Capitolo
Quattordici
«Erwan».
Il
rientro del demone bianco fu accolto dalla soffice voce di Arjentael
e dal suo sorriso felice.
«Ehi»,
sospirò Erwan, andandogli incontro. «Ciao, come ti
senti?», chiese
subito, apprensivo come sempre, facendo ridacchiare il demone blu.
«Molto
meglio», lo tranquillizzò, poi si
allungò appena e posò su di lui
un piccolo bacio a fior di labbra, inspirando il suo piacevole odore
e accarezzandogli il collo. «Grazie»,
mormorò al suo orecchio,
appoggiando il capo sulla sua spalla.
«Di
nulla», offrì Erwan, stringendo piano il corpo del
compagno a sé,
così piacevolmente caldo rispetto al giorno precedente.
«Mi sei
mancato», bisbigliò con voce traballante.
Arjentael
ricambiò l’abbraccio, sospirando al contempo
appagato e colpevole.
«Lo so. Scusa se non ho pensato a informarti. Non immaginavo
affatto
che finisse così», ammise.
Erwan
si scostò appena da lui, il necessario per poterlo guardare
negli
occhi. «Allora a che cosa pensavi?».
Il
demone blu arrossì e nascose un momento il volto sul collo
del
compagno. Solo allora borbottò «Non pensavo per
nulla, temo»,
provocando un risolino isterico da parte dell’altro.
«Già,
tipico», sbuffò contrariato, senza tuttavia
staccarsi
dall’abbraccio.
«Sei
molto arrabbiato?», indagò cautamente Arjentael.
Trascorse
un lungo momento di silenzio –
silenzio che Arjentael sentì scorrersi addosso e pesargli
quasi a
soffocarlo – prima che un qualunque tipo di risposta venisse
pronunciata; poi il corpo di Erwan tremò sgomento.
«No,
Ary…», gracchiò con voce instabile,
«Non sono molto
arrabbiato». Inspirò, tentando di farsi forza e
trovare le parole
giuste, ma non fu per nulla facile. «Io… Ho
creduto di averti
perso. Per un momento –
un momento maledettamente lungo – ho pensato che non sarei
mai
riuscito ad andare avanti, senza di te, e ho avuto paura…Ho
avuto
paura di rimanere da solo, ho avuto paura del resto della mia vita e
del fatto che… non avrei saputo che cosa farne»,
ammise.
«Mi
dispiace»,
soffiò Arjentael, stringendo le dita sulla casacca che
ricopriva la
schiena del compagno.
«Ho
bisogno di sapere»,
ansimò Erwan, troppo sconvolto e agitato per avere la forza
di
ragionare lucidamente. «Ho
bisogno di capire»,
quasi implorò.
«Lo
so»,
annuì Arjentael.
Ma
era confuso e il compagno, pur non possedendo capacità
medianiche di
quel tipo, lo avvertì distintamente e ammorbidì
la stretta delle
sue braccia, accarezzandogli dolcemente i capelli e la schiena.
Di
nuovo il demone blu annuì, questa volta più con
l’intento di
rassicurare sé stesso che per altro.
«Usciamo»,
propose d’un tratto, confondendo il compagno.
«Ary,
fuori fa molto freddo»,
provò a farlo ragionare Erwan, «E
tu ti sei appena ripreso. Non credo che sia una buona idea»,
argomentò.
«Mi
coprirò bene»,
promise Arjentael, «Se
vuoi, mi metterò anche la sciarpa»,
assicurò, con la speranza di convincere il compagno delle
sue buone
intenzioni.
Erwan,
benché stranito, lo scrutò attentamente negli
occhi blu –
rischiando di perdercisi e di non fare mai più ritorno
– e vi
lesse tutto il suo bisogno. Anche se non riuscì a
comprenderne il
motivo, comunque decise di accontentarlo.
«Va
bene»,
decretò, «Ma
andrò a prenderti un mantello caldo»,
impose stoico, nonostante l’occhiata esasperata di Ary, «E
anche dei guanti»,
rincarò.
Si
impuntò così tanto, senza voler sentire ragioni,
che alla fine
Arjentael, più per disperazione che altro, soffiò
un «D’accordo»
rassegnato e si preparò ad attendere pazientemente il suo
ritorno,
accoccolato comodamente sul divano.
~
~ ~ ~ ~ ~ ~ ~
Arjentael,
ben coperto da un caldo mantello di pesante lana blu notte abbellita
da sottili ricami argentati – e dai guanti, e perfino da una
sciarpa –, procedeva sul sentiero a passi lenti e pensosi.
Rifletteva su quanto accaduto il giorno precedente, ma non era ancora
riuscito a trovare una vera risposta, seppur avesse numerose ipotesi
in proposito.
«Hai
incontrato la donna umana?»,
esordì d’un tratto, prendendo il compagno al suo
fianco alla
sprovvista.
«Sì,
ho incontrato lei – Isabeau – e anche Zaynar»,
assicurò Erwan.
Il
demone blu sgranò gli occhi, sorpreso. «Dunque,
era lui davvero», pensò,
esprimendo tale pensiero a voce alta.
«Sì,
era lui». Erwan si fermò un momento, costringendo
il compagno a
fare altrettanto. «Ary, perché Zaynar ti ha
attaccato», pretese a
quel punto di sapere, anche se in qualche modo la risposta lo
intimoriva.
«Io…»,
gracchiò Arjentael, con poche idee per la mente, una
peggiore
dell’altra. Si passò una mano fra i capelli
scompigliati,
incasinandoli ancora di più. «È
difficile da spiegare», ammise,
«È difficile perfino da pensare, a dire il
vero».
Ripresero
a camminare e Arjentael provò a raccontare al compagno i
fatti del
giorno precedente, confidandogli la propria confusione durante
l’incontro con Isabeau, i pensieri contrastanti e i dubbi che
lo
avevano afferrato durante quel pomeriggio. Poi gli raccontò
di ciò
che aveva provato nel momento in cui aveva scoperto che Zaynar era il
misterioso visitatore della donna e che lei conosceva non solamente
l’atrox, ma perfino Lothyan e parte del suo passato.
«Com’è
possibile?!», sbottò a quel punto Erwan.
Arjentael
sorrise teneramente all’irruenza del compagno.
«È esattamente
quello che mi sono domandato anche io. Ho perfino ipotizzato che lei
fosse a conoscenza di dove possa trovarsi ora Lothyan. Ma onestamente
non sembrava molto più informata di noi»,
sospirò. Si sentiva un
po’ stanco, ma volle comunque portare a termine quella
chiarificazione, in qualche modo. «Io… Temo di
aver perduto la
testa, a un certo punto: troppe informazioni inaspettate, tutte
assieme, e boh… Mi sa che il mio cervello è
andato un momento in
tilt», scherzò, anche se quello che aveva appena
ammesso non aveva
certo portato a nulla di buono.
«Già,
beh, è stata una mossa piuttosto pericolosa, ma in fondo ti
capisco.
Dubito che avrei reagito in un modo migliore al tuo posto»,
dovette
concedergli Erwan.
«È
un periodo un po’ stressante», convenne Arjentael,
mordendosi le
labbra nervosamente, mentre un nuovo pensiero, non propriamente
sereno, si faceva strada nella sua mente. «Credi che dovremmo
tornare da loro, vero?».
Erwan
comprese al volo il significato di quelle parole e, cauto,
annuì.
«Temo di sì».
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