Lily era esausta; era
ancora seduta sul pavimento del bagno, piccoli singhiozzi le scuotevano
il corpo. Si era calmata un po’, ma la sensazione di angoscia
dentro di lei era presente come non mai. Sentiva ancora il profumo di
Sherlock addosso e il primo impulso era stato quello di infilarsi sotto
la doccia.
Ma a quanto pare aveva una certa tendenza al sadismo, e sentire
quell’odore su di lei le procurava un dolore misto a piacere.
Cercava di memorizzarlo, perché era sicura che non lo
avrebbe mai più risentito. Perlomeno non con questa
intensità.
“Maledizione” aveva sussurrato, la fronte
appoggiata sulla mano “come puoi farmi questo,
perché?”
Sentiva gli occhi schizzarle fuori dalle orbite; erano gonfi e irritati
e riusciva a malapena a tenerli aperti. Le parole di Sherlock
continuavano a rimbalzarle nella testa. Erano parole forti, troppo
piene di significato per essere dette così. Si era alzata
leggermente, allungando la mano sul lavandino dov’era
appoggiato il telefono. Erano le dieci di sera. Non sapeva neanche
quanto tempo era rimasta seduta sul pavimento freddo, persa nella
spirale del pianto.
Aveva sbloccato lo schermo e aperto la schermata dei messaggi.
TO:
John
22.03
Scusa
per l’ora, sei sveglio?
Non sapeva neanche per quale motivo lo stesse facendo, aveva bisogno di
parlare con qualcuno di razionale.
FROM:
John
22.05
No,
ho appena messo a letto Rose. Mary dorme. Che succede?
TO:
John
22.08
Tu lo
sapevi che io e te aiutiamo Sherlock a non morire?
Passavano i minuti e John non rispondeva; Lily sapeva che stava
cercando di capire.
FROM:
John
22.16
Santo
cielo, cosa ha combinato stavolta?
Lily aveva riso ironica, nessuna traccia di divertimento.
TO:
John
22.18
Si
è ubriacato ed è venuto in bagno dove mi ha
abbracciato talmente forte da non farmi respirare. Ha poi aggiunto che
io e te lo aiutiamo a non morire. Non so neanche quanto tempo
è che sono seduta qui per terra a piangere. Mi ha ucciso,
John. Letteralmente. Poi se n’è andato e mi ha
lasciato qui. E io ora ho solo voglia di andarmene.
22.20…
22.25…
22.37…
FROM:
John
22.40
Vuoi
passare la notte qui da noi? Ti sentiresti più tranquilla?
Lily aveva riflettuto. Forse le conveniva dormire sul divano di John
almeno questa notte. Lontano da Sherlock e da Baker Street. Ma..
Aveva digitato la risposta.
TO:
John
22.42
Non
ho soldi per il taxi.
Si era alzata dal pavimento, dolorante.
FROM:
John
22.42
Va al
diavolo, Lily. Sbrigati, ti aspetto fuori dal portone. Offro io.
Lily aveva sorriso leggermente ed era uscita dal bagno. Era andata in
camera, preso i suoi vestiti e un cambio di biancheria. Tornata di
sotto si era affacciata sul corridoio. La stanza di Sherlock era chiusa
e non sentiva nessun rumore. Sicuramente era svenuto sul letto, era
inutile provare a svegliarlo. Lily non aveva pensato a lasciargli un
messaggio, era stordita e stanca. Si era chiusa la porta alle spalle,
lentamente.
In strada non c’era nessuno. Sperava di trovare un taxi in
fretta, non le piaceva tutto quel silenzio. Ne aveva intravisto uno
dall’altro lato della strada e aveva alzato la mano; per
fortuna era libero e l’aveva vista. Era salita e finalmente
aveva sentito un po’ di tensione sciogliersi mentre vedeva
Baker Street sparire dalla sua visuale.
Svoltato l’angolo della via dove abitava John, lo aveva
già visto in piedi davanti al portone di casa sua stretto
nella sua giacca, tremante dal freddo. Lily era scesa e si era
precipitata verso di lui. Ormai era così tra loro due: Lily
si lanciava tra le sue braccia e John era sempre pronto ad accoglierla,
non c’era neanche bisogno di dirlo.
“Stai bene?” aveva detto piano, mentre pagava il
tassista.
“Definisci “bene”…”
aveva sospirato Lily, mentre John prendeva il suo zaino e si dirigevano
verso l’entrata di casa.
Avevano cominciato a bisbigliare automaticamente appena entrati
nell’appartamento, per evitare di svegliare Rose e Mary.
“Vuoi qualcosa da bere, o da mangiare?” aveva
chiesto John.
“No grazie, mi sistemo sul divano e mi metto a dormire. Sono
stanca”
“Ok, qualsiasi cosa io sono in camera ok?”
Lily aveva annuito.
“Buonanotte” aveva sussurrato John
nell’oscurità. C’era stato silenzio, ma
Lily sentiva che era ancora lì, sentiva la sua presenza
“Lily?”
“Sì?”
“Io penso che quello che ha detto Sherlock sia vero, in
parte. Vuole far vedere che è forte, ma è
più fragile di quanto immagini”.
Lily non aveva risposto. Le riusciva difficile credere alle parole di
John in quel momento.
Poi John se n’era andato, lasciandola con i suoi pensieri. Ci
aveva messo un po’ ad addormentarsi. Il divano era comodo, ma
era la sua testa che non la lasciava in pace. Si rigirava, sentendo
ogni tanto un sentore di pianto affacciarsi. Ma si voleva controllare,
doveva cercare di non ricadere in quello stato d’animo di
poche ore prima. Alla fine, stremata, era riuscita ad addormentarsi.
//
Un profumo di gelsomino, così forte che sembrava reale. Ma
lo era, perché Sherlock si era girato e c’era Lily
vicino a lui che dormiva. Le lunghe ciglia scure, la bocca semiaperta,
le labbra rosa, il respiro regolare del sonno. Una ciocca di capelli
dietro l’orecchio. Perché era lì,
perché era nel suo letto. La luce era ovattata, lattiginosa,
quasi ospedaliera. Una mano era adagiata sopra le lenzuola candide, la
spalla bianca e nuda. Non aveva i vestiti, come poteva essere.
All’improvviso un ramo aveva cominciato ad inerpicarsi sul
letto circondando il corpo di Lily; e poi un altro e tanti ancora che
si arrampicavano su di lei che continuava a dormire, tranquilla. Non si
accorgeva di niente. Sherlock urlava, voleva svegliarla,
perché le foglie e i rami la stavano ricoprendo e sarebbe
morta così. C’erano anche dei piccoli fiori
bianchi, fiori di gelsomino. La soffocavano e ora Lily non si vedeva
più. Sherlock aveva cominciato a strappare con forza ma
erano troppo spessi, troppo forti. Gridava il nome di Lily, fino a
farsi bruciare la gola, finché non aveva spalancato gli
occhi, trovandosi seduto nella penombra della sua stanza. Aveva appena
fatto in tempo a sporgersi dal letto che aveva vomitato senza ritegno
sul pavimento, i conati che lo soffocavano e lo scuotevano. Aveva la
mente annebbiata, la testa gli scoppiava. Una volta ripresosi, si era
guardato intorno: nessuna traccia di Lily, né di rami,
foglie e fiori di gelsomino. Solo l’odore del suo vomito, che
gli faceva girare la testa. Puzza di alcol, di sudore. Era immondo.
Doveva farsi una doccia. Era sceso dal letto e barcollando si era
diretto in corridoio.
//
Lily dormiva. Ma nella nebbia del sonno si era fatto strada un bussare
agitato, una voce ovattata che proveniva oltre la porta di casa di
John. Il salotto era separato dall’ingresso e non riusciva a
vedere nulla e con gli occhi semichiusi cercava di alzarsi, ma stava
dormendo troppo pesantemente per scattare in piedi. Comunque John
l’aveva preceduta; lo sentiva imprecare, mentre
raggiungeva la porta.
Voci concitate, bisbigli e alla fine un tono di voce normale. Lily si
era alzata lentamente e si era avvicinata alla parete che divideva il
salone dall’ingresso di casa Watson.
“Sai qualcosa?? non c’è, ti dico che non
c’è!!”
Lily era trasalita. Era la voce di Sherlock.
“Mi sono svegliato stamattina e non era a casa. Non risponde
al telefono, nessun biglietto, la porta di casa senza mandate. Le sue
chiavi erano in cucina!! E lei è sparita, non
c’è!!”
John cercava di parlare, ma veniva sovrastato dalla voce animata di
Sherlock: “Sherlock, ascolta…”
“No, John” aveva ripreso il suo solito contegno
“io ieri…ho detto delle cose..ho fatto..”
“Ti assicuro che..”
“E mi ricordo solo quel poco che mi fa pensare che sia
scappata”.
Lily era perplessa. Cos’era tutta questa preoccupazione,
questa agitazione nei suoi confronti? Senso di colpa? Non sembrava il
tipo da soffrirne. Vergogna? Eh, forse quella sì.
“Sherlock!!! Fammi parlare, per l’amor di
Dio!!!!” John aveva alzato la voce, esasperato
“Lily è qui, dorme in salone, sul nostro divano.
È venuta ieri sera, ha preso un taxi ed è al
sicuro. Mi ha chiamato un po’ scossa e le ho proposto di
venire qui. Sta bene”
Silenzio: “Ah…ottimo”.
Lily aveva scosso la testa, arresa. Non riusciva proprio a dimostrare
un minimo di sollievo. Sperava solo avesse i peggiori postumi della
storia, peggio di quelli dell’ultima volta. Aveva preso il
telefono da sotto il cuscino. Capirai, due chiamate senza risposta.
Niente in confronto alle quindici di John. Dilettante.
Sherlock adesso parlava piano, per non farsi sentire: “ho
fatto un sogno e mi sono svegliato nel panico. È stata una
reazione a catena. Ma se mi dici che è qui e sta bene,
ok” di nuovo silenzio “ti ha raccontato
qualcosa?”
Lily non aveva sentito la risposta di John, probabilmente
perché aveva risposto con gli occhi.
Sospiro.
“ L’hai stesa ieri sera, forse è il caso
che tu le parli. È arrivata qui che aveva gli occhi di un
pesce palla. E dovresti finirla di attaccarti alla bottiglia ogni volta
che qualcosa non ti sta bene. E dovresti anche finirla di farti dare
consigli da me. Hai rotto”.
Di nuovo sospiro, ma stavolta di stizza.
“Dorme ancora?” aveva chiesto Sherlock.
“Non lo so, vado a vedere. NO, tu rimani qui. E guai a te se
sbirci”.
Lily era tornata sul divano, le mani in mezzo alle gambe. Aveva freddo,
e aveva tirato su le spalle, convinta che così si sarebbe
scaldata.
John era entrato piano, facendo cigolare leggermente la porta. La sua
testa aveva fatto capolino, gli occhi verso il divano. Poi
l’aveva vista e l’espressione del suo viso si era
rilassata, aveva aperto di più la porta fermandosi sulla
soglia: “Buongiorno” un sorriso caloroso, quello
che le serviva.
“Buongiorno” aveva sussurrato Lily, sorridendo a
sua volta.
“Ti ha svegliata lui?” aveva indicato con il
pollice verso l’ingresso.
“Penso che abbia svegliato più o meno tutto il
vicinato” aveva aggiunto Lily ironica.
“Oh no. Mary e Rose dormono alla grossa. La piccola deve aver
ripreso dalla madre, dorme come un sasso”.
Lily aveva riso, ravviandosi i capelli: “Secondo te
perché è qui?”
“Ufficialmente perché è preoccupato,
officiosamente perché pensava fossi scappata in un moto di
ribellione post adolescenziale. O magari rapita da qualche brutto
ceffo”
“Rapita? Di nuovo?” Lily aveva ghignato soddisfatta.
“Molto divertente, signorina” aveva guardato
attraverso la porta semichiusa “sono sorpreso che sia venuto
fino a qua e non mi abbia telefonato. Sa che gli rispondo sempre. Penso
che voglia sincerarsi di persona se stai bene oppure no. Mi ha detto
che ha fatto qualcosa, detto qualcosa…parla di quello che mi
hai raccontato ieri sera?”
Lily aveva annuito, sentendo la gola stringersi al solo pensiero. Le
parole le rimbombavano nella testa.
Sei così
piccola, tra le braccia di un uomo.
Aveva sentito l’imbarazzo colorarle le guance. Tutti erano
piccoli tra le braccia di Sherlock Holmes.
John aspettava, paziente.
“Non saprei cosa dire. Non mi viene in mente nulla”
“Non devi per forza dire qualcosa; tu alla fine
c’entri relativamente poco. Ha fatto tutto lui”
“Va bene, fallo venire qui. Qualcosa
succederà”
“Ok. Vuoi aprire un po’ la finestra?”
La stanza era immersa nella penombra. Sicuramente fuori era nuvoloso,
perché la luce era pallida e filtrava debole attraverso le
tende grigie di lino grezzo. Lily non voleva che vedesse il suo viso
arrossire.
“No, grazie. Va bene così”
John aveva annuito, leggendole il pensiero. Era uscito dal salone;
Sherlock aveva alzato lo sguardo, tradendo una sorta di aspettativa. La
camicia che aveva addosso era sgualcita e fuori dai pantaloni, le
maniche arrotolate in fretta e furia. I capelli arruffati.
“Dio mio, hai un aspetto orribile” John
aveva alzato un sopracciglio con espressione critica.
“Sì, lo so. Grazie mille” Sherlock aveva
alzato gli occhi al cielo “quindi? La principessa mi concede
udienza?”
Il viso di John si era rabbuiato tutto a un tratto: “Vacci
piano, detective dei miei stivali. Sei in torto marcio e guai a te se
fai lo spiritoso. Al posto di Lily, ti avrei mandato via a calci in
culo. Quindi non uscire fuori dal seminato” il tono era
decisamente perentorio. Sherlock aveva alzato le mani sgranando gli
occhi: “va bene, ho capito. Niente ironia”
“Non so neanche come ti vengano fuori certe cose”
John aveva scosso la testa “incredibile”
Sherlock era diventato serio e pensieroso: “A volte non lo so
neppure io” per una frazione di secondo John pensava di aver
intravisto un lampo di senso di colpa nei suoi occhi.
“Ricordati sempre che non se lo merita a prescindere. Non ti
ha fatto nulla”
Aveva annuito, obbediente.
“Ora vai, è in salotto. Se sento alzare la voce,
interverrò. Sappilo”
Sherlock ormai era vicino la porta del salone, ma John sapeva che
l’aveva sentito.
//
Lily guardava davanti a sé, sul tavolino davanti al divano.
Sembrava fosse tornata indietro di mesi, prima di conoscere Sherlock.
Quando era seduta lì, aspettando Mary con il the. Impaurita,
terrorizzata, piena di lividi e ferite dentro di sé. Si
ricordava tutto, come se fosse ieri. E ora eccola di nuovo
lì; sempre impaurita, sempre nervosa, sempre ferita. Ma in
maniera diversa.
Sherlock era davanti la porta di legno, fermo. Aveva alzato la mano per
bussare, ma si era fermato a mezz’aria, calcolando tutte le
variabili di quell’incontro. Le cose erano due: avrebbero
litigato di nuovo, oppure Lily l’avrebbe perdonato come aveva
già fatto milioni di volte. Avrebbe rischiato. Si ricordava
tutto della sera prima, stranamente. Ed era terribilmente imbarazzato.
Lo spazio personale doveva rimanere tale e nessuno lo sapeva meglio di
lui, che cominciava a diventare insofferente appena qualcuno gli si
avvicinava più del dovuto.
Aveva bussato, senza pensarci troppo.
Lily era saltata sul divano. Adesso bussava? Si era grattata la nuca,
lo stomaco sottosopra dal nervosismo: “Avanti”
aveva detto, con voce abbastanza ferma.
Adesso lo vedrai, sai
che effetto ti fa ogni volta. Sarà bellissimo,
sarà da restare senza fiato. Ma tu non guardare, rimani
ferma su un punto, non mollare. Se lo guardi, è finita. Ti
tornerà in mente tutto, e ora è troppo presto.
Hai ancora il suo profumo addosso, almeno fatti una doccia prima di
guardarlo negli occhi. L’associazione potrebbe essere mortale.
La porta si era aperta e richiusa. Lily guardava il tavolino, le mani
strette in grembo. Si era ravviata di nuovo i capelli per poi tornare
nella posizione iniziale. Aveva sentito il peso di Sherlock mentre si
sedeva, il cuscino sprofondare leggermente vicino a lei.
E poi silenzio. Solo due respiri, dove prima ce n’era solo
uno.
A un certo punto Sherlock si era schiarito la voce:
“Ciao” aveva esordito.
“Buongiorno, Sherlock” aveva aggiunto Lily, con
voce chiara e decisa.
“Stamattina mi sono svegliato e non c’eri. Potevi
lasciare un biglietto”
Nella testa di Lily questa frase suonava estremamente sbagliata. Ma non
aveva fatto a meno di notare,
come
al solito, il tono polemico. Aveva sospirato e stretto le
labbra.
“Hai ragione, scusa. Non dovevo dirlo, John è
stato chiaro” aveva mormorato, ma Lily aveva sentito. Un
angolo della bocca si era piegato in un sorriso ironico e amaro. Aveva
scosso leggermente la testa.
“Io…ecco…io volevo chiederti scusa per
quello che è successo ieri sera. Per quello che ho fatto.
Non dovevo, e sono molto dispiaciuto di averti spaventato e averti
costretto ad andare via di casa in piena notte. Ti porgo le mie
scuse”.
Spaventata. Lui era convinto di averla spaventata. Forse un
po’. Ma la storia era un’altra, ma si rendeva conto
che spiegargli come si sentiva sarebbe stato pressappoco inutile.
“È stato strano, non spaventoso; tu non tocchi mai
nessuno” aveva mormorato lei “per quello ho reagito
così”
Sherlock non rispondeva. Non si sarebbe mai spinto talmente oltre da
ammettere che quello che aveva fatto potesse essere lontanamente
dettato dalle emozioni. Non sarebbe stato Sherlock, per lui era tutto
un errore. La soluzione migliore era il mutismo.
Lily per un attimo aveva sentito un’ondata di irritazione
salirle in gola e bruciarle il viso. Com’era ottuso a volte.
Maledizione, scava a fondo per una volta, non farlo solo con i tuoi
casi da strapazzo. Cerca di capire. Cerca di comprendere, in modo che
io possa dirti veramente come mi sento, in modo che possa finalmente
spiegarti le emozioni che mi dai, tutto ciò che mi susciti.
I sentimenti
sono un difetto chimico della parte che perde.
L’aveva detto una volta, non ricordava in che circostanza. Ma
quelle parole erano marchiate a fuoco nella mente e sulla pelle di
Lily. Lei era perdente, dall’inizio. Sherlock no. Doveva
farselo tatuare da qualche parte.
Ma era rimasta lì, di nuovo immobile, senza dire una parola.
Tu e John mi
aiutate a non morire.
“È da quando sono entrato che non mi
guardi”
Lily aveva sgranato leggermente gli occhi. Era vero, ma era necessario
che lei non lo guardasse. Era di vitale importanza.
“Lily…stai bene?” le aveva messo una
mano sul braccio. Lei si era allontanata delicatamente dal suo tocco, e
Sherlock era rimasto con la mano a mezz’aria, confuso.
“Il mio tocco ti disgusta così tanto?”
aveva chiesto, con voce bassa e profonda “ti ho fatto
così male ieri sera?”
Lily aveva aperto la bocca, poi l’aveva richiusa. Repulsione
era l’ultima cosa che Sherlock suscitasse in Lily.
La mano di Sherlock era ricaduta sul divano: “sono
mortificato”.
Meglio di niente, aveva pensato Lily.
“Guardami” aveva detto di nuovo Sherlock
“se non mi guardi vuol dire che hai paura di me. Hai paura di
me?”
“No” aveva sussurrato Lily.
“Allora fallo, dimostralo” la sua voce ora era
dura, perentoria. Lily aveva sentito un brivido lungo la schiena.
Doveva farlo, non sapeva se rifiutandosi l’avrebbe ferito.
Probabilmente no, era solo l’ennesima sfida con sé
stesso. Ma lei avrebbe preferito tagliarsi una mano piuttosto che
rischiare di fargli del male. Anche se sapeva che sbagliava.
Così si era girata, lo sguardo sempre basso.
“
Negli occhi,
Lily” aveva sentito il fantasma della voce di
Sherlock raggiungere le sue orecchie.
Aveva alzato lo sguardo e incontrato gli occhi magnifici di Sherlock.
Erano grigi come le nuvole fuori dalla finestra. Aveva le occhiaie, e
le labbra bianche perché era disidratato. Ma il cuore di
Lily aveva fatto una capriola.
“Ecco, ora sì. Ti piacciono le sfide e sei
testarda quanto me” aveva sorriso leggermente.
No, è
perché guardandoti mi ricordo che non potrai mai essere mio.
Ma allo stesso tempo, non riesco a farne a meno.
Aveva abbassato di nuovo lo sguardo, per non scoppiare a piangere.
L’aria era diventata calda là dentro.
C’era un misto di emozioni che stava per soffocare Lily.
Così aveva steso le braccia sopra la testa e sospirato:
“Ho fame, chiediamo a John la colazione?” Era ora
di tornare la Lily normale, la Lily che non soffriva, mai. Era ora di
spezzare quell’atmosfera ambigua che aleggiava nella stanza.
Era ora di far finta di niente. Ancora e ancora.
“Sì, perché no” aveva
risposto lui, sollevando le spalle. Sembrava sollevato.
“Sherlock, fattelo dire. Puzzi da far schifo” aveva
detto Lily, guardandolo.
“Lo so. Stamattina ho vomitato sul pavimento” aveva
aggiunto, in leggero imbarazzo.
“Spero tu abbia pulito”
“Come ho potuto. Ero parecchio rintronato”
“Che schifo. Santo cielo, lo sai che non reggi
l’alcol, cosa bevi a fare se poi devi combinare
disastri!”
“Oh, lasciami in pace” aveva risposto Sherlock con
tono stizzito. Si erano alzati e diretti verso la cucina.
//
Erano usciti dalla stanza, in silenzio. Avevano trovato John in cucina,
con Mary e Rose sul seggiolone, che quando aveva visto Lily aveva teso
le manine verso di lei ridendo contenta. L’aveva presa in
braccio e stretta forte.
“Lily! che bello vederti! Come stai?” Mary si era
avvicinata a lei, stringendola, poi si era girata per non farsi vedere
da Sherlock e aveva bisbigliato “com’è
andata, tutto bene?”
Aveva sorriso leggermente, per non dare nell’occhio:
“Sì tutto bene. Alla fine ha chiesto
scusa”
Mary aveva sbuffato: “Gliele dai sempre vinte, non mi sembra
giusto” le aveva dato una leggera gomitata nello stomaco
“la prossima volta fallo soffrire un po’”.
“Sarà fatto. Ma è già tanto
che abbia chiesto scusa, pensaci bene” aveva mormorato Lily,
cullando Rose che giocava con la sua catenina a forma di giglio.
“Avete fame? Colazione?” John aveva appena
spadellato una quantità industriale di pancakes e bacon con
uova strapazzate “ a casa Watson solo colazioni
nutrienti!”
Si erano seduti al tavolo della cucina, chiacchierando allegramente.
Lily passava piccoli pezzetti di pancake a Rose, seduta nel seggiolone
vicina a lei. Aveva sentito un brivido lungo il collo e facendo
scorrere lo sguardo sopra il tavolo aveva incontrato per un attimo gli
occhi di Sherlock. Faceva girare per il piatto le uova strapazzate,
giocando con la forchetta. Poi all’improvviso aveva teso il
collo e assunto un’aria attenta.
“Non è possibile…” aveva
sussurrato.
E il campanello aveva suonato.
//
John si era girato, verso l’ingresso: “Chi
può essere a quest’ora del mattino?”
Sherlock si muoveva sulla sedia con fare nervoso: “Penso di
sapere chi è”
John l’aveva guardato, curioso: “Ah sì?
E chi?”
“Mycroft”
C’era stato un momento di silenzio, interrotto solo dalle
proteste di Rose perché Lily aveva smesso di darle da
mangiare. Il campanello aveva suonato di nuovo.
“Beh accidenti, andiamo ad aprire!” aveva replicato
Mary stizzita.
Sherlock e John si erano guardati, prudenti. Lily aveva intercettato
questo scambio di occhiate e si chiedeva cosa ci fosse di
così grave. Certo, aveva visto Mycroft una volta sola, alla
festa di Natale. E a parte essere un po’ fuori posto, non gli
era sembrato chissà quale mostro. Sherlock le aveva rivelato
che aveva un lavoro non proprio ordinario, ma questo lo rendeva una
brutta persona?
Aveva sentito Mary salutarlo e dirgli di accomodarsi in cucina. Mycroft
era entrato, vestito in maniera impeccabile e con un ombrello in mano,
che faceva oscillare lentamente. Aveva guardato tutti quanti con un
sorriso di circostanza e si era fermato sulla figura di Lily:
“Oh eccola qua, la fuggitiva. Buongiorno Lily, tutto
bene?”
“Oh…Mycroft, buongiorno. Sì grazie,
tutto bene. Volevo scusarmi per tutto il disturbo che le ho
procurato..per..ecco…la questione di Andrew”
Mycroft aveva fatto un vago cenno con la mano: “Figurarsi.
Per il mio caro fratellino questo e altro” lo aveva guardato
“Sherlock”
“Mycroft” aveva replicato lui, freddo.
“Interessante…” aveva mormorato
impercettibilmente verso di lui, stringendo leggermente gli occhi.
Sherlock aveva fatto altrettanto, in gesto di sfida.
“Come facevi a sapere che eravamo qui?”
Mycroft aveva riso piano: “Tu sai che io so sempre
tutto”
“Mi chiedo come”
“Vuoi sapere troppo, mio caro”
“Non chiamarmi caro. E nemmeno fratellino” Sherlock
aveva il tono di un bambino arrabbiato.
“Beh, visto che sei qui gradiresti una tazza di
the?” aveva chiesto John sorridendo, cercando di spezzare
l’atmosfera tesa.
“Grazie John, molto volentieri, fa un freddo terribile
fuori” Mycroft si era accomodato su una sedia, accavallando
le gambe e poggiando le mani sulle ginocchia. Era a capotavola, con
Lily e Sherlock ciascuno a un lato. John intanto preparava il the,
mentre Mary chiacchierava del più e del meno con lui.
Pronto il the, John lo aveva versato in una tazza e si era diretto
verso l’altro lato della cucina, dove era seduto Mycroft. Nel
tragitto era inciampato in un gioco di Rose abbandonato per terra e la
tazza gli era scivolata di mano.
Lily non aveva neanche pensato. Si era girata e aveva preso la tazza da
sotto, rovesciando qualche goccia di the sul pavimento. Ma la presa era
solida e ferma.
C’era stato un momento di silenzio e poi Mycroft aveva
sussurrato: “Ottimi riflessi. Attenzione e
velocità. Quello che serve anche per usare
un’arma, come una pistola. O un coltello..o meglio
ancora…” si era portato un dito sotto il mento,
l’aria pensante “un taglierino. Con quelle dita
sottili, si potrebbero maneggiare oggetti leggeri” gli aveva
guardato le mani, quella che teneva la tazza ancora ferma a
mezz’aria.
“
Mycroft”
aveva sibilato Sherlock.
Lily lo aveva guardato, incuriosita. Il riferimento al taglierino non
le sembrava casuale.
“Ho fatto le mie esperienze” aveva risposto calma;
Mycroft non le stava antipatico, aveva solamente la stessa attenzione
per i particolari del fratello.
Lui aveva alzato le sopracciglia, divertito: “Beh, buon per
te” le aveva sorriso.
Lei aveva ricambiato: “Ti ringrazio” era passata
dal dargli del lei a un più informale
“tu”.
John la guardava, Sherlock anche: “Ma
cosa…” aveva cominciato, scandalizzato.
“Beh…posso sostenere, caro fratellino, che tutto
si può dire di Lily Scott tranne che sia una
novellina”. Continuava a guardarla fissa. Il suo cognome
associato al suo nome era una cosa che non sentiva da parecchio tempo.
Lily era sorpresa. Ma non più di tanto, visto che Andrew era
stato sotto la custodia di Mycroft per una notte.
John aveva aperto la bocca per replicare: “Andrew e io
abbiamo fatto una chiacchierata, la sera che è stato mio
ospite. Un ragazzo
loquace, non c’è dubbio” aveva preso un
sorso di the. Nel frattempo la tazza era arrivata nelle sue mani.
Sherlock aveva sbuffato, indispettito: “Sbruffone”
aveva sibilato, incrociando le braccia.
Mycroft aveva riso sommessamente: “Beh, signori è
stato un piacere. I doveri mi chiamano. Vi ringrazio per il the e vi
auguro una buona giornata. Ah e…Lily? potresti farmi la
cortesia di accompagnarmi alla porta? Proprio non mi ricordo la
strada” aveva scoccato un’occhiata di traverso a
Sherlock, che aveva sgranato gli occhi per una frazione di secondo.
Lily si era guardata intorno, perplessa. Vedendo che anche gli altri
avevano la stessa espressione, non si era preoccupata troppo: non era
l’unica a non capire il motivo di quella richiesta.
Aveva sentito John sottovoce che diceva: “Ma solo io sono
stato portato in un capannone abbandonato?” e Sherlock che lo
zittiva.
Stranamente si sentiva tranquilla. Mycroft era sicuramente un uomo
pericoloso e Lily se ne era accorta. Ma aveva come
l’impressione che lo fosse solo quando era strettamente
necessario. Per il resto, era un po’ sbruffone. Come Sherlock
d’altronde. Buon sangue non mente.
Mycroft aveva tolto il suo cappotto dall’attaccapanni. Lily
aveva afferrato la sciarpa e gliel’aveva porta.
“Ti ringrazio” aveva fatto un leggero cenno del
capo “quindi, Lily? ti trovi bene qui?” era passato
ai guanti “mio fratello si sta comportando bene?”
Lily aveva aspettato a rispondere. Quei pochi secondi erano bastati a
far fissare gli occhi di Mycroft nei suoi: “qualcosa non
va?”
“No, è che…” non se la
sentiva di sparlare di Sherlock “a volte reagisce in maniera
un po’ bizzarra. Ma è il suo carattere,
immagino”
Mycroft aveva riso, ironico: “Scommetto che lo fa quando si
sente sotto pressione. Probabilmente ti ha anche ferito, qualche
volta.”
Lily aveva mosso la testa da un lato all’altro:
“Beh, sì. Non è
molto…affettuoso. Non si apre, semplicemente. Con nessuno. E
abbiamo litigato a volte, e non è stato propriamente
tenero”
Mycroft aveva sospirato e alzato le sopracciglia, un espressione quasi
dispiaciuta. Poi aveva ripreso il suo atteggiamento normale e
guardandola aveva accennato un sorrisetto ironico.
Si era avvicinato leggermente: “Lily, tu sai
cos’è il dilemma del porcospino?”
Lily aveva scrollato le spalle. Non lo sapeva, no.
“È una metafora per esprimere la
complessità dei rapporti umani. Mio fratello è
esattamente così, è come un porcospino.
Più le persone si avvicinano, più vogliono
aiutarlo e prendersi cura di lui, più le allontana e le
ferisce. Ha una corazza di aculei non indifferente, e dio solo sa come
l’abbia costruita. È convinto che così
sia più facile. Ma da una parte, se mi hai detto che ti ha
ferito, può darsi che stia cominciando a capire qualcosa, a
pensare fuori dai suoi schemi prestabiliti. Di solito ignora chi non
gli va a genio. O si limita a insultarlo”
“Beh, non è proprio il modo migliore di
cambiare” aveva riso Lily, un po’ amareggiata
“avrei preferito dei confronti più
tranquilli”.
“Oh Lily…mio fratello non è stupido. Sa
con chi può farlo e con chi no. Sa chi
rimarrà…e chi no. Prova a chiedere al dottor
Watson. Chi rimane, vuol dire che vuole farlo” le aveva
lanciato un sguardo inequivocabile.
Lily aveva abbassato lo sguardo, imbarazzata.
“Non dovrei ma…” si era frugato nella
tasca interna della giacca, e aveva scritto qualcosa con una penna
argentata sul retro di un pezzo di carta “questo è
il mio biglietto. Per qualsiasi cosa, per qualsiasi
necessità non esitare a contattarmi. Capisco che non
è facile. Sherlock è impegnativo. Ti ringrazio
comunque per la pazienza”.
Lily lo aveva guardato, l’espressione di Mycroft
perfettamente studiata e immobile. Un sorriso di circostanza gli si era
stampato sul viso, aspettando che lei accettasse quel gesto che per lui
era stato decisamente oggetto di grandi riflessioni. Aveva allungato la
mano lentamente e preso in mano il biglietto, la carta color
avorio attraversata da una scritta nera:
Mycroft
Holmes
Diogenes Club
London, England
Lily continuava a guardare il biglietto.
Esplicativo.
“Il mio cellulare è sul retro. Non nascondo che
spero tu non ne abbia mai bisogno”
“Beh..grazie” aveva stretto il biglietto tra le
mani. La carta aveva una consistenza leggera e profumava di buono
“sei molto gentile”
“Spero solo che vada tutto bene” si era avviato
alla porta, e l’aveva aperta. Lo aspettavano due uomini
vestiti di nero, con l’auricolare e gli occhiali da sole
nonostante fuori fosse nuvoloso “forse è meglio
che Sherlock non sappia di questa conversazione e del fatto che tu
abbia il mio telefono. Confido nella tua discrezione” si era
toccato la testa in gesto di saluto “arrivederci,
Lily”
Lei si era limitata a sollevare la mano e a sorridere imbarazzata. Wow,
Mycroft era tosto.
Si rigirava il biglietto tra le mani e lo aveva annusato: un misto di
the al bergamotto, e fumo di sigaro. Buono.
Non aveva posti dove nasconderlo, essendo in pigiama. Così
era sgattaiolata in salotto e lo aveva messo dentro il suo zaino,
dentro la tasca interna. Poi era tornata in cucina, dove tutti si erano
girati all’unisono per guardarla. Lily aveva alzato un
sopracciglio: “Quanto tempo!” aveva mugugnato e si
era seduta di nuovo al tavolo, sperando di poter finire la colazione,
anche se ormai era fredda. La mano di Mary le aveva tolto il piatto da
sotto il naso: “Lo passo al microonde, così
è immangiabile”.
Lily le aveva sorriso: “Grazie, Mary”. Lei le aveva
fatto l’occhiolino.
Sentiva gli occhi inquisitori di Sherlock su di lei: la scrutava, in
cerca di indizi. Lily cercava di ignorarlo, ma il suo sguardo era come
una colata di acciaio bollente e non si poteva evitare. Così
si era girata verso Sherlock e gli aveva sorriso, imbarazzata. Lui
continuava a fissarla, senza cambiare espressione. John lo aveva
guardato, mentre Lily chiedeva aiuto con lo sguardo.
“Cosa ti ha detto?” aveva esordito
all’improvviso, poggiando i gomiti sul tavolo e piegandosi in
avanti.
Lily aveva fatto vagare lo sguardo sul tavolo per qualche secondo e poi
aveva risposto: “Mi ha chiesto come stavo, se andava tutto
bene. Niente di particolare. Alla fine ci ha fatto un favore, e magari
voleva sapere..ecco…come andava in generale”
“Ti ha fatto un favore” aveva detto Sherlock con
tono ironico “e strano che ti abbia chiesto solo informazioni
sul tuo stato di salute mentale. Non è il tipo”
“Beh Sherlock, è stato comunque carino da parte
sua arrivare fino a qui per vedere come stavamo tutti” aveva
risposto John.
“Più che altro non capisco dove tu voglia arrivare
Sherlock” aveva continuato Lily, spostandosi per far posare
il piatto a Mary sul tavolo “ha fatto un gesto carino, a mio
parere”
“Non conosci Mycroft” aveva ribattuto Sherlock
“non fa mai niente per niente”
“E tu mi sembri un po’ paranoico”
cominciava ad arrossire. Non le piaceva mentire, soprattutto a
Sherlock, ma poteva capire perché Mycroft le avesse chiesto
di essere riservata sulla loro conversazione: lui avrebbe cominciato a
sparare a zero sul fratello, e a negare quello che invece, era una
verità assoluta. Il dilemma del porcospino, come
l’aveva definito Mycroft era la metafora perfetta
per descrivere l’atteggiamento di Sherlock non solo verso
Lily, ma verso il genere umano. La gente aveva relazioni, e si feriva.
Ma questo non voleva dire isolarsi da tutto e tutti. Com’era
possibile che lui fosse così? Cosa lo spaventava tanto?
Sicuramente non l’avrebbe mai saputo.
Mentre pensava a tutto ciò, cercando di non arrossire
troppo, Sherlock aveva sospirato: “Non ci si può
più fidare di nessuno ormai”
Mary si era girata, John aveva alzato gli occhi al cielo. Lily si era
limitato a guardarlo, arresa: “Sai una cosa, Sherlock? Non
importa. Continua così, veramente non mi interessa. Io non
voglio fare la guerra, non l’ho mai voluto. Forse un giorno
capirai che tutto questo non serve a nulla. Io, per quanto mi riguarda,
non posso aiutarti a farti ricredere su cose così radicate
dentro di te. Lo devi capire tu, sennò è
inutile” aveva posato la forchetta sul piatto quasi intatto
facendolo tintinnare “grazie per la colazione, posso fare una
doccia?” aveva sorriso a Mary.
“Certo, Lily. Gli asciugamani sono sotto il
lavandino” era sorpresa, ma anche fiera di lei.
Si era alzata: “Con permesso” era sparita dietro la
porta, lasciando tutti con un palmo di naso, Sherlock compreso. Che
però si era ripreso immediatamente, tirando indietro le
spalle e borbottando: “Cosa mai avrà voluto
dire”
“Che dovresti cominciare a volere bene alle persone che te lo
dimostrano ogni giorno, razza di babbeo” aveva risposto John,
guardandolo negli occhi.
“Io te lo dimostro” aveva replicato lui, offeso.
John non aveva ribattuto, attribuendo al silenzio la risposta
più appropriata.
//
Lily si era chiusa in bagno, finalmente lontana dagli sguardi
accusatori di Sherlock. Addirittura non fidarsi di lei. Ma si era
riscoperta a pensare che poteva arrivare a tutte le conclusioni del
mondo tranne a quella più ovvia: cioè che lei
avrebbe fatto tutto per lui perché ne era innamorata. Era
come una parola proibita; quel testone capiva tutto, tranne
l’amore. Sotto al getto di acqua bollente, si dava comunque
della stupida. Bastava così poco per metterlo di fronte alla
verità: confessarlo. Ma era spaventata a morte dalla sua
reazione. E se lo avesse perso? Una fitta di dolore e angoscia le aveva
trafitto il petto. Non era ancora pronta a questa
eventualità. Ancora no.
Si stava tamponando i capelli con l’asciugamano mentre apriva
la porta del bagno, persa nei suoi pensieri. Anche lei sperava di non
dover mai usare il biglietto di Mycroft. Se l’avesse fatto
avrebbe voluto dire sicuramente che era successo qualcosa di grave, o
di irrimediabile. L’avrebbe conservato, anche per eventuali
emergenze riguardanti Sherlock anche se sicuramente John sapeva
già come procedere in casi estremi.
Ma quali erano i casi estremi alla fine? Si era tirata su
l’asciugamano che le avvolgeva il corpo, cercando di non
farlo cadere. Voleva mettersi i suoi vestiti puliti.
In tutto questo casino, doveva comunicare a John e Sherlock la scelta
che aveva preso riguardo Castle Combe. Era stata una decisione presa di
getto, ma nonostante tutto era ancora convinta che avrebbe dovuto
almeno provare, vedere come avrebbe reagito lei. E poi sua madre.
Già, la mamma.
La sera che era scappata avevano litigato e si erano dette cose
orribili. Con quella discussione Lily aveva capito una volta per tutte
che sua madre non l’amava, non come doveva amare un genitore.
Era andata via, senza rimpianti, senza lacrime. Una volta arrivata a
Londra aveva tenuto d’occhio i notiziari e i giornali, senza
trovare traccia di lei e della sua sparizione. Aveva cercato di
dimenticare, di sotterrare quel dolore che era dentro di lei, a cui non
sapeva dare un nome preciso. Come si chiama l’amarezza che
provi quando un genitore ti odia? Non lo sapeva, faceva solo
terribilmente male.
Un altro pensiero le vorticava in testa: doveva andare da sola? Sapeva
che non poteva chiedere a John e Sherlock di mollare tutto per
accompagnarla nel suo paese natale e sonnacchioso, probabilmente senza
cavare un ragno dal buco. Ma andare lì da sola le sembrava
strano e le faceva provare una sensazione di angoscia non indifferente.
John aveva Mary e Rose, Sherlock i suoi casi e le sue indagini. Gliene
avrebbe parlato, ma solo per informarli della sua decisione.
Mentre pensava a tutto ciò, si era vestita e avviata in
cucina; era cambiata solo la disposizione dei posti; Mary non
c’era, probabilmente si stava prendendo cura di Rose. John e
Sherlock erano seduti uno accanto all’altro, John girato
verso Sherlock e parlavano a voce bassa.
Lily aveva bussato leggermente alla porta per avvertirli che era a
portata d’orecchio. Si erano girati e John le aveva sorriso,
mentre Sherlock la guardava come se già sapesse che doveva
dire qualcosa.
Lily aveva sorriso, tesa. Si era seduta davanti a loro, lentamente.
Aveva unito le mani davanti a sé, prendendo un respiro
profondo: “Devo parlarvi”.
John aveva aggrottato le sopracciglia, in un movimento fulmineo. Aveva
l’aria preoccupata. Il tono di Lily non era dei migliori.
Sembrava serena ma allo stesso tempo agitata, un’adolescente
che doveva confessare ai genitori qualche stupidaggine.
L’interesse di Sherlock era stato catturato immediatamente;
si era seduto meglio e aveva tirato su le spalle, con fare
professionale. Chissà se si comportava così
quando interrogava i suoi clienti.
“Okay, dicci tutto Lily” John aveva sorriso,
rassicurante “c’è qualcosa che non
va?”
“Ehm..” Lily aveva cominciato lentamente
“io ci ho pensato e…anche se sembra una decisione
affrettata…ecco..avrei deciso di andare a Castle Combe. Per
vedere quello che potrebbe succedere. Per sentire quello che ha da dire
mia madre. Non voglio più avere paura” aveva
guardato Sherlock per una frazione di secondo, e lui aveva strizzato
gli occhi impercettibilmente “spero che stavolta sia
veramente un punto di svolta per me, qualcosa che mi aiuti
a…insomma..capire. Qualunque cosa possa essere”
vedeva John che sorrideva leggermente, quasi fiero. Lily si torceva le
mani nervosa, non riusciva a tenerle ferme, le facevano male i polsi
“volevo solo informarvi della mia decisione,
perché alla fine mi ci avete fatto riflettere
voi..quindi..” aveva sorriso timida, non sapendo
cos’altro dire.
“Bene, sono felice per te” John aveva allungato le
mani su quelle di Lily stringendole forte.
Sherlock aveva annuito, senza dire nulla: “Beh, quando si
parte?”
Lily aveva diretto lo sguardo verso di lui, sorpresa. Questa era bella.
Aveva aperto la bocca, senza che ne uscisse alcun suono. John guardava
entrambi.
“Io…” stavolta Lily non sapeva veramente
cosa dire, non si aspettava una risposta del genere “io non
credevo che..”
Sherlock l’aveva guardata, confuso: “Cosa? pensavi
non saremmo venuti con te? Vuoi andare da sola?”
“No!” aveva replicato subito Lily, con un tono di
voce decisamente alto “io vorrei tanto che voi mi
accompagnaste…ma credevo che..insomma..avete le vostre vite,
le vostre cose..da fare..” si sentiva rimpicciolire, la voce
sempre più fioca e imbarazzata.
John aveva alzato le sopracciglia: “Beh, Lily devi dirci tu
cosa vuoi che facciamo. Se ci vuoi al tuo fianco, una soluzione si
trova” l’aveva guardata intensamente, facendo
avvampare Lily ancora di più dall’imbarazzo
“ehi, alla fine siamo un po’ come i tre
moschettieri, no? Uno per tutti, tutti per uno”
Sherlock aveva annuito, serio.
Un nodo alla gola aveva fatto abbassare la testa di Lily. Aveva le mani
in grembo, le guardava ma l’immagine andava sfocandosi man
mano per via delle lacrime che le riempivano gli occhi. Era un gesto
bellissimo, affettuoso da parte loro. Sentirsi parte di un nucleo
così stretto, da cui tutti erano fuori, la stessa Mary,
Mycroft, Lestrade. Erano solo loro tre, con un rapporto unico e
inspiegabile, almeno per Lily. Non aveva mai avuto amici, qualcuno che
si prendesse cura di lei. Per questo era strano sentirsi dire con tanta
nonchalance che sarebbe stata sostenuta in una cosa così
importante. Lei era sempre stata sola, tutto questo la sopraffaceva.
Era questo quindi, il sentirsi capiti, il sentirsi amati. Era strano
sapere come ci si doveva comportare ma non poterlo mai mettere in atto.
Ora loro glielo stavano dimostrando, e lei non si aspettava nulla di
tutto questo perché era troppo abituata a ricevere solo
rifiuti e cattiverie, abituata a pensare che non si meritasse nulla di
buono.
Erano sempre loro, i suoi cavalieri dall’armatura
scintillante. Nonostante Sherlock fosse quello che era, si sentiva
grata per questo gesto che sembrava così spontaneo. Si
voleva convincere fosse così, almeno per ora.
“Lily? stai bene?” la voce di John le arrivava
soffusa, lontana.
Lei aveva annuito, la testa ancora bassa: “Grazie”
aveva sussurrato “non avete idea quanto conti questo per me.
Grazie mille, davvero”
John aveva sbuffato, divertito: “Pensi davvero che ti avremmo
lasciata sola? Sarebbe successo solamente se ce lo avessi chiesto
espressamente tu”
“Sai che non sono abituata a questo genere di cose”
aveva borbottato Lily, stringendosi nelle spalle.
John aveva riso, divertito: “Quando vuoi partire?”
“Vorrei aspettare ancora un po’, probabilmente per
metà Marzo. Ormai Febbraio è quasi finito, quindi
sarebbero al massimo due settimane”
Sia John che Sherlock avevano annuito in simultanea.
“Si spera ci sia un minimo di bel tempo, mi piacerebbe farvi
vedere il posto. Se dovesse piovere, sarebbe veramente
noioso”.
Sherlock aveva il telefono in mano: “Sto guardando come
arrivare. Con il treno è un viaggio troppo lungo; scambi,
corriere e quant’altro. Forse converrebbe noleggiare una
macchina” aveva posato il telefono sul tavolo.
John lo guardava e Lily sospettava quale fosse il motivo: tutta questa
partecipazione attiva era alquanto strana. Ma non voleva pensarci in
quel momento. Aveva un paio di settimane per abituarsi
all’idea di tornare a casa sua, dov’era cresciuta.
Rimettere i pensieri in ordine, cercare le parole da dire, cercare di
non pensare subito in negativo riguardo sua madre. Le riusciva ancora
difficile pensare che dopo tutto quel tempo si fosse accorta proprio
ora che da qualche parte avesse una figlia, un proseguimento del suo
DNA. La confusione era molta, non sapeva neanche se avvertire del suo
arrivo. Sicuramente Andrew aveva riferito la sua reazione a sua madre e
quindi si aspettava che non sarebbe mai arrivata; avrebbe potuto farle
una sorpresa: non che si aspettasse che cadesse in ginocchio piangendo,
ma le reazioni a caldo erano quelle che facevano capire meglio la
genuinità dei sentimenti. Non c’era bisogno di
avvertire, quella era comunque casa sua, nel bene o nel male.
Sarebbe stato un percorso decisamente difficile, decisamente emotivo.
Non sapeva cosa sarebbe accaduto.
Sherlock e John continuavano a parlare tra di loro, mentre Lily era
immersa nei suoi pensieri.
“Lily?” Sherlock la guardava, perplesso
“ci sei?”
Si era girata, confusa: “Scusa, stavo pensando. Cosa stavi
dicendo?”
“John ci ha invitati a rimanere a pranzo. Tu hai qualcosa da
fare?”
Lily aveva alzato le spalle: “No, certo che no. Sono libera
come l’aria”. Si sentiva sulle nuvole, un mare di
pensieri le affollavano la mente e non riusciva a concentrarsi. Era
tutto così improvviso e veloce. Decisioni da prendere,
emozioni da tenere a bada. Era tutto molto caotico.
“Ok” Sherlock la osservava, perplesso, poi si era
girato verso John, sussurrando “secondo te sta
bene?”
Lui aveva sorriso: “Sta cominciando a capire come ci si sente
quando si prendono decisioni importanti senza sapere quali saranno le
conseguenze. Ci siamo passati tutti, e porta a una grande
confusione”
Sherlock aveva alzato le sopracciglia perplesso: “Poi dite
che essere razionali come me non fa comodo. Ci si risparmia un sacco di
grattacapi”.
John aveva riso, alzando gli occhi al cielo.
La giornata era passata tranquillamente, Sherlock e Lily avevano
passato gran parte del pomeriggio da John e verso le sei si erano
diretti nuovamente a Baker Street. Lily era stata assente per quasi
tutta la giornata. Era come se si fosse aperta una porta, che le aveva
fatto ricordare mille cose. Aveva ripensato alla sua stanza, alla sua
casa, a tutte le cose che faceva lì. Come passava il tempo,
cosa faceva quando la noia la inghiottiva. Ripensava all’ora
del the, cosa su cui sua madre non transigeva. Alle cinque in punto
Lily doveva essere in salotto. La cerimonia si svolgeva in silenzio,
senza sguardi e senza conversazioni particolari. Era una messa in scena
assurda, e Lily non lo sopportava. Quante volte la cameriera era venuta
a supplicarla di scendere prima che sua madre desse di matto. Proprio
non capiva. Che senso aveva? Il resto della giornata la ignorava e
faceva come se non esistesse. Era iraconda, e si fissava su delle cose
veramente ridicole. Da quel poco che era riuscita a farsi dire, era
così da quando suo padre era andato via. E Lily era scappata
proprio per quello. Era vista come una disgrazia, un errore nella sua
vita perfetta. Si sarebbe potuta appoggiare a lei, essere felice almeno
di averla vicino. Invece no, si era semplicemente abbandonata al
risentimento.
Aveva sentito una mano sulla spalla. Era Sherlock.
“Direi di smettere di pensare per oggi. Posso vedere il fumo
che ti esce dalle orecchie”.
Lily aveva riso: “Hai ragione. Mi dispiace di non essere
stata di compagnia oggi. Non riuscivo a smettere di ragionare. Con
questa decisione mi sono tornati in mente mille ricordi e situazioni
che avevo rimosso”
“Hai paura?” Sherlock la guardava, impassibile. Era
in piedi accanto a lei.
Lily aveva scrollato le spalle, dubbiosa: “Forse, un
po’. Non so cosa aspettarmi”.
“Lo scoprirai solo andando lì. Ci saremo io e
John, non sarai sola”.
Il sole ormai era calato, per strada era buio. Quello che aveva appena
detto Sherlock era vero, ci sarebbero stati loro con lei e questo fino
ad oggi era bastato.
Ma Lily temeva che questa volta non sarebbe stato abbastanza.