A stare
fuori per un giorno...
“Ma allora, perché ho
iniziato il viaggio con Pikachu?”
Delia e Oak ora si
guardavano, ora guardavano Ash, in quel folle momento che
sembrò prolungarsi per un'assurda e astratta
eternità, persino Pikachu non riusciva a credere cosa il suo
allenatore stesse dicendo.
Il professore
incassò il colpo uscendone un po’ frastornato.
Nella più
totale inattività delle sue corde vocali influenzate dal
vuoto che riempiva la sua mente, osservò quel
ragazzo che occhieggiava Pikachu, e, se ne accorse, lo guardava con
occhi diversi, totalmente differenti da quelli che aveva sino a pochi
minuti prima.
Delia semplicemente
non ci credette, o meglio, non voleva crederci, nel suo pensiero si
diceva che aveva sopportato già abbastanza mentre suo figlio
era in coma, non aveva la forza di poter anche solo pensare a questo.
Alla fine la donna si
fece coraggio chiedendo con una punta di dolcezza:
“Ash, non ricordi, che quel giorno
fosti in ritardo e il professor Oak ti diede Pikachu come primo
compagno di viaggio, dopo che gli altri allenatori di Biancavilla
avevano già scelto il loro primo pokémon?”
Il ragazzo ci
pensò su cercando di scavalcare il confine della sua amnesia
e si rese conto che il problema della memoria era circoscritto in
quell’unica mattinata.
Delia e Oak notarono
poi che il ragazzo scuoteva leggermente la testa e si metteva a
sorridere a Pikachu, non riuscendo in alcun modo a interpretare il suo
comportamento di cui ne sfuggì il messaggio:
"Ma a cosa penso?
Pikachu sarà sempre il mio amico "
Ash riprese:
“Mi ricordo che Pikachu era ferito
e che grazie all’agente Jenny sono arrivato in poco tempo al
centro pokémon, ma prima di quello…”
Rivolse lo sguardo a
Pikachu e solo allora si rese conto di quello che stava davvero
accadendo:
Lui aveva dimenticato
il giorno più importante della sua vita, la mattina in cui
aveva iniziato il suo viaggio, il momento in cui la sua esistenza aveva
svoltato senza una via di ritorno, quel giorno significava
l’inizio delle sue ambizioni, l’inizio della sua
massima aspirazione di diventare Maestro Pokémon.
Ma non era solo
quello, Lui si era dimenticato dell’incontro con il suo primo
compagno, il suo migliore amico ed era solo con lui che era entrato in
quel vasto mondo.
Lui si era dimenticato di quel mattino, quando aveva conosciuto Pikachu.
Un’ombra
improvvisa si gettò sui suoi occhi oscurandone la vista ai
presenti, chinando la testa.
Sorrise, ma come Delia
notò subito, non era radioso e lo stesso Ash notò
quanto fosse beffardo il destino a increspargli le labbra in quel modo
proprio nei momenti in cui la felicità mancava.
La definizione che gli
diede una volta sua madre per quel fenomeno era “un sorriso
amaro” ma quello che realmente riconosceva dentro
sé era acida rabbia.
Rabbia contro se
stesso.
Il labbro bianco sotto
la pressione del morso, ormai sapeva che voleva dire ma le frasi gli
sfuggivano e quello che gli uscì di bocca fu solo una
parola, triste, ma allo stesso tempo, reclamante attenzione:
“Pikachu”
L’interpellato
si dimostrò curioso e ansioso per quello strano tono e
ascoltò con più interesse il ragazzo:
“Mi dispiace, sembra che debba
migliorare ancora come allenatore perché ciò che
ho fatto, ciò che ti ho fatto, non posso accettarlo. Ti ho
lasciato da solo per un anno e poi il fatto che non mi
ricordi… è imperdonabile e non ho alcuna
intenzione di campare scuse inutili”
“Pika – pi”
rispose Pikachu annuendo.
Ash riprese:
“Io recupererò la mia
memoria, Pikachu sei con me?”
Il ragazzo
alzò lo sguardo e guardò il suo
pokémon, il sole lo colpì in volto e le sue iridi
nocciola sembrarono schiarirsi alla luce dorata, le pupille si
strinsero per l’improvvisa luminosità: uno sguardo
carico di aspettativa e di ansia.
Il pokémon
ricambiò ammiccando e sorrise.
“Fantastico, io... Grazie amico
mio!”
Delia osservava la
scena con un leggero sorriso e Oak permise un po’ ai suoi
nervi di distendersi...
Se solo la vibrazione
nella sua giacca avesse smesso...
Cosa, il cellulare?
Estrasse
l’apparecchio vecchio modello, che ormai vibrava da circa
mezzo minuto, e nell’atto di rispondere notò
l’occhiataccia che gli stava rifilando Delia:
“Scusi professor Oak, ma il
telefono è meglio che non stia vicino agli apparecchi
dell’ospedale!”
“Eh? Giusto, torno subito”
disse dirigendosi verso la porta e portandosi il cellulare
all’orecchio.
“Pronto? Si, sono Oak, potresti
darmi un po’ di tempo? Si, grazie”
Si chiuse la porta
dietro stando attento a non sbatterla e scese rapidamente le rampe di
scale di cui si dimenticò, di fretta com’era, di
accendere le luci così che erano poco illuminate.
Rassicurato dalla
distanza presa dalle apparecchiature si appoggiò al muro di
fianco all’uscita con le maniglie antipanico e finalmente
rispose dopo un breve respiro:
“Scusami per averti fatto
attendere. Per quale ragione mi hai chiamato?”
Il suo interlocutore
sembrava preso da un attacco di crisi, lo scienziato non riusciva a
cogliere un significato di senso compiuto, e quelle poche parole che si
distinguevano erano facilmente oggetto d’interpretazione
tanto che dovette affidarsi al proprio intuito per cercare di capirci
qualcosa.
“Laboratorio... Io non ci
riuscii... buio... Marill...”
Intuito o meno, se
aveva inteso giusto, le notizie non erano affatto di buon auspicio e
aveva un che d’incredibile.
O scioccante per
meglio dire.
“Okay, Tracey calmati! Prenditi un
po’ di tempo e dimmi con più calma che
è successo!”
Tra le tante parole di
scuse che non ebbe dubbi: le diceva pieno d’imbarazzo;
riuscì finalmente a pronunciare:
“Professore! Io non sono degno di
farle da assistente!”
Oak sospirò
a quell’affermazione, dal tono che aveva, capì
perfettamente che era nel panico più completo.
“Ragazzo, ascoltami! Sei in gamba
e il tuo aiuto non è assolutamente indifferente. Ma ora puoi
spiegarmi, di grazia, cos’è successo?”
“Si, ecco... è successo
che ieri sera...”
*
*
*
“Dannatissimi selvatici! Se siete
così deboli, che sbucate fuori all’improvviso a
sbarrare la strada!”
Per quanto imprecasse
sottovoce, le sue parole si spansero nella vastità
di quel luogo, squarciate e sequestrate dai rami che parevano neri
nell’oscurità serale senza luna apparente, come il
corpo gassoso di un gastly.
Pokémon che
per sua sfortuna era notturno e che, accompagnato da qualche zubat
occasionale, era l’unica noiosissima cosa che animasse la
foresta altrimenti immobile.
La figura
avanzò fino a che raggiunse la zona più
periferica della foresta, dove la vegetazione divenne sempre
più rada e s’intravidero stralci di cielo
effettivamente illuminati dalla luce lunare, finora nascosta dalle
fronde degli alberi.
Una piccola cittadina
dormiente.
Ecco cosa gli si
parava davanti agli occhi dopo ore di camminata per raggiungere quel
posto, che se non fosse per il laboratorio di un “famoso e
geniale ricercatore” come certi lo definivano, verrebbe
dimenticato dal mondo.
“Che roba! Se avessi potuto usare
il K.I.T. ora non dovrei preoccuparmi di certe cose!”
Esclamò
osservandosi i vestiti e scrollandosi di dosso fili di qualche
millebave casuale dalla felpa nera e del terriccio dai jeans.
Gli stivali una volta
neri e ora tristemente imbrattati di fango toccarono un suolo
più liscio, segno inequivocabile che per quanto piccola
fosse la città, essa era piena di vita.
Se fino ad allora
aveva tenuto un’espressione contrariata e scocciata per le
modalità del viaggio, ora praticò il silenzio e l'attenzione,
estraendo con un fluido gesto della mano la pokéball che
riflesse in un scintillio quasi impercettibile, la luce lontana di un
lampione casalingo.
Il suo
pokémon uscì dalla sfera, separandosi dal sottile
lazo di luce rossa che ne permetteva l’accesso in essa.
Rassicurata dalla vicinanza di un suo alleato con capacità
difensive e offensive sicuramente più sviluppate delle sue,
la figura s’incamminò per la strada principale
oltrepassando un cartello troppo al buio per leggerlo.
I due si avvicinarono
al basso cancello che dava a una lunga scalinata in pietra.
“Ci mancavano solo le scale!”
Sibilò acidamente scavalcando l’inferriata.
Le salì con
passo deciso ma felpato cercando di non fare rumore, finché
i suoi occhi ormai abituati al buio non registrarono i fasci
di luce uscenti dalla coppia di finestre dell’edificio.
“Allora c’è
qualcuno come me che è costretto a lavorare fino a tardi”
pensò mentre aggirava i cespugli ben curati con il suo
pokémon al seguito.
CRACK
“Ma che diamine! Non
l’avevo notato!” emise in un borbottio
infuriato osservando il rametto appena spezzato sotto i suoi piedi.
Alzò di scatto lo sguardo in direzione della luce ma
notò con piacere che nessuno si fosse affacciato dalla
finestra del laboratorio.
Rassicuratosi di
ciò, sbirciò con la coda dell’occhio il
proprio compagno meditando su come agire e alla fine optò
nell’ordinargli:
“Sonda il luogo: vediamo in quanti
sono”
All’ordine
datogli il pokémon chiuse gli occhi concentrandosi.
Nell’osservarlo
si stupiva, come ogni volta, di come i contorni del suo amico si
sfocassero sempre quando usava i poteri psichici: “Un
delicato velo di potere” sentenziò affascinata una
sua collega, la prima volta che lo vide.
Si riscosse dai suoi
pensieri al singolo cenno del suo pokémon.
“Per fortuna
che è solo una persona, meno gente verrà
coinvolta e meno teste voleranno in sede”
disse sospirando, con
l’animo appena più allegro dopo la notizia. Ma il
pokémon negò quell’affermazione.
“Mi stai dicendo che
c’è qualcuno con lui? Magari un pokémon.
– il suo silenzioso interlocutore annuì e a quella
conferma non resistette nel stuzzicarlo – Non sembra anche a te che ci sia
un po’ troppa luce?”
A quella domanda, il
suo amico alzò gli occhi al cielo intuendo già
cosa doveva fare.
Con un colpo veloce
degli artigli infranse il vetro di una delle finestra e
puntò un pistolacqua sulla lampada al soffitto mandandola in
corto circuito.
Poco prima che il buio
sopraggiungesse lo notò. Chi era con lui, al momento, stava
shakerando la mano destra con gesti secchi del polso: stretta a pugno e
il pollice e l’indice a pochi cm di distanza l’uno
dall’altro.
Era il loro segnale.
*
*
*
Il ragazzo stava
riordinando in modo meticoloso tutti gli appunti sulle ricerche che
stava conducendo fino a pochi attimi prima.
A detta sua era
l’uomo più fortunato del mondo, nessun altro
così giovane poteva vantarsi di essere un assistente del
più famoso e geniale ricercatore di pokémon che
sia mai esistito!
Canticchiò
allegramente aprendo lo schedario e sistemando il plico di fogli in una
delle cartellette ordinate in ordine alfabetico. Scorse velocemente i
titoli per essere sicuro che non ci siano errori in
quell’ordine a suo parere perfetto. Ma non arrivò
neanche alla lettera “E” che si accese un luccichio
nel suo occhio nel leggere la denominazione del materiale che gli valse
il posto di lavoro: Disegni per gli approfondimenti sui
pokémon.
Si, lui era un
osservatore di quelle magnifiche creature e il suo hobby era riportarne
tutti i particolari nel disegno, e mai nessun pokémon seppe
di venire studiato e che tutte le sue fattezze venissero schizzate in
un taccuino da un tratto di matita o, quelle rare volte, dal carboncino.
Solo una volta Tracey
colorò uno dei suoi disegni e ancora ora, era convinto che
fosse proprio quello ad avergli aggiudicato l’assunzione: il
Rhyhorn rosa.
Fu quasi tentato nel
riguardarli quando...
CRACK
“Cos’è stato?”
gli scappò nel dire, preso dal momentaneo spavento.
“Sono quasi
sicuro che era un ramo spezzato, ma per provocare un rumore
così forte non può essere un pokémon
piccolo, però non dovrebbe essercene nessuno di
così grande, se non nel giardino dietro al laboratorio.”
Agguantò la
pokéball e il suo fidato Marill era di fianco a lui,
già in ascolto.
Il pokémon
non ci mise molto nell’avvertire le presenze sospette e si
voltò verso il suo allenatore emettendo versi veloci e
più acuti del solito indicando la finestra.
Il ragazzo si
voltò verso il vetro della finestra ma notò con
orrore che non c’era più, solo il muso di un
pokémon che non esitò a far uscire un getto
d’acqua dalla bocca, puntandolo verso l’alto.
Fu buio.
Sentì il
verso del suo Marill probabilmente più spaventato di lui ed
ebbe l’istinto di girarsi, ma come faceva se non riusciva
neanche a muoversi?
Fissava quella luce
rossa derivante dal pokémon, gli occhi concentrati e senza
emanazioni di alcuna emozione, incalcolabili. Tutto ciò che
vide poi fu solo un scemando d’immagini dovuto solo ad uno
spostamento ad alta velocità, gli riuscì solo a
capire questo.
Freddo e dolore.
Il contatto brutale
con il muro dello studio, il dilagarsi delle brucianti pulsazioni,
veloci e prepotenti dal cuore della spalla che temeva si fosse
incassata nella scapola, abbastanza veloci da precedere il colpo alla
testa.
Svenne.
*
*
*
Il laboratorio fu
illuminato dalla luce fioca della torcia quando persona e
pokémon entrarono con cautela dalla finestra rotta.
Sentì i frammenti di vetro polverizzarsi sotto la suola e
sperò che al suo compagno non gli penetrasse alcuna scheggia
nelle zampe.
Osservò
l’operato di cui era responsabile: un adolescente che non
potrà aver avuto più di 16 anni e il piccolo
pokémon d’acqua dietro di lui, stesi a terra privi
di sensi.
“Mi dispiace,
ma meno sapete di me e meglio starete”
Dette
un’occhiata più da vicino al ragazzo e gli
scoprì un bernoccolo sulla testa e una slogatura alla
spalla, infine decretò che al risveglio, a parte un
po’ di mal di testa, non avrebbe avuto alcun problema che un
po’ di ghiaccio e una buona fasciatura non avrebbero potuto
gestire.
Si avvicinò
allo schedario ancora aperto, aprì diverse cartelle cercando
in modo sempre più affrettato e scocciato ma piano piano i
fogli e le buste iniziarono ad accumularsi in modo disordinato e sparso
ai suoi piedi. “Non ci sono!” disse allarmandosi e
afferrando con sempre più foga i fogli, i cui li
appallottolava un momento dopo per sfogarsi, lasciandoli cadere a terra.
Perquisito tutto lo
schedario, percorse a passi pesanti l’intera superficie della
stanza cercando quelle preziose informazioni per cui aveva fatto tanta
strada e che sembrava non fossero mai neanche esistite.
Valutò se
provare a svegliare il ragazzo, ma l’ordine supremo in quella
particolare missione era di non farsi vedere da nessuno.
Personalmente credeva che quell'ordine non avesse senso.
Sarebbe bastato
mascherarsi il volto e il gioco era fatto, ma a quanto pareva, vigeva
l’assoluta richiesta di segretezza e prudenza.
Non potendo adempiere
allo scopo principale di quella visita, per quanto frustrante, si
diresse verso il computer per iniziare quello secondario.
A quel punto il suo
socio si avvicinò abbandonando quattro pokéball
sul tavolo indicando le scale.
“Ah, ecco dov’eri
finito, non ti vedevo più! Noto con piacere che hai trovato
lo sgabuzzino delle meraviglie”
Dagli occhi delusi e
dall'aria interrogativa che il suo amico assunse, capì che
la battuta era squallida.
“Ok, non era granché”
il pokémon fissò più intensamente
“Non prendermi
in giro e sta' al tuo posto!” dopo questo il
pokémon non poté far altro se non alzare gli
occhi al cielo esasperato.
“Bene, sono dentro”
esaltò davanti allo schermo richiedente la password e fu
felice di constatare che la conosceva quando il programma ne riconobbe
l’autenticità.
Solitamente essa era
segreta, eccetto che per pochissime persone e se anche fosse stato solo
per una notte, in quel momento poteva considerarsi parte di quel
strettissimo gruppo.
*
*
*
Oak ascoltò
attentamente le parole del suo assistente che sembrava deprimersi ad
ogni frase in più che pronunciava.
Cercò di
organizzarsi un attimo le idee: non era possibile che in manco mezza
giornata potessero arrivargli così tante notizie!
Quando il ragazzo gli disse come l’aggressore lo mise K.O. si
spaventò ma lo rassicurò che il ghiaccio aveva
fatto bene il suo ruolo e che non aveva niente di troppo gonfio.
Ma le gambe cedettero
alla notizia che tutti i pokémon del laboratorio fossero
spariti e si lasciò accasciare a terra, scivolando sulla
parete.
“E dimmi, hai visto chi era
l’aggressore?”
Passò un
minuto buono prima Tracey disse con voce funerea:
“No professore, non so nemmeno
dirle se fosse un uomo o una donna e anche il pokémon non
sono riuscito a vederlo bene, come le ho detto avevano spento la luce”
“Mmm, un bel problema –
rispose lo scienziato – ma
per il pokémon avrei già un’idea”
Angolo
dell’autrice:
Ciao a tutti! Temo di non avere alcuna scusa da adottare per il mio
ritardo stratosferico se non la scuola.
Perciò per chi stava aspettando il continuo, sono davvero ma
davvero dispiaciuta.
Non so se o quanto il capitolo piacerà, ma ci
sarà una trama d'ora in poi.
Comunque spero che ci sia qualcuno a cui non dispiaccia questo capitolo
e fatemi sapere cosa ne pensate che siano buone nuove o cattive ^^
Unica domanda: avete capito che pokémon è?
Un saluto a tutti e alla prossima
Blackama
|