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XXI. Ladri di baci
Il
vento notturno aveva sgombrato il cielo e la vista
dell’azzurro
terso instillò in Anna un effimero sollievo: finalmente,
dopo
giorni di nubi e bruma, l’alba era sorta assieme al trepido
sole
novembrino.
In quanto a Lily, si era imposta di mostrare coraggio ma la paura
riverberava in ogni gesto. Non riuscì neppure a riempire il
bollitore del tè senza rovesciare l’acqua sul
tavolo.
Anna tentò di rassicurarla rimarcando il loro vantaggio:
sapevano come recidere i fili che permettevano alla zia Woodhams di
dominare l’Ombra - e questo
la zia lo ignorava. Anna aveva
imparato da suo padre: concedere alla preda un falso senso di sicurezza
e lasciare che abbassasse la guardia erano armi preziose a disposizione
di qualsiasi cacciatore. «E fin quando non cala il sole
l’Ombra è inoffensiva.» Sedeva con le
mani,
visibilmente coperte di graffi, premute contro le ginocchia: la
stanchezza avanzava tortuosamente nel fisico, la mancanza di riposo
offuscava i pensieri, ma la volontà di contrattaccare
restava
salda. Questa volta non ci sarebbero state fughe, ripensamenti o spalle
voltate.
Così, alle otto in punto, Lily salì al piano
superiore
con il vassoio della colazione tra le mani - e la chiave della nursery
nel grembiule.
Nell’abbandonato salone da pranzo, Anna tenne
l’orecchio
teso mentre si adoperava con una scala a pioli per tirar giù
le
tende: era giorno di bucato.
Trascorsero cinque minuti.
La pendola nell’atrio ticchettava mesta.
Altri cinque minuti.
E ancora silenzio.
Anna vide Lily ai piedi della scala a pioli e dovette aggrapparsi alla
scala per evitare di trasalire: non l’aveva udita entrare.
«Potresti, per favore, fare rumore - uno qualsiasi - quando
entri in una stanza?»
La cameriera era, se possibile, ancor più pallida della
notte
precedente. «Vuole vederti» disse.
«Adesso.»
Anna si accigliò.
«Perché?»
«Non lo so. Mi ha solo detto di chiamarti.»
Anna scese dalla scala.
«La chiave?»
«Al suo posto. L’ho messa via prima di aprire le
tende. La
signora stava ancora dormendo ― credo. Spero! Oh, Dio...»
Anna strizzò l’avambraccio di Lily, un
po’ per
incoraggiamento e un po’ per comunicarle di esser fiera di
lei, e
si diresse fuori dal salone.
In capo a pochi secondi, sbucò in cima alla scala a
chiocciola,
constatando come il limpido chiarore del mattino rendesse il corridoio
un palco poco adatto a un’apparizione spettrale. La porta
della
camera della signora Woodhams era socchiusa. Anna bussò: due
tocchi lesti.
«Vieni avanti.»
Anna entrò come un martire nella fossa dei leoni: il cuore
contro le tempie, il fiato fermo nel petto, le dita improvvisamente di
marmo. Avvertì il calore del caminetto acceso insieme a un
profumo insolito: caprifoglio.
La zia Woodhams era alla toletta, con la sontuosa vestaglia color pece
drappeggiata attorno al corpo ossuto. Portava i capelli, venati di
grigio, in parte costretti in una lunga treccia e in parte gonfi e
spettinati ai lati del volto. Una volta, in biblioteca, Anna aveva
sfogliato le pagine di Dickens;
adesso, le sembrò di essere al cospetto di una miss Havisham
che
aveva scambiato l’abito da sposa abbandonata con le gramaglie
di
una vedova nera. Si fermò alle spalle della zia, a debita
distanza: una delle preziose fialette, sul piano della toletta, era
aperta. Il contenuto era la fonte del profumo.
La signora Woodhams non levò lo sguardo sulla nipote. Era
occupata a strofinare un olio sulle mani: gesti lenti, precisi,
eleganti, ma affatto energici. «Ho una commissione per
te.»
Il rosso cupo delle sottilissime
labbra era l’unica ferita di colore su una maschera inespressiva. «Devi consegnare una lettera alla signora
Hall.»
«All’ufficio postale del villaggio o a King
Street?»
«Nessuna delle due. Va’ alla vecchia
villa.»
‘Sa che si sono trasferiti!’ Dunque, tra la posta
giunta a
nei giorni precedenti, doveva essercene stata da parte degli Hall. Anna
continuò a fingersi ignorante: «Non so dove si
trovi.»
«È la casa sulla collina, al bivio che precede il
villaggio.»
«Oh...»
«Che cosa è successo alle tue mani?»
Il cuore di Anna perse un battito. La zia non si era girata,
né
aveva indirizzato lo sguardo verso il riflesso nello specchio. La
vecchia aveva occhi anche dietro alla testa o era stata informata
dell’intrusione notturna dalla sua diabolica servitrice?
«Milton.»
«Ti ha graffiata? Insolito. La bestiolina è sempre
stata tranquilla.»
«I gatti sono animali imprevedibili.»
La zia chiuse la fialetta. «Va’ a
prepararti.» E con
un gesto secco accennò allo scrittoio, dove attendeva una
lettera sigillata.
«Non è presto per le visite?»
La signora Woodhams si rimirò allo specchio;
più
ignorava Anna e più Anna temeva il peggio. «Devi
unicamente consegnare la lettera» disse. «Se
dovessero
offrirti di restare, declina con cortesia. Ricorda loro che siamo
ancora in pieno lutto, che il tuo aiuto qui è indispensabile
e che non puoi assentarti oltre il minimo
necessario.»
*
Il
sole ebbe vita breve.
Prima che i suoi raggi potessero dissipare il velo eburneo che aveva
irretito i campi, grosse nuvole, sorte dall’ovest, ne
divorarono
luce e calore. Fossi e ruscelli restarono gelati e la brina era
ovunque: sui rami neri e nudi, sugli aghi dei sempreverdi, tra le crepe
delle vecchie staccionate e le pietre dei muretti. Anna, avvezza agli
inverni oltreoceano e immune all’aspro fascino della stagione
quanto agli ostacoli del clima, camminava con i pugni affondati nelle
tasche e sul viso un’espressione che avrebbe scoraggiato
anche il
più audace dei passanti a rivolgerle il saluto. Aveva fretta
di
tornare a Bon Fleur. Non le piaceva l’idea di una
Lily sola
con sua zia. Ammirava gli sforzi dell’amica, era grata e
commossa
per l’ostinata vicinanza che le dimostrava, ma allo stesso
tempo
temeva che la vecchia non avrebbe tardato a notare il disagio della
domestica.
Di passanti Anna non ne incontrò. Né prima
né dopo
il bivio. La strada condusse alle pendici dell’altura, lungo
i
cui placidi fianchi si affollavano alti tigli e spogli cornioli.
Arrivò alla fine della salita con le guance accaldate dal
suo
stesso fiato intrappolato dietro lo scialle, che fungeva al contempo da
sciarpa e cappello. Abbassò lo scialle e respirò
l’aria fredda e immobile.
Era davanti a un cancello chiuso.
Il cancello era affiancato da siepi: pareti alte e impenetrabili, fatte
di foglie verdi screziate di ocra. Oltre le sbarre si stendeva una
scoscesa scalinata e, in cima alla scalinata, sedeva la dimora di
campagna della famiglia Hall.
L’edificio difettava dell’opprimente abbondanza di
Bon
Fleur Place. Con la facciata candida e levigata, un doppio registro di
finestre perfettamente rettangolari, il tetto di ardesia cinto da una
terrazza e un frontone triangolare a incoronare l’ingresso,
la
bella casa dimostrava di appartenere a un’epoca, lontana
generazioni e generazioni, in cui l’ordine e la
semplicità
degli antichi erano sinonimo di raffinatezza e buon gusto.
Ma non sembrava esserci anima viva nei dintorni. Non un giardiniere,
non l’ombra di un domestico dietro le finestre, non una voce
umana.
L’intera collina era abitata soltanto dagli aspri
richiami
delle ghiandaie in cerca di bacche, dall’onnipresente
gracidio
dei gradassi corvi e, ad ascoltare bene, da un distante cinguettio:
pieno e melodioso.
Anna strinse le sbarre.
E il cancello, per la sorpresa di lei, si lasciò socchiudere.
Ma Anna indugiò.
Estrasse la lettera. Fissò la spigolosa calligrafia della
zia
Woodhams. Infine, voltò il foglio, pronta a spezzare il
sigillo.
In quel momento, l’aria trascinò una risata
cristallina: un suono insolito, inumano, come l’eco di un
eco.
Il sigillo rimase intatto e Anna si guardò attorno, in preda
a
un principio di inquietudine. William l’aveva avvertita,
parlando
di ‘spiriti malevoli e dispettose fate che infestano la
nostra
bella campagna’.
La risata divenne più vicina.
E smarrì l’aurea eterea e sinistra.
Anticipate da una pioggia di passettini, dagli alberi che delimitavano
il sentiero sulla collina sbucarono due bambine. Corsero verso il
cancello. Qualunque fosse il loro gioco, vennero interrotte dalla vista
di Anna. Si fermarono, caute, a una decina di passi e presero a
fissarla.
Anna le fissò di rimando, ricacciando mani e lettera in
tasca.
Le bambine, che non dimostravano più di nove o dieci anni,
erano
acconciate come bambolette: indossavano scarponcini lucidi e cappottini
rossi bordati di pelliccia. Una era mora, l’altra bionda;
entrambe rifornite di boccoli, occhi azzurri e gote rosate. Anna si ritrovò a scrutare la bambina dai capelli biondi: la
trovava straordinariamente somigliante a Lily. ‘Potrebbe
passare
per sua figlia...’ pensò, d’istinto.
«Tabitha, Elizabeth: salutate miss Hawkins. È
un’amica della zia Ada.»
A parlare era stata una quieta voce maschile.
Anna riconobbe immediatamente il proprietario.
E immediatamente l’inquietudine tornò a rimestarle
le viscere.
William avanzava verso il cancello a passo cadenzato; la figura
dinoccolata era coperta da un scuro pastrano a doppio petto, lungo fino
alle ginocchia e guarnito da un largo colletto di velluto di seta.
Le bambine, all’unisono, si esibirono in una riverenza.
«Buongiorno, miss Hawkins» cantilenarono.
William si fermò alle loro spalle serio e composto.
Salutò Anna sfiorando la falda della tuba con le dita
inguantate.
«Buongiorno...» smozzicò Anna.
«Perché avete la pelle scura, miss
Hawkins?»
domandò la bambina bionda: c’era una sorta di
caramellosa
cattiveria dietro la limpida vocetta.
«Perché mi hanno lasciata troppo nel
forno» disse Anna, spicciola.
«E perché avete un viso così
brutto?»
«Elizabeth!» la richiamò William.
«Sei maleducata.»
Elizabeth sguainò un broncio.
«Ci dici sempre che dobbiamo essere delle brave
osservatrici.»
«Sei un’osservatrice. Ma non brava. - Ricordate
l’uccellino che abbiamo visto mentre passeggiavamo?
L’uccellino che canta questo cinguettio dolce che sentiamo
anche
adesso?»
«Lo zigolo delle nevi» asserì,
timidamente, Tabitha.
«Esatto. Miss Hawkins viene dallo stesso paese di questa
piccola
creaturina. Un paese lontano, oltre la punta più estrema
della
Cornovaglia e oltre l’isola d’Irlanda.»
«Dalle Americhe» continuò Tabitha.
«Dalle Americhe più fredde. E come il piccolo
zigolo, con
le sue piume nere e marroni, che in inverno attraversa
l’oceano
per cercare rifugio in Inghilterra, anche miss Hawkins è una
creaturina tanto piccola e scura quanto forte e resistente.»
Anna osservava William, sospettosa.
Ma lui si limitava ad alternare uno
sguardo mite tra le nipotine.
«Entrate in casa adesso.»
Le due obbedirono, oltrepassando il cancello.
«Ad Augusta sta a cuore che le bambine facciano giornalmente
attività fisica. Costringerle in casa non giova alla loro
salute.» William, mani dietro la schiena diritta, discorreva
con
l’usuale compostezza, ma gli occhi azzurri rifuggivano Anna
in
quella che lei interpretò come una tacita rimarcazione di
ostilità.
Anna, al contrario, fissava a muso duro il profilo dell’uomo.
«La signorina Field, la governante, è stata
mandata a casa per un brutto raffreddore.»
Anna portò un sopracciglio un poco più
in alto del
gemello. «Quindi adesso siete voi la
governante?» Dissimulò il malumore dietro l’apatica
provocazione.
«Vi avvicinate al vostro sogno di diventare tutore.»
«Sono uno zio. Mi comporto da tale.»
«Vostro fratello ha un bel coraggio ad affidarvi le sue
figlie. Io non vi affiderei nemmeno un pesce rosso.»
La porta d’ingresso venne aperta, le bambine sparirono
all’interno e l’atteggiamento di William
mutò con la
rapidità di una banderuola colpita da una folata di vento:
si
voltò verso Anna. La sovrastava in altezza, ma lei teneva il
mento alto e le spalle basse. L’astio, stoico ma palpabilissimo,
viaggiava da entrambe le
parti.
«Come mai avete lasciato King Street?» chiese Anna.
«Dovrebbe essere affar vostro?»
«Non mi piace l’idea di avervi come
vicino.»
«Considerato il luogo in cui ci troviamo, rivendico il
diritto di
porre per primo le domande: che cosa state facendo voi al cancello di
Hawthorn?»
«E che diamine sarebbe Hawthorn?»
«Quella è Hawthorn. Hawthorn Mansion.»
William
accennò alla villa con un debole cenno del capo.
«Sebbene
nessuno la chiami più col suo vero nome da molto tempo.
‘La casa sulla collina’ ha avuto maggior
presa.»
«Sarà perché non si vede ombra di
biancospino qui attorno.»
«Non è questione di vegetazione. Hawthorn era il
nome
della famiglia che costruì la casa, a metà del
secolo
passato.»
«E me lo dite con l’aria saccente di chi
è costretto
a spiegare l’ovvio all’ignorante di
turno.»
«E voi non avete risposto alla mia domanda. Progettate di
minacciare un altro membro della mia famiglia? Con un altro
tagliacarte?»
«No.»
«No, non avete intenzione di minacciare nessuno? Oppure: no,
questa volta non userete un tagliacarte?»
«No, sono qui da parte di mia zia. Ho un messaggio per Augusta.»
Anna sfilò la lettera dalla tasca.
«Capisco.»
«Posso affidarla a voi?»
«Naturalmente.»
«Grazie.»
Anna, con la delicatezza di una coltellata, spinse la lettera contro il
petto di William.
Lui si appropriò della lettera e, prima che Anna potesse
ritirare il braccio, chiuse la mano libera attorno al polso di lei.
La pelle del guanto scricchiolò, mentre William pareva osservare i graffi sulla mano di Anna.
Anna non batté ciglio. Divincolarsi sarebbe equivalso a
mostrare
timore e lei non era intimorita. Era innervosita. Sommamente
innervosita.
«Per favore, seppelliamo l’ascia di guerra e
torniamo a comportarci come persone civili.»
«Ascia di guerra? Che triste scelta di parole!»
«Per favore.»
«L’ascia posso seppellirvela nelle
budella.»
William la lasciò andare.
«Perché vi comportate in questo modo con me?
Perché questa avversione?»
«Fatevi un esame di coscienza. Scoprirete di
meritarvela.»
Fu allora che tutto il contegno di William crollò in
un’unica violenta scossa di collera. «Sciocca
dissennata!» esclamò, in un sibilo tra i denti.
Afferrò Anna per le spalle. La costrinse a indietreggiare:
schiena contro siepe, così che la recinzione li nascondesse
alla
vista di chiunque si fosse affacciato dalla villa. «Siete
ancora
convinta che io sia responsabile del suicidio di vostro zio?»
Anna, impassibile, contrasse la mascella. Le fu sufficiente un passo
per cancellare la distanza: era abbastanza vicina a William da
avvertirne il respiro caldo contro il proprio viso. Batté le
palpebre. Gli guardò la bocca: la rabbiosa implorazione di
poco
prima sembrava ancora aleggiare tra le labbra dischiuse.
«Consegnate la lettera ad Augusta, signor Hall. E buona
giornata.» Fece per staccar via la mano dell’uomo
dalla
propria spalla.
William l’anticipò, senza arretrare. «So
chi
siete» disse. La collera era stata improvvisa come una
scudisciata. E altrettanto breve. La voce dell’uomo
tornò morbida e bassa: «O dovrei dire:
so cosa
siete.»
Le braccia di Anna crollarono.
«Mai avrei immaginato di incontrare qualcuno della vostra
razza» seguitò William. «Voi non
appartenete
all’Inghilterra più di quanto un lupo appartenga a
un
salotto.»
Anna inspirò. Sentiva la testa leggera, il ventre pesante e
infuocato, il cuore lanciato in una corsa a perdifiato. Erano metafore
da scrittore o William Hall aveva realmente compreso? Anna finse calma:
una calma che traboccava sfida. «Se è per questo, non ho mai avuto un posto a cui
appartenere» dichiarò. «O un popolo. Non
abbastanza
bianca per essere accettata dai bianchi. Non abbastanza indigena per
essere accolta fin in fondo dai nativi. È il destino dei
meticci. Non apparteniamo mai, completamente, a nessun luogo e a
nessuna famiglia.»
Ma William la guardava con l’accesa insistenza di chi non
intendeva accontentarsi di meno della verità.
«Non è ciò di cui io sto
parlando.»
«Allora, mi dispiace, ma non so proprio di cosa parlate.»
«Siete una creatura umana, miss Hawkins?»
Anna trattenne il fiato: William Hall sapeva la verità.
«Io sono... io» tentò di difendersi
Anna. «Una donna. Come tante.» Tacque.
Nessuno dei due si mosse.
Poi, Anna si aggrappò al colletto di velluto. Con uno
strattone
costrinse William ad abbassarsi. Pressò di prepotenza la
bocca
contro quella di lui. Lo avvertì serrare le mani sulla sua
vita e quella che doveva essere una spinta si sciolse in una presa
salda. William tenne Anna ferma e la baciò con vorace
impazienza.
Le
accarezzò la schiena, un fianco, poi una guancia, mentre
Anna
gli prendeva il viso tra le mani. E per un lungo, lungo momento
entrambi
trovarono una selvaggia liberazione nel rincorrersi di baci e tra i
respiri affannati. Ma quando William cinse la vita di Anna con un
braccio, lei lo respinse: aveva bisogno d’aria. Eppure,
allontanarlo fu arduo quanto lo sarebbe stato rinunciare
all’aria
stessa.
«Visto?» ansimò, quasi senza voce.
«Sono solo una donna.»
Sgusciò via dalla presa di William.
E lui non fece nulla per fermarla.
*
La
passeggiata di ritorno
non bastò a sedare il tumulto nell’animo di Anna.
Rientrata a Bon Fleur, chiuse la porta e, nella solitudine del
vestibolo, crollò sul primo gradino della scala.
Sospirò,
esausta e stravolta. Non si vergognava del bacio in sé, pur
conscia dell’indecenza implicita nel gesto. Né si
vergognava delle sensazioni che il bacio aveva infiammato nel suo
ventre: erano tanto oscene quanto impossibili da non agognare.
L’umiliazione nasceva dalla propria meschina bassezza: aveva
avuto lo stomaco di indugiare nel piacere con un uomo qual era
William Hall. Giurò che mai più si sarebbe permessa di
tradurre
i
desideri in atti concreti, ma non si faceva illusioni. Conosceva le
proprie debolezze: l’incostanza, l’irruenza, la
tendenza a
seguire gli istinti, sbagliati o meno che fossero. A differenza di
quanto andava proclamando la zia Woodhams, tali difetti non avevano
nulla a che vedere con sua madre. Erano suoi e suoi soltanto.
Anna
avrebbe continuato a odiare William.
E avrebbe continuato a
desiderarlo.
Ma non l’avrebbe ammesso davanti a nessuno.
Nemmeno
al diretto interessato. Nemmeno sotto ricatto.
D’altra parte, problemi più urgenti si
prospettavano
all’orizzonte. ‘Se davvero sa chi sono, lo userà
contro di
me.’
«Oh! Eccoti!»
Era Lily, che stava scendendo le scale.
Anna scattò in piedi. «Cosa è
successo?»
«Nulla...» Lily si fermò sul terzo
gradino,
esitante, stringendo le mani sulla balaustra. «Madam ti sta
aspettando. Nella sua stanza. Ti ha visto sul viale.»
«Addirittura due convocazioni nel giro di una
mattinata» borbottò Anna.
«Almeno sembra tranquilla» disse Lily.
«Non è
mai uscita dalla sua camera.» E poi, a voce bassissima:
«Credo sia ancora l’effetto del laudano.»
Anna salì i primi gradini, passando di fianco a Lily.
«Anna?»
«Mmh?»
«Hai il viso arrossato.»
«Fa molto freddo fuori.»
Anna, in scialle e cappotto, oltrepassò la porta della camera:
spalle
basse, il busto diritto e mani giunte.
La signora Woodhams attendeva in poltrona, accanto al caminetto: i
capelli erano stati acconciati, mani e polsi ornati dal giaietto degli
anelli e dei bracciali, un elegantissimo abito, dalla blusa coperta di
sangallo, aveva sostituito la vestaglia. La donna se ne stava
appoggiata contro la spalliera, ma teneva la schiena rigida; il fuoco,
dietro il parascintille, rimase l’unico soggetto degno del
suo
sguardo assente anche quando Anna le si palesò davanti.
E fu allora che Anna venne travolta da un’ondata di orrore:
la
zia teneva la mano destra aggrappata all’estremità
del
bracciolo, mentre tra le dita della mancina, sul grembo, stringeva
qualcosa.
La statuina senza testa.
Il primo istinto di Anna fu di guardare la porta della nursery, ma da
quel punto della stanza il paravento la nascondeva. Così,
soppresse il movimento e decise di non pronunciare una sola parola al
riguardo. Se la zia si preparava a un interrogatorio, lei era pronta a
una portentoso rifiuto di qualsiasi accusa.
«Augusta ha ricevuto la mia lettera?»
domandò, atona, la signora Woodhams.
«Sì.»
«Dunque, come d’accordo, Benton sarà qui
alle quattro. E’ bene iniziare subito con i
bagagli.»
Anna aggrottò la fronte.
«Bagagli? Chi parte?»
«Soggiornerò dagli Hall fino alla fine di questa
settimana.»
«Non è inopportuno per una vedova farsi vedere in
società?»
«Non definirei un soggiorno alla vecchia villa
un’uscita in
società. Inoltre, esistono doveri morali che non possono e
non
devono venir sacrificati al buon costume.» Una breve pausa.
Poi,
continuò: «Ho riflettuto molto sull’idea
di un
incontro con il signor Arden. Non dubito delle sue capacità
di
gestire il birrificio ma, dei due soci, tuo zio era il solo ad avere a
cuore le condizioni degli operai. Ho ragione di temere che siano in
arrivo cambiamenti negativi per questi ultimi. Vorrei che
quanto
di positivo Walter realizzò in vita non vada completamente
perduto.»
Anna era confusa.
«E voi che voce avete in merito? Credevo che, per la legge,
il birrificio fosse nelle mani del signor Arden.»
«Hai compreso bene. Ma voglio sperare che Mordecai
onorerà
la lunga conoscenza che lega i Woodhams agli Arden.»
«E quindi perché andate dagli Hall?»
«Mordecai sarà loro ospite domani sera.»
«Una lettera non è sufficiente?»
«Una lettera può venir ignorata. Di
proposito.»
«Ah! Al contrario, ignorare voi - di proposito - è
arduo.
Non può buttarvi in un cestino o chiudervi in un
cassetto»
concluse Anna. «Che fine ha fatto la cieca obbedienza alle
decisioni degli uomini?»
La zia Woodhams alzò finalmente lo sguardo su di lei: era
seria,
ma calma. Talmente calma da risultare una sfinge indecifrabile. «In alcune occasioni, l’obbedienza deve essere di
facciata.
Convinci l’uomo che una tua idea è frutto della
sua mente
e sarete felici entrambi. Lui avrà nutrito
l’orgoglio, tu
ottenuto quanto desiderato.»
«Mi sembra un gran bel modo di complicarsi la
vita.»
«La vita è per sua definizione complicata. Ma
adesso
veniamo a noi. Durante la mia assenza, Bon Fleur è affidata
a
te. Assicurati che Lillian non trascuri le faccende e dai il buon
esempio sfuggendo l’ozio. Posso fare affidamento su di te,
Anna?
Posso fidarmi?»
La signora Woodhams fissava la nipote e accarezzava il collo decapitato
della statuina con il polpastrello del pollice.
Per un momento, regnò il silenzio.
Uno scoppiettio di scintille turbinò nel caminetto.
«Sì.»
*
Il cab
che più di un mese prima aveva condotto Anna al cancello di
Bon Fleur Place ora attendeva davanti al portico. Benton caricava i bauli
della signora Woodhams sulla vettura, mentre la padrona di casa si attardava nel vestibolo.
E Anna era con lei.
«Ti prego di comportarti secondo buon senso.»
La zia levò la mano avvolta nella seta di un guanto
dall’orlo impellicciato. Invitò Anna a sollevare
il viso, facendo scivolare le dita sotto il suo mento.
Anna quasi temette che la zia potesse avvertire il battito esagitato
del proprio cuore.
Ma non indietreggiò.
«Non voglio pentirmi di averti accordato fiducia»
rimarcò la zia. «Ne abbiamo bisogno entrambe.
Perché, da qui in avanti, dovremo cavarcela da sole - io e
te.»
Anna fece cenno di sì con il capo.
«Salutate gli Hall da parte mia.»
«Naturalmente.»
La zia abbassò la mano.
E poi accadde l’impensabile.
La signora accostò quelle sue labbra fredde e rosse alla
guancia della nipote: fu più una carezza che un bacio, ma fu
sufficiente a far rabbrividire Anna.
Benton si affacciò.
«Madam, il calesse è pronto.»
La signora Woodhams abbassò la veletta davanti al volto e
uscì sul portico. Anna la seguì fino alla soglia.
Poi, stette a guardare la zia accomodarsi sul sedile del cab.
Guardò Benton chiudere lo sportello e issarsi a cassetta.
Mentre il calessino scendeva lungo il viale, Lily comparve al fianco di
Anna.
«Sei ancora scettica?»
«Assolutamente sì. Trama qualcosa.»
«Il bene degli onesti operai?»
Anna liquidò le speranze di Lily con in un eloquente sbuffo.
«Pensi abbia capito che siamo entrate nella
nursery?»
«Penso che questa partenza non sia casuale.»
«Io ho un’orrenda sensazione.»
«Siamo in due. Ma tanto vale approfittare del
momento.»
«Che intendi?»
Anna chiarì subito: voleva setacciare, in lungo e in largo,
la camera da letto della zia. Si mise all’opera, aiutata da
Lily. Ebbero presto conferma del timore che aveva ragionevolmente
preoccupato entrambe dal momento dell’annuncio della
partenza: la zia Woodhams doveva aver portato con sé
l’oggetto che le permetteva di controllare l’Ombra.
«E come poteva essere altrimenti!»
sbottò Anna, sbattendo uno dei cassetti dello scrittoio.
«Non è così stupida da lasciarlo
incustodito.»
«E ha portato via la chiave della nursery» disse
Lily, richiudendo il cofanetto di malachite. Si guardò
attorno, affranta, stringendosi nelle braccia. «Anna, anche
se l’oggetto fosse ancora qui... come potremmo capire di
averlo davanti? Non abbiamo idea di cosa sia. »
Anna fissava in cagnesco lo scrittoio. ‘Avrei dovuto far
parlare Hall!’
Lily puntò lo sguardo verso la finestra.
Il sole stava tramontando.
«Sarà una lunga notte.»
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➽
Note autrice.
Torno con una comunicazione di servizio.
Mi ero ripromessa di concludere la pubblicazione entro la fine
dell’anno. I programmi festaioli delle prossime settimane, uniti
alla mia lentezza cronica con gli edit finali, mi hanno messa davanti
all’amara verità: non è fattibile. Perciò i
prossimi capitoli (sei in tutto) verranno pubblicati a partire da Gennaio.
Dunque, questo è l’ultimo messaggio del 2016.
L’autrice vi saluta con l’ennesimo doveroso grazie: a chi
ha inserito la storia tra le seguite/ricordate/preferite, a chi si
è fermato per farmi sapere la propria opinione, a chi ha buttato
un occhio qui e là.
Happy holidays! 🎄
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