Film > Le 5 Leggende
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Autore: Roiben    11/11/2016    3 recensioni
Ancora poco, solo qualche metro, e infine sarà libero.
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«Tu chi sei?»
«Boogeyman, e tu?»
«Katherine»
Genere: Angst, Fantasy, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Emily Jane Pitchiner, Kozmotis 'Pitch' Pitchiner, Nuovo personaggio, Pitch
Note: Movieverse | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'La Strada Verso Casa'
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capitolo 3 – Scontri




«Che cos’hai? Stai male?» chiede la piccola voce di Katherine.


Se avesse avuto bisogno di respirare, per sopravvivere, non ci sarebbe mai riuscito a quel punto.


«Tu… Come puoi vedermi?» annaspa, incapace di processare adeguatamente l’informazione.


All’improvviso se la ritrova vicina, troppo vicina. Cerca di scostarsi, non ci riesce. Perde l’appoggio sul tronco alle proprie spalle e si ritrova (di nuovo) riverso al suolo. Una recente, bruttissima abitudine, a suo modesto parere.


Ora la sente, la Paura. Il piccolo, seccante impiastro è spaventato. Le sue minuscole mani invadenti lo sfiorano appena, ma è come una scossa che lo fa urlare per il dolore.


Anche lei lancia uno strillo spaventato, vedendolo contorcersi sul terreno duro.


«Mi dispiace… Mi dispiace» mormora, soffocando a stento un singulto.


E vorrebbe avvicinarsi di nuovo, ma è anche terrorizzata all’idea di fargli del male, nonostante non capisca in che modo abbia potuto farlo.


«Mi dispiace» ripete sconsolata.


«Finiscila» comanda Pitch, con il fiatone e ancora percorso da un tremito.


Che cos’è stato? Perché lei è diversa? O forse è lui a esserlo. Forse qualcosa, in quei quindici anni passati là sotto, si è rotto definitivamente. Forse nulla tornerà mai al proprio posto. Forse… forse… Un ringhio frustrato sfugge alle sue labbra e, anche con gli occhi chiusi, percepisce la bambina sobbalzare. Sente ancora l’odore della sua paura. Dovrebbe essere una cosa buona, dovrebbe poterlo fare star meglio. Ma non è così. Si sente male, male come non ricorda di essere mai stato. Perché?


«Perché?» mormora, la voce stanca che riflette alla perfezione il suo attuale stato mentale.


«Non volevo farti male» assicura Katherine.


Argh!” pensa Pitch “Perché diavolo questa piccola piantagrane dev’essere tanto insistente e seccante?”. Ma, al solito, non ha risposte nemmeno alle domande più elementari.


Se solo avesse la forza di allontanarsene. Non è molto sicuro, a quel punto, di potersi permettere di scacciarla. Non riesce neppure a immaginare quali potrebbero essere le conseguenze.


«Che cosa vuoi da me?» chiede, ormai arreso all’inevitabile.


Nessuna risposta giunge però ad allietare i suoi delicati timpani. Che se ne sia finalmente andata? Socchiude le palpebre e sbircia la situazione: no, il mostriciattolo piagnucoloso è ancora piantato dinanzi a lui e lo fissa con occhi liquidi e spauriti. Ma non di lui, dannazione!


Poi un’idea, d’un tratto, lo assale, e le sue labbra si piegano in un macabro abbozzo di sorriso.


«Avvicinati» ordina senza troppi riguardi.


Katherine però rimane ferma dov’è, scuotendo la testa con decisione.


Fantastico! Un minuto prima era pronto a proteggersi dalle sue fastidiose manine appiccicose e insidiose, e ora non c’è verso di convincerla a farsi più vicino.


«Ti ho detto di…» riprova, con una punta di irritazione.


«Non posso!» lo interrompe lei. «Se poi stai male di nuovo?».


Pitch strabuzza gli occhi. “Questo è un incubo” pensa. “In realtà non sono mai fuggito e questa dev’essere la mia ennesima punizione”.


È assurdo, è tutto troppo assurdo. Quella bambina non può essere reale, non ha senso. Si porta le mani al volto. È troppo debole per sopportare anche questo, finirà con l’impazzire, non c’è scampo.


«Se… non ti tocco, forse posso stare vicina, eh?» propone Katherine, speranzosa.


Lui punta i suoi occhi dorati sull’impiastro ambulante e la fissa con quanta rabbia riesca a racimolare dentro di sé.


«Perché sei qui? Perché mi parli? Come… Come fai a vedermi, a… toccarmi? Come fai?» sbraita, dopo aver definitivamente perso ogni grammo di pazienza.


Lei, tanto per indispettirlo ulteriormente, non sembra minimamente impressionata dallo sproloquio, piuttosto confusa, se le sue sopracciglia aggrottate e le sue labbra arricciate sono un indizio.


«Perché non devo vederti e sentirti? Sei proprio qui, davanti a me, e mi parli, e mi guardi arrabbiato, e…».


«Basta!» ringhia lui.


Lei trasale, ma è sorpresa e sconcerto, non timore né paura.


Pitch ha male alla testa, la sente sempre più pesante, così come il resto del suo corpo. E ha di nuovo freddo. Smetterà mai di provare quel freddo fastidioso? E, infine, se ne rende conto e trema, perché sì, lui ha nuovamente paura, proprio come accadde quindici anni prima. L’avverte strisciare, viscida e insidiosa, dentro di sé e non ha la minima idea di come liberarsene.



La paura non scompare se ignorata, ma cresce in silenzio, e ritorna.”






  
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