cap 8
Ishikura
sistemò per l’ennesima volta il colletto
dell’uniforme e tornò a fissare le schiene dei tre
uomini
che lo precedevano lungo il corridoio.
Acciaio.
Non c’era altro modo per definirli.
Harlock, Daiba e il Capitano Zero. Metà di quel che avevano
passato negli ultimi tempi avrebbe spedito sottoterra o in un ospedale
psichiatrico chiunque… e invece eccoli lì, ritti
sulle
loro gambe e ancora capaci d’intendere e volere.
Per la verità, ogni tanto il Capitano sembrava avere la
testa
chissà dove, Harlock s’era richiuso nel suo
mutismo
finché Daiba non aveva ripreso i sensi e
quest’ultimo
barcollava ancora un po’, ma per uno che aveva passato
ventiquattr’ore attaccato a una macchina per la circolazione
extracorporea e quasi un mese a letto a far saldare tre costole rotte,
combattere febbre e geloni e smaltire i postumi dell’impianto
d’un ICD* con dosi da cavallo di farmaci, era in forma
strabiliante.
Ishikura roteò la spalla sinistra. I tendini scattarono e un
dolore sordo gli percorse l’avambraccio fino al gomito.
Gemette a
labbra strette.
Non sarò mai
stoico come loro, però li capisco.
Stress, notti insonni e postumi delle ferite o meno, non sarebbe voluto
essere da nessun’altra parte, a costo di lasciarci le penne.
Sfiorò il calcio della sua pistola d’ordinanza con
l’intenzione di controllare la carica della cella ma si
ricordò d’averlo fatto appena cinque minuti prima,
e
già per la terza volta da quando erano entrati nel Palazzo
del
Governo.
– Nervoso?
Accanto a lui, Tetsuro Hoshino sorrise.
– No, per niente.
In realtà, il succo d’arancia e il tramezzino che
Marina
l’aveva obbligato a ingurgitare per colazione minacciavano
una
sortita.
– Io, invece, sono teso come una corda di violino –
dalla
sua espressione imperturbabile e dalla scioltezza con cui
stiracchiò le braccia, non sembrava proprio – Dopo
dieci
anni, finalmente scriveremo la parola fine al Progetto Herakles. Ancora
non mi sembra vero.
Ishikura sfiorò la foto con Takeshi e Minoru nella tasca
interna
della giacca e pensò a suo padre. Come se gli avesse letto
nel
pensiero, Tetsuro gli diede una leggera stretta
sull’avambraccio.
Non gli aveva solo rivolto una frase di circostanza, durante quella
riunione: da quando si erano rincontrati, aveva davvero preso a
comportarsi come una specie di fratello maggiore acquisito…
nonostante fosse più giovane di lui.
– Ragazzi, ma avete visto le facce di tutta questa gente?
–
Sylviana gli trotterellò accanto, gli tirò la
manica come
una bambina e ridacchiò, in brodo di giuggiole –
Sembrano
tutti sul punto di farsela addosso!
Un momento: Sylviana?!
Ishikura si guardò attorno e alle spalle: che fine aveva
fatto
Rai? Perché Grenadier non l’aveva trattenuta
all’entrata col resto della squadra? A che cavolo stava
pensando
Marina? Poteva anche arrivare a capire, con un colossale, titanico
sforzo, che ormai tutti sulla Karyu e sull’Arcadia avessero
accettato il suo andarsene ovunque volesse quando volesse, ma che
persino le guardie del Ministero…
Poi, la sua mente si soffermò sulla composizione del gruppo
nel quale s’era imbucata.
Il ricercato numero uno in tutto l’universo. Il Primo
Ministro
della Federazione, ufficialmente morto per mano sua. Il Capitano della
nave che aveva sconfitto l’Hell’Castle nella
battaglia di
Teknologhia. Lui, forse il solo a non essere famoso o famigerato, ma
che lì dentro tutti conoscevano grazie a Minoru.
L’eroe
delle guerre contro i Meccanoidi di Promesium. E per finire in
bellezza, Yuki Kei, scomparsa ormai da mesi, forse rapita, forse
assassinata, Marina, Yattaran che si gingillava con un modellino
dell’Arcadia nuovo di zecca e il Dottor Zero che canticchiava
allegro col suo gatto accovacciato sulla spalla e una fiaschetta di
saké che gli spuntava dalla borsa.
Non c’era da stupirsi che, dopo quella parata di
celebrità, una pazza in minigonna rosa fluo, doppi cinturoni
e
stivaloni da cow-girl fosse passata inosservata.
E non c’era da stupirsi che, in effetti, si fosse radunata
tutt’intorno e dietro di loro una folla che li fissava
attonita e
li seguiva mormorando.
Il corridoio terminò davanti a una porta sulla cui semplice
targhetta d’ottone si leggeva la scritta: “Ufficio
del
Primo Ministro”.
Daiba mosse un passo avanti, tirò fuori dal taschino la sua
chiave elettronica e la fece scorrere nella serratura.
Aggrottò la fronte nel sentirla scattare e Ishikura
pensò
che sì, era d’accordo con lui: il non aver ancora
escluso
dal sistema di sicurezza il codice di un uomo assassinato, anzi, il non
aver nemmeno verificato che fine avesse fatto la sua chiave dopo tutto
il tempo che era passato, era indice d’un lassismo
imperdonabile.
La porta s’aprì con un sibilo e il piede di Daiba
urtò contro una pila di documenti buttati alla rinfusa sul
pavimento. Sollevò quello che faceva capolino
all’estremità, tutto spiegazzato, macchiato di
caffè al centro e scarabocchiato sui bordi. Il suo cipiglio
s’accentuò. Ishikura sbirciò da sopra
la sua
spalla: era il piano per il potenziamento della rete di trasporti della
Federazione a cui stava lavorando col suo esecutivo prima di subire
l’attentato. Buttò l’occhio sulla
colonna di carta:
lo seguiva un plico d’accordi e disposizioni in merito agli
approvvigionamenti da e per le colonie contrassegnato come
“da
rivedere – urgente” più di tre mesi
prima.
E se tanto mi
dà tanto, il povero Daiba avrà parecchio da fare
nei prossimi giorni.
Ishikura lo compatì dal più profondo del cuore
nell’osservare l’altra dozzina di colonne di
scartoffie che
costellavano il pavimento, ognuna delle quali alta almeno mezzo metro e
tutte disposte a mo’ d’ostacolo attorno ai banchi
di
sabbia, alle collinette e alle buche in plastica d’un set da
minigolf da ufficio.
– E Fulmine passa in vantaggio, a due giri dalla fine!
Dalla scrivania ingombra di mazze, palline, carte da gioco, riviste,
piatti e bicchieri vuoti, l'immagine tridimensionale d’una
folla accalcata in un ippodromo ruggì eccitata. Harlock
s’avvicinò in tre rapide falcate e spense il
proiettore
olografico.
– Ehi, tu! – Chīsanahito guardò in su
indignato – Ma come o…
Harlock incrociò le braccia sul petto, un cipiglio a dir
poco spaventoso sul volto sfregiato.
Chīsanahito sbiancò, fece un salto sulla poltrona e
lanciò un urlo stridulo.
– A-a-a-aiuto! – si mise a scavare tra le
cianfrusaglie
davanti a lui, alla disperata ricerca di qualcosa – Guardie!
Guardie! Ma dove diavolo è finito l’interfono?!
Daiba s’affiancò ad Harlock e squadrò
il
terrorizzato Ministro dalla testa ai piedi, sul volto uno sguardo truce
che non aveva proprio nulla da invidiare a quello del suo Capitano. Gli
occhi di Chīsanahito raggiunsero le dimensioni di due palline da tennis
nel posarsi su di lui. Si tolse gli occhiali, li pulì col
fazzoletto da taschino, li inforcò di nuovo e
s’appiattì contro lo schienale.
– Da-Da-Daiba?! S-s-sei davvero tu?!
Dalla tasca della giacca, il Capitano Zero tirò fuori un
paio di manette e si voltò.
– Signor Ishikura, a lei l’onore.
Ishikura sobbalzò. Il succo e il tramezzino fecero un altro
giro
di giostra nel suo stomaco e poi su per l’esofago. Doveva
aver
stampato sulla faccia un “davvero?” grande come una
casa,
perché il Capitano annuì, gli mise fra le mani le
manette
e lo spedì avanti con la pacca sulla schiena e il sorriso
benevolo che di solito riservava alle reclute più impaurite.
Ishikura fece un profondo respiro e raggiunse Harlock e Daiba davanti
alla scrivania.
Guardami, Minoru.
– In nome del Governo Federale Terrestre…
– Lascia perdere le formalità, soldato –
Chīsanahito
era ormai diventato tutt’uno con lo schienale della poltrona
e
agitava come un forsennato la mano destra, l’indice puntato
su
Harlock – Arresta quel pirata pazzo! Anzi, sparagli, prima
che ci
ammazzi tutti!
Ishikura oltrepassò Harlock e Daiba, fece scattare il
dentino delle manette e si sporse oltre la scrivania.
– … la dichiaro in arresto per alto tradimento,
cospirazione politica mediante associazione e banda armata, attentato
alla sicurezza, integrità, indipendenza e
sovranità della
Federazione, rivelazione e utilizzazione di segreti d'ufficio,
istigazione, favoreggiamento e complicità in crimini contro
l’umanità, terrorismo, strage, tentato omicidio e
sequestro di persona, Ministro Ichiro Chīsanahito.
Chīsanahito ansimò, un sorriso incerto sotto i radi baffetti
a spazzola.
– Cos’è – allentò
la cravatta sul
colletto spiegazzato e macchiato di sudore – Una candid
camera?
Divertente, divertente, ma ora basta, su, levatevi quelle maschere: un
bel gioco dura poco...
– E il suo è durato fin troppo, Chīsanahito
– Daiba
incrociò le braccia sul petto in una posa speculare a quella
di
Harlock – O forse dovrei chiamarla Odhrán?
– N-non capisco. Daiba, vecchio mio, ma di che parli?
– La smetta di fare il finto tonto, Chīsanahito –
Tetsuro
staccò un filo dall’orlo spiegazzato del suo
vecchio
poncio e lo soffiò via – Abbiamo le prove che lei
è
coinvolto nel Progetto Herakles.
– Hoshino, lo sapevo! Ci sei tu dietro tutto questo! Non
dargli
retta, Daiba, qualunque cosa t’abbia detto! Lo sai che quel
fanatico anti–progresso
mi odia… e
odia anche te perché tolleri i corpi meccanici! Vuole
metterci
uno contro l’altro per prendere il potere e vessare gli
onesti
cittadini meccanoidi della Federazione!
Se non fosse stato nauseato dalla sua bassezza, Ishikura si sarebbe
messo a ridere per l’assurdità di
quell’accusa.
– Ma davvero? – Yuki Kei mosse un passo avanti, gli
occhi
azzurri che fiammeggiavano – A me risulta che quello che ha
spedito una copia sotto controllo mentale di Harlock a far saltare una
colonia piena d’onesti cittadini della Federazione per
screditare
Tadashi e prendere il suo posto sia proprio lei.
– Kei, mia cara…
– E siccome non è bastato, ha pensato bene di
mandarla a eliminare fisicamente Tadashi, me… e persino Mayu!
Lo sguardo che gli lanciò avrebbe gelato le fiamme
dell’Inferno.
Se fosse stato destinato a lui, Ishikura era certo che se la sarebbe
fatta sotto e non sarebbe più riuscito a parlare per le
successive sei ore.
Chīsanahito, invece, spalancò le braccia e sorrise come un
vecchio zio un po’ tonto che non riuscisse a capire
perché
la sua nipotina preferita gli tenesse il broncio.
– Kei, mia cara ragazza, ma se non ho fatto altro che pregare
che
tu e la piccola tornaste a casa sane e salve! Non sai quanti appelli ho
lanciato da quando siete scomparse, quante…
Ishikura sollevò le manette.
– Mi porga i polsi, Ministro Chīsanahito.
Era nauseato. Amareggiato. Incazzato nero.
L’idea che suo padre e suo fratello fossero morti per colpa
d’un buono a nulla viscido, falso e codardo come quello era
insopportabile.
Invece di lasciarsi ammanettare in silenzio e mostrare che aveva almeno
un briciolo di dignità, Chīsanahito nascose le mani dietro
la
schiena.
– Non avete prove!
– Altroché se le abbiamo – Yattaran fece
dondolare
il suo modellino in su e in giù – Più
di duemila
fotogrammi video in Ultra HD 8K del suo faccione mentre comunica con un
laboratorio clandestino del Progetto Herakles nella periferia di
Megalopolis, una bella registrazione in cui fa i nomi di Kurai e Hell
Matia e per finire col botto la confessione spontanea resa dal suo
tirapiedi Sven Arngeir alias Thorn, ex Rosa Rossa.
Chīsanahito si passò le mani fra i capelli,
appoggiò la fronte sulla scrivania e gemette.
– E voi credete a quel farabutto? –
piagnucolò
– Una spia doppiogiochista, un assassino senza scrupoli!
È
stato lui a organizzare tutto… e… e… e
mi
ricattava!
Il Capitano Zero rigirò fra le mani il suo cappello senza
degnarlo d’uno sguardo.
– Il fatto che lei fosse coinvolto anche nel Progetto Rosa
Rossa
e nell’assassinio del vero Comandante Arngeir non
è certo
un’attenuante, tutt’altro. Al posto suo, farei
molta
attenzione con le parole, ma prego… s’alleggerisca
pure la
coscienza. Sarò ben lieto di ripetere ogni cosa che
dirà
davanti ai giudici della Corte Suprema Federale.
Ishikura provò un forte slancio d’affetto per lui
nel sentire tutto il disgusto che trapelava dalla sua voce.
Guardò verso Sylviana. S’era aspettato che avrebbe
inveito
contro il Ministro o addirittura che gli sarebbe saltata addosso al
minimo accenno ai Rosa Rossa, invece era stranamente tranquilla.
– Voi non capite! – Chīsanahito
sbatté i palmi
sulla scrivania – C’era la guerra! Bisognava
difenderci e
qualcuno…
– Doveva pur fare il lavoro sporco? – Tetsuro gli
rivolse
un ghigno amaro – Ci ha già pensato Thorn a
deliziarci con
questo ritornello. Ce lo risparmi. L’unica cosa che lei ha
difeso
su El Alamein sono stati la sua poltrona e i suoi privilegi. E per
quello che ha fatto dopo, non ha giustificazioni.
Ishikura non avrebbe potuto essere più d’accordo.
Si protese oltre la scrivania.
– Mi porga i polsi, Ministro.
Chīsanahito si ritrasse di nuovo.
– Non l’ho fatto apposta! Non volevo far del male a
nessuno, credetemi! – grosse lacrime rotolarono sulle sue
guance
e gli imperlarono i baffi – Non mi rendevo conto, non sapevo!
Anche Elpìs… non sapevo che ci fossero tutte
quelle
persone! Avevo sbagliato a segnarmi la data e pensavo che i coloni
sarebbero arrivati il giorno dopo! Volevo solo fare qualche danno per
rosicchiare un po’ di voti alle elezioni di settembre! Ve lo
giuro, è
stata una svista!
Ishikura si gelò con la mano a mezz’aria e la
manetta che
dondolava su una catasta di riviste sportive e ricevute di scommesse
ippiche.
Inghiottì il fiotto di bile che gli aveva inondato la gola.
Tutte quelle vite...
Una svista.
Non sapeva.
Guardò Chīsanahito. Dallo sguardo speranzoso e supplichevole
che
teneva puntato su Daiba, era evidente che per lui “non
sapevo” e “una svista” fossero
giustificazioni del
tutto valide e che pensasse di non aver fatto davvero nulla di male, in
fondo.
Ishikura serrò la presa attorno alla manetta fino a farsi
sbiancare le nocche.
Era sempre più nauseato, turbato nel profondo da quanto
dolore avesse potuto provocare la superficialità di
quell’ometto mediocre che non si rendeva nemmeno conto della
gravità delle sue azioni e delle loro conseguenze.
– E mandarvi contro l’Herakles non è
stata certo
un’idea mia! – Chīsanahito tirò
fuori dal
taschino il fazzoletto e si soffiò il naso – Sono
stati
quei tre mostri: Thorn, Lia Zone e Hell Matia! Io non volevo ammazzare
nessuno, meno che mai Mayu! Daiba, Kei, avanti, ma vi sembro capace di
far del male a una bambina?!
Daiba inarcò un sopracciglio.
– Se ben ricordo, quando avevo l’età di
Mayu, lei mi
fece togliere tutti i diritti civili, rinchiudere in carcere e
condannare a vent’anni di prigione a Porto Inferno
–
spazzò via un bicchiere di plastica e un mucchietto di
tovaglioli appallottolati da sopra la cornice d'una foto che sporgeva
dal bordo della scrivania e ne strofinò il vetro: in piedi
su
un’altalena, una Mayu di forse dieci anni rideva felice fra
lui e
Yuki Kei, che reggevano le corde – Ufficialmente
perché
qualcuno, forse, m’aveva visto scendere dalla nave di
Harlock… In realtà perché mi rifiutai
d'ucciderlo
per lei.
Chīsanahito s’afflosciò come un pallone bucato.
– Kirita...
Daiba posò la foto e lo mise a tacere con un gesto secco.
– Certo. La responsabilità è di qualcun
altro, come
sempre – si massaggiò la radice del
naso, gli occhi
chiusi, la voce stanca – Meglio se morto, così non
può ribattere. Sia come sia, potrà discolparsi
finché vorrà in tribunale. Signor Ishikura, per
favore,
proceda all’arresto. Qui ho del lavoro da fare.
Chīsanahito s’inginocchiò sulla poltrona e giunse
le mani.
– No, ti prego, Daiba! – frignò senza
ritegno
– È stata tutta colpa di quei tre e del Professor
Kurai,
te lo giuro! È vero, li ho riuniti io, ma poi hanno preso il
sopravvento! M’hanno obbligato a coprirli e fornirgli
informazioni! Mi tenevano in pugno, non potevo farci nulla!
Avevo… avevo paura!
Ishikura afferrò il polso destro di Chīsanahito lo
tirò verso di sé.
– Non poteva farci nulla? – serrò la
presa, fuori di
sé. Vedeva rosso, la voce gli usciva a fatica dalla gola
contratta – La tenevano in pugno? Bé, non era il
primo
né il solo!
Suo padre. Suo fratello. Tutte le persone i cui nomi erano finiti su
quella maledetta lista. Quei bambini su El Alamein.
Loro erano stati davvero in trappola, loro non avevano avuto scelte
né vie d’uscita.
Quanto alla paura che dovevano aver provato, gli scoppiava il cuore
già solo a immaginare di trovarsi al loro posto.
Chīsanahito lanciò un urlo stridulo.
– Ifiklìs! – si tirò
indietro, terrorizzato – Che ci fai tu qui?!
Ishikura lo mollò, interdetto.
M’ha scambiato
per Minoru? Ma cosa...
Poi capì, e il sangue gli ribollì nelle vene una
volta di più.
Stava davanti a quell’individuo da almeno dieci minuti, ma a
quanto pareva non s’era ancora degnato di guardarlo in
faccia.
Così come non s’era degnato di scomodarsi a capire
perché l’assistente d’un suo diretto
sottoposto non
si presentasse al lavoro da ormai più d’un mese. E
poi
l’aveva chiamato “Ifiklìs”, il
nome
“Ishikura” non gli aveva strappato la minima
reazione...
Minoru è
morto per colpa sua… e non si ricorda neppure il suo vero
nome!
Magari, non gli era neanche mai importato di saperlo.
Era troppo. Davvero troppo.
Serrò il pugno. Lo sollevò.
Era un ufficiale nello svolgimento delle sue funzioni.
Quello che stava per colpire sul naso era un Ministro della Federazione
e portava anche gli occhiali.
Non gliene fregava un fico secco.
Un vento caldo gli sfiorò i capelli, una luce
l’accecò, l’urlo di Chīsanahito gli
intronò
le orecchie e un acre odore di fumo gli riempì le narici.
Sbatté le palpebre e le manette gli caddero di mano.
Chīsanahito era riverso sulla poltrona, gli occhi rovesciati nelle
orbite, la bava alla bocca. Una chiazza rossa si stava allargando sulla
sua giacca attorno alla bruciatura tonda d’un colpo di laser,
poco sopra il taschino.
Ishikura si voltò.
Accanto a Marina, Sylviana soffiò sulla canna di una delle
sue pistole e la rinfoderò.
Ishikura girò lo sguardo sui presenti, sbigottiti quanto
lui.
Non sapeva che dire. Non sapeva che fare. Non sapeva che pensare.
Mosse un passo verso Sylviana, si bloccò, guardò
di nuovo
verso Chīsanahito con la speranza d’aver avuto
un’allucinazione.
Il Dottore lo oltrepassò di corsa.
– Sylviana – la voce gli uscì strozzata,
le spalle gli tremavano – Ma che hai fatto?!
Lei si ravviò una ciocca di capelli.
– Quel che andava fatto, Shizuo. Niente più,
niente meno.
Ishikura ripensò a quando aveva risparmiato Thorn,
nonostante tutto quello che le aveva fatto, nonostante fosse furiosa.
Un Boy Scout di mia
conoscenza m'ha fatto notare che per certe cose ci vogliono un
tribunale e magari anche delle prove.
E adesso aveva sparato a sangue freddo all’uomo che suo
fratello
aveva dato la vita per incastrare, quello che più di tutti
meritava di finire in un’aula
tribunale… e proprio mentre lo stava arrestando.
– Quel… quel che andava fatto? –
ansimò,
mosse un passo verso di lei – Quel che andava fatto?! Ma ti
rendi
conto...?
Gli mancarono le parole. Urlò di rabbia e frustrazione.
– Sei tu che non ti rendi conto, Shizuo...
– Non chiamarmi Shizuo, maledetta serpe! – le
andò
incontro a passo di carica, i pugni serrati, i denti stretti
–
Credevo che fossi una brava persona, nonostante tutto, credevo di
potermi fidare di te...
Qualcuno lo afferrò per un braccio. Si liberò con
uno strattone.
– E invece sei tale e quale a Thorn, anzi, peggio!
Sylviana trasalì, lo guardò a occhi spalancati, aprì la bocca per dire qualcosa e la richiuse subito.
– Un’assassina, egoista, bugiarda… a cui
non frega niente di nessuno!
Marina gli si mise davanti e gli poggiò le mani sul petto
per trattenerlo.
– Aspetta! Calmati, Ishikura!
La prese per le spalle e la spinse via.
– Dovevi vendicarti a tutti i costi, vero? – stese
la mano
verso Sylviana. Un passo ancora e l’avrebbe afferrata
– E
al diavolo se Minoru è morto per mandare quel bastardo in
galera, chi se ne frega di quell’idiota di Shizuo, chi se ne
frega della giustizia! “Sono solo parole”, per te, è tutto una recita!
Sylviana gli tirò qualcosa addosso.
Ishikura si fermò di riflesso e
l’afferrò a pochi
centimetri dal suo naso: qualcosa di piccolo e duro, freddo al tatto.
Qualcuno lo abbrancò da sotto le ascelle e
lo tirò indietro.
Lottò per liberarsi, ma quella persona aveva una presa
d’acciaio e gambe solide come colonne di marmo. Sylviana lo
guardò dritto negli occhi.
– Pensa quel che ti pare – gli voltò le
spalle – Io qui ho finito.
Premette il pulsante d’apertura e sparì oltre la
porta, in un mare di facce incuriosite.
La persona che lo aveva trattenuto lo lasciò andare. Era il
Capitano Zero.
– Se fossi in te le correrei dietro, Ishikura.
– Sì. Per arrestarla.
Sbuffò. Non aveva alcuna voglia di farlo.
Non voleva vederla. Non voleva parlarle. Non era certo di cosa le
avrebbe fatto se se la fosse trovata di nuovo davanti.
– Io darei retta al tuo Capitano, ragazzo – Harlock
girò attorno alla scrivania e si piegò accanto
alla
poltrona di Chīsanahito – E le chiederei scusa, visto che probabilmente ti ha salvato la vita.
Si tirò su. In mano reggeva una pistola con la sicura
disinserita. Una pistola carica.
Ishikura trasalì. Il suo stomaco si contrasse ancora e
ancora.
– Quando… – ansimò, il cuore
che gli pulsava nelle tempie – Come…
Daiba s'avvicinò ad Harlock e sfilò
dalla scrivania un cassetto dalle dimensioni d’un astuccio.
– C’è uno scomparto segreto proprio qui.
Anch’io ci tenevo la pistola, ma non pensavo che Chīsanahito
ne
avesse una.
Nemmeno Ishikura. Anzi, aveva dato per scontato che un tipo del genere
non sapesse nemmeno da che parte s’impugnasse
un’arma.
Tetsuro s’avvicinò al Capitano Zero.
– L’ha presa quando l’hai lasciato
andare, Shizuo
– gli strinse la spalla e sospirò –
Stavo per
sparargli anch’io, ma Sylviana m’ha preceduto.
Il Capitano annuì.
– È la prima volta che la vedo estrarre prima di
me o Harlock. E non credevo che avesse una mira così precisa.
– Può dirlo forte, Capitano! – il
Dottore
trangugiò un sorso dalla sua fiaschetta –
L’ha
beccato proprio fra la clavicola e la prima costa, e senza scalfire i
nervi e la succlavia!
Ishikura deglutì.
– Non l’ha…
– Macché! – il Dottore rise –
Gli ha fatto un
bel buco tra il deltoide e il pettorale, ma niente che non si possa
sistemare con qualche punto. È svenuto dalla paura, direi.
E lui si sentiva svenire dal sollievo.
– Comunque, ha esagerato – si mise a camminare avanti e indietro, nel disperato tentativo di rimanere arrabbiato e
ricacciare indietro il senso di colpa che già
s’affacciava in un
angolo remoto della sua mente – C’era proprio
bisogno di
sparargli al petto? Magari non avrebbe premuto il grilletto. O non avrebbe preso nessuno. E poteva anche parlar chiaro! “Quel che
andava fatto, Shizuo”… Ma che cavolo! Mica posso
leggerle
nel pensiero!
Marina gli si piantò di fronte a gambe larghe, lo
agguantò per il bavero della giacca e gli mollò
un sonoro
schiaffone.
– Sei un idiota, Ishikura! – lo lasciò
andare, le
spalle che tremavano – Non t’hanno insegnato, in
Accademia,
quanto sono pericolosi i principianti spaventati con un’arma in mano? Bé, quello era nel panico più
totale, e
tu gli stavi proprio davanti!
Ishikura la guardò a bocca aperta.
– Anch’io gli avrei sparato, se ne avessi avuto il
tempo materiale … e pur d’impedire che
t’ammazzasse, anche
solo per sbaglio, avrei mirato alla
testa, e al diavolo l’arresto, il processo e
tutto il resto! La vita di un mio compagno è molto più importante!
Una lacrima le scese sulla guancia. Il Capitano le cinse le spalle.
Yuki Kei le porse un fazzoletto.
– Lo sa perché Sylviana è riuscita a
sparare prima di tutti noi, Signor Ishikura?
Ishikura le fece cenno di no col capo, un nodo che gli serrava la gola.
La sua rabbia era già svanita, le sue gambe volevano seguire
il
consiglio del Capitano e di Harlock ma rimanevano lo stesso inchiodate
lì, pesanti come piombo. Quanto alla sua testa, era un caos
di
rabbia, ansia, rimorso e qualcos’altro che non sapeva
definire.
– Perché da quando siamo entrati ha tenuto gli occhi sempre puntati su lei e Chīsanahito e non ha mai staccato la mano dalla fondina. Quando lui ha
tirato fuori
la pistola, lei aveva già preso la mira da un pezzo.
Marina annuì.
– Ha pensato non solo a proteggerti, ma anche a fare in modo
che
il Ministro arrivasse vivo al processo, proprio come voleva tuo
fratello. Per tutto il tempo. E tu… tu le hai detto che non le importa niente di
nessuno, che è uguale a Thorn, che sa solo fingere
di provare dei sentimenti! Come hai
potuto?!
– Io – ansimò – Mi
dispiace…
Marina indicò la porta.
– Dillo a lei, non a me, razza di idiota!
Le sue gambe si sbloccarono. La sua mano premette il pulsante
d’apertura. Si tuffò nella folla assiepata nel
corridoio,
sgomitando per aprirsi un varco, pestando piedi, ignorando domande e
proteste. Nella hall, premette il tasto di chiamata di tutti e
sei gli ascensori. Più volte.
Quanto cavolo ci
mettono? Sono tutti guasti? Al diavolo!
Imboccò le scale. Perché diamine li facevano
così
alti e immensi, quei dannati edifici? E poi, Sylviana era tipo da
uscire dall’ingresso principale?
No, certo che no.
Si bloccò a metà della quarta rampa, la
risalì e
corse verso le prime scale antincendio di cui trovò
l’indicazione. Si diede dell’imbecille:
già che
c’era, avrebbe potuto scendere ancora un piano. Avrebbe perso
la
metà del tempo e si sarebbe stancato meno.
Spalancò la
porta con una spallata e l’allarme antintrusione
scattò.
Chi se ne frega!
La scala era deserta, la strada piena di gente su tutti i lati. Una
folla di curiosi s’assiepava attorno all’ingresso
principale presidiato da Grenadier con la sua squadra e un altro
nutrito gruppetto era accalcato proprio lì sotto, tenuto a
distanza da una delle tre squadre di supporto capitanate da Kaibara,
Nohara ed Eluder. Non riusciva a vedere il retro e nemmeno
l’estremità opposta dell’edificio, ma
là
c’erano le altre uscite.
Scese i gradini a due a due, il petto che gli faceva male, le cosce in
fiamme, i polpacci di gelatina. Arrivato in fondo alla rampa,
mancò il gradino e inciampò.
– Ishikura, ma che ci fai qui? – la voce di Eluder,
il suo
braccio metallico attorno al polso – Non dovresti essere...
– Sylviana – ansimò, la gola un inferno
di fuoco, le
tempie che pulsavano al ritmo del battito cardiaco. Si rimise in piedi
e si guardò attorno – Hai... per caso…
visto
Sylviana?
Eluder scosse il capo.
– Di qui non è passata –
inclinò la testa di lato – Ishikura, ma che hai
fatto?
– Devo trovarla – si diresse verso il cordone di
uomini – Trattienila, se la vedi! E chiamami!
– Usa la radio, no? – la sua voce lo raggiunse
mentre
già sgomitava fra la folla – Chiama Grenadier,
Nohara e
Kaibara alle altre uscite!
Ishikura avrebbe voluto prendersi a schiaffi.
Era quello che avrebbe dovuto fare fin da subito.
Tirò fuori la radio dalla tasca e
s’incamminò verso
l’entrata principale con tutti i sensi allerta. Intorno a
lui,
solo volti sconosciuti.
– Sylviana? Certo che l’ho vista – la
voce di
Grenadier era appena percettibile tra gli strepiti di sottofondo
– È uscita una decina di minuti fa, senza manco dirmi “crepa”. Che hai
combinato,
Rompiscatole? Stavolta mi sa che non ti basterà farle la
manicure…
Ishikura chiuse la comunicazione e si fermò. No. Non sarebbe
bastato.
Io qui ho finito.
La sirena di un’ambulanza lacerò l’aria.
Qualcuno lo
urtò, qualcun altro lo spinse di lato senza troppe
cerimonie.
Camioncini di troupe televisive stavano già manovrando
avanti e
indietro nel piazzale e la folla di curiosi migrò verso le
luci
della ribalta come falene attratte dal fuoco.
Tutti urlavano, tutti scattavano foto e filmavano, nessuno si
preoccupava di non stare tra i piedi ai suoi commilitoni e ai soccorritori.
E nessuno faceva caso a lui.
Accarezzò l’idea di tornare sui suoi passi,
svoltare
l’angolo e fare un giro dell’edifico, magari anche
dell’intero isolato. La scartò subito.
Sylviana era una spia addestrata e di sicuro sapeva come far perdere le sue tracce. In
una città come Megalopolis, poi, doveva essere un gioco da
ragazzi.
Si guardò le mani e si rese conto che nella destra stringeva
ancora l’oggetto che lei gli aveva lanciato contro per
fermare la
sua carica.
Aprì le dita. Sul suo palmo, i due anelli che Sylviana aveva
comprato quella fredda mattina di fine ottobre scintillarono sotto i
raggi d’un sole smorto, legati al loro nastro bianco ormai
tutto
sgualcito. Li tirò su e li rigirò fra il pollice e l’indice della mano sinistra.
All’interno di ognuno, qualcuno aveva inciso la scritta “S.
&
S.”. Nella stessa grafia, un bigliettino tutto accartocciato
e molliccio di sudore recitava: “A perenne ricordo
della nostra missione. L’altra S. – P.S: Non farti
idee
strane!”.
Alzò gli occhi al cielo percorso da nuvole grigie, proprio
come
quel giorno. Una folata gelida lo investì e gli sembrò
di
sentire la sua risatina sommessa, le sue braccia che gli cingevano la vita sotto
il cappotto.
Come spia e come attore
fai davvero schifo. Ma forse...
Sospirò, strinse fra le dita gli anelli e se li fece
scivolare in tasca.
Ti sbagliavi, Sylviana.
Sono proprio senza speranza.
S’incamminò verso l’ingresso del
palazzo.
Fra poco, Grenadier avrebbe iniziato a menar le mani per
l’esasperazione, qualcuno doveva pensare a far sgomberare la
via
per l'ambulanza e i cellulari, disporre un cordone di sicurezza, dirigere il trasporto… e al ritorno sulla Karyu,
l'avrebbero aspettato una sfilza di rapporti da leggere, scrivere e catalogare da far invidia alle pile di lavoro arretrato nello studio di Daiba. Chissà se al Dottore era avanzato un goccio di quel suo torcibudella... ne aveva davvero bisogno.
* L'ICD è un piccolo defibrillatore che viene alloggiato
nella
parte sinistra del torace e collegato al cuore tramite degli
elettrocateteri. Non appena il cuore varia in maniera anomala il
proprio battito, registra la variazione ed emette una scarica elettrica
correttiva, volta a ripristinare la normale frequenza cardiaca.
Penultimo
capitolo... non ci posso credere! Sempre che non debba scappare in
Alaska ora che l'identità del misterioso, temibile
(...) Odhrán
è stata svelata. Alla
prossima!
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Disclaimer:
fanfic basata sul mondo ed i personaggi di "Capitan Harlock" (Uchu
kaizoku Kyaputen Harokku" e "Cosmo Warrior Zero" (Kosumo Woria Zero),
creati da e © Leiji Matsumoto.
Tutti
i diritti per questi personaggi sono ©
Leiji Matsumoto, Toei
Animation, Enoki Fims e probabilmente un mucchio di altra gente.
Il
loro utilizzo in questa storia non implica appoggio, approvazione o
permesso da parte loro.
Siccome
questa storia è stata pensata e scritta da una fan per altri
fan, prego di non plagiarla, di citarmi come autrice in caso di
pubblicazione altrove e di non ridistribuirla a pagamento. Grazie!
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