CAPITOLO IX
CAPITOLO IX
Jesse Duke era seduto sul vecchio dondolo del
portico. Ondeggiando lentamente si godeva gli ultimi raggi di luce di
quella infinita, incredibile giornata. I cupi nuvoloni e la pioggia
avevano lasciato il posto ad un sole debole e pigro che, pure, era
riuscito a riscaldare il cuore di tutti i Duke dopo le tempeste dei tre
giorni precedenti.
Aveva pensato tanto quel pomeriggio il vecchio Jesse, aveva ripercorso
gli eventi di quelle ultime settantadue ore, che sarebbero rimaste
impresse in maniera indelebile nella mente di tutti e che tanto
profondamente avevano cambiato le loro vite.
Ripensava a quella importante richiesta di whiskey
da Nashville, al lavoro alla distilleria numero quattro, alle strategie
per la consegna … lui avrebbe fatto da esca con Black Tillie
lungo la 421, attirando i finanzieri, mentre i ragazzi, indisturbati,
avrebbero trasportato il carico oltre il confine percorrendo le rotte
segrete dei Duke … Daisy alla fattoria avrebbe gestito le
comunicazioni radio … sarebbe filato tutto liscio come al
solito, se non ci fossero stati Boss e Rosco…
“E’ stata tutta colpa
mia. Come ho potuto essere così stupida, zio Jesse? Come ho
fatto a non capire?! Ho sentito tante volte Boss e Rosco nominare
Willow Creek… e quando sghignazzavano in quel modo al Boars
Nest! Avrei dovuto immaginarlo!”.
“Daisy, cara, non prendertela
con te stessa. Boss e Rosco hanno le mani in pasta in decine di affari
loschi, come potevi sapere che quel giorno stavano parlando proprio di
noi?”
No, la colpa non era della dolce Daisy. Lui, Jesse, sapeva che J.D.
avrebbe provato ad incastrarlo anche questa volta. Eppure non si era
preoccupato. E quando aveva trovato i microfoni-spia alla fattoria e
dentro le loro auto era stato troppo tardi.
Ripensava al fatto che aveva affidato troppe
responsabilità ai suoi ragazzi e che, così giovani, li
aveva posti in situazioni difficili, nelle quali è troppo
complicato, addirittura impossibile, discernere ciò che è
giusto da ciò che è sbagliato…
“E’ stata tutta colpa
mia. Che idiota sono stato, Jesse! Nemmeno un principiante avrebbe
commesso una ingenuità simile. Quando ho visto il posto di
blocco a Willow Creek avrei dovuto ricordarmi che il ponte era crollato
e capire che volevano spingerci verso la riva del fiume per
accerchiarci.”
“Luke, sei troppo severo con te
stesso. Non è facile decidere cosa è giusto in pochi
secondi e con la polizia alle calcagna, anche un contrabbandiere molto
esperto avrebbe scelto quella soluzione”.
No, la colpa non era nemmeno di Luke. Lui, Jesse, sapeva che
all’ennesima consegna i loro tragitti segreti potevano non essere
più tanto sicuri, eppure non aveva ritenuto necessario cambiare
il passaggio a Willow Creek, da sempre a rischio. Quando se ne era reso
conto era stato troppo tardi.
Ripensava al fatto che aveva esposto i suoi ragazzi
a pericoli assurdi e in fondo ingiustificati, mettendo a repentaglio la
loro stessa vita…
“E’ stata tutta colpa
mia. Che codardo sono stato, zio Jesse! Perché mi sono fermato?
Avrei dovuto saltare il fiume, l’avevo fatto altre volte,
con il Generale potevamo farcela anche questa volta. E invece…
ho avuto paura…”
“Sia benedetta la tua paura,
Bo! Credo che abbia salvato la vita a te e a tuo cugino. Saltare il
fiume di notte, con un pesante carico di whiskey nel portabagagli e la
pressione degli sbirri alle spalle sarebbe stato incosciente e
pericolosissimo. Non sei stato un codardo, Bo. Ti sei comportato da
uomo saggio e maturo”.
E certamente la colpa non era nemmeno del piccolo, grande Bo, che in
pochi istanti aveva deciso di diventare improvvisamente adulto e di
compiere la scelta più difficile per il suo orgoglio, ma
più giusta per l’intero clan dei Duke e per lo stesso
zio… che non avrebbe potuto sopravvivere al rimorso se qualcosa
di terribile fosse succ….No! Non voleva pensarci Jesse!
E poi c’erano stati l’arresto da parte
dei finanzieri, le risate compiaciute di Boss e Rosco, che per una
volta li avevano sconfitti… le due notti che i suoi ragazzi
avevano trascorso nelle celle di Hazzard e l’atroce dubbio:
cercare un avvocato per un processo la cui sentenza era già
inevitabilmente scritta o pagare la salatissima cauzione per permettere
ai suoi ragazzi di trascorrere un’ultima notte di libertà
alla fattoria? Il vecchio Jesse non aveva esitato: non importa se aveva
dovuto sborsare fino all’ultimo centesimo, chiedendo dei soldi in
prestito ai suoi amici e ponendo un’ipoteca sulla sua amata
fattoria… Luke e Bo avevano passato un’ultima notte a
casa, anche se l’avevano trascorsa piangendo, per colpa
sua. Sì, perché la colpa era sua e Jesse lo sapeva. Aveva
commesso delle imprudenze questa volta e soprattutto aveva
sottovalutato un fattore molto importante: il mondo del contrabbando
non si reggeva più sui valori in cui credeva lui, onore,
rispetto, collaborazione… almeno non più per J.D. Hogg,
accecato dal denaro… e lui avrebbe dovuto accettare ciò
molto prima di mettere a rischio l’esistenza della sua stessa
famiglia.
Infine c’erano stati tanti pensieri rivolti al vecchio, impavido
spirito dei Duke e, quella stessa mattina, di fronte alle fotografie
dei suoi cari, quell’idea che, seppur tanto incredibile e tanto
dura da accettare, era l’unica possibilità rimastagli in
questa situazione.
Ora il vecchio Jesse, finalmente sereno, guardava i
suoi nipoti che, terminati i lavori del pomeriggio, lo stavano
raggiungendo. Daisy, sedendosi, lo abbracciò affettuosamente, i
due ragazzi, in piedi, lo guardavano con occhi infinitamente grati.
Nessuno aveva parlato, ma i loro sguardi valevano più di mille
discorsi.
“Che ne dite di cenare presto e di andare a letto? Siamo tutti
molto stanchi” disse lo zio. I nipoti annuirono. “Bene,
allora …” – continuò Jesse –
“… diamoci da fare, andiamo a preparare”
sentenziò con leggerezza mentre si dirigeva in cucina seguito da
Daisy.
I due ragazzi rimasero sul portico, Luke intento a
fissare la vecchia quercia, Bo con lo sguardo un po’ smarrito.
Dopo qualche minuto la loro attenzione fu richiamata dal rumore di una
macchina che si avvicinò e si fermò proprio davanti alla
fattoria.
“Buona sera ragazzi”. Sguardo aperto, pipa fumante in
bocca e una manciata di fogli in mano, l’uomo distinto che Jesse
era andato ad incontrare la mattina e che poi li aveva raggiunti in
tribunale li salutò scendendo da una vecchia Mustang.
I due ragazzi gli vennero incontro sui gradini del portico: “Agente Roach, buona sera”.
“Vi vedo bene” – disse l’agente. E in tono scherzoso: “Meglio di stamane”.
“Ci può giurare, signore” – rispose Bo, il sorriso finalmente schietto e aperto.
“Stamattina siamo usciti di casa diretti dal giudice Pennington,
rassegnati ad una condanna certa con l’accusa di contrabbando e
ad un viaggio per il penitenziario di Atlanta con biglietto di sola
andata, almeno per i prossimi dieci anni…” aveva
continuato Luke, con un tono indefinito.
“Dieci anni… - lo aveva interrotto Roach –
tanti quanti io ne ho trascorso a inseguire i Duke da quando mi hanno
mandato in servizio qui ad Hazzard…”.
“Non ci saranno più di questi tempi” sospirò Bo.
“Già, avete vinto voi. Sarete contenti adesso!”
– affermò Luke, questa volta con forte astio nella voce.
Bo lo guardò stupito: “Cugino, che ti prende?! Dovremmo
essere grati all’agente Roach!”. Il maggiore abbassò
lo sguardo e sospirò. L’agente lo guardò fisso.
Aspirò dalla pipa e sorrise: “L’ho sempre saputo
Lukas, che sei il più duro dei giovani Duke. Saresti stato un
temibile avversario, se la nostra lotta fosse andata avanti”.
Luke rialzò gli occhi: “Bo ha ragione, se siamo a casa lo
dobbiamo a lei. Le chiedo scusa per le mie parole, è solo
che…” – lo sguardo fuggì di nuovo, a
nascondere un’emozione che il giovane trovava imbarazzante.
Bo vide il cugino intento a trattenere una lacrima, si
mordicchiò il labbro inferiore e gli posò una mano sulla
spalla.
Roach li guardò. Non era abituato ad essere tenero, ma ora i
suoi occhi erano pieni di indulgenza: “Non essere così
severo con te stesso. Siete stati degli avversari formidabili, tra i
più forti che mi sia mai capitato di inseguire, degni eredi di
Jesse. Dovete ringraziare lui”. Una boccata di fumo si
alzò dalla pipa.
“Zio Jesse ci ha detto del vostro incontro di stamattina” - riprese Bo.
Roach aspirò il fumo: “Non abbiamo vinto neanche noi,
Luke. Ho sempre voluto incastrare vostro zio contando solo sulle mie
forze, sul mio fiuto, sull’integrità dei miei uomini. Non
ho mai voluto avere niente a che fare con i tranelli e le soffiate di
Boss Hogg e di quel suo sceriffo Coltrane. Non ero in ufficio
l’altra notte, se ci fossi stato io quando è arrivata la
chiamata-radio di Hogg nessuno dei miei uomini si sarebbe mosso. Non
voglio avere a che fare con chi non rispetta il codice etico del
contrabbando.” – Si sistemò la cravatta: “Per
questo quando vostro zio mi ha chiesto di fare in modo che vi fosse
concessa la libertà condizionata, promettendo di porre fine alla
sua attività, ho accettato. ”
“Abbiamo saputo della sua telefonata ad Atlanta…e della
sua insistenza con l’autorità centrale della ATB…
abbiamo capito solo allora il motivo del secondo ritardo al tribunale,
dopo la sua telefonata” – disse Luke, gli occhi e la voce
finalmente liberi da ogni tremolio.
“Avevo bisogno di guadagnare tempo con il giudice, non è
stato facile convincere i capi della ATB” – lo interruppe
Roach, con grande serietà – “La mia era una
richiesta oggettivamente improponibile. Ma ho buoni amici in quella
sede, collaboratori che mi stimano. E la prospettiva di porre comunque
fine all’attività clandestina della famiglia Duke era
troppo allettante per loro per porsi scrupoli di tal genere.
Così hanno accettato”.
Bo e Luke ascoltavano in silenzio, la voce di Roach ora sembrava tradire un’ emozione.
Ma durò un attimo: “Comunque...” – si
schiarì la voce il finanziere – “veniamo al dunque.
Questi sono i vostri documenti “- disse porgendo loro i
fogli che aveva tenuto in mano tutto il tempo – “sono
appena arrivati da Atlanta. Li dovrete consegnare al commissario Hogg,
che li timbrerà e li custodirà al tribunale della Contea
di Hazzard”.
I ragazzi scorrevano velocemente le pagine, cercando di coglierne il contenuto, ma troppo confusi per capire veramente.
“Vi dovrete presentare nel mio ufficio ogni quattro mesi, non
potrete uscire dai confini della contea senza il permesso di Hogg, non
potrete usare armi da fuoco e naturalmente dovrete tenervi alla larga
da whiskey e distillerie” - aggiunse con voce perentoria.
“Sembra dura, ma potete ritenervi fortunati” –
concluse con un ultimo sbuffo della pipa – “Oh…
infine il Generale Lee. Per quello non c’è stato niente da
fare. Dovrete andare a riprendervelo dallo sceriffo pagando una
tassa”.
I ragazzi Duke lo guardarono con gratitudine.
“Grazie Agent Roach” dissero entrambi.
“Chiamatemi Andy” – chiosò l’uomo. “Ci vediamo tra quattro mesi, arrivederci”.
“Ci conti – risposero all’unisono i due cugini, mentre Roach saliva in macchina.
“Agente Roa…ehm…Andy!” – gridò
Bo mentre il motore della Mustang rombava. Luke lo osservava sorpreso.
“Un’ultima cosa, per favore” – aggiunse il più giovane dei Duke.
Roach guardò dal finestrino il giovane che avanzava di qualche passo. “Che c’è, Bo?”.
Bo si mordicchiò ancora il labbro. Poi prese coraggio:
“Andy, lei ci ha spiegato perché ha accettato la proposta
di Zio Jesse. Ma…perché ha deciso di fidarsi della sua
promessa?”.
Roach fissò lo sguardo sulle ultime strisce di luce che
scomparivano oltre l’orizzonte. Si voltò verso i due
giovani che lo fissavano con grande intensità. Sorrise:
“Perché Jesse Duke mi ha dato la sua parola
d’onore”.
Il motore rombò con fragore e la Mustang si allontanò
dalla fattoria, mentre i due cugini, con il cuore finalmente leggero,
si aprivano in un sorriso.
Luke, che non si era mai mosso dal portico, aprì la porta e fece a Bo cenno di entrare.
Il biondino salì i gradini e lo precedette. Sulla soglia si
fermò, si voltò verso il maggiore e chiese a bruciapelo:
“Luke, andrà tutto bene, vero?”.
Luke sorrise, gli pose una mano sulla spalla e annuì: “Si, Bo. Andrà tutto bene”.
FINE
|