capitolo
9 – Andata e Ritorno
«Pitch».
Pitch,
distratto dal secondo quadretto di cioccolata che si sta lentamente
sciogliendo nella sua bocca, non si avvede immediatamente
dell’ennesimo richiamo della bambina.
Katherine,
con cautela, gli sfiora la spalla e si ritrova improvvisamente
trafitta dai suoi occhi dorati, che la scrutano più in
profondità
di quanto abbia mai potuto fare chiunque altro.
«Ehm…
Volevo solo dirti che tra poco devo andare a scuola. Ma pomeriggio
torno!» assicura.
«Come
preferisci» ribatte come sempre Pitch, il quale non sembra
volerle
concedere alcun tipo di soddisfazione, per lo meno
all’apparenza.
Ma
lei gli offre comunque un sorriso gentile e, tutto sommato, si
ritiene piuttosto fortunata che lui, al posto di quelle sue repliche
monocorde, non le dica chiaro e tondo di non tornare più.
Quello sì
sarebbe un ben duro colpo da digerire.
«Ci
vediamo più tardi, allora» esclama allegramente.
Prima
di andarsene, lascia sulla sua guancia fredda un altro minuscolo
bacio.
Lei
è già sparita all’interno del paese da
qualche minuto, quando
Pitch solleva una mano e con le dita si sfiora pensieroso la guancia
vittima
dell’ennesima libertà della bambina.
Dovrebbe
allontanarsi da lì, da quel buco di provincia. Lo sa bene:
più
tempo rimane e più pericoloso diventa. Certo, fino a ora ha
sempre
avuto una giustificazione più che buona per la sua
permanenza in
quel posto. Tuttavia ora sente di potersi permettere qualche sforzo
in più. Infatti poco dopo si rimette in piedi e, anche se
non ancora
perfettamente saldo sul terreno, pochi passi di prova gli confermano
che quel giorno stesso potrà rimettersi in cammino.
Si
volta un momento a osservare la foresta alle proprie spalle e non
può
fare a meno di lasciarsi scorrere un sottile tremito lungo la schiena
al pensiero di ciò che cela quell’intrico di
alberi secolari.
Scuote la testa e punta lo sguardo in avanti, verso una meta ancora
lontana.
Prima
di avviarsi, osserva indeciso la scatoletta che ancora regge in una
mano e le sue labbra curvano impercettibilmente verso l’alto,
mentre la fa scivolare in una delle tasche della sua veste nera. Solo
allora si allontana definitivamente dall’albero che
è stato suo
negli ultimi due giorni e si incammina ad attraversare il paese che
gli si para di fronte.
Non
è avvezzo a spostarsi durante il giorno, quando il sole
è alto. Ma
visti i recenti sviluppi della sua esistenza ritiene che, per il
momento, sia più saggio: viaggerà durante il
giorno e troverà
rifugio nelle ore buie. Questo sicuramente gli offrirà
qualche
vantaggio su quelle creature che ha lasciato là sotto.
Ha
già quasi attraversato l’interezza di quel paese
(che certo non è
enorme, ma ha comunque il suo peso). Forse, dopo tutto, il cioccolato
è un ottimo modo per recuperare velocemente un po’
di energie.
Chissà che con qualche altro quadretto non riesca anche a
spostarsi
attraverso le ombre. Sarebbe davvero favoloso, se fosse possibile.
Gli
spazi aperti già si intravedono non troppo distanti, e Pitch
per una
volta si rallegra dei progressi fatti, quando qualcosa arresta
bruscamente il suo incedere deciso. Sibila, portandosi una mano alla
tempia e scuotendo la testa ora nuovamente dolorante.
C’è qualcosa
che non va, ma cosa? Tenta un altro passo, nella speranza che il
dolore e il disagio passino, ma al contrario una fitta più
decisa lo
fa barcollare mezzo tramortito.
«Maledizione!»
sbotta, incredulo per quell’ennesimo ostacolo.
Così
si rassegna all’idea di scoprire la sorgente del problema e,
spostandosi in un angolo in ombra, si concentra sulla sgradevole
sensazione che ancora lo sta assalendo: Paura. “Naturalmente,
che
altro se no?” si domanda acido. Ma realmente, questa volta,
c’è
dell’altro, qualcosa di più specifico, qualcosa
che dovrebbe
conoscere, eppure gli sfugge. Almeno fino al momento in cui, per un
istante, la sensazione diviene intensa, quasi insopportabile, per poi
scemare nuovamente a livelli più tollerabili. Katherine. Ed
è così
luminosa, ora, la consapevolezza, che si chiede come possa averci
messo così tanto per capirlo.
«Che
cosa succede?» chiede, quasi il silenzio del pomeriggio possa
rispondere ai suoi dubbi. «Cosa?!».
Paura.
Di nuovo. Più forte ora, qualcosa di più limpido
e crudo. Qualcosa
come… Geme, stringendo i denti all’ennesima
stilettata che gli
arriva diritta al cervello, così precisa da sembrare un
bisturi.
«D’accordo…
D’accordo!» sbotta frustrato.
E
non ha altra scelta. Non c’è abbastanza tempo per
camminare.
Semplicemente, che lo possa fare o meno, deve spostarsi nel modo
più
rapido che conosca: attraverso le ombre.
È
un battito di ciglia. Si ritrova, confuso e frastornato, un poco
più
debole di quando è partito, in un luogo sconosciuto, ma alla
presenza di qualcuno di conosciuto.
Katherine
è lì, poco distante da dove si trova Pitch, ma
non lo ha ancora
veduto. Non può, d'altronde; è evidentemente
troppo impegnata a
tenere lontani da sé cinque ragazzini che sembrano avere
tutte le
intenzioni di farle del male; se a parole o con i fatti è
tutto da
stabilire.
Ma
Pitch non ha né la voglia né tantomeno il tempo
di osservare
l’evolversi della situazione. È stanco,
è dolorante ed è
decisamente arrabbiato. E la piccola Katherine è
terrorizzata, come
non lo è mai stata veramente in sua presenza.
«Maledetti
piccoli teppisti» sibila contrariato.
Infine
si fa avanti. Loro non lo possono vedere né sentire, ma
questo, dopo
tutto, non è un grande problema per Pitch. È
comunque ancora in
grado di infondere una buona dose di terrore, quando si applica con
disciplina.
Si
accosta, silenzioso, alle spalle di quello che gli pare il
più
promettente dei cinque e, chinandosi su di lui, mormora poche oscure
parole al suo giovane orecchio. Parole che hanno l’effetto di
far
sbiancare il malcapitato, il quale, senza apparente ragione, inizia a
tremare incontrollabilmente e infine urla sgomento, incespicando
all’indietro. Pochi istanti dopo si volta, con impressa in
volto
l’aria di qualcuno che è appena passato attraverso
un fantasma, e
se la dà a gambe a una velocità che nessuno si
sarebbe mai
aspettato. Gli altri quattro, dapprima lo fissano straniti; poi gli
gridano di fermarsi, di aspettare; infine, confusi, decidono di
seguirlo, liberando il campo dalla loro presenza per nulla gradita.
Pitch
invece segue l’intera scena e ghigna, perché no, a
quanto pare non
ha del tutto perso il suo tocco oscuro, e questa sì che
è un’ottima
notizia. Si sente, in qualche modo, confortato da questa nuova
consapevolezza. Dopo tutto è ancora il Nightmare King,
almeno per i
teppisti in erba.
“Forse
la vita è come un fiume che va al mare: forse non siamo
andati dove
intendevamo andare, ma siamo finiti dove avevamo bisogno di
essere”
(Fabrizio Caramagna)
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“Il
camminare presuppone che a ogni passo il mondo cambi in qualche suo
aspetto e pure che qualcosa cambi in noi.” (Italo Calvino)
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