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Autore: shezza_demon221    04/11/2016    0 recensioni
Tutto quello che so è una porta sul buio.
(Seamus Heaney)
L'arrivo inaspettato della misteriosa Lily porterà nuove vicissitudini al 211b di Baker Street.
Genere: Generale, Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: John Watson, Mary Morstan, Nuovo personaggio, Quasi tutti, Sherlock Holmes
Note: Otherverse | Avvertimenti: Contenuti forti, Non-con, Tematiche delicate
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Capitolo 15

Hedgehog's Dilemma


Lily era esausta; era ancora seduta sul pavimento del bagno, piccoli singhiozzi le scuotevano il corpo. Si era calmata un po’, ma la sensazione di angoscia dentro di lei era presente come non mai. Sentiva ancora il profumo di Sherlock addosso e il primo impulso era stato quello di infilarsi sotto la doccia.

Ma a quanto pare aveva una certa tendenza al sadismo, e sentire quell’odore su di lei le procurava un dolore misto a piacere. Cercava di memorizzarlo, perché era sicura che non lo avrebbe mai più risentito. Perlomeno non con questa intensità.

“Maledizione” aveva sussurrato, la fronte appoggiata sulla mano “come puoi farmi questo, perché?”

Sentiva gli occhi schizzarle fuori dalle orbite; erano gonfi e irritati e riusciva a malapena a tenerli aperti. Le parole di Sherlock continuavano a rimbalzarle nella testa. Erano parole forti, troppo piene di significato per essere dette così. Si era alzata leggermente, allungando la mano sul lavandino dov’era appoggiato il telefono. Erano le dieci di sera. Non sapeva neanche quanto tempo era rimasta seduta sul pavimento freddo, persa nella spirale del pianto.

Aveva sbloccato lo schermo e aperto la schermata dei messaggi.

TO: John

22.03

Scusa per l’ora, sei sveglio?

Non sapeva neanche per quale motivo lo stesse facendo, aveva bisogno di parlare con qualcuno di razionale.

FROM: John

22.05

No, ho appena messo a letto Rose. Mary dorme. Che succede?

TO: John

22.08

Tu lo sapevi che io e te aiutiamo Sherlock a non morire?

Passavano i minuti e John non rispondeva; Lily sapeva che stava cercando di capire.

FROM: John

22.16

Santo cielo, cosa ha combinato stavolta?

Lily aveva riso ironica, nessuna traccia di divertimento.

TO: John

22.18

Si è ubriacato ed è venuto in bagno dove mi ha abbracciato talmente forte da non farmi respirare. Ha poi aggiunto che io e te lo aiutiamo a non morire. Non so neanche quanto tempo è che sono seduta qui per terra a piangere. Mi ha ucciso, John. Letteralmente. Poi se n’è andato e mi ha lasciato qui. E io ora ho solo voglia di andarmene.

22.20…

22.25…

22.37…

FROM: John

22.40

Vuoi passare la notte qui da noi? Ti sentiresti più tranquilla?

Lily aveva riflettuto. Forse le conveniva dormire sul divano di John almeno questa notte. Lontano da Sherlock e da Baker Street. Ma..
Aveva digitato la risposta.

TO: John

22.42

Non ho soldi per il taxi.

Si era alzata dal pavimento, dolorante.

FROM: John

22.42

Va al diavolo, Lily. Sbrigati, ti aspetto fuori dal portone. Offro io.

Lily aveva sorriso leggermente ed era uscita dal bagno. Era andata in camera, preso i suoi vestiti e un cambio di biancheria. Tornata di sotto si era affacciata sul corridoio. La stanza di Sherlock era chiusa e non sentiva nessun rumore. Sicuramente era svenuto sul letto, era inutile provare a svegliarlo. Lily non aveva pensato a lasciargli un messaggio, era stordita e stanca. Si era chiusa la porta alle spalle, lentamente.

In strada non c’era nessuno. Sperava di trovare un taxi in fretta, non le piaceva tutto quel silenzio. Ne aveva intravisto uno dall’altro lato della strada e aveva alzato la mano; per fortuna era libero e l’aveva vista. Era salita e finalmente aveva sentito un po’ di tensione sciogliersi mentre vedeva Baker Street sparire dalla sua visuale.
Svoltato l’angolo della via dove abitava John, lo aveva già visto in piedi davanti al portone di casa sua stretto nella sua giacca, tremante dal freddo. Lily era scesa e si era precipitata verso di lui. Ormai era così tra loro due: Lily si lanciava tra le sue braccia e John era sempre pronto ad accoglierla, non c’era neanche bisogno di dirlo.

“Stai bene?” aveva detto piano, mentre pagava il tassista.

“Definisci “bene”…” aveva sospirato Lily, mentre John prendeva il suo zaino e si dirigevano verso l’entrata di casa.

Avevano cominciato a bisbigliare automaticamente appena entrati nell’appartamento, per evitare di svegliare Rose e Mary.

“Vuoi qualcosa da bere, o da mangiare?” aveva chiesto John.

“No grazie, mi sistemo sul divano e mi metto a dormire. Sono stanca”

“Ok, qualsiasi cosa io sono in camera ok?”

Lily aveva annuito.

“Buonanotte” aveva sussurrato John nell’oscurità. C’era stato silenzio, ma Lily sentiva che era ancora lì, sentiva la sua presenza “Lily?”

“Sì?”

“Io penso che quello che ha detto Sherlock sia vero, in parte. Vuole far vedere che è forte, ma è più fragile di quanto immagini”.

Lily non aveva risposto. Le riusciva difficile credere alle parole di John in quel momento.

Poi John se n’era andato, lasciandola con i suoi pensieri. Ci aveva messo un po’ ad addormentarsi. Il divano era comodo, ma era la sua testa che non la lasciava in pace. Si rigirava, sentendo ogni tanto un sentore di pianto affacciarsi. Ma si voleva controllare, doveva cercare di non ricadere in quello stato d’animo di poche ore prima. Alla fine, stremata, era riuscita ad addormentarsi.

//

Un profumo di gelsomino, così forte che sembrava reale. Ma lo era, perché Sherlock si era girato e c’era Lily vicino a lui che dormiva. Le lunghe ciglia scure, la bocca semiaperta, le labbra rosa, il respiro regolare del sonno. Una ciocca di capelli dietro l’orecchio. Perché era lì, perché era nel suo letto. La luce era ovattata, lattiginosa, quasi ospedaliera. Una mano era adagiata sopra le lenzuola candide, la spalla bianca e nuda. Non aveva i vestiti, come poteva essere. All’improvviso un ramo aveva cominciato ad inerpicarsi sul letto circondando il corpo di Lily; e poi un altro e tanti ancora che si arrampicavano su di lei che continuava a dormire, tranquilla. Non si accorgeva di niente. Sherlock urlava, voleva svegliarla, perché le foglie e i rami la stavano ricoprendo e sarebbe morta così. C’erano anche dei piccoli fiori bianchi, fiori di gelsomino. La soffocavano e ora Lily non si vedeva più. Sherlock aveva cominciato a strappare con forza ma erano troppo spessi, troppo forti. Gridava il nome di Lily, fino a farsi bruciare la gola, finché non aveva spalancato gli occhi, trovandosi seduto nella penombra della sua stanza. Aveva appena fatto in tempo a sporgersi dal letto che aveva vomitato senza ritegno sul pavimento, i conati che lo soffocavano e lo scuotevano. Aveva la mente annebbiata, la testa gli scoppiava. Una volta ripresosi, si era guardato intorno: nessuna traccia di Lily, né di rami, foglie e fiori di gelsomino. Solo l’odore del suo vomito, che gli faceva girare la testa. Puzza di alcol, di sudore. Era immondo. Doveva farsi una doccia. Era sceso dal letto e barcollando si era diretto in corridoio.

//

Lily dormiva. Ma nella nebbia del sonno si era fatto strada un bussare agitato, una voce ovattata che proveniva oltre la porta di casa di John. Il salotto era separato dall’ingresso e non riusciva a vedere nulla e con gli occhi semichiusi cercava di alzarsi, ma stava dormendo troppo pesantemente per scattare in piedi. Comunque John l’aveva preceduta; lo sentiva imprecare, mentre raggiungeva la porta.
Voci concitate, bisbigli e alla fine un tono di voce normale. Lily si era alzata lentamente e si era avvicinata alla parete che divideva il salone dall’ingresso di casa Watson.

“Sai qualcosa?? non c’è, ti dico che non c’è!!”

Lily era trasalita. Era la voce di Sherlock.

“Mi sono svegliato stamattina e non era a casa. Non risponde al telefono, nessun biglietto, la porta di casa senza mandate. Le sue chiavi erano in cucina!! E lei è sparita, non c’è!!”

John cercava di parlare, ma veniva sovrastato dalla voce animata di Sherlock: “Sherlock, ascolta…”

“No, John” aveva ripreso il suo solito contegno “io ieri…ho detto delle cose..ho fatto..”

“Ti assicuro che..”

“E mi ricordo solo quel poco che mi fa pensare che sia scappata”.

Lily era perplessa. Cos’era tutta questa preoccupazione, questa agitazione nei suoi confronti? Senso di colpa? Non sembrava il tipo da soffrirne. Vergogna? Eh, forse quella sì.

“Sherlock!!! Fammi parlare, per l’amor di Dio!!!!” John aveva alzato la voce, esasperato “Lily è qui, dorme in salone, sul nostro divano. È venuta ieri sera, ha preso un taxi ed è al sicuro. Mi ha chiamato un po’ scossa e le ho proposto di venire qui. Sta bene”

Silenzio: “Ah…ottimo”.

Lily aveva scosso la testa, arresa. Non riusciva proprio a dimostrare un minimo di sollievo. Sperava solo avesse i peggiori postumi della storia, peggio di quelli dell’ultima volta. Aveva preso il telefono da sotto il cuscino. Capirai, due chiamate senza risposta. Niente in confronto alle quindici di John. Dilettante.

Sherlock adesso parlava piano, per non farsi sentire: “ho fatto un sogno e mi sono svegliato nel panico. È stata una reazione a catena. Ma se mi dici che è qui e sta bene, ok” di nuovo silenzio “ti ha raccontato qualcosa?”

Lily non aveva sentito la risposta di John, probabilmente perché aveva risposto con gli occhi.

Sospiro.
“ L’hai stesa ieri sera, forse è il caso che tu le parli. È arrivata qui che aveva gli occhi di un pesce palla. E dovresti finirla di attaccarti alla bottiglia ogni volta che qualcosa non ti sta bene. E dovresti anche finirla di farti dare consigli da me. Hai rotto”.

Di nuovo sospiro, ma stavolta di stizza.

“Dorme ancora?” aveva chiesto Sherlock.

“Non lo so, vado a vedere. NO, tu rimani qui. E guai a te se sbirci”.

Lily era tornata sul divano, le mani in mezzo alle gambe. Aveva freddo, e aveva tirato su le spalle, convinta che così si sarebbe scaldata.

John era entrato piano, facendo cigolare leggermente la porta. La sua testa aveva fatto capolino, gli occhi verso il divano. Poi l’aveva vista e l’espressione del suo viso si era rilassata, aveva aperto di più la porta fermandosi sulla soglia: “Buongiorno” un sorriso caloroso, quello che le serviva.

“Buongiorno” aveva sussurrato Lily, sorridendo a sua volta.

“Ti ha svegliata lui?” aveva indicato con il pollice verso l’ingresso.

“Penso che abbia svegliato più o meno tutto il vicinato” aveva aggiunto Lily ironica.

“Oh no. Mary e Rose dormono alla grossa. La piccola deve aver ripreso dalla madre, dorme come un sasso”.

Lily aveva riso, ravviandosi i capelli: “Secondo te perché è qui?”

“Ufficialmente perché è preoccupato, officiosamente perché pensava fossi scappata in un moto di ribellione post adolescenziale. O magari rapita da qualche brutto ceffo”

“Rapita? Di nuovo?” Lily aveva ghignato soddisfatta.

“Molto divertente, signorina” aveva guardato attraverso la porta semichiusa “sono sorpreso che sia venuto fino a qua e non mi abbia telefonato. Sa che gli rispondo sempre. Penso che voglia sincerarsi di persona se stai bene oppure no. Mi ha detto che ha fatto qualcosa, detto qualcosa…parla di quello che mi hai raccontato ieri sera?”

Lily aveva annuito, sentendo la gola stringersi al solo pensiero. Le parole le rimbombavano nella testa.

Sei così piccola, tra le braccia di un uomo.

Aveva sentito l’imbarazzo colorarle le guance. Tutti erano piccoli tra le braccia di Sherlock Holmes.

John aspettava, paziente.

“Non saprei cosa dire. Non mi viene in mente nulla”

“Non devi per forza dire qualcosa; tu alla fine c’entri relativamente poco. Ha fatto tutto lui”

“Va bene, fallo venire qui. Qualcosa succederà”

“Ok. Vuoi aprire un po’ la finestra?”

La stanza era immersa nella penombra. Sicuramente fuori era nuvoloso, perché la luce era pallida e filtrava debole attraverso le tende grigie di lino grezzo. Lily non voleva che vedesse il suo viso arrossire.

“No, grazie. Va bene così”

John aveva annuito, leggendole il pensiero. Era uscito dal salone; Sherlock aveva alzato lo sguardo, tradendo una sorta di aspettativa. La camicia che aveva addosso era sgualcita e fuori dai pantaloni, le maniche arrotolate in fretta e furia. I capelli arruffati.

“Dio mio, hai un aspetto orribile”  John aveva alzato un sopracciglio con espressione critica.

“Sì, lo so. Grazie mille” Sherlock aveva alzato gli occhi al cielo “quindi? La principessa mi concede udienza?”

Il viso di John si era rabbuiato tutto a un tratto: “Vacci piano, detective dei miei stivali. Sei in torto marcio e guai a te se fai lo spiritoso. Al posto di Lily, ti avrei mandato via a calci in culo. Quindi non uscire fuori dal seminato” il tono era decisamente perentorio. Sherlock aveva alzato le mani sgranando gli occhi: “va bene, ho capito. Niente ironia”

“Non so neanche come ti vengano fuori certe cose” John aveva scosso la testa “incredibile”

Sherlock era diventato serio e pensieroso: “A volte non lo so neppure io” per una frazione di secondo John pensava di aver intravisto un lampo di senso di colpa nei suoi occhi.

“Ricordati sempre che non se lo merita a prescindere. Non ti ha fatto nulla”

Aveva annuito, obbediente.

“Ora vai, è in salotto. Se sento alzare la voce, interverrò. Sappilo”

Sherlock ormai era vicino la porta del salone, ma John sapeva che l’aveva sentito.

//

Lily guardava davanti a sé, sul tavolino davanti al divano. Sembrava fosse tornata indietro di mesi, prima di conoscere Sherlock. Quando era seduta lì, aspettando Mary con il the. Impaurita, terrorizzata, piena di lividi e ferite dentro di sé. Si ricordava tutto, come se fosse ieri. E ora eccola di nuovo lì; sempre impaurita, sempre nervosa, sempre ferita. Ma in maniera diversa.
Sherlock era davanti la porta di legno, fermo. Aveva alzato la mano per bussare, ma si era fermato a mezz’aria, calcolando tutte le variabili di quell’incontro. Le cose erano due: avrebbero litigato di nuovo, oppure Lily l’avrebbe perdonato come aveva già fatto milioni di volte. Avrebbe rischiato. Si ricordava tutto della sera prima, stranamente. Ed era terribilmente imbarazzato. Lo spazio personale doveva rimanere tale e nessuno lo sapeva meglio di lui, che cominciava a diventare insofferente appena qualcuno gli si avvicinava più del dovuto.
Aveva bussato, senza pensarci troppo.

Lily era saltata sul divano. Adesso bussava? Si era grattata la nuca, lo stomaco sottosopra dal nervosismo: “Avanti” aveva detto, con voce abbastanza ferma.
Adesso lo vedrai, sai che effetto ti fa ogni volta. Sarà bellissimo, sarà da restare senza fiato. Ma tu non guardare, rimani ferma su un punto, non mollare. Se lo guardi, è finita. Ti tornerà in mente tutto, e ora è troppo presto. Hai ancora il suo profumo addosso, almeno fatti una doccia prima di guardarlo negli occhi. L’associazione potrebbe essere mortale.

La porta si era aperta e richiusa. Lily guardava il tavolino, le mani strette in grembo. Si era ravviata di nuovo i capelli per poi tornare nella posizione iniziale. Aveva sentito il peso di Sherlock mentre si sedeva, il cuscino sprofondare leggermente vicino a lei.

E poi silenzio. Solo due respiri, dove prima ce n’era solo uno.

A un certo punto Sherlock si era schiarito la voce: “Ciao” aveva esordito.

“Buongiorno, Sherlock” aveva aggiunto Lily, con voce chiara e decisa.

“Stamattina mi sono svegliato e non c’eri. Potevi lasciare un biglietto”

Nella testa di Lily questa frase suonava estremamente sbagliata. Ma non aveva fatto a meno di notare, come al solito, il tono polemico. Aveva sospirato e stretto le labbra.

“Hai ragione, scusa. Non dovevo dirlo, John è stato chiaro” aveva mormorato, ma Lily aveva sentito. Un angolo della bocca si era piegato in un sorriso ironico e amaro. Aveva scosso leggermente la testa.

“Io…ecco…io volevo chiederti scusa per quello che è successo ieri sera. Per quello che ho fatto. Non dovevo, e sono molto dispiaciuto di averti spaventato e averti costretto ad andare via di casa in piena notte. Ti porgo le mie scuse”.

Spaventata. Lui era convinto di averla spaventata. Forse un po’. Ma la storia era un’altra, ma si rendeva conto che spiegargli come si sentiva sarebbe stato pressappoco inutile.

“È stato strano, non spaventoso; tu non tocchi mai nessuno” aveva mormorato lei “per quello ho reagito così”

Sherlock non rispondeva. Non si sarebbe mai spinto talmente oltre da ammettere che quello che aveva fatto potesse essere lontanamente dettato dalle emozioni. Non sarebbe stato Sherlock, per lui era tutto un errore. La soluzione migliore era il mutismo.

Lily per un attimo aveva sentito un’ondata di irritazione salirle in gola e bruciarle il viso. Com’era ottuso a volte. Maledizione, scava a fondo per una volta, non farlo solo con i tuoi casi da strapazzo. Cerca di capire. Cerca di comprendere, in modo che io possa dirti veramente come mi sento, in modo che possa finalmente spiegarti le emozioni che mi dai, tutto ciò che mi susciti.

I  sentimenti sono un difetto chimico della parte che perde.

L’aveva detto una volta, non ricordava in che circostanza. Ma quelle parole erano marchiate a fuoco nella mente e sulla pelle di Lily. Lei era perdente, dall’inizio. Sherlock no. Doveva farselo tatuare da qualche parte.

Ma era rimasta lì, di nuovo immobile, senza dire una parola.

Tu e John  mi aiutate a non morire.

“È  da quando sono entrato che non mi guardi”

Lily aveva sgranato leggermente gli occhi. Era vero, ma era necessario che lei non lo guardasse. Era di vitale importanza.

“Lily…stai bene?” le aveva messo una mano sul braccio. Lei si era allontanata delicatamente dal suo tocco, e Sherlock era rimasto con la mano a mezz’aria, confuso.

“Il mio tocco ti disgusta così tanto?” aveva chiesto, con voce bassa e profonda “ti ho fatto così male ieri sera?”

Lily aveva aperto la bocca, poi l’aveva richiusa. Repulsione era l’ultima cosa che Sherlock suscitasse in Lily.

La mano di Sherlock era ricaduta sul divano: “sono mortificato”.

Meglio di niente, aveva pensato Lily.

“Guardami” aveva detto di nuovo Sherlock “se non mi guardi vuol dire che hai paura di me. Hai paura di me?”

“No” aveva sussurrato Lily.

“Allora fallo, dimostralo” la sua voce ora era dura, perentoria. Lily aveva sentito un brivido lungo la schiena. Doveva farlo, non sapeva se rifiutandosi l’avrebbe ferito. Probabilmente no, era solo l’ennesima sfida con sé stesso. Ma lei avrebbe preferito tagliarsi una mano piuttosto che rischiare di fargli del male. Anche se sapeva che sbagliava.

Così si era girata, lo sguardo sempre basso.

Negli occhi, Lily” aveva sentito il fantasma della voce di Sherlock raggiungere le sue orecchie.

Aveva alzato lo sguardo e incontrato gli occhi magnifici di Sherlock. Erano grigi come le nuvole fuori dalla finestra. Aveva le occhiaie, e le labbra bianche perché era disidratato. Ma il cuore di Lily aveva fatto una capriola.

“Ecco, ora sì. Ti piacciono le sfide e sei testarda quanto me” aveva sorriso leggermente.

No, è perché guardandoti mi ricordo che non potrai mai essere mio. Ma allo stesso tempo, non riesco a farne a meno.

Aveva abbassato di nuovo lo sguardo, per non scoppiare a piangere.

L’aria era diventata calda là dentro. C’era un misto di emozioni che stava per soffocare Lily. Così aveva steso le braccia sopra la testa e sospirato: “Ho fame, chiediamo a John la colazione?” Era ora di tornare la Lily normale, la Lily che non soffriva, mai. Era ora di spezzare quell’atmosfera ambigua che aleggiava nella stanza. Era ora di far finta di niente. Ancora e ancora.

“Sì, perché no” aveva risposto lui, sollevando le spalle. Sembrava sollevato.

“Sherlock, fattelo dire. Puzzi da far schifo” aveva detto Lily, guardandolo.

“Lo so. Stamattina ho vomitato sul pavimento” aveva aggiunto, in leggero imbarazzo.

“Spero tu abbia pulito”

“Come ho potuto. Ero parecchio rintronato”

“Che schifo. Santo cielo, lo sai che non reggi l’alcol, cosa bevi a fare se poi devi combinare disastri!”

“Oh, lasciami in pace” aveva risposto Sherlock con tono stizzito. Si erano alzati e diretti verso la cucina.

//

Erano usciti dalla stanza, in silenzio. Avevano trovato John in cucina, con Mary e Rose sul seggiolone, che quando aveva visto Lily aveva teso le manine verso di lei ridendo contenta. L’aveva presa in braccio e stretta forte.

“Lily! che bello vederti! Come stai?” Mary si era avvicinata a lei, stringendola, poi si era girata per non farsi vedere da Sherlock e aveva bisbigliato “com’è andata, tutto bene?”

Aveva sorriso leggermente, per non dare nell’occhio: “Sì tutto bene. Alla fine ha chiesto scusa”

Mary aveva sbuffato: “Gliele dai sempre vinte, non mi sembra giusto” le aveva dato una leggera gomitata nello stomaco “la prossima volta fallo soffrire un po’”.

“Sarà fatto. Ma è già tanto che abbia chiesto scusa, pensaci bene” aveva mormorato Lily, cullando Rose che giocava con la sua catenina a forma di giglio.

“Avete fame? Colazione?” John aveva appena spadellato una quantità industriale di pancakes e bacon con uova strapazzate “ a casa Watson solo colazioni nutrienti!”

Si erano seduti al tavolo della cucina, chiacchierando allegramente. Lily passava piccoli pezzetti di pancake a Rose, seduta nel seggiolone vicina a lei. Aveva sentito un brivido lungo il collo e facendo scorrere lo sguardo sopra il tavolo aveva incontrato per un attimo gli occhi di Sherlock. Faceva girare per il piatto le uova strapazzate, giocando con la forchetta. Poi all’improvviso aveva teso il collo e assunto un’aria attenta.

“Non è possibile…” aveva sussurrato.

E il campanello aveva suonato.

//

John si era girato, verso l’ingresso: “Chi può essere a quest’ora del mattino?”

Sherlock si muoveva sulla sedia con fare nervoso: “Penso di sapere chi è”

John l’aveva guardato, curioso: “Ah sì? E chi?”

“Mycroft”

C’era stato un momento di silenzio, interrotto solo dalle proteste di Rose perché Lily aveva smesso di darle da mangiare. Il campanello aveva suonato di nuovo.

“Beh accidenti, andiamo ad aprire!” aveva replicato Mary stizzita.

Sherlock e John si erano guardati, prudenti. Lily aveva intercettato questo scambio di occhiate e si chiedeva cosa ci fosse di così grave. Certo, aveva visto Mycroft una volta sola, alla festa di Natale. E a parte essere un po’ fuori posto, non gli era sembrato chissà quale mostro. Sherlock le aveva rivelato che aveva un lavoro non proprio ordinario, ma questo lo rendeva una brutta persona?

Aveva sentito Mary salutarlo e dirgli di accomodarsi in cucina. Mycroft era entrato, vestito in maniera impeccabile e con un ombrello in mano, che faceva oscillare lentamente. Aveva guardato tutti quanti con un sorriso di circostanza e si era fermato sulla figura di Lily: “Oh eccola qua, la fuggitiva. Buongiorno Lily, tutto bene?”

“Oh…Mycroft, buongiorno. Sì grazie, tutto bene. Volevo scusarmi per tutto il disturbo che le ho procurato..per..ecco…la questione di Andrew”

Mycroft aveva fatto un vago cenno con la mano: “Figurarsi. Per il mio caro fratellino questo e altro” lo aveva guardato “Sherlock”

“Mycroft” aveva replicato lui, freddo.

“Interessante…” aveva mormorato impercettibilmente verso di lui, stringendo leggermente gli occhi. Sherlock aveva fatto altrettanto, in gesto di sfida.

“Come facevi a sapere che eravamo qui?”

Mycroft aveva riso piano: “Tu sai che io so sempre tutto”

“Mi chiedo come”

“Vuoi sapere troppo, mio caro”

“Non chiamarmi caro. E nemmeno fratellino” Sherlock aveva il tono di un bambino arrabbiato.

“Beh, visto che sei qui gradiresti una tazza di the?” aveva chiesto John sorridendo, cercando di spezzare l’atmosfera tesa.

“Grazie John, molto volentieri, fa un freddo terribile fuori” Mycroft si era accomodato su una sedia, accavallando le gambe e poggiando le mani sulle ginocchia. Era a capotavola, con Lily e Sherlock ciascuno a un lato. John intanto preparava il the, mentre Mary chiacchierava del più e del meno con lui.

Pronto il the, John lo aveva versato in una tazza e si era diretto verso l’altro lato della cucina, dove era seduto Mycroft. Nel tragitto era inciampato in un gioco di Rose abbandonato per terra e la tazza gli era scivolata di mano.

Lily non aveva neanche pensato. Si era girata e aveva preso la tazza da sotto, rovesciando qualche goccia di the sul pavimento. Ma la presa era solida e ferma.

C’era stato un momento di silenzio e poi Mycroft aveva sussurrato: “Ottimi riflessi. Attenzione e velocità. Quello che serve anche per usare un’arma, come una pistola. O un coltello..o meglio ancora…” si era portato un dito sotto il mento, l’aria pensante “un taglierino. Con quelle dita sottili, si potrebbero maneggiare oggetti leggeri” gli aveva guardato le mani, quella che teneva la tazza ancora ferma a mezz’aria.

Mycroft” aveva sibilato Sherlock.

Lily lo aveva guardato, incuriosita. Il riferimento al taglierino non le sembrava casuale.

“Ho fatto le mie esperienze” aveva risposto calma; Mycroft non le stava antipatico, aveva solamente la stessa attenzione per i particolari del fratello.

Lui aveva alzato le sopracciglia, divertito: “Beh, buon per te” le aveva sorriso.

Lei aveva ricambiato: “Ti ringrazio” era passata dal dargli del lei a un più informale “tu”.

John la guardava, Sherlock anche: “Ma cosa…” aveva cominciato, scandalizzato.

“Beh…posso sostenere, caro fratellino, che tutto si può dire di Lily Scott tranne che sia una novellina”. Continuava a guardarla fissa. Il suo cognome associato al suo nome era una cosa che non sentiva da parecchio tempo. Lily era sorpresa. Ma non più di tanto, visto che Andrew era stato sotto la custodia  di Mycroft per una notte.

John aveva aperto la bocca per replicare: “Andrew e io abbiamo fatto una chiacchierata, la sera che è stato mio ospite. Un ragazzo loquace, non c’è dubbio” aveva preso un sorso di the. Nel frattempo la tazza era arrivata nelle sue mani.

Sherlock aveva sbuffato, indispettito: “Sbruffone” aveva sibilato, incrociando le braccia.

Mycroft aveva riso sommessamente: “Beh, signori è stato un piacere. I doveri mi chiamano. Vi ringrazio per il the e vi auguro una buona giornata. Ah e…Lily? potresti farmi la cortesia di accompagnarmi alla porta? Proprio non mi ricordo la strada” aveva scoccato un’occhiata di traverso a Sherlock, che aveva sgranato gli occhi per una frazione di secondo.

Lily si era guardata intorno, perplessa. Vedendo che anche gli altri avevano la stessa espressione, non si era preoccupata troppo: non era l’unica a non capire il motivo di quella richiesta.

Aveva sentito John sottovoce che diceva: “Ma solo io sono stato portato in un capannone abbandonato?” e Sherlock che lo zittiva.

Stranamente si sentiva tranquilla. Mycroft era sicuramente un uomo pericoloso e Lily se ne era accorta. Ma aveva come l’impressione che lo fosse solo quando era strettamente necessario. Per il resto, era un po’ sbruffone. Come Sherlock d’altronde. Buon sangue non mente.

Mycroft aveva tolto il suo cappotto dall’attaccapanni. Lily aveva afferrato la sciarpa e gliel’aveva porta.

“Ti ringrazio” aveva fatto un leggero cenno del capo “quindi, Lily? ti trovi bene qui?” era passato ai guanti “mio fratello si sta comportando bene?”

Lily aveva aspettato a rispondere. Quei pochi secondi erano bastati a far fissare gli occhi di Mycroft nei suoi: “qualcosa non va?”

“No, è che…” non se la sentiva di sparlare di Sherlock “a volte reagisce in maniera un po’ bizzarra. Ma è il suo carattere, immagino”

Mycroft aveva riso, ironico: “Scommetto che lo fa quando si sente sotto pressione. Probabilmente ti ha anche ferito, qualche volta.”

Lily aveva mosso la testa da un lato all’altro: “Beh, sì. Non è molto…affettuoso. Non si apre, semplicemente. Con nessuno. E abbiamo litigato a volte, e non è stato propriamente tenero”

Mycroft aveva sospirato e alzato le sopracciglia, un espressione quasi dispiaciuta. Poi aveva ripreso il suo atteggiamento normale e guardandola aveva accennato un sorrisetto ironico.

Si era avvicinato leggermente: “Lily, tu sai cos’è il dilemma del porcospino?”

Lily aveva scrollato le spalle. Non lo sapeva, no.

“È una metafora per esprimere la complessità dei rapporti umani. Mio fratello è esattamente così, è come un porcospino. Più le persone si avvicinano, più vogliono aiutarlo e prendersi cura di lui, più le allontana e le ferisce. Ha una corazza di aculei non indifferente, e dio solo sa come l’abbia costruita. È convinto che così sia più facile. Ma da una parte, se mi hai detto che ti ha ferito, può darsi che stia cominciando a capire qualcosa, a pensare fuori dai suoi schemi prestabiliti. Di solito ignora chi non gli va a genio. O si limita a insultarlo”

“Beh, non è proprio il modo migliore di cambiare” aveva riso Lily, un po’ amareggiata “avrei preferito dei confronti più tranquilli”.

“Oh Lily…mio fratello non è stupido. Sa con chi può farlo e con chi no. Sa chi rimarrà…e chi no. Prova a chiedere al dottor Watson. Chi rimane, vuol dire che vuole farlo” le aveva lanciato un sguardo inequivocabile.

Lily aveva abbassato lo sguardo, imbarazzata.

“Non dovrei ma…” si era frugato nella tasca interna della giacca, e aveva scritto qualcosa con una penna argentata sul retro di un pezzo di carta “questo è il mio biglietto. Per qualsiasi cosa, per qualsiasi necessità non esitare a contattarmi. Capisco che non è facile. Sherlock è impegnativo. Ti ringrazio comunque per la pazienza”.

Lily lo aveva guardato, l’espressione di Mycroft perfettamente studiata e immobile. Un sorriso di circostanza gli si era stampato sul viso, aspettando che lei accettasse quel gesto che per lui era stato decisamente oggetto di grandi riflessioni. Aveva allungato la mano lentamente e  preso in mano il biglietto, la carta color avorio attraversata da una scritta nera:

Mycroft Holmes

Diogenes Club

London, England

Lily continuava a guardare il biglietto.

Esplicativo.

“Il mio cellulare è sul retro. Non nascondo che spero tu non ne abbia mai bisogno”

“Beh..grazie” aveva stretto il biglietto tra le mani. La carta aveva una consistenza leggera e profumava di buono “sei molto gentile”

“Spero solo che vada tutto bene” si era avviato alla porta, e l’aveva aperta. Lo aspettavano due uomini vestiti di nero, con l’auricolare e gli occhiali da sole nonostante fuori fosse nuvoloso “forse è meglio che Sherlock non sappia di questa conversazione e del fatto che tu abbia il mio telefono. Confido nella tua discrezione” si era toccato la testa in gesto di saluto “arrivederci, Lily”

Lei si era limitata a sollevare la mano e a sorridere imbarazzata. Wow, Mycroft era tosto.

Si rigirava il biglietto tra le mani e lo aveva annusato: un misto di the al bergamotto, e fumo di sigaro. Buono.

Non aveva posti dove nasconderlo, essendo in pigiama. Così era sgattaiolata in salotto e lo aveva messo dentro il suo zaino, dentro la tasca interna. Poi era tornata in cucina, dove tutti si erano girati all’unisono per guardarla. Lily aveva alzato un sopracciglio: “Quanto tempo!” aveva mugugnato e si era seduta di nuovo al tavolo, sperando di poter finire la colazione, anche se ormai era fredda. La mano di Mary le aveva tolto il piatto da sotto il naso: “Lo passo al microonde, così è immangiabile”.

Lily le aveva sorriso: “Grazie, Mary”. Lei le aveva fatto l’occhiolino.

Sentiva gli occhi inquisitori di Sherlock su di lei: la scrutava, in cerca di indizi. Lily cercava di ignorarlo, ma il suo sguardo era come una colata di acciaio bollente e non si poteva evitare. Così si era girata verso Sherlock e gli aveva sorriso, imbarazzata. Lui continuava a fissarla, senza cambiare espressione. John lo aveva guardato, mentre Lily chiedeva aiuto con lo sguardo.

“Cosa ti ha detto?” aveva esordito all’improvviso, poggiando i gomiti sul tavolo e piegandosi in avanti.

Lily aveva fatto vagare lo sguardo sul tavolo per qualche secondo e poi aveva risposto: “Mi ha chiesto come stavo, se andava tutto bene. Niente di particolare. Alla fine ci ha fatto un favore, e magari voleva sapere..ecco…come andava in generale”

“Ti ha fatto un favore” aveva detto Sherlock con tono ironico “e strano che ti abbia chiesto solo informazioni sul tuo stato di salute mentale. Non è il tipo”

“Beh Sherlock, è stato comunque carino da parte sua arrivare fino a qui per vedere come stavamo tutti” aveva risposto John.

“Più che altro non capisco dove tu voglia arrivare Sherlock” aveva continuato Lily, spostandosi per far posare il piatto a Mary sul tavolo “ha fatto un gesto carino, a mio parere”

“Non conosci Mycroft” aveva ribattuto Sherlock “non fa mai niente per niente”

“E tu mi sembri un po’ paranoico” cominciava ad arrossire. Non le piaceva mentire, soprattutto a Sherlock, ma poteva capire perché Mycroft le avesse chiesto di essere riservata sulla loro conversazione: lui avrebbe cominciato a sparare a zero sul fratello, e a negare quello che invece, era una verità assoluta. Il dilemma del porcospino, come l’aveva  definito Mycroft era la metafora perfetta per descrivere l’atteggiamento di Sherlock non solo verso Lily, ma verso il genere umano. La gente aveva relazioni, e si feriva. Ma questo non voleva dire isolarsi da tutto e tutti. Com’era possibile che lui fosse così? Cosa lo spaventava tanto? Sicuramente non l’avrebbe mai saputo.

Mentre pensava a tutto ciò, cercando di non arrossire troppo, Sherlock aveva sospirato: “Non ci si può più fidare di nessuno ormai”

Mary si era girata, John aveva alzato gli occhi al cielo. Lily si era limitato a guardarlo, arresa: “Sai una cosa, Sherlock? Non importa. Continua così, veramente non mi interessa. Io non voglio fare la guerra, non l’ho mai voluto. Forse un giorno capirai che tutto questo non serve a nulla. Io, per quanto mi riguarda, non posso aiutarti a farti ricredere su cose così radicate dentro di te. Lo devi capire tu, sennò è inutile” aveva posato la forchetta sul piatto quasi intatto facendolo tintinnare “grazie per la colazione, posso fare una doccia?” aveva sorriso a Mary.

“Certo, Lily. Gli asciugamani sono sotto il lavandino” era sorpresa, ma anche fiera di lei.

Si era alzata: “Con permesso” era sparita dietro la porta, lasciando tutti con un palmo di naso, Sherlock compreso. Che però si era ripreso immediatamente, tirando indietro le spalle e borbottando: “Cosa mai avrà voluto dire”

“Che dovresti cominciare a volere bene alle persone che te lo dimostrano ogni giorno, razza di babbeo” aveva risposto John, guardandolo negli occhi.

“Io te lo dimostro” aveva replicato lui, offeso.

John non aveva ribattuto, attribuendo al silenzio la risposta più appropriata.

//

Lily si era chiusa in bagno, finalmente lontana dagli sguardi accusatori di Sherlock. Addirittura non fidarsi di lei. Ma si era riscoperta a pensare che poteva arrivare a tutte le conclusioni del mondo tranne a quella più ovvia: cioè che lei avrebbe fatto tutto per lui perché ne era innamorata. Era come una parola proibita; quel testone capiva tutto, tranne l’amore. Sotto al getto di acqua bollente, si dava comunque della stupida. Bastava così poco per metterlo di fronte alla verità: confessarlo. Ma era spaventata a morte dalla sua reazione. E se lo avesse perso? Una fitta di dolore e angoscia le aveva trafitto il petto. Non era ancora pronta a questa eventualità. Ancora no.

Si stava tamponando i capelli con l’asciugamano mentre apriva la porta del bagno, persa nei suoi pensieri. Anche lei sperava di non dover mai usare il biglietto di Mycroft. Se l’avesse fatto avrebbe voluto dire sicuramente che era successo qualcosa di grave, o di irrimediabile. L’avrebbe conservato, anche per eventuali emergenze riguardanti Sherlock anche se sicuramente John sapeva già come procedere in casi estremi.

Ma quali erano i casi estremi alla fine? Si era tirata su l’asciugamano che le avvolgeva il corpo, cercando di non farlo cadere. Voleva mettersi i suoi vestiti puliti.

In tutto questo casino, doveva comunicare a John e Sherlock la scelta che aveva preso riguardo Castle Combe. Era stata una decisione presa di getto, ma nonostante tutto era ancora convinta che avrebbe dovuto almeno provare, vedere come avrebbe reagito lei. E poi sua madre.

Già, la mamma.

La sera che era scappata avevano litigato e si erano dette cose orribili. Con quella discussione Lily aveva capito una volta per tutte che sua madre non l’amava, non come doveva amare un genitore. Era andata via, senza rimpianti, senza lacrime. Una volta arrivata a Londra aveva tenuto d’occhio i notiziari e i giornali, senza trovare traccia di lei e della sua sparizione. Aveva cercato di dimenticare, di sotterrare quel dolore che era dentro di lei, a cui non sapeva dare un nome preciso. Come si chiama l’amarezza che provi quando un genitore ti odia? Non lo sapeva, faceva solo terribilmente male.

Un altro pensiero le vorticava in testa: doveva andare da sola? Sapeva che non poteva chiedere a John e Sherlock di mollare tutto per accompagnarla nel suo paese natale e sonnacchioso, probabilmente senza cavare un ragno dal buco. Ma andare lì da sola le sembrava strano e le faceva provare una sensazione di angoscia non indifferente. John aveva Mary e Rose, Sherlock i suoi casi e le sue indagini. Gliene avrebbe parlato, ma solo per informarli della sua decisione.
Mentre pensava a tutto ciò, si era vestita e avviata in cucina; era cambiata solo la disposizione dei posti; Mary non c’era, probabilmente si stava prendendo cura di Rose. John e Sherlock erano seduti uno accanto all’altro, John girato verso Sherlock e parlavano a voce bassa.
Lily aveva bussato leggermente alla porta per avvertirli che era a portata d’orecchio. Si erano girati e John le aveva sorriso, mentre Sherlock la guardava come se già sapesse che doveva dire qualcosa.
Lily aveva sorriso, tesa. Si era seduta davanti a loro, lentamente. Aveva unito le mani davanti a sé, prendendo un respiro profondo: “Devo parlarvi”.
    
John aveva aggrottato le sopracciglia, in un movimento fulmineo. Aveva l’aria preoccupata. Il tono di Lily non era dei migliori. Sembrava serena ma allo stesso tempo agitata, un’adolescente che doveva confessare ai genitori qualche stupidaggine.
L’interesse di Sherlock era stato catturato immediatamente; si era seduto meglio e aveva tirato su le spalle, con fare professionale. Chissà se si comportava così quando interrogava i suoi clienti.

“Okay, dicci tutto Lily” John aveva sorriso, rassicurante “c’è qualcosa che non va?”

“Ehm..” Lily aveva cominciato lentamente “io ci ho pensato e…anche se sembra una decisione affrettata…ecco..avrei deciso di andare a Castle Combe. Per vedere quello che potrebbe succedere. Per sentire quello che ha da dire mia madre. Non voglio più avere paura” aveva guardato Sherlock per una frazione di secondo, e lui aveva strizzato gli occhi impercettibilmente “spero che stavolta sia veramente un punto di svolta per me, qualcosa che mi aiuti a…insomma..capire. Qualunque cosa possa essere” vedeva John che sorrideva leggermente, quasi fiero. Lily si torceva le mani nervosa, non riusciva a tenerle ferme, le facevano male i polsi “volevo solo informarvi della mia decisione, perché alla fine mi ci avete fatto riflettere voi..quindi..” aveva sorriso timida, non sapendo cos’altro dire.

“Bene, sono felice per te” John aveva allungato le mani su quelle di Lily stringendole forte.

Sherlock aveva annuito, senza dire nulla: “Beh, quando si parte?”

Lily aveva diretto lo sguardo verso di lui, sorpresa. Questa era bella. Aveva aperto la bocca, senza che ne uscisse alcun suono. John guardava entrambi.

“Io…” stavolta Lily non sapeva veramente cosa dire, non si aspettava una risposta del genere “io non credevo che..”

Sherlock l’aveva guardata, confuso: “Cosa? pensavi non saremmo venuti con te? Vuoi andare da sola?”

“No!” aveva replicato subito Lily, con un tono di voce decisamente alto “io vorrei tanto che voi mi accompagnaste…ma credevo che..insomma..avete le vostre vite, le vostre cose..da fare..” si sentiva rimpicciolire, la voce sempre più fioca e imbarazzata.

John aveva alzato le sopracciglia: “Beh, Lily devi dirci tu cosa vuoi che facciamo. Se ci vuoi al tuo fianco, una soluzione si trova” l’aveva guardata intensamente, facendo avvampare Lily ancora di più dall’imbarazzo “ehi, alla fine siamo un po’ come i tre moschettieri, no? Uno per tutti, tutti per uno”

Sherlock aveva annuito, serio.

Un nodo alla gola aveva fatto abbassare la testa di Lily. Aveva le mani in grembo, le guardava ma l’immagine andava sfocandosi man mano per via delle lacrime che le riempivano gli occhi. Era un gesto bellissimo, affettuoso da parte loro. Sentirsi parte di un nucleo così stretto, da cui tutti erano fuori, la stessa Mary, Mycroft, Lestrade. Erano solo loro tre, con un rapporto unico e inspiegabile, almeno per Lily. Non aveva mai avuto amici, qualcuno che si prendesse cura di lei. Per questo era strano sentirsi dire con tanta nonchalance che sarebbe stata sostenuta in una cosa così importante. Lei era sempre stata sola, tutto questo la sopraffaceva. Era questo quindi, il sentirsi capiti, il sentirsi amati. Era strano sapere come ci si doveva comportare ma non poterlo mai mettere in atto. Ora loro glielo stavano dimostrando, e lei non si aspettava nulla di tutto questo perché era troppo abituata a ricevere solo rifiuti e cattiverie, abituata a pensare che non si meritasse nulla di buono.

Erano sempre loro, i suoi cavalieri dall’armatura scintillante. Nonostante Sherlock fosse quello che era, si sentiva grata per questo gesto che sembrava così spontaneo. Si voleva convincere fosse così, almeno per ora.

“Lily? stai bene?” la voce di John le arrivava soffusa, lontana.

Lei aveva annuito, la testa ancora bassa: “Grazie” aveva sussurrato “non avete idea quanto conti questo per me. Grazie mille, davvero”

John aveva sbuffato, divertito: “Pensi davvero che ti avremmo lasciata sola? Sarebbe successo solamente se ce lo avessi chiesto espressamente tu”

“Sai che non sono abituata a questo genere di cose” aveva borbottato Lily, stringendosi nelle spalle.

John aveva riso, divertito: “Quando vuoi partire?”

“Vorrei aspettare ancora un po’, probabilmente per metà Marzo. Ormai Febbraio è quasi finito, quindi sarebbero al massimo due settimane”

Sia John che Sherlock avevano annuito in simultanea.

“Si spera ci sia un minimo di bel tempo, mi piacerebbe farvi vedere il posto. Se dovesse piovere, sarebbe veramente noioso”.

Sherlock aveva il telefono in mano: “Sto guardando come arrivare. Con il treno è un viaggio troppo lungo; scambi, corriere e quant’altro. Forse converrebbe noleggiare una macchina” aveva posato il telefono sul tavolo.

John lo guardava e Lily sospettava quale fosse il motivo: tutta questa partecipazione attiva era alquanto strana. Ma non voleva pensarci in quel momento. Aveva un paio di settimane per abituarsi all’idea di tornare a casa sua, dov’era cresciuta. Rimettere i pensieri in ordine, cercare le parole da dire, cercare di non pensare subito in negativo riguardo sua madre. Le riusciva ancora difficile pensare che dopo tutto quel tempo si fosse accorta proprio ora che da qualche parte avesse una figlia, un proseguimento del suo DNA. La confusione era molta, non sapeva neanche se avvertire del suo arrivo. Sicuramente Andrew aveva riferito la sua reazione a sua madre e quindi si aspettava che non sarebbe mai arrivata; avrebbe potuto farle una sorpresa: non che si aspettasse che cadesse in ginocchio piangendo, ma le reazioni a caldo erano quelle che facevano capire meglio la genuinità dei sentimenti. Non c’era bisogno di avvertire, quella era comunque casa sua, nel bene o nel male.

Sarebbe stato un percorso decisamente difficile, decisamente emotivo. Non sapeva cosa sarebbe accaduto.

Sherlock e John continuavano a parlare tra di loro, mentre Lily era immersa nei suoi pensieri.

“Lily?” Sherlock la guardava, perplesso “ci sei?”

Si era girata, confusa: “Scusa, stavo pensando. Cosa stavi dicendo?”

“John ci ha invitati a rimanere a pranzo. Tu hai qualcosa da fare?”

Lily aveva alzato le spalle: “No, certo che no. Sono libera come l’aria”. Si sentiva sulle nuvole, un mare di pensieri le affollavano la mente e non riusciva a concentrarsi. Era tutto così improvviso e veloce. Decisioni da prendere, emozioni da tenere a bada. Era tutto molto caotico.

“Ok” Sherlock la osservava, perplesso, poi si era girato verso John, sussurrando “secondo te sta bene?”

Lui aveva sorriso: “Sta cominciando a capire come ci si sente quando si prendono decisioni importanti senza sapere quali saranno le conseguenze. Ci siamo passati tutti, e porta a una grande confusione”

Sherlock aveva alzato le sopracciglia perplesso: “Poi dite che essere razionali come me non fa comodo. Ci si risparmia un sacco di grattacapi”.

John aveva riso, alzando gli occhi al cielo.

La giornata era passata tranquillamente, Sherlock e Lily avevano passato gran parte del pomeriggio da John e verso le sei si erano diretti nuovamente a Baker Street. Lily era stata assente per quasi tutta la giornata. Era come se si fosse aperta una porta, che le aveva fatto ricordare mille cose. Aveva ripensato alla sua stanza, alla sua casa, a tutte le cose che faceva lì. Come passava il tempo, cosa faceva quando la noia la inghiottiva. Ripensava all’ora del the, cosa su cui sua madre non transigeva. Alle cinque in punto Lily doveva essere in salotto. La cerimonia si svolgeva in silenzio, senza sguardi e senza conversazioni particolari. Era una messa in scena assurda, e Lily non lo sopportava. Quante volte la cameriera era venuta a supplicarla di scendere prima che sua madre desse di matto. Proprio non capiva. Che senso aveva? Il resto della giornata la ignorava e faceva come se non esistesse. Era iraconda, e si fissava su delle cose veramente ridicole. Da quel poco che era riuscita a farsi dire, era così da quando suo padre era andato via. E Lily era scappata proprio per quello. Era vista come una disgrazia, un errore nella sua vita perfetta. Si sarebbe potuta appoggiare a lei, essere felice almeno di averla vicino. Invece no, si era semplicemente abbandonata al risentimento.

Aveva sentito una mano sulla spalla. Era Sherlock.

“Direi di smettere di pensare per oggi. Posso vedere il fumo che ti esce dalle orecchie”.

Lily aveva riso: “Hai ragione. Mi dispiace di non essere stata di compagnia oggi. Non riuscivo a smettere di ragionare. Con questa decisione mi sono tornati in mente mille ricordi e situazioni che avevo rimosso”

“Hai paura?” Sherlock la guardava, impassibile. Era in piedi accanto a lei.

Lily aveva scrollato le spalle, dubbiosa: “Forse, un po’. Non so cosa aspettarmi”.

“Lo scoprirai solo andando lì. Ci saremo io e John, non sarai sola”.

Il sole ormai era calato, per strada era buio. Quello che aveva appena detto Sherlock era vero, ci sarebbero stati loro con lei e questo fino ad oggi era bastato.

Ma Lily temeva che questa volta non sarebbe stato abbastanza.
  
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