5
“Disperazione
o follia?", disse Gandalf.
"Non è disperazione,
perché la disperazione è solo per coloro che
vedono la fine senza dubbio possibile.
Non è il nostro caso. È saggezza riconoscere la
necessità
quando tutte le altre vie sono state soppesate,
benché possa sembrare follia a chi si appiglia
a false speranze.
Ebbene, che la follia sia il nostro manto,
un velo dinnanzi agli occhi del Nemico!”
[J.R.R.
Tolkien, Il
Signore degli Anelli: La Compagnia dell’Anello]
Città
di Smeraldo. Oz.
Fiyero
spalancò le porte dell’aula riservata alla
Sorellanza di Oz ed entrò
precipitosamente, portando la notizia che Dorothy aveva lasciato il
rifugio
nella foresta.
-
So
già tutto, Fiyero. - rispose Glinda, in apprensione.
-
Non
sono arrivato in tempo, mi dispiace. - disse il principe dei Winkie.
-
Sono
io che avrei dovuto aspettarmelo. Ma Dorothy non aveva mai agito senza
avvisarci. - rispose Glinda, massaggiandosi una tempia. - Dobbiamo
muoverci.
Fiyero, vorrei che radunassi i tuoi uomini. Mettetevi in marcia il
prima
possibile.
-
Attacchiamo,
quindi?
-
Sì.
Ma non per uccidere. Voglio che circondino il palazzo. Che portino in
salvo chiunque
siano in grado di portare in salvo. Io e le mie sorelle entreremo.
Τu sarai con
noi, Fiyero. L’incantesimo nell’ampolla che hai al
collo inibirà i poteri di
Zelena.
Fiyero
sfiorò la catenella a cui era agganciata
l’ampolla. Glinda fissò le sue
sorelle, Locasta e Nessarose. Le Streghe sedevano intorno alla tavola
rotonda
posta al centro della grande sala. In mezzo ad essa, sfavillava un
grande cristallo.
-
Pensi
di poter battere Zelena? - chiese il principe.
-
No.
- rispose Glinda, scuotendo il capo. - Ma forse riusciremo a
contenerla. Abbastanza
perché tu possa fare ciò che ti ho chiesto.
-
Sarà
rischioso. - disse Locasta, la Strega del Nord. La luce emanata dal
cristallo
creava strani riflessi sulla sua pelle scura ed incontrando la pietra
bianca
incastonata nel suo ciondolo. - Zelena se lo aspetterà. Un
tempo riuscì ad
ingannarci e ad esiliarti in quel luogo freddo e desolato.
-
Sì,
ma è un rischio che dobbiamo correre... se vogliamo aiutare
Dorothy e permettere
a Robin Hood di riprendersi la bambina.
-
Non
riusciremo a contenerla a lungo, Glinda. - intervenne Nessarose. - E
poi che
cosa intendi fare? Costringerla a collaborare? Zelena non lo
farà mai, neanche
quando avrà perso i suoi poteri.
-
Ci
penserò io a Zelena, dopo.
-
Forse
non abbiamo altra scelta. - continuò la Strega
dell’Est, alzandosi e
avvicinandosi a Glinda. Rifletté qualche istante, cercando
di scegliere le
parole più adeguate. - So che ti senti ancora in colpa per
quello che è
successo anni fa, ma Zelena è incontrollabile. Quello che ha
fatto nel Quadling
non si può perdonare. Dobbiamo avere... il coraggio di fare
ciò che è
necessario per proteggere Oz e il popolo.
Glinda
sollevò una mano. - Non uccideremo Zelena. Non lo posso
permettere.
-
Lei
non ci lascerà scelta, Glinda. Non vorrei arrivare a
tanto... non sappiamo
nemmeno se saremo in grado di... fronteggiarla davvero. Le abbiamo
già dato
delle possibilità...
-
Ha
una figlia, Nessarose. - le ricordò lei, con determinazione.
“Una figlia.
-
Quella
bambina merita una madre che sappia proteggerla. E avrà
sempre suo padre.
-
Non
risponderemo alla violenza con altra violenza. - replicò
Glinda. - Non
permetterò questo spargimento di sangue.
-
Glinda.
- Locasta si alzò. Sembrava combattuta. Fiyero sapeva bene
che il temperamento
di Locasta era più mite. Lei era la Strega Buona del Nord.
Non era mai uscita
una parola di troppo dalla sua bocca. Il suo bacio l’aveva
protetto mentre
portava il messaggio a Dorothy e la sua magia non era mai stata usata
se non
per aiutare, per salvare, per proteggere. Per fare del bene. Senza
versare
sangue. Ma quando era giunta la notizia del disastro del Quadling,
persino
Locasta aveva avuto dei dubbi ed era stata assalita da un moto di
rabbia.
-
Glinda.
- riprese Locasta. - Io non desidero che venga sparso altro sangue. Ma
io sono
il Nord. E sono la giustizia. Quello che Zelena ha fatto...
-
Perché
la Strega dell’Ovest ha commesso questa crudeltà?
Non vi sembra... troppo
crudele persino per lei? - intervenne Fiyero, con circospezione.
-
Che
cosa volete dire? - domandò Nessarose.
-
Ecco...
mi avete parlato molto di Zelena e molte storie mi sono giunte alle
orecchie. -
Fiyero appoggiò le mani sul bordo della tavola. - So che
è perfida. Lei... è
così che si definisce. Ma... questo attacco mi sembra
troppo... deliberato.
-
Ovvio
che lo è, principe Fiyero. - rispose Nessarose. - Zelena
è folle. Ha perso la testa.
-
Non
aveva mai fatto nulla di simile, prima d’ora. Ha trasformato
i suoi nemici in
scimmie volanti, ha fatto dei prigionieri... qualcuno dice che ha
imprigionato
l’Oscuro Signore e l’ha usato per i suoi scopi...
-
Ed
è vero.
-
Bene.
Ma un attacco al Quadling? Una strage di innocenti? Invoco il vostro
perdono,
ma... non capisco. Non ha senso. Non è follia. Non
è perfidia. È crudeltà. Una
crudeltà degna del peggiore dei tiranni.
-
Principe,
non lasciatevi ingannare. Voi non avete davvero idea di cosa sia capace
di fare
per ottenere ciò che vuole. Glinda l’ha provocata
e lei si è vendicata. - ribatté
Locasta. Si era alzata, affiancando Glinda. Le mise una mano sulla
spalla. - Faremo
quello che possiamo. Ma dobbiamo prepararci al peggio. Dobbiamo avere
il
coraggio di fare una scelta drastica, se servirà a salvare
Oz, Dorothy e noi
stesse.
Oltretomba.
-
Emma! – gridò Biancaneve, entrando al
Granny’s con David. Si accostò alla
figlia e prese il suo viso tra le mani. – Santo cielo, guarda
che cosa ti ha fatto.
-
Sto
bene. – disse Emma, sorridendole a fatica. – Beh,
diciamo che sopravvivrò.
Aveva
appena detto una sciocchezza, perché lei era già
morta. Non era sopravvissuta.
Aveva evitato il Fiume delle Anime Perdute. Forse avrebbe evitato il
Tartaro...
-
Ho
portato loro il tuo messaggio, ma non mi hanno dato retta. Avevi
ragione. –
disse Marian. – Non si danno per vinti.
-
Non lo faremo mai. – disse David, attirando a sé
la figlia per darle un bacio
sulla fronte. Con delicatezza, per non farle male.
Henry
abbracciò suo madre ed Emma lo strinse forte.
-
Cos’è successo? – chiese Biancaneve.
– Ci avete messo parecchio. Stavamo per
venire a cercarvi.
-
Ade... – disse Lily. Teneva ancora la mano di Emma nella sua.
– Ha distrutto la
barca. Tremotino... ci ha aiutati ad uscire dalle prigioni. Ha
affrontato Ade,
ma non è servito. E...
-
E
abbiamo perso Milah. – concluse Killian. – E
qualcun altro... di molto caro.
Emma
si sforzò di guardarlo, nonostante il senso di colpa. - La
ritroveremo. Forse
non è troppo tardi. Ma tuo fratello... non sareste dovuti
venire.
-
Non ricominciare, Swan. Non dirmi che non sapevi che saremmo venuti.
– replicò
Killian, fissandola senza traccia di rancore.
-
Vi
avevo detto di lasciarmi andare. – continuò Emma.
Poi si girò verso Τremotino.
– Ma ho saputo che non è stata solo
un’idea folle.
-
Già, no. – disse Regina. – Qualcuno
è troppo innamorato del potere. Come
sempre.
-
Se
desiderate, possiamo parlare di questo e potete anche cercare di
uccidermi, ma
credo che le priorità siano altre. –
tagliò corto l’Oscuro. – Mi sbaglio?
-
No. Diciamo che la tua condanna a morte è... –
cominciò Killian.
-
Annullata?
-
Forse.
Per ora. – gli rispose Regina. - Solo perché ci
hai aiutati a recuperare Emma.
-
Grazie, Regina. E chi mi ucciderà quando verrà il
momento? Τu? O il capitano? –
Si stava prendendo bellamente gioco di loro.
-
Vedremo. Ora dobbiamo pensare al resto. – Regina
guardò Emma. – Non sappiamo
come uscire da qui, ma non lo sapevamo neanche prima. Ma la mia
magia...
funziona. Quindi possiamo dividere un cuore e quando troveremo
l’uscita ce ne
andremo.
-
Aspettate.
Dividere un cuore? - chiese Emma.
-
Potrebbe
funzionare. Al momento è l’unico piano che abbiamo.
Emma
non era sicura che fosse un buon piano, ma annuì. Regina
rivolse la sua attenzione
al pirata.
-
So
che non vedete l’ora, Maestà. Quindi fatelo. Ma se
potreste usare un po’ di gentilezza...
– iniziò Killian.
Regina
non usò nessuna gentilezza. Ritirò la manica
della giacca e affondò la mano nel
suo petto senza un minimo di riguardo. Gli strappò il cuore
e strappò a lui un
grido strozzato.
L’organo
pulsava nella mano destra di Regina, rosso e solcato da ombre nere. Non
perse tempo
e lo divise in due parti uguali, come aveva fatto nella Foresta
Incantata con
il cuore di Biancaneve.
“Come
sai che funzionerà?”
“Lo
so. Io so... so che il mio cuore è forte
abbastanza per entrambi.”
“Ma
se ti sbagli... morirai.”
Regina
spinse la metà di quel cuore nel petto di Emma.
Vi
fu un lampo di luce bianca. Killian si piegò in due,
portandosi le mani al torace
e Regina venne spinta all’indietro, finendo addosso a
Malefica, che la sostenne,
prima che potesse cadere. Emma avvertì una fitta nel punto
in cui avrebbe
dovuto esserci il suo, di cuore. Le si offuscò la vista e si
morse l’interno di
una guancia a sangue per non urlare.
-
Che diavolo è successo? – esclamò Lily.
-
Interessante.
– mormorò Τremotino, aggrottando la
fronte.
-
Regina, prova con il mio. – disse Lily, raddrizzando le
spalle e aprendosi un
po’ la giacca.
-
No. – L’Oscuro sollevò una mano.
– Non funzionerà comunque.
-
Perché no?
-
Perché non è il cuore il vero problema. Ne
abbiamo un altro, temo.
Pochi
minuti dopo, al cimitero, tutti stavano fissando le tre nuove lapidi
disposte
una accanto all’altra, vicino a quella più grande
di Emma.
-
Ade mi aveva chiesto di scegliere tre nomi. – disse lei.
– Tre persone. Sarebbero
rimaste intrappolate qui. Ma ovviamente ho rifiutato.
-
Beh, ha scelto da solo. – osservò Malefica.
Regina
Mills.
Biancaneve.
Lilith
Page.
-
Che cosa significa questo? – domandò David.
-
Che non possiamo andarcene. – rispose Malefica. - Mi sembra
chiaro. E dividere
un cuore non aiuterà Emma.
Calò
il silenzio.
-
Grandioso.
– commentò Tremotino, allargando le braccia.
– Io ho trovato Emma Swan in poche
ore. Voi, invece, siete riusciti a farvi mettere nel sacco.
Regina
avrebbe voluto rispondergli per le rime, ma si limitò ad
osservare la propria
lapide con le mani affondate nelle tasche.
-
Mi
trovate al negozio. – disse Tremotino, allontanandosi.
Ad
uno ad uno se ne andarono tutti. Era ovvio che non c’era
niente che potessero
fare, in quel momento.
Killian
sostò là ancora per un po’.
-
Ehi, non vieni? – domandò David. Gli strinse una
spalla, amichevolmente. – Ne
verremo fuori. Ci deve essere un’altra soluzione.
-
Il
mio nome non c’è.
-
Come?
-
Ade ha scelto tre nomi. Ma il mio non c’è. Eppure
non ha funzionato.
David
non aveva una risposta per lui. Scosse la testa. –
Probabilmente Ade avrà fatto
qualcosa per impedirci di portarla via, oltre ad incidere dei nomi su
alcune
lapidi. In ogni caso, non ce ne saremmo potuti andare lo stesso.
Città
di Smeraldo. Oz.
Dorothy
Gale avrebbe tanto voluto che zia Em fosse lì con lei.
Zia
Em le avrebbe dato dei consigli. Le avrebbe suggerito che cosa fare. Di
certo,
non le avrebbe nemmeno permesso di entrare nel palazzo di Zelena da
sola, con
una balestra e una pozione del sonno come armi.
Bambina
mia, almeno portati dietro quella
guerriera e la ragazza-lupo, le
avrebbe detto. Non
pretenderai di batterti contro una strega da sola.
Che
cos’hai in quella testa, ragazzina? Fango?,
avrebbe
replicato lo zio Henry. Lo ricordava,
il marito della zia Em. Ricordava la sua faccia arrossata e un
po’ burbera, la
sua ispida barba grigia, gli occhi scuri e corrucciati sotto le
sopracciglia
cespugliose. Beh... l’occhio. Il destro. L’altro
era strabico e fissava
costantemente il vuoto. Il fucile, quello da cui non si separava mai.
Così come
lei non si separava mai dalla sua balestra. O da Toto.
Dorothy
sbirciò il corridoio da dietro una colonna dorata.
Scivolò accanto alla prima
guardia.
-
Ehi, novità?
L’uomo
si girò, perplesso e lei lo stese con un po’ di
pozione del sonno. Si afflosciò
contro la colonna. Il soldato più vicino lo vide cadere e
poi vide Dorothy.
Aprì la bocca per dare l’allarme, ma lei lo
raggiunse prima e gli assestò un
cazzotto abbastanza forte da rintronargli nel cervello per tutta la
notte.
...almeno
portati dietro quella guerriera e la
ragazza-lupo.
La
ragazza lupo.
“Non
possiamo seminarle.” Gli strilli delle
scimmie volanti che stavano calando sul campo di papaveri riempivano
loro le
orecchie e avevano lo stesso effetto di unghie che sfregavano contro
una
lavagna.
“Certo
che possiamo.”
“Come?”
“Τi
fidi di me?”
Era
proprio quello il punto. Fidarsi di qualcuno. Dorothy non si fidava di
una
persona da quando era morta zia Em. Non c’era nessuno di cui
fidarsi. Lei proteggeva
il popolo, faceva quello che poteva perché fossero al
sicuro. Loro credevano
nella ragazza venuta dal Kansas ciecamente. Ma Dorothy non aveva
nessuno su cui
contare. Ci aveva fatto l’abitudine ormai. E sopravviveva da
sola.
Fino
a quando Τoto non aveva sentito l’odore della
lupacchiotta.
“Τi
fidi di me?”
“Sì.”
Avrebbe
potuto dire tutte queste cose a Ruby. Avrebbe potuto dirglielo come le
aveva detto
dei suoi genitori.
Ma
non aveva avuto tempo. C’era stato solo il tempo di... avere
paura.
Una
guardia abbassò la lancia, sbarrandole il passaggio. Dorothy
lo disarmò in
pochi secondi e usò quella lancia per colpirlo in faccia e
poi nello stomaco.
“Τi
fidi di me?”
“Sì.”
Il
tempo
di avere paura della fiducia incondizionata che nutriva nei confronti
di
qualcuno che aveva appena conosciuto. Di quella strana vibrazione che
aveva
percepito quando l’aveva toccata per impedirle di annusare da
vicino quei
papaveri. E di quella sensazione... mentre la lupacchiotta le
raccontava del
suo villaggio che la inseguiva con i forconi, del ragazzo che aveva
ucciso
perché non era in grado di controllarsi. Una sensazione di
familiarità. Come se
non stesse solo conoscendo qualcuno, ma... lo stesse riconoscendo.
E
Ruby voleva combattere per lei. Con lei. Contro Zelena.
No.
Scivolò
nella grande sala appartenuta al Mago di Oz. Deserta.
Una
trappola.
Lo
sapeva. Lo fiutava. Anche se non era un lupo. Però
andò avanti lo stesso. Avanti
fino alla gabbia coperta. Τoto abbaiava.
“Ti
fidi di me?”
“Sì.”
Dorothy
scoprì la gabbia e vide che il cane stava bene.
Più che bene.
Poi
udì un vagito. Il vagito della bambina di Zelena. La culla
era sistemata dietro
il tendone verde, in mezzo a qualche giocattolo.
Zelena
sbucò dal nulla e l’afferrò per il
cappuccio della mantella. – Allora non sei solamente
sciocca. Sei proprio una folle. E non impari mai.
Fulminea,
Dorothy estrasse la pozione del sonno. Zelena la fece sparire e in un
batter
d’occhio essa fu nelle sue mani. Usò
l’ago intriso di veleno dell’ampolla per
pungerle un punto scoperto di pelle sul collo.
“Ti
fidi di me?”
“Sì.”
Il
mondo si spense e diventò nero.
Zelena
toccò con la punta dello stivale il corpo inerme di Dorothy.
Poi si chinò e
prese le scarpette d’argento.
Un
paio di soldati entrarono per dare l’allarme. Come se ce ne
fosse stato
bisogno.
-
Lasciate stare, idioti. – disse la Strega. – Se
fosse stato per voi, avrebbe
dato fuoco al palazzo. Pensate a portarla nelle prigioni. E ricordatevi
di
nascondere l’ingresso. A breve avremo visite.
Loro
non parlarono. Non lo facevano mai se non era lei a chiederlo
espressamente.
Però si scambiarono occhiate perplesse.
-
Stanno per circondare questo posto. – spiegò
Zelena, più annoiata che mai. -
Glinda sarà in prima linea con le sue adorate sorelle.
Vediamo quanto tempo
resisterete là fuori con l’aiuto delle scimmie,
prima che debba intervenire io.
I
soldati si affrettarono ad eseguire gli ordini.
Effettivamente
tutti gli uomini che Fiyero aveva potuto trovare erano stati schierati
in modo
da formare un semicerchio e attaccare la dimora della Strega
dell’Ovest da più
lati.
Tra
quegli uomini c’erano Robin e la sua Allegra Compagnia, Mulan
e Ruby, nonché
dei volontari venuti dal Quadling e altri raccolti da Nessarose e
Locasta, provenienti
da Est e da Nord.
Le
tre Streghe erano in prima linea, insieme al principe.
-
Siamo pronti, Glinda. – annunciò Fiyero.
Agganciata alla cintura, portava una
spada, infilata in un fodero rosso, tempestato di argento. E aveva
anche il suo
inseparabile arco e la faretra piena di frecce. – Siete
sempre sicura del
piano?
-
Lo
sono. – rispose lei, senza esitazioni. – Andiamo
avanti noi. Seguici, Fiyero.
Il
principe si accinse a seguirle, ma prima si girò verso
Robin. - Guardatevi
sempre intorno, se potete.
-
Dobbiamo preoccuparci di qualcos’altro? – chiese il
ladro, sollevando un
sopracciglio.
-
Non saprei. È una sensazione. Forse non dovrei fidarmi delle
sensazioni, non
sempre mi hanno aiutato, ma... quando sono molto forti non posso farne
a meno.
Poco
più in là, Mulan osservava il palazzo di Zelena e
un paio di scimmie volanti
che schiamazzavano, girando in cerchio sulla sommità. Le
luci verdi formavano
colonne cilindriche proiettate verso il cielo. Non era ancora
l’alba.
-
Non ci sono molti uomini. Zelena è convinta di non avere
nulla da temere. –
disse Robin, affiancandola. Sulla sua fronte brillava il segno del
bacio della
Strega del Nord. Il bacio magico che doveva garantire una protezione.
Anche
Mulan e Ruby avevano quel segno.
-
Già. – rispose Mulan. – Beh, una volta a
Dunbroch le abbiamo dato del filo da
torcere.
-
Non ne dubito. – Robin sorrise. – Vieni avanti con
me e con i miei uomini,
quando attaccheremo.
Mulan
aggrottò la fronte. – Non credo che a loro farebbe
piacere.
-
Capiranno. Mi fido delle tue capacità.
-
Che strano. Non dovresti, considerando quello che è
successo.
-
Τutti commettiamo degli errori.
-
Se
ti riferisci al fatto che non sei riuscito a riconoscere tua moglie...
credo
che sia una cosa diversa. Zelena ti ha ingannato. Io non vi ho
ingannati. –
Mulan distolse lo sguardo per fissarlo sulle luci verdi. - Peggio. Vi
ho messi
in pericolo e poi me ne sono andata.
-
Non parlo solo di Zelena. Parlo di... Marian. – Robin si
rabbuiò. – È stata
colpa mia... se è morta. Sono responsabile.
Qualcuno
soffiò in un corno e il suono si espanse
nell’aria, riecheggiando nei boschi di
Oz. Era il segnale.
Ruby
si destò dal proprio torpore, battendo le palpebre. La sua
non era stanchezza.
Era terrore. E non il terrore della battaglia. Era pronta a
trasformarsi e a
combattere con gli altri. Quello che la terrorizzava era ciò
che avrebbero
potuto trovare dentro al palazzo. Se Zelena era stata capace di portare
a
termine una strage nel Quadling, cosa avrebbe potuto fare a Dorothy?
Si
immaginava le cose più tremende. E quella paura le gelava il
sangue. Come se
stesse per perdere qualcuno che conosceva da una vita intera.
Gli
uomini si mossero verso il palazzo.
Oltretomba.
-
Mettiti seduta. È giunto il momento di darti
un’occhiata. – disse Regina,
invitando Emma a sedersi sul divano del salotto degli Azzurri.
Emma
sedette. – Non sei obbligata a farlo.
Regina
non capì che cosa volesse dire. Con un gesto della mano
curò tutte le sue
ferite e sistemò anche la sua giacca di pelle rossa, che
tornò ad essere come
nuova.
-
Ora sì che ti riconosco, Swan. –
commentò Killian, cercando di stemperare la tensione.
Lily
le sorrise e le prese la mano, ma Emma la sottrasse.
-
Che cosa succede? – domandò Regina. –
Perché ti stai comportando così?
-
Perché siete venuti qui per portarmi via, ma non avreste mai
dovuto. Non dopo
quello che è successo a Storybrooke... e a Camelot.
– Si alzò, voltando le
spalle agli altri.
-
Non sei stata l’unica a commettere degli sbagli, Emma.
– disse David. – E se
siamo qui è perché qualcuno... non ha rispettato
i patti.
-
Già.
Tremotino. È una delle cose che Ade mi ha mostrato quando
sono arrivata nell’Oltretomba.
– replicò Emma. – Ma è troppo
pericoloso restare qui. Dividere il cuore non
funzionerà e non avete la minima idea di come tornare a
casa! Avete lasciato
persino Neal per salvare me...
-
Neal starà bene. È con le fate. E
c’è Belle ad occuparsi di lui. – disse
Biancaneve. – E un modo per uscire da qui lo troveremo.
Sistemeremo ogni cosa.
Come sempre! Τi porteremo via con noi.
-
Ma
non capisci, mamma? È proprio questo, il problema.
– Ora Emma sembrava furiosa.
Aveva gli occhi lucidi e iniettati di sangue. - Mi sono lasciata
guidare dalla
mia rabbia e vi ho puniti. Vi ho costretti a fare cose che... non
avreste mai
voluto fare. Forse è per questo che non sareste mai dovuti
venire.
-
Che cosa intendi dire? – Lily guardò Emma e, alla
luce rossastra che era parte
di quel luogo, la Salvatrice appariva stranamente indifesa. –
Che non vuoi
andartene? Che vuoi restare morta?
-
Non so che cosa voglio. – tagliò corto Emma.
Regina
avrebbe tanto voluto prenderla per le spalle e scuoterla con forza.
Voleva che
tornasse in sé e che lo facesse subito. Non sopportava
quello che vedeva nei
suoi occhi. Confusione. Paura. Dolore. Regina credeva che se li avessi
guardati
troppo a lungo avrebbe visto tutto ciò che Ade
l’aveva costretta a subire e non
avrebbe retto.
Emma
si infilò una mano in tasca, casualmente. E quando la
estrasse aveva in mano un
fiore appassito. Un giglio.
-
È
quello che ho messo sulla tua tomba. – disse Lily,
appoggiando le dita sulla
mano di Emma.
-
Beh... a quanto pare, questo posto continua a riservare delle sorprese.
Non
pensavo potesse riservarne di belle. – rispose Emma.
Sfiorò il giglio, che
recuperò il suo vigore e sbocciò, bianco e
profumato come quando l’aveva
raccolto. Lo fissò, sorpresa.
Malefica
le osservava, sorridendo. – Beh... qualcuno chiamerebbe
questo... speranza.
Emma
porse il fiore a Lily.
Regina,
invece, distolse lo sguardo. Fu costretta a distoglierlo,
perché c’era una
parte di lei che non sopportava il magnetismo tra quelle due. Era come
se,
quand’erano vicine, il loro legame assumesse una forma
concreta, manifestandosi
davanti ai suoi occhi in tutta la sua forza. Regina avrebbe dovuto
infischiarsene. La verità era che quel legame la
innervosiva, la faceva sentire
un’intrusa se guardava troppo a lungo.
-
Bene.
– disse David, poco dopo. – Quello su cui dobbiamo
concentrarci è Ade. Deve
esserci un modo per sconfiggerlo.
-
Sconfiggere una divinità ultramillenaria... sembra un gioco
da ragazzi. –
commentò Lily, sarcastica.
-
Non lo è. Ma io so che esistono... beh, esistevano delle
armi che potevano
sconfiggere gli dei. – osservò Henry. –
L’ho letto.
-
Quali armi? – chiese Biancaneve.
-
Beh, ad esempio... la lancia di Odino. Quella lancia colpisce sempre il
bersaglio, anche se non prendete la mira. O il martello di
Τhor... torna sempre
dal legittimo proprietario, dopo essere stato usato. – Henry
rifletté qualche
istante, aggrottando la fronte in un modo che a Regina
ricordò Emma, quando si
concentrava su qualcosa. – O la folgore olimpica.
L’arma di Zeus. Poi...
La
mia penna, pensava,
intanto. Se solo avessi la penna...
Lo
sapeva benissimo che usare la penna per riportare in vita qualcuno o
per
cambiare gli eventi poteva avere delle conseguenze devastanti. Eppure
continuava
ad immaginare come avrebbe potuto usarla, se solo non
l’avesse spezzata. Forse
avrebbe potuto riportare tutti a casa, sua madre compresa. Avrebbe
potuto
scrivere qualcosa che riguardasse Ade e lo fermasse. La penna poteva
fermare un
Dio?
-
Τutto
questo è molto interessante, ragazzo. Ma non credo che ci
serviranno, contro
Ade. – lo interruppe Killian.
-
Marian... sei qui da molto tempo... – disse Biancaneve, con
delicatezza, come
se emesse di toccare tasti troppo dolenti. – Hai mai...
sentito niente? Niente
che possa aiutarci?
-
Sono quasi sempre stata in quel dannato labirinto, a fare compagnia al
mostro
di Ade. – rispose Marian, meditabonda. – E prima
sono stata nelle sue
prigioni... dove ho sentito parlare di un’uscita.
In
realtà Emma si stava chiedendo come fosse possibile che
Marian non avesse perso
totalmente il lume della ragione a furia di scappare dal Minoauro, a
furia di
essere fatta a pezzi da lui, a furia di cercare un modo per venirne
fuori. E
passare oltre.
-
Un’uscita? – domandò Emma, scuotendo il
capo e scacciando quei pensieri.
-
Già. Non so dirvi dove si trova. Ma sarà
sicuramente sorvegliata da un’altra
delle sue creature.
Città
di Smeraldo. Oz.
Le
scimmie volanti piombarono giù dal cielo, schiamazzando,
verso gli uomini che
avanzavano, compatti.
Gli
arcieri di Robin mirarono e scagliarono le loro frecce. Alcune di
quelle
scimmie caddero, colpite alle ali o alle gambe. Altre riuscirono ad
evitare la
pioggia di dardi e a gettarsi su di loro, acchiappando qualche uomo e
portandolo
su in alto.
Ruby,
in forma di lupo, si fece largo tra i soldati in divisa verde di
Zelena. Robin
e Mulan erano subito dietro di lei, ma non dovettero combattere molto.
Il bacio
della Strega del Nord, che brillava sulle loro fronti, rallentava
visibilmente
i nemici. Esitavano, come se vedessero qualcosa che non erano sicuri di
voler
colpire e, quando azzardavano un fendente con le loro spade, esso era
incerto,
facile da parare persino per un inesperto. Solo le scimmie non
apparivano
toccate da quella magia.
Molti
si arresero e si inginocchiarono, chiedendo pietà.
Quando
erano ormai a pochi metri dalle porte del palazzo, comparvero gli
uomini in
armatura nera, con il ciondolo verde appeso al collo.
-
Sono
gli stessi che hanno attaccato il Quadling! - esclamò un
uomo delle Terre del
Sud. Ma venne subito messo a tacere da una lama, che lo
trapassò da parte a
parte. L’essere in nero estrasse la sua arma con incredibile
noncuranza e la
sollevò, mostrando la spada insanguinata. Gli occhi, che
potevano intravedere
dietro all’elmo munito di cresta, erano scuri e vuoti.
-
Questi non sono uomini. È magia. – disse Knubbin.
Gli stava crescendo un
bernoccolo sulla fronte e aveva un taglio proprio sotto un occhio.
Sprigionò
scintille arancioni dalle dita ed esse raggiunsero due soldati. Quelli
caddero
da cavallo, ma si rialzarono immediatamente, per nulla storditi
dall’attacco. Il
suo corvo, Heathcliff, era sparito. Forse aveva deciso che le scimmie
volanti
non erano qualcosa che voleva affrontare. Non con un occhio solo.
John
abbassò la testa prima che un manrovescio gliela staccasse
dal collo. Mulan
parò il fendente e disarmò l’uomo che
si era gettato su di lei, ma quello
allungò le mani coperte solo dalla maglia di ferro.
Afferrò la lama ed iniziò a
tirare verso di sé. Mulan puntò i piedi,
sconcertata dalla forza della creatura
che si celava sotto l’armatura.
-
Se
è magia, come li fermiamo? – domandò
Robin al mago.
-
Mirate al ciondolo. La pietra verde che hanno al collo!
Dal
palmo di Zelena sfrecciò, in direzione delle tre Streghe di
Oz, un globo infuocato,
fulmineo come una saetta.
La
Strega dell’Est levò la spada che portava appesa
al fianco. Era una spada
lunga, con la lama azzurrognola, così sottile da penetrare
tra una costola e
l’altra, ma tanto robusta da squarciare una solida armatura.
Il globo venne
assorbito da essa.
-
Oh, ma guarda, hai trovato un nuovo giocattolo! –
esclamò Zelena.
-
Possiamo ancora evitare tutto questo Zelena. – disse Glinda.
– Ci sono degli
uomini, là fuori, che stanno rischiando la vita. Richiama i
tuoi soldati. E dicci
dov’è Dorothy.
Fiyero
avvertiva un peso al centro del torace, nel punto in cui ricadeva
l’ampolla che
conteneva l’incantesimo, quasi la magia stesse premendo per
uscire. Impugnò
l’arco ed incoccò una freccia.
-
Odio la tua innata bontà e la tua inutile benevolenza,
Glinda! Tutte cose che
non aiuteranno la tua protetta, perché... ecco, credo che si
trovi in una
situazione troppo speciale. – Zelena mosse due dita verso
destra e Fiyero venne
catapultato verso la parete. – Inoltre... ti avevo detto di
non mettere più
piede nel mio palazzo. Che ne diresti di un altro esilio?
-
Hai attaccato delle persone innocenti. Loro non c’entravano
nulla, Zelena.
Siamo qui anche per loro, non solo per Dorothy. – disse
Locasta.
-
Io? – Zelena gettò indietro la testa, ridendo.
– Credi davvero che me ne
importi qualcosa del Quadling? Quello che è successo
laggiù non è opera mia!
Nonostante
il colpo fosse stato duro, Fiyero se lo aspettava. Non era svenuto, ma
rimase
sdraiato per terra e intanto la sua mano sinistra si infilò
sotto la giubba.
-
Ti
hanno vista, Zelena. – rispose Glinda. Avanzò di
qualche passo. La Strega
dell’Ovest la minacciò con una nuova sfera di
fuoco.
-
Sai, Glinda, io... mi guarderei intorno, se fossi in te. Le persone di
cui ti
fidi a volte riservano delle brutte sorprese.
-
Non so di cosa tu stia parlando.
-
Proprio perché sei un’idiota. E la tua innata
bontà non ti permette di vedere
che non sono l’unica strega perfida!
Schioccò
le dita, facendo cadere il tendone verde. Dietro di esso,
c’era la culla con la
bambina. E uno specchio.
Glinda
si vide riflessa in esso. E vide le sorelle alle sue spalle.
Gli
occhi di Nessarose, la Strega dell’Est, risplendettero, rossi
come braci
incandescenti.
Oltretomba.
-
Dov’è
il tuo capo? – domandò Regina alla cameriera del
Granny’s.
La
ragazza non parlò, ma puntò l’indice
verso il basso.
-
No,
parlo della Strega Cieca, non di qualche divinità.
– precisò Regina. Con la
coda dell’occhio notò qualcuno di sua conoscenza
che tentava di passare
inosservata, scivolando furtivamente lungo il corridoio per dirigersi
verso
l’uscita che dava sul retro del locale.
Ma
era complicato passare inosservate quando aveva quella pettinatura,
quei
capelli bianchi e neri e una pelliccia così vistosa.
-
Non
importa. – disse Regina alla ragazza, seguendo la vecchia
conoscenza. –
Fermati, tu!
Crudelia
si bloccò a metà del corridoio, reggendo la
borsetta con due dita e maledicendo,
forse per la millesima volta da quando era arrivata, quel posto e chi
ce
l’aveva spedita.
-
Ciao, cara. – esordì Crudelia, che era
tutt’altro che felice di vederla.
-
Credo che tu possa aiutarmi. – disse Regina.
-
Oh, davvero? Voglio dire... beh, certo che posso. Sono il sindaco.
-
Ho
bisogno di farti qualche domanda.
-
Quindi vuoi fare due chiacchiere? – Crudelia
sembrò pensarci su qualche
istante. – Dato che riguarda la mia assassina non so se
può interessarmi.
-
Non riguarda solo Emma.
Poco
dopo, Regina e Crudelia sedevano ad un tavolo, una di fronte
all’altra.
La
Strega Cieca aveva fatto la sua comparsa, decidendo di ripulire il
bancone e
animare il locale alzando la musica, qualcosa che Granny non avrebbe
mai
approvato. Aveva anche pensato di allietare i presenti cantando Girls Just Want Τo Have Fun di
Cyndi
Lauper, con una voce che superava i confini della stonatura per entrare
nelle
lande buie dell’esecrabile.
-
Allora, Regina. Deve essere dura per te.
-
Sì,
con la Strega Cieca che mi urla nelle orecchie, lo è di
certo.
-
Mi
riferisco a tutta questa faccenda della Salvatrice... se speri che io
ti dia
una mano a portarla fuori da qui... ti sbagli di grosso. –
Crudelia le rivolse
un sorriso smagliante. – A meno che tu non mi proponga un
accordo interessante.
Ma deve essere... estremamente interessante.
Regina
non pensava fosse dura. Pensava fosse una follia, eppure era una follia
che
doveva portare avanti. Anche se ricordare gli occhi di Emma e il suo
tono
mentre diceva di non essere sicura di ciò che desiderava...
-
Devo trovare l’uscita. So che c’è.
-
Certo che c’è, mia cara. Ma non è
sempre nello stesso posto. E di conseguenza
trovarla è quasi impossibile. Inoltre... non credo tu voglia
incontrare una
delle creature di Ade. Il guardiano delle porte...
-
Guardiano? Che genere di guardiano?
-
Il
cagnaccio puzzolente con tre teste, ovvio. – Crudelia si
lisciò la pelliccia,
appoggiando la borsetta sul tavolo. – Cerbero.
Così lo chiamano. Magari ci
penserà lui a fare a pezzi Emma Swan.
-
D’accordo, non mi aspettavo certo che fosse semplice. Dimmi
se c’è qualcuno che
conosce un modo per trovare queste porte...
-
E
come affronterai Cerbero?
-
Non ne ho idea. Mi verrà in mente qualcosa!
-
Te
l’ho detto, cara, nessuno sa come arrivare
all’uscita. E anche se riuscissi ad
uccidere Cerbero, come porterai fuori la Salvatrice? Io credo che
finirai nelle
prigioni di Ade. Non è una bella esperienza... non che sia
la cosa peggiore che
possa capitarti...
Regina
aggrottò la fronte. – E quale sarebbe la peggiore?
-
Il
gin. – rispose Crudelia. Lo disse con un tono incredibilmente
serio e solenne.
– Mio Dio, quanto mi manca il gin. Non se ne trova nemmeno un
goccio, qui.
Neanche al mercato nero.
Girls Just Want Τo Have Fun terminò e iniziò True Colors.
-
E
la voce della Strega Cieca, naturalmente. Quale tortura peggiore di
questa? Di
sicuro non era una cantante in un’altra vita.
Fortunatamente
un uomo si avvicinò al bancone per essere servito e lei
preferì utilizzare il
suo naso per annusarlo piuttosto che la gola.
-
Ma
non credo che tu sia qui solo per... l’uscita, tesoro.
– ricominciò Crudelia. -
O per un cagnaccio sbavante. Cos’altro vuoi chiedermi?
-
Devo trovare qualcuno.
-
Usa la magia.
Regina
tacque. Aveva già tentato con la magia. Che si era dissolta
come uno sbuffo di
fumo soffiato via dal vento. Riusciva a creare sfere di fuoco. Ma non a
ritrovare qualcuno.
-
Già. Quando si tratta di usare la magia diventa
più complicato. Soprattutto
quando devi... rintracciare un’anima. – sorrise
Crudelia, fissandola con i suoi
occhi azzurri come se sapesse tutto di lei e di ciò che
cercava.
-
Parlami delle lapidi. Non sono tutte uguali. Le ho viste. –
tagliò corto
Regina.
-
No, mia cara. – Crudelia rifletté qualche secondo
ancora, poi aprì la borsetta.
– Ho una mappa del cimitero, se ti può
interessare. Ho accesso a molte cose da
quando sono diventata sindaco... oh, grazie alla sparizione di tua
madre.
Regina
non commentò e la osservò mentre dispiegava una
vecchia mappa ingiallita
davanti a lei.
-
Vedi, questa è una mappa che riporta tutti i lotti del
cimitero... solo che
devi saper interpretare le lapidi. Ci sono... come dire... tre
configurazioni.
– Sembrava divertirsi un mondo. – Se la lapide
è in verticale, significa che
quella persona è qui in città. Se è
rovesciata... significa che... beh, è
passata oltre.
-
Verso un posto migliore.
-
Esatto. Persona felice, lapide poggiata. – Vi fu una pausa.
-
E
la terza opzione?
Crudelia
ridivenne seria. – Se è spezzata... è
un male.
Regina
avvertì il gelo dilagare nelle sue ossa. – Un
male? Vuol dire che è finita in
un posto... anche peggiore.
-
Già.
Che sfortuna...
Emma
si trovava nella camera da letto al piano superiore
dell’appartamento dei genitori,
quando Marian venne da lei. Era turbata.
Fu
sul punto di fare una domanda completamente stupida ed inutile, ovvero Marian, come va? Oppure Come
posso aiutarti?
-
Ehi. – disse, invece, Emma.
Marian
sorrise. Non sembrava solo turbata. Era molto preoccupata. Confusa. E
sapeva di
averci qualcosa a che fare. Nella sua testa, Marian era morta ben due
volte.
Non capiva qual era quella giusta. Qual era la strada che aveva
percorso. Non
sapeva che, in realtà, erano giuste entrambe. La seconda
strada l’aveva
tracciata lei, insieme a Killian, quando erano finiti nel passato.
L’aveva
tracciata lei quando aveva deciso di non lasciarsela alle spalle, ma di
salvarla.
Peccato
che non l’aveva salvata comunque.
David
le raggiunse, portando un vassoio con una tazza piena fino
all’orlo. – Ho
pensato di portarti qualcosa... è un infuso. Era nella
dispensa.
-
Grazie, papà. – disse Emma.
David
capì che era un momento delicato. – Ne preparo uno
anche per Marian.
-
Non è necessario. Sto bene così. –
rispose lei, seccamente.
-
Bene...
-
Papà, puoi lasciarci sole? – chiese Emma.
– Credo che Marian abbia bisogno
di... qualche spiegazione.
Già.
E come spiegare ad una donna morta da trent’anni che suo
marito non era
invecchiato quasi per niente e che suo figlio Roland era ancora un
bambino?
Come spiegarle il fatto che Regina fosse ormai dalla loro parte e,
soprattutto... come spiegarle quello che c’era fra lei e
Robin? Come spiegarle
perché si era ritrovata in quelle prigioni con Killian e
cos’era successo dopo
che l’avevano liberata?
Marian
sedette accanto a lei.
Città
di Smeraldo. Oz.
Fiyero
estrasse l’ampolla dalla giubba, ne tolse il tappo e lo
lanciò con tutte le sue
forze contro Zelena. La bambina prese a piangere e ad agitare i piccoli
pugni. La
sfera di fuoco che Zelena scagliò contro la Strega
dell’Est venne catturata di
nuovo dalla lama, che un istante dopo si trasformò in un
altro oggetto. Glinda,
voltandosi, lo vide risplendere di una potente luce bianca e azzurra,
che la
costrinse a ripararsi gli occhi con un braccio. La Strega del Nord si
fece da
parte, sconcertata dal potere emanato dall’arma di Nessarose.
-
Che
sta succedendo?! – gridò Locasta.
L’ampolla
di Fiyero si era rotta e un sommovimento scosse ora l’intera
sala. Un colonna
cadde e si ruppe con fracasso, riversando il liquido verde
all’interno sulle
mattonelle dorate.
Un
portale iniziò ad aprirsi.
Fiyero
capì che qualcosa non aveva funzionato. Il contenuto
dell’ampolla non avrebbe
dovuto aprire nessun portale, ma solo lasciare la Strega
momentaneamente senza
poteri, abbastanza a lungo da dare loro il tempo di renderla
inoffensiva e
catturarla.
Con
orrore, il principe vide la culla con la bambina che veniva risucchiata
dalla
forza del portale. Si mosse il più rapidamente possibile per
afferrarla, pur
sapendo che non ci sarebbe mai arrivato...
-
La
mia bambina! – strillò Zelena.
E
infatti non ci arrivò. La neonata e la culla piombarono
nell’enorme bocca che
conduceva chissà dove e Fiyero fu tradito dal suo stesso
slancio, precipitando
con essa. Ebbe giusto il tempo di udire l’urlo di rabbia di
Zelena prima che il
mondo diventasse un’assurda girandola di colori.
-
La
folgore olimpica. – mormorò Glinda, riconoscendo
l’arma che la Strega dell’Est
ancora stringeva.
Nessarose
rivolse la folgore contro di lei. Zelena lanciò alle altre
Streghe un’occhiata
piena di odio, scagliò cinque globi di energia a casaccio e
poi si tuffò nel
portale.
Esso
si richiuse subito dopo.
Un
corvo nero gracchiò e andò ad appollaiarsi su una
delle colonne rimaste, ma
nessuno badò a lui.
-
Che cosa stai facendo, Nessarose? – domandò
Glinda, sollevando entrambe le
mani. L’orrore sembrava rotolare attraverso di lei, serrando
il suo cuore con
gelidi artigli di ghiaccio e spremendolo. Cercava di pensare il
più rapidamente
possibile, ma era troppo sconvolta.
-
Metto fine alla tua vita. – rispose Nessarose, con una nota
di malvagità nella
voce che la Strega del Sud non aveva mai udito prima. - Mi sembra
ovvio. Ho
aspettato anche troppo questo momento. Dopodiché,
metterò fine anche alla vita della
paladina di Oz, se non l’ha già fatto Zelena.
-
Dove conduce il portale?
-
Credi davvero che te lo dica? – Rise. Un riso freddo che le
fece accapponare la
pelle.
Poi
alzò la folgore olimpica, che scintillò,
sinistra.
Locasta
disparve in una nube argentea e ricomparve davanti a Glinda. Il potere
dell’arma divina si riversò fuori sottoforma di
due sottili folgori accecanti e
centrò la Strega del Nord al petto.
Non
vi furono grida. Il corpo di Locasta si inarcò
all’indietro e i suoi occhi
diventarono bianchi. Lentamente si afflosciò, cadendo ai
piedi di Glinda.
Rimase
solo un’immagine trasparente e azzurrata. Ma si dissolse in
fretta.
-
I
sacrifici sono inutili. – disse Nessarose, osservando con
aria indifferente la
Strega del Sud che si chinava su Locasta. – Mi ha solo
risparmiato un’ulteriore
fatica.
Sollevò
ancora la folgore olimpica.
Glinda
urlò e le sue urla risuonarono ed echeggiarono laceranti
attraverso quella sala
dove ormai soltanto la morte regnava e si aggirava, mentre nella sua
mente si
scatenavano all’improvviso tutte le immagini più
orrende: gli occhi rosso
sangue della Strega dell’Est riflessi nello specchio magico,
tutta quella
malvagità di cui non si era mai resa conto, i cadaveri
bruciati dei villaggi
nel Quadling, le case in fiamme, i soldati in armatura nera...
Una
gigantesca ombra assalì Nessarose alle spalle, gettandola a
terra. Lei perse la
presa sulla folgore, che scivolò lungo le mattonelle dorate.
La cosa nera si
dimenò con Nessarose, che gridò la sua rabbia.
Poi
il posto si riempì di persone.
Glinda
tenne lo sguardo fisso sul corpo di Locasta, incapace di formulare un
pensiero
coerente. Rimase così fino a quando non si sentì
chiamare da qualcuno. Fino a
quando non si accorse che il baccano era cessato. Allora
rialzò lo sguardo,
inebetito, l’urlo ancora vibrante in gola, e davanti a lei
c’era un lupo con
brillanti occhi gialli, un lupo enorme e ansante, che
abbassò le orecchie e
chinò la testa, annusando i capelli ricci della Strega del
Nord, quella che
aveva sparso baci sulle fronti perché fossero protetti.
-
Dov’è mia figlia? Dov’è
Zelena? Dove sono andate? – chiese Robin, setacciando
il luogo con gli occhi.
-
Vieni, Heathcliff. – disse Knubbin, con voce calma, stendendo
il braccio. Il
corvo lasciò la colonna dorata per raggiungere il suo
padrone.
-
Glinda. – Mulan le sfiorò la spalla con una mano.
Con prudenza. - Glinda...
dov’è Fiyero? È stata Zelena a fare
questo?
-
Io. – rispose lei, in un sussurro. Tirò su un
po’ il corpo di Locasta,
appoggiandosi la sua testa contro il petto.
-
Cosa?
-
Sono stata io a fare questo.
Oltretomba.
Regina
non aveva idea di che cosa desiderasse.
Desiderava
che Daniel stesse bene. Che fosse passato oltre. Che fosse felice in un
posto
migliore, un posto bellissimo e pieno di luce come quello che aveva
accolto suo
padre.
E
voleva che fosse ancora lì, in quel limbo, per parlargli.
Voleva vederlo, avere
la possibilità di guardarlo ancora una volta negli occhi
azzurri. Digli... non
sapeva nemmeno lei cosa. O forse sì, lo sapeva.
Chissà che cosa avrebbe pensato
lui del perché si trovava nell’Oltretomba.
Chissà cosa avrebbe pensato una
volta saputo che stava facendo il possibile per riportare in vita
qualcuno...
-
Regina. L’ho trovato. – disse Biancaneve.
Si
erano aggirate insieme per le tombe, seguendo la mappa di Crudelia.
Regina
aveva paura di incontrare la lapide giusta e... trovarla spezzata.
Orribilmente
spezzata e non semplicemente in verticale. Era sicura che se avesse
visto
quella crepa si sarebbe messa ad urlare. E avrebbe continuato ad urlare
fino a
quando Biancaneve non si fosse decisa a trascinarla via. Si sarebbe
messa a
gridare e avrebbe spaventato Henry, che era venuto con loro.
-
Va
tutto bene. Puoi guardare. – continuò Mary
Margaret, rassicurante.
Regina
guardò.
Sulla
pietra tombale c’era scritto semplicemente DANIEL COLTER. Ed
era...
-
È
poggiata a terra. – mormorò Regina, parlando
soprattutto a se stessa. – Non
è... qui.
-
No. È passato oltre. – le disse Biancaneve,
sorridendo. Non lo ammise, in quel
momento, ma anche lei era sollevata. Aveva accompagnato Regina al
cimitero
perché sapeva quanto era importante per lei, ma anche
perché ripensava a quella
bambina, se stessa, manipolata da Cora, che rivelava qualcosa che mai
avrebbe
dovuto rivelare. Si sentiva responsabile. Anche se era solo una
bambina, si
sentiva responsabile. – È felice.
La
lasciò sola sulla tomba di Daniel. Anche Henry si
allontanò. In realtà, lui non
era venuto solo per sua madre, ma anche... beh, per l’altra
sua madre. Emma
voleva restare sola. Aveva bisogno di riflettere ed era sicuro che non
volesse
troppa gente intorno, per adesso.
-
Daniel... – disse Regina, sentendosi immensamente sollevata.
– Sono felice che
tu stia bene. Ma mi dispiace... di non averti potuto vedere.
Henry
si infilò le mani in tasca, mentre osservava la madre da una
certa distanza.
Poi
qualcosa si mosse, dietro di lui. Un rumore smorzato. Furtivo. Ma
sembrava fatto
apposta perché lui lo sentisse. Sembrava... deliberato.
-
Sei stato il mio primo amore e vivrai sempre nel mio cuore. –
continuò Regina,
posando una mano sulla pietra fredda. Non avvertì niente.
Non fu come quando
aveva toccato il nome di Emma inciso sulla lapide. C’era solo
la consistenza
della pietra. – Volevo assicurarmi che stessi bene.
Alzò
la testa per cercare Henry... e lo vide vicino ad un salice. Si stava
guardando
intorno, come se qualcosa avesse attirato la sua attenzione.
Poi
notò il bambino.
Era
più piccolo di Henry e stava in piedi dalla parte opposta
della lapide di
Daniel. Il suo viso era terribilmente pallido, le labbra screpolate e
violacee,
i capelli sporchi e ritti sulla testa e una delle guance aveva un
aspetto
infossato, da vecchio.
-
Che cosa...? – iniziò Regina.
Il
bambino aveva tenuto una mano nascosta dietro la schiena, come se sesse
stringendo
un mazzo di fiori raccolti in un prato.
Quando
gliela mostrò, Regina vide che non recava nessun mazzo di
fiori con sé.
Le
piccole dita erano avviluppate intorno all’elsa di un
pugnale.
Come
lui vibrò il colpo, Regina si ritrasse quasi meccanicamente
e nonostante fosse
sotto choc. La punta dell’arma urtò la pietra,
provocando una piccola scintilla
e scheggiandola poco sotto la D. Il bambino si ritrovò
proiettato in avanti.
Andò giù di peso, goffo ed emettendo un sibilo.
E
prima che potesse rialzarsi, Regina aveva già visto gli
altri.
Erano
molto giovani. Alcuni potevano avere l’età di
Henry, altri quella di Roland.
Alcuni erano cadaverici, con i volti scavati, i capelli arruffati e i
vestiti
che non erano più vestiti ma stracci che cascavano loro
addosso. Certe facce
erano imbrattate, gonfie come se le avessero orrendamente straziate e
poi
rimesse insieme con rozza noncuranza. Un paio avevano delle lunghe
cicatrici
sulla gola. Ma i loro sguardi sembravano di marmo.
-
Regina!
– gridò Biancaneve, arrivando di corsa. Prese una
freccia e la incoccò,
scagliandola senza quasi prendere la mira.
Regina
vide, con orrore agghiacciante, la punta che si conficcava nella
schiena di un
ragazzino. Quello finì in ginocchio sull’erba.
Ansimò qualcosa, ma poi si
rimise in piedi ed estrasse il proprio pugnale. Un altro fece
schioccare una
frusta.
Regina
lanciò un globo di fuoco in mezzo a due di loro, come
avvertimento. Si
spostarono, urtando i compagni.
-
Sì, uccidici, Regina Cattiva. – disse il bambino
che aveva vibrato il primo
colpo, sostando in piedi sulla lapide di Daniel. Tese una mano davanti
a sé
come per afferrare quella di Regina.
-
Uccidici ancora. Uccidici come hai fatto tanto tempo fa. –
riprese un secondo
bambino, con voce stridula ed infantile, che le ricordò
quella di Roland.
-
Hai distrutto le nostre case. Hai ucciso noi e le nostre famiglie.
-
Ti
è piaciuto farlo, vero, Regina Cattiva?
-
Sarai sempre la Regina Cattiva. Nessuno ti amerà mai
davvero. Nessuno!
-
Perderai tutto. Il tuo amore. Tuo figlio. Perderai...
Le
frecce di Biancaneve piovvero in mezzo al gruppetto, a volte centrando
i
bersagli. Ma anche se venivano raggiunti dalle frecce, quelle non
servivano a
fermarli. Avanzavano, barcollando. Lenti, ma determinati. Con quelle
facce
spettrali.
Regina
avrebbe potuto spazzarli via con un solo gesto della mano, eppure era
raggelata. Il cuore le martellava nelle tempie più forte che
mai.
-
Regina Cattiva... hai paura? Hai paura di noi?
Poi
si
dissolsero. Regina batté le palpebre e un istante dopo i
bambini erano svaniti.
Si alzò un vento gelido, che sembrò penetrarle
fin nelle ossa.
-
Regina, stai bene? – chiese Biancaneve, trasecolata.
-
Io... sì. Li hai visti, vero?
-
Dove sono andati?
Non
ne aveva la minima idea, ma le loro voci le rintronavano ancora nelle
orecchie.
Un
inganno di Ade, probabilmente. Un illusione creata apposta per lei. O
erano
reali? A lei erano parsi fin troppo concreti. Morti, furiosi e molto
concreti. Vite
spezzate.
“Sarai
sempre la Regina Cattiva. Nessuno ti
amerà mai davvero. Nessuno!”
“Perderai
tutto. Il tuo amore. Tuo figlio.
Perderai...”
-
Henry... dov’è Henry? – chiese
Biancaneve.
Regina
guardò nel punto in cui suo figlio si trovava fino a poco
prima, ma non vide
nessuno. Il vento si fece più forte, piegando gli steli
d’erba e le fronde
degli alberi, sollevandole i capelli.
-
Henry! – urlò Regina.
Non
ottenne risposta.