogni ostacolo gli ostruisse il passaggio, distruggendo
chiunque si mettesse tra lui e il suo obiettivo.
Entrambi non ebbero il tempo di
riprendere fiato, che nuovamente le loro bocche si riunirono; il
ragazzo dai capelli color pece le morse il labbro superiore,
facendole emettere un piccolo mugugno strozzato.
Finalmente Midori si abituò
al buio, e sembrava che anche per Rukawa fosse la stessa cosa,
considerando lo sguardo intenso con cui la fissava; tagliente ed
incredibilmente languido.
Nessuno di loro disse nulla,
finché il basket-man non la prese per mano e la condusse verso
l'uscita. Tuttavia, non appena furono davanti alla porta, il ragazzo
si apprestò a chiuderla; in modo tale che nessuno potesse
disturbarli in alcun modo. E fu proprio su quella lignea porta che la
ragazza poggiò inevitabilmente la nuca, ebbre dell'ennesimo
bacio ricevuto da parte del nuovo Capitano dello Shohoku, stavolta
notevolmente più rude dei precedenti.
* * *
“Suvvia, Hanamichi. Non
prendertela!” Yohei diede una piccola pacca sulla spalla
all'amico dai capelli scarlatti, abbozzando un lieve sorrisino “So
che sei il Re delle Figure di Merda. D'altronde ne siamo tutti a
conoscenza; ma addirittura ficcargli la testa dentro alla fontana mi
è sembrato del tutto esagerato!”.
Hanamichi sbuffò,
camminando con le mani all'interno delle tasche e con la solita aria
da 'cercate di non scassarmi le palle' stampata in volto.
“Così impara a stare
alla larga dalla dolce Haruko” borbottò il rosso.
“Ma le stava semplicemente
chiedendo indicazioni!” si intromise Noma, ed a quel punto,
ecco che Hanamichi assottigliò il proprio sguardo e gli lanciò
la più brutta occhiataccia che potesse esistere sul pianeta
terra.
Forse era eccessivamente geloso
della sua Haruko. Come poteva non esserlo, se quell'idiota di Rukawa
continuava a farsi osannare assiduamente da lei?
Non poteva assolutamente
perdonarlo. E presto o tardi Sakuragi Hanamichi avrebbe avuto la sua
vendetta.
“Sapete la novità?”
fece Miyagi, che non avendo nulla da fare per quel giorno, aveva
quindi deciso di unirsi alla famigerata gang di Hanamichi,
rivolgendosi più che altro a quest'ultimo: “Sembra che
la prossima volta giocheremo un'amichevole con l'Osuda; una scuola
esclusivamente maschile. Si dice che i componenti della squadra di
Basket siano alti più o meno sui due e qualcosa centimetri e
che si presentino particolarmente spiatati e senza scrupoli per chi
hanno di fronte” Miyagi poi ghignò “Ma
probabilmente non sanno con chi hanno a che fare”.
Hanamichi roteò gli occhi
“Figuriamoci, Ryocchi.
Quelli ce li mangiamo per
colazione”.
Un forte rimbombare di motori
accesi furono un vero e proprio frastuono: soprattutto per
l'eccessivo fumo che all'improvviso ricoprì i corpi della gang
di Hanamichi, dello stesso rossino e di Miyagi.
Dei ragazzi in sella alle loro
moto avevano appena sorpassato i due basket-men ed anche chi li
seguiva, emettendo risate spavalde e cariche di una contorta
adrenalina.
Ciononostante, Hanamichi ne riuscì
a vedere uno; uno soltanto di quei maledetti bastardi che avrebbe più
che volentieri preso a calci nel culo.
Era abbronzato, dagli occhi
sottili e maledettamente irritanti. Ne era certo, se l'avesse
incontrato di nuovo gliela avrebbe fatta pagare molto cara e senza
nemmeno un riguardo.
Dopo che tutti ebbero finito di
tossire, la gang e Miyagi si guardarono tra loro, per poi puntare lo
sguardo verso Hanamichi.
“Quei bastardi!”
sbottò Nozomi, affiancando il rossino “Non ti
preoccupare, Hanamichi. Vedrai che ci rifaremo”.
“Nozomi ha ragione”
concordò Noma “Vedi di mantenere la calma”.
“Ryocchi, dimmi una cosa”
fece ad un tratto Hanamichi, guardando il basso amico di sottecchi;
il quale pareva alquanto perplesso.
“Parla”, rispose
quello.
“Sai per caso il nome del
Capitano dell'Osuda?”
Miyagi inarcò dapprima un
sopracciglio: perché adesso aveva così tanto interesse
per quella squadra? Beh, come Rukawa, il rossino era del tutto
imprevedibile, se non il doppio di lui. Perciò non poteva
sorprendersi se gli aveva rivolto quel quesito.