capitolo
3 – Scontri
«Che
cos’hai? Stai male?»
chiede la piccola voce di Katherine.
Se
avesse avuto bisogno di respirare, per sopravvivere, non ci sarebbe
mai riuscito a quel punto.
«Tu…
Come puoi vedermi?» annaspa, incapace di processare
adeguatamente
l’informazione.
All’improvviso
se la ritrova vicina, troppo vicina. Cerca di scostarsi, non ci
riesce. Perde l’appoggio sul tronco alle proprie spalle e si
ritrova (di nuovo) riverso al suolo. Una recente, bruttissima
abitudine, a suo modesto parere.
Ora
la sente, la Paura. Il piccolo, seccante impiastro è
spaventato. Le
sue minuscole mani invadenti lo sfiorano appena, ma è come
una
scossa che lo fa urlare per il dolore.
Anche
lei lancia uno strillo spaventato, vedendolo contorcersi sul terreno
duro.
«Mi
dispiace… Mi dispiace» mormora, soffocando a
stento un singulto.
E
vorrebbe avvicinarsi di nuovo, ma è anche terrorizzata
all’idea di
fargli del male, nonostante non capisca in che modo abbia potuto
farlo.
«Mi
dispiace» ripete sconsolata.
«Finiscila»
comanda Pitch, con il fiatone e ancora percorso da un tremito.
Che
cos’è stato? Perché lei è
diversa? O forse è lui a esserlo.
Forse qualcosa, in quei quindici anni passati là sotto, si
è rotto
definitivamente. Forse nulla tornerà mai al proprio posto.
Forse…
forse… Un ringhio frustrato sfugge alle sue labbra e, anche
con gli
occhi chiusi, percepisce la bambina sobbalzare. Sente ancora
l’odore
della sua paura. Dovrebbe essere una cosa buona, dovrebbe poterlo
fare star meglio. Ma non è così. Si sente male,
male come non
ricorda di essere mai stato. Perché?
«Perché?»
mormora, la voce stanca che riflette alla perfezione il suo attuale
stato mentale.
«Non
volevo farti male» assicura Katherine.
“Argh!”
pensa Pitch “Perché diavolo questa piccola
piantagrane dev’essere
tanto insistente e seccante?”. Ma, al solito, non ha risposte
nemmeno alle domande più elementari.
Se
solo avesse la forza di allontanarsene. Non è molto sicuro,
a quel
punto, di potersi permettere di scacciarla. Non riesce neppure a
immaginare quali potrebbero essere le conseguenze.
«Che
cosa vuoi da me?» chiede, ormai arreso
all’inevitabile.
Nessuna
risposta giunge però ad allietare
i suoi delicati timpani. Che se ne sia finalmente andata? Socchiude
le palpebre e sbircia la situazione: no, il mostriciattolo
piagnucoloso è ancora piantato dinanzi a lui e lo fissa con
occhi
liquidi e spauriti. Ma non di lui, dannazione!
Poi
un’idea, d’un tratto, lo assale, e le sue labbra si
piegano in un
macabro abbozzo di sorriso.
«Avvicinati»
ordina senza troppi riguardi.
Katherine
però rimane ferma dov’è, scuotendo la
testa con decisione.
Fantastico!
Un minuto prima era pronto a proteggersi dalle sue fastidiose manine
appiccicose e insidiose, e ora non c’è verso di
convincerla a
farsi più vicino.
«Ti
ho detto di…» riprova, con una punta di
irritazione.
«Non
posso!» lo interrompe lei. «Se poi stai male di
nuovo?».
Pitch
strabuzza gli occhi. “Questo è un
incubo” pensa. “In realtà
non sono mai fuggito e questa dev’essere la mia ennesima
punizione”.
È
assurdo, è tutto troppo assurdo. Quella bambina non
può essere
reale, non ha senso. Si porta le mani al volto. È troppo
debole per
sopportare anche questo, finirà con l’impazzire,
non c’è
scampo.
«Se…
non ti tocco, forse posso stare vicina, eh?» propone
Katherine,
speranzosa.
Lui
punta i suoi occhi dorati sull’impiastro ambulante e la fissa
con
quanta rabbia riesca a racimolare dentro di sé.
«Perché
sei qui? Perché mi parli? Come… Come fai a
vedermi, a… toccarmi?
Come fai?» sbraita, dopo aver definitivamente perso ogni
grammo di
pazienza.
Lei,
tanto per indispettirlo ulteriormente, non sembra minimamente
impressionata dallo sproloquio, piuttosto confusa, se le sue
sopracciglia aggrottate e le sue labbra arricciate sono un indizio.
«Perché
non devo vederti e sentirti? Sei proprio qui, davanti a me, e mi
parli, e mi guardi arrabbiato, e…».
«Basta!»
ringhia lui.
Lei
trasale, ma è sorpresa e sconcerto, non timore né
paura.
Pitch
ha male alla testa, la sente sempre più pesante,
così come il resto
del suo corpo. E ha di nuovo freddo. Smetterà mai di provare
quel
freddo fastidioso? E, infine, se ne rende conto e trema,
perché sì,
lui ha nuovamente paura,
proprio come accadde quindici anni prima. L’avverte
strisciare,
viscida e insidiosa, dentro di sé e non ha la minima idea di
come
liberarsene.
“La
paura non scompare se ignorata, ma cresce in silenzio, e
ritorna.”
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