9
CRESCERE
Dopo
una nottata
passata a giocare e divertirsi, maestro ed allievi erano in casa a
riposare.
Keros non era stanco, e giocava sul pavimento con una trottola, ma
Nasfer si
era addormentato fra le braccia del padre. Alla fine, anche
l’adulto aveva
ceduto alla stanchezza ed aveva chiuso gli occhi. Il mezzodemone
cercava di non
fare rumore, per non disturbare. La casa era piccola ed un
po’ disastrata, ogni
movimento produceva scricchiolii e strani suoni inquietanti, ed
iniziava a
farsi sentire il freddo. Avvolto in una piccola coperta, Keros vide
passare in
strada tre individui. Per un umano qualsiasi sarebbero sembrati
semplici
stranieri di passaggio, ma il piccolo vedeva chiaramente le loro ali.
Angeli?
Cosa ci facevano tre angeli in giro per la città?
Chiamò sottovoce il suo
maestro ma poi decise di non svegliarlo e di
“indagare” per conto suo. Aprì la
porta e raccolse una piuma variopinta da terra.
“Scusami…”
chiamò il bambino, senza mostrare alcun timore
“Questa è tua? L’hai persa?”.
Porse
la
piuma all’angelo al centro, che fissò il piccolo
con aria interrogativa.
“Come
mai
pensi che l’abbia persa io?” domandò la
creatura celeste, convinto di avere di
fronte un bambino umano.
“Perché
avete le ali di colore diverso e le tue sono fatte
così” si limitò a dire
Keros.
I
tre angeli
si lanciarono uno sguardo interrogativo. Un semplice umano non avrebbe
dovuto
vedere le ali sulle loro schiene, in quel momento.
“Come
ti
chiami, piccino?” chiese il primo angelo, con grandi ali
rossastre, chinandosi
un pochino “E da dove vieni? Dove sono la tua mamma ed il tuo
papà?”.
Keros
non
aveva voglia di rispondere. Continuò a porgere la piuma
all’angelo che l’aveva
persa e rimase in silenzio.
“Che
cosa
dici che sia?” sussurrò il terzo angelo, usando il
linguaggio del Paradiso.
“Non
sembra un
demone” gli rispose quello centrale “Forse
è un umano un po’… speciale”.
“Percepisco
un potere in lui” si unì il primo angelo
“Che però non riesco a comprendere”.
“Finitela
di
borbottare” si accigliò Keros “Non vi
capisco”.
“Scusaci”
gli sorrise il primo, con voce calda e gentile “Io mi chiamo
Camael. Qual è il
tuo nome?”.
“Keros”
si
arrese il bambino, ricordando gli insegnamenti del re riguardo
“all’essere
educati”. Certo che gli angeli erano davvero
insistenti…
“Piacere
di
conoscerti, Keros” si unì l’angelo al
centro “Sì, quella piuma l’ho persa io.
Ma non posso riattaccarla perciò puoi tenerla. Dicono che
porti fortuna…”.
“Grazie…”.
“Prego.
Sei
davvero un bravo bambino”.
Keros
rimase
perplesso nell’udire quelle parole. Lui un bravo bambino?
Detto da un angelo?
“La
tua
mamma sarà fiera di te” si aggiunse il terzo.
“Io
non ho
una mamma” rispose il piccolo “E nemmeno un
papà. Sono grande ormai”.
“Grande?”.
I
tre angeli
ricominciarono a borbottare fra loro. Quello centrale, dalle ali con
sfumature
verdi, sembrava preoccupato.
“Non
possiamo lasciarlo qui da solo” furono le sue parole
“Qualche demone potrebbe
approfittare. Siamo stati mandati qui proprio perché pare
che in questo
villaggio vi siano dei demoni!”.
“Hai
ragione” annuì Camael “Sempre che lui
non sia…”.
“Forse
dovremmo portarlo da Mihael. Lui riconosce le anime
malvagie…”.
Keros
comprese solamente “Mihael”, in mezzo a tutte
quelle frasi in angelico, e gli
bastò. Fece un passo indietro, sapendo quel che faceva
Mihael ai demoni.
“Vieni
con
noi” gli porse la mano l’angelo centrale
“Qui è pericoloso stare da soli”.
“Venire... Dove?”
alzò un sopracciglio il bambino.
“In
un bel
posto. Se la tua mamma è morta, possiamo andare a cercarla
insieme”.
“La
mia
mamma?”.
Per
qualche
istante, il piccolo fu quasi convinto. Mosse qualche passo verso gli
angeli ma
una voce familiare lo bloccò.
“Keros!”
gridò Alukah “Allontanati da loro!”.
Il
bambino
si guardò attorno, indeciso. Il maestro chiamò
l’allievo con più insistenza.
“Alukah!”
lo
riconobbe l’angelo centrale “Dunque sei tu il
demone che ci hanno segnalato.
Questo piccolino è tuo figlio?”.
“No,
Remiel.
Mi è stato affidato dal re in persona, affinché
gli insegni a sopravvivere come
demone vampiro. Prova un po’ ad immaginare che fine farebbero
le tue belle
penne se provassi a torcergli anche solo un capello”.
“Non
pensavo
fosse un demone” si fece serio l’angelo
“In lui percepisco qualcosa di… strano”.
“Fai
pure
tutte le concezioni che vuoi” ghignò il demone
vampiro.
Camael
fissò
i suoi due fratelli angeli ed i tre ebbero lo stesso pensiero, nello
stesso
istante. Il re in persona aveva affidato quel piccolo? Che
fosse… il figlio del Diavolo?
L’erede del loro fratello maggiore? Una simile evenienza
metteva i brividi ed
era meglio avvisare le alte sfere. Alukah intuì le loro idee
e si affrettò a
tirare Keros a sé. Non erano degli angeli soldato ma
preferiva non arrivare allo
scontro diretto.
“Sparite,
angeli” cercò ti intimorirli “O
sarò costretto a chiamare altri come me”.
Non
era in
grado di farlo, non in fretta, ma cercava di intimorire gli abitanti
del
Paradiso. I tre angeli parlottarono ancora fra loro e poi si
allontanarono.
Keros stringeva ancora fra le mani la piuma di Remiel ed il maestro gli
lanciò
un’occhiata molto poco rassicurante.
“Devi
stare
più attento” lo sgridò “Sei
ancora molto piccolo”.
“Ma
hanno
detto che mi mostravano la mamma…”
tentò di giustificarsi il bambino.
“Se
tu fossi
un umano, con madre umana, sarebbe possibile per gli angeli mostrarti
la sua
anima. Ma lei era una demone. Quelli come noi non hanno
un’anima. Quando
moriamo, ci dissolviamo. Gli angeli diventano luce mentre noialtri
diveniamo
polvere e svaniamo. Non avrebbero mai potuto mostrarti tua
madre”.
Keros
rimase
in silenzio. Guardò la grande piuma colorata e decise di
tenerla con sé, con
aria pensierosa.
“Informa
il
re di quanto successo, quando rientrerai a palazzo” riprese
Alukah
“Probabilmente ci dobbiamo spostare. Oppure procedere con il
tuo esame con un
certo anticipo, così da permetterti di tornare negli Inferi
in sicurezza”.
Il
piccolo annuì.
Voleva fare tante domande, come ad esempio perché angeli e
demoni erano sempre
in guerra fra loro, ma il suo maestro non aveva l’aria di
voler discutere.
Le
regole
erano semplici: nel palazzo reale, Keros doveva indossare un piccolo
campanellino. Trovava quel suono piacevole, quindi non fu un problema.
Con un
tintinnio lieve, il bambino camminava lungo i corridoi, diretto verso
le stanze
del re. Le guardie lo informarono che non si trovava lì e
che doveva cercarlo
altrove. Lui però insistette ed entrò nella
camera, apparentemente vuota. In
realtà, ormai lo aveva imparato, quando Lucifero non voleva
essere disturbato
sapeva bene come nascondersi. Keros raggiunse il letto e vi
salì, per poi
guardare verso l’alto. Il demone, nel buio, era appollaiato
fra le travi del
tetto, perfettamente incastrato in un punto praticamente impossibile da
individuare, tutto appallottolato nelle ali. Sorridendo, il bambino
tolse le
scarpe e si arrampicò a sua volta, sfruttando i piccoli
artigli che aveva ai
piedi. Sapeva perfettamente che il re era sveglio e consapevole della
sua
presenza, ma lo ignorava. Così, irritante come solo un
bambino testardo può
essere, Keros iniziò a stuzzicarlo con una mano,
punzecchiandogli le ali e
chiamandolo per nome.
“Lucy!”
ripeteva, con insistenza, sapendo perfettamente che il re odiava essere
chiamato così.
Alla
fine,
il demone si arrese e socchiuse le ali con un sospiro.
“Ciao”
sorrise Keros.
“Ma
perché
sei così testardo?” mormorò Lucifero,
sbadigliando.
“Mi
hai
detto tu che non devo mai arrendermi quando voglio una cosa”.
“Questo
non
includeva piallarmi le palle tutto il giorno…”.
“Esagerato.
Volevo
dirti che stasera proverò a catturare il mio primo pasto da
solo, senza l’aiuto
dell’arconte Alukah”.
“Hai
già
terminato l’addestramento?!”.
“Non
so. Il
mio maestro dice che sono pronto…”.
Il
re si
voltò verso il bambino, appeso a testa in giù al
suo fianco. Non erano
trascorsi ancora due secoli da quel primo giorno di insegnamento nel
mondo
umano, ma forse erano stati sufficienti. Si fidava del giudizio di
Alukah,
doveva essere così. Come passava in fretta il
tempo…
“Perché
mi
fissi così?” domandò il bambino,
ridendo.
“Niente.
È
che pensavo che sei cresciuto. Quanti anni hai adesso?”.
“Quattrocentoventuno”.
Il
re annuì,
pensieroso. Corrispondeva ad un bambino di circa otto anni.
“Se
passo
l’addestramento… cosa mi regali?”
ricominciò a parlare Keros, dopo un po’.
“Ah,
ecco
perché sei venuto a rompermi i coglioni! Che cosa
vuoi?”.
“Io… Voglio
un cucciolo”.
“Un
cucciolo?!”.
“Sì.
Uno di
quelli grandi con le ali con cui ti muovi per
l’Inferno”.
Lucifero
tirò un sospiro di sollievo. Per un attimo aveva temuto di
sentirsi chiedere un
tenero cagnolino o qualcosa di simile. Per fortuna il piccolo chiedeva
di poter
allevare una creatura simile ad un drago, molto richiesta dai demoni
privi di
ali. Era una bestia impegnativa e difficile da gestire, ma era certo
che quel
testardo semidemone dai capelli per aria sarebbe stato in grado di
prendersene
cura.
“Se
l’Arconte Alukah mi dirà che sei stato bravo e che
l’addestramento è concluso,
allora avrai il tuo cucciolo. Te lo prometto. Ti prenderai cura di lui
fin
dall’uovo, una grossa responsabilità che
però tu, che stai diventando grande,
sarai in grado di prenderti sulle spalle”.
Keros
annuì,
con un sorriso raggiante. Poi si lasciò cadere e
finì al centro del letto,
rimbalzando felice.
“Vado
a
prepararmi. Ciao!” spiegò, saltando giù
“Non dirò alle guardie che sei lì,
promesso!”.
Il
bambino
non aveva raccontato al re tutta la faccenda degli angeli,
perché sapeva che si
sarebbe preoccupato per nulla. E poi voleva fare l’esame,
dimostrargli di
essere grande e pronto. Così tornò dal suo
maestro di corsa, con un sorriso
soddisfatto ed una piuma colorata nascosta nella manica.
“Che
cosa ha
detto il re?” volle sapere Nasfer.
Keros
fissò
il figlio del suo maestro, senza rispondere. Non voleva dire una bugia
a chi
considerava un suo amico! Raggirò la domanda ed
iniziò a parlare del cucciolo
che Lucifero gli avrebbe regalato.
L’esame
era
semplice: il bambino doveva procurarsi un pasto da solo, senza aiuto
del
maestro, rispettando tutte le regole e gli insegnamenti. Keros li aveva
ben in
mente, mentre calava la sera e si preparava, però voleva
anche dimostrare di
essere bravo, non solo “promuovibile”.
Iniziò a cercare una preda, senza
fretta. Sapeva che gli umani avevano un sapore migliore sotto i
trent’anni, poi
iniziavano ad “invecchiare” ed anche il loro sangue
ne risentiva. Sapeva inoltre
di dover evitare ubriaconi e consumatori di strane sostanze
perché rischiava di
assumere a sua volta tali sostanze.
Si
aggirò
per i quartieri “per bene” della città,
dove era più difficile passare
inosservati. Avrebbe dimostrato la sua bravura! Alukah non si sentiva
tranquillo. Osservava l’allievo da lontano e si guardava
attorno, temendo di
veder comparire di nuovo gli angeli che, in questo caso, sarebbero
intervenuti
perché il bambino avrebbe attaccato un umano. Come avrebbe
potuto giustificarsi
dinnanzi al re?
Per
fortuna,
non successe nulla di particolarmente rilevante durante
l’esame. Keros
individuò un giovane straniero e se ne nutrì,
dimostrando di essere del tutto
autonomo sotto quel punto di vista. Agì in modo impeccabile
e, come segno di
riconoscimento, donò il cuore della vittima al suo maestro.
Questi sorrise,
orgoglioso, e spinse il figlio a cercare di fare lo stesso. Nasfer,
piuttosto
affamato, iniziò a gironzolare in cerca di cibo, mentre un
messaggero era stato
inviato ad informare il re sul buon esito dell’esame.
“Nasfer?”
lo
chiamò Keros “Vuoi una mano?”.
Non
udendo
risposta, il piccolo mezzosangue si distrasse, iniziando ad osservare i
riflessi delle candele che si intravedevano nelle case ed il vociare di
qualche
umano ancora sveglio. Poi udì la voce del compagno di
allenamento, piuttosto
allarmata, e decise di raggiungerlo di corsa. Un angelo, emettendo una
forte
luce, si era frapposto fra Nasfer e la sua vittima. Il piccolo demone,
abbagliato, aveva lanciato un gemito di protesta. Keros non
esitò e corse
ancora, diretto verso la creatura del Paradiso.
“Lascia
stare il mio amico!” esclamò, tirando un calcio
alle gambe dell’angelo.
Questi
si
stupì molto di quel gesto e non trattenne un sorriso,
piuttosto tenero.
“Perché
non
avete fermato me?” continuò Keros “Vi
facevo vedere io! Che seccatori siete voi
angeli!”.
“Il
nostro
compito è proteggere le creature di Dio”
spiegò l’angelo, con voce dolce “Se tu
interferisci con l’esistenza di chi crede in qualcosa di
diverso, non è affar
nostro”.
“Andate
via!
Tutti gli angeli devono andare via e lasciarci in pace”
insistette il
sanguemisto.
“Sei
un
assassino!” si sentì rispondere, e sollevare da
terra.
Preso
in
braccio, Keros si ritrovò faccia a faccia con un secondo
angelo: Mihael. Il bambino
rimase in silenzio solo qualche istante e poi aprì la bocca,
mostrando i denti
da vampiro e lanciando dei versi con l’intento di risultare
minaccioso. In realtà,
otteneva l’effetto contrario ma l’espressione di
Mihael non mutava.
“Ancora
tu?”
si stupì l’Arcangelo “Sei il moccioso
che andava a spasso con Lucifero?”.
“Sì,
sono
sempre io. Mi devi una rana!” sibilò Keros,
cercando di mostrarsi cattivissimo.
“E
lui dov’è?
Si è stancato del suo nuovo giocattolo?”.
“Non
sono
affari tuoi. Mettimi giù!”.
Mihael
fissò
negli occhi il piccolo, cercando di scorgerne la vera natura.
“Sei
strano,
piccolo” commentò poi “Non sei del tutto
un demone”.
“Sono
un
vampiro” rispose Keros, ancora cercando di mordere
l’angelo.
“Potrei
esorcizzarti. La parte demoniaca svanirebbe e si mostrerebbe quel che
resta,
qualunque cosa sia”.
“Vai
ad
esorcizzare tua sorella, se ne hai una! Lasciami!”.
Keros
iniziò
a dimenarsi come un pazzo ma Mihael lo tenne stretto, anche quando il
bambino
riuscì a mordicchiarlo. Alukah, allarmato dalle grida del
figlio, giunse sul
posto ma fu costretto a rimanere immobile, perché
consapevole di non poter
competere con Mihael.
“È
solo un
cucciolo” cercò di dire.
“Che
un
giorno diverrà grande, grosso e pericoloso”
ribatté l’Arcangelo, con lo sguardo
che mutava colore ed iniziava a brillare.
Keros
lanciò
un gemito di protesta, cercando di non guardarlo negli occhi. La
creatura del Paradiso
iniziò a pronunciare parole complicate e il piccolo si
sentì a disagio. Serrò le
palpebre ma quelle parole lo stordivano.
“Lasciami!”
gemette, sentendo il desiderio di piangere e sforzandosi di non farlo.
Un
forte
scossone lo sorprese, si sentì lasciare andare e
ruzzolò a terra. Riaprendo gli
occhi, vide Lucifero che immobilizzava Mihael e lo fissava.
“Esorcizza
questo” mormorò il re, con un ringhio ben
più minaccioso di quelli di Keros.
Alukah
corse
a raggiungere Keros e lo trascinò via, nonostante le
proteste, e lo portò al
sicuro in casa assieme a Nasfer. Rimasero in silenzio,
intimò ai piccoli di non
parlare, ed attesero.
Nel
buio, dopo
qualche tempo, udirono dei passi. Alukah trattenne il respiro, cercando
di
nascondere se stesso ed i bambini nell’ombra. Keros
però si dimenò e fuggì via,
correndo verso quei passi.
“Lucy!”
gridò, lanciandosi fra le braccia del re.
“Il
mio
cucciolo” sorrise il demone “Stai bene,
vero?”.
“Sì”.
“Sei
stato
bravo. Ma ora dobbiamo andare a casa…”.
Alukah
si
inchinò leggermente dinnanzi al suo signore, notando che era
ferito in modo
lieve.
“Quell’Arcangelo
fa tanto lo spaccone ma alla fine non ha il coraggio di iniziare
l’Armageddon”
ghignò il re “Ed ora, Keros, saluta e
andiamo”.
“Tornerò
domani?” chiese il piccolo, ancora in braccio al demone.
“No,
cucciolo. Hai passato l’esame, il tuo addestramento
è concluso. Non è più
necessario che torni qui”.
“Ma… Io
voglio giocare”.
“All’Inferno
non puoi giocare?”.
“Sono
sempre
da solo…”.
Keros
non
aveva il coraggio di dire che Nasfer era sua amico, perché
il re più volte gli
aveva ripetuto che i demoni non hanno amici ma solo “compagni
di convenienza”.
“Adesso
andiamo a casa ed io manterrò la mia promessa: avrai il tuo
uovo. E poi è ora
di crescere ed iniziare nuovi percorsi”.
Il
bambino
girò il viso verso il maestro e Nasfer. Gli sorrise, anche
se non molto
convinto.
“Mi
verranno
a trovare?” chiese Keros, fissando il re.
“Certo.
Ma prima
Nasfer deve terminare l’addestramento”
annuì Alukah.
Non
volendo
prolungare troppo dei saluti per lui inutili, Lucifero si
affrettò a tornare
all’Inferno.
“Vicino
a te
mi rovino sempre i vestiti” sorrise al piccolo, notando che
la piccola zuffa
con il fratello minore aveva stracciato in qualche punto le stoffe che
indossava.
“E
il mio
uovo?” incalzò il bimbo.
“Appena
mi
diranno che una di quelle creature ha deposto le uova, andremo insieme
a
scegliere il tuo”.
“E
intanto
con chi gioco?”.
“Giocare
a
cosa?”.
“Non
so. Inseguirsi,
nascondino…”.
“Tutto
qui?
Prendimi, allora!”.
Keros
alzò
un sopracciglio, perplesso. Poi capì che cosa intendesse il
re e sorrise,
iniziando a correre per il corridoio. Era strano sentire delle risate
all’Inferno
ma in quel momento si sentirono forti e cristalline, prodotte da un
piccolo mezzodemone
con un campanellino alla caviglia.
Rieccomi!! Il primo capitolo che aggiungo
da quando è nata la bimba. Mi tiene impegnata ma piano piano
andrò avanti con
tutte le storie!!
|