capitolo
11 – Pomeriggi Assolati
Katherine
trascina Pitch in giro per le vie del paese, in un freddo ma assolato
pomeriggio, alla ricerca del negozio adatto in cui poter trovare
qualcosa che vada bene per lui.
A
un tratto, però, si sente strattonare scompostamente
indietro e ha a
mala pena il tempo di voltarsi, per poter capire cosa succede, prima
di vedere Pitch appoggiarsi con la mano libera al muro più
vicino.
«Stai
male?» si allarma Katherine.
«Stavo
meglio prima» sibila Pitch, mentre tenta di rimettere a fuoco
la via
che stavano percorrendo giusto un attimo prima.
Ha
bisogno di ombra e, possibilmente, di silenzio. Invece si trova in
pieno centro paese, nel bel mezzo di un maledetto e assolato
pomeriggio di chiacchiere e shopping. Per di più ha
seriamente corso
il rischio, più e più volte, di vedersi passare
attraverso
marmocchi allo sbando e animali domestici di varia natura. Uno
stress, insomma.
«Pitch?»
la voce di Katherine è insicura e visibilmente preoccupata.
“Devo
proprio avere un aspetto orrendo” riflette Pitch. Digrigna i
denti
e serra con forza gli occhi, nella vana speranza di isolare, almeno
in parte, sé stesso dal resto del mondo. Fatica inutile.
«Mi
serve… un po’ di ombra» mormora con voce
tremante.
Katherine
spalanca gli occhi verdi, consapevole, e in fretta si guarda intorno,
individuando infine un piccolo portico che conduce a un modesto
cortile interno. Non è molto ma, per il momento, si augura
possa
bastare.
«Vieni.
Non è lontano, ti ci accompagno io» assicura,
sperando di risultare
tranquillizzante.
Questa
volta la stretta sulla sua mano vuole solo essere di conforto e la
piccola Katherine si limita a rimanere al suo fianco e a guidarlo
nella direzione giusta. Niente corse frenetiche né strilli
eccitati,
grazie al cielo.
Pitch
avanza lentamente, senza perdere il contatto della mano libera con i
muri delle case che li attorniano, e quando giunge infine oltre
l’arco del portico indicato da Katherine, sospira grato. Una
manciata di passi dopo si stende al fianco di un’aiuola
sempreverde
e lascia che le palpebre scivolino pesantemente verso il basso.
Non
trascorre molto tempo, prima che Pitch avverta qualcosa di caldo
contro il suo petto. Poco dopo può sentire ancora una volta
l’odore
di caramelle di cui era impregnata la sciarpa rossa, prima che la
indossasse lui. È Katherine, che ha evidentemente deciso di
fargli
compagnia anche durante un necessario riposo.
«Scusa.
Non avevo capito» ammette Katherine, dispiaciuta.
«La
cosa non mi sorprende affatto» risponde Pitch, senza neppure
troppa
convinzione.
Si
scosta incerta, riflettendo un momento prima di rimettersi in piedi.
Lui ora la sta osservando quasi con curiosità.
«Torno
subito» lo rassicura.
«Come
vuoi» replica Pitch, con il suo solito tono apparentemente
disinteressato.
Katherine
sorride alle sue parole e, prima di allontanarsi sul serio, si china
appena un poco su di lui. «Torno subito per
davvero».
Poi corre via, alla velocità di un uragano.
Pitch
sta ancora osservando stancamente il punto in cui la bambina
è
scomparsa, inghiottita dalla gente intenta a fare compere. Si
domanda, non per la prima volta, che cosa ci faccia ancora
lì.
Certo, al momento non crede affatto di poter fare anche solo un altro
passo verso qualsivoglia direzione. Tuttavia, prima che la piccola
peste lo trascinasse in quella specie di inferno di colori e di suoni
assordanti, avrebbe potuto benissimo cogliere l’occasione per
darsela
a gambe…
cioè, per allontanarsi elegantemente alla volta di qualche
luogo più
ameno e ospitale.
Invece
è rimasto, e ha permesso a quel piccolo demonio delle
caramelle di
trascinarlo letteralmente con sé, in un’insensata
quanto inutile
spedizione alla ricerca di solo il cielo sa cosa. Perché?
È una
domanda che continua insistentemente a riproporsi, da ben due giorni
ormai, e alla quale ancora non sa dare risposte soddisfacenti.
E
a proposito di ciò che torna: Katherine fa nuovamente la sua
comparsa sulla soglia del portico che lo ha gentilmente ospitato, e
sbandiera allegramente ai quattro venti uno dei suoi sorrisi
smaglianti e vergognosamente soddisfatti. Di cosa, esattamente, non
gli è dato saperlo (per ora).
Solo
quando lo raggiunge e si accuccia al suo fianco, Pitch nota che
Katherine sta letteralmente tremando di eccitazione e, in quel
momento, ringrazia chiunque lo abbia messo su quella terra di non
poter leggere le emozioni positive o a quel punto, in compagnia di
quella bambina, gli sarebbe già scoppiata la testa da un bel
pezzo.
«Ti
ho portato una cosa!» esulta Katherine, in preda alla
frenesia del
momento.
Pitch
solleva gli occhi al cielo e, rassegnato all’inevitabile,
chiede
«Ovvero?» già sospettando di doversene
pentire in un futuro
nemmeno troppo remoto.
«Tadan!»
esclama teatralmente lei, piazzando davanti al visto attonito di
Pitch un grosso contenitore, vagamente cilindrico e coperto da un
tappo dalla forma bizzarra.
«Mh»
commenta Pitch, per nulla impressionato. «E
sarebbe?» indaga.
Katherine
sbatte le palpebre confusa, forse non aspettandosi quel
tipo di reazione.
«Non
lo sai?» chiede incerta.
«Evidentemente»
strascica Pitch, quanto mai seccato dalla scarsa considerazione alle
sue semplici domande.
Invece
di rispondere a parole, Katherine afferra nuovamente, ma con
gentilezza, la sua mano e la guida a stringere l’oggetto
sconosciuto.
Nel
momento in cui le dita gelate di Pitch vi si poggiano, i suoi occhi
dorati si sgranano e un piccolo sobbalzo di sorpresa scuote il suo
corpo.
Katherine,
invece, sorride soddisfatta, osservando il modo in cui lui sporge
anche l’altra mano ad avvolgere il contenitore del mistero in
cerca
del suo inatteso calore.
«Visto?
Cioccolata calda! Non è proprio come quella della nonna,
ma…».
Altro
però non riesce a dire, Katherine, folgorata nel bel mezzo
del suo
sproloquio da qualcosa che, fino a un istante prima, viveva solo
nella sua fantasia: Pitch sorride. Ok, non proprio come lo fa di
solito lei, ma quello che Katherine può vedere è
certamente un
sorriso; deve proprio esserlo! Anche se le sue labbra sono
praticamente viola e solo un angolo è sollevato
all’insù. Oh, ma
che importanza ha?! Pitch sorride: questa è
l’unica vera
cosa importante.
“Era
solo un sorriso, niente di più. Una piccola cosa. Una
fogliolina in
un bosco che trema al battito d'ali di un uccello
spaventato.” (Il
cacciatore di aquiloni – film)
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“I
colori, i suoni, gli sguardi raccontano il nostro tragitto. Un colore
mi può incantare, uno sguardo mi può far
innamorare, un sorriso mi
fa sperare.” (Monica Vitti)
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