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Autore: _Blanca_    16/12/2016    2 recensioni
«Mi segue» disse Anna.
«Di che cosa parlate, miss Hawkins? Chi vi sta seguendo?»
«La morte.»

Ottobre 1875. Dalle coste della Nova Scotia, Anna Hawkins si imbarca per l’Inghilterra, dove vivrà con gli zii Woodhams, ricchi borghesi del Kent. Anna sa che vivere nel cuore dell'Impero, tra i bianchi sudditi della regina Vittoria, non sarà semplice. Lei è una Metis. È figlia di un inglese, che ha fatto fortuna come cacciatore di taglie, e di una donna della Prima Nazione. Ma Anna sa anche di non poter tornare indietro. Il suo viaggio è una fuga. Una fuga dalla solitudine, dalle responsabilità, da un destino che la terrorizza. La nuova esistenza nel Kent, tuttavia, si rivelerà diversa da qualsiasi speranza o timore. Anna dovrà affrontare i segreti di una vecchia casa e di una stanza che non deve mai essere aperta; dovrà tenere testa a una zia decisa a odiarla e a uno scrittore di racconti del terrore, capace di dare un’impronta fin troppo realistica agli incubi di carta e inchiostro. E, sullo sfondo del tutto, toccherà a lei risolvere l’enigma di un misterioso suicidio.
Genere: Horror, Mistero, Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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XXI. Ladri di baci




Il vento notturno aveva sgombrato il cielo e la vista dell’azzurro terso instillò in Anna un effimero sollievo: finalmente, dopo giorni di nubi e bruma, l’alba era sorta assieme al trepido sole novembrino. In quanto a Lily, si era imposta di mostrare coraggio ma la paura riverberava in ogni gesto. Non riuscì neppure a riempire il bollitore del tè senza rovesciare l’acqua sul tavolo.
Anna tentò di rassicurarla rimarcando il loro vantaggio: sapevano come recidere i fili che permettevano alla zia Woodhams di dominare l’Ombra - e questo la zia lo ignorava. Anna aveva imparato da suo padre: concedere alla preda un falso senso di sicurezza e lasciare che abbassasse la guardia erano armi preziose a disposizione di qualsiasi cacciatore. «E fin quando non cala il sole l’Ombra è inoffensiva.» Sedeva con le mani, visibilmente coperte di graffi, premute contro le ginocchia: la stanchezza avanzava tortuosamente nel fisico, la mancanza di riposo offuscava i pensieri, ma la volontà di contrattaccare restava salda. Questa volta non ci sarebbero state fughe, ripensamenti o spalle voltate.
Così, alle otto in punto, Lily salì al piano superiore con il vassoio della colazione tra le mani - e la chiave della nursery nel grembiule.
Nell’abbandonato salone da pranzo, Anna tenne l’orecchio teso mentre si adoperava con una scala a pioli per tirar giù le tende: era giorno di bucato.
Trascorsero cinque minuti.
La pendola nell’atrio ticchettava mesta. 
Altri cinque minuti.
E ancora silenzio.
Anna vide Lily ai piedi della scala a pioli e dovette aggrapparsi alla scala per evitare di trasalire: non l’aveva udita entrare. «Potresti, per favore, fare rumore - uno qualsiasi - quando entri in una stanza?»
La cameriera era, se possibile, ancor più pallida della notte precedente. «Vuole vederti» disse. «Adesso.»
Anna si accigliò.
«Perché?»
«Non lo so. Mi ha solo detto di chiamarti.»
Anna scese dalla scala.
«La chiave?»
«Al suo posto. L’ho messa via prima di aprire le tende. La signora stava ancora dormendo ― credo. Spero! Oh, Dio...»
Anna strizzò l’avambraccio di Lily, un po’ per incoraggiamento e un po’ per comunicarle di esser fiera di lei, e si diresse fuori dal salone.
In capo a pochi secondi, sbucò in cima alla scala a chiocciola, constatando come il limpido chiarore del mattino rendesse il corridoio un palco poco adatto a un’apparizione spettrale. La porta della camera della signora Woodhams era socchiusa. Anna bussò: due tocchi lesti.
«Vieni avanti.»
Anna entrò come un martire nella fossa dei leoni: il cuore contro le tempie, il fiato fermo nel petto, le dita improvvisamente di marmo. Avvertì il calore del caminetto acceso insieme a un profumo insolito: caprifoglio.
La zia Woodhams era alla toletta, con la sontuosa vestaglia color pece drappeggiata attorno al corpo ossuto. Portava i capelli, venati di grigio, in parte costretti in una lunga treccia e in parte gonfi e spettinati ai lati del volto. Una volta, in biblioteca, Anna aveva sfogliato le pagine di Dickens; adesso, le sembrò di essere al cospetto di una miss Havisham che aveva scambiato l’abito da sposa abbandonata con le gramaglie di una vedova nera.  Si fermò alle spalle della zia, a debita distanza: una delle preziose fialette, sul piano della toletta, era aperta. Il contenuto era la fonte del profumo.
La signora Woodhams non levò lo sguardo sulla nipote. Era occupata a strofinare un olio sulle mani: gesti lenti, precisi, eleganti, ma affatto energici. «Ho una commissione per te.» Il rosso cupo delle sottilissime labbra era l’unica ferita di colore su una maschera inespressiva. «Devi consegnare una lettera alla signora Hall.»
«All’ufficio postale del villaggio o a King Street?»
«Nessuna delle due. Va’ alla vecchia villa.»
‘Sa che si sono trasferiti!’ Dunque, tra la posta giunta a nei giorni precedenti, doveva essercene stata da parte degli Hall. Anna continuò a fingersi ignorante: «Non so dove si trovi.»
«È la casa sulla collina, al bivio che precede il villaggio.»
«Oh...»
«Che cosa è successo alle tue mani?»
Il cuore di Anna perse un battito. La zia non si era girata, né aveva indirizzato lo sguardo verso il riflesso nello specchio. La vecchia aveva occhi anche dietro alla testa o era stata informata dell’intrusione notturna dalla sua diabolica servitrice?
«Milton.»
«Ti ha graffiata? Insolito. La bestiolina è sempre stata tranquilla.»
«I gatti sono animali imprevedibili.»
La zia chiuse la fialetta. «Va’ a prepararti.» E con un gesto secco accennò allo scrittoio, dove attendeva una lettera sigillata.
«Non è presto per le visite?»
La signora Woodhams si rimirò allo specchio; più  ignorava Anna e più Anna temeva il peggio. «Devi unicamente consegnare la lettera» disse. «Se dovessero offrirti di restare, declina con cortesia. Ricorda loro che siamo ancora in pieno lutto, che il tuo aiuto qui è indispensabile e  che non puoi assentarti oltre il minimo necessario.»

*

Il sole ebbe vita breve. Prima che i suoi raggi potessero dissipare il velo eburneo che aveva irretito i campi, grosse nuvole, sorte dall’ovest, ne divorarono luce e calore. Fossi e ruscelli restarono gelati e la brina era ovunque: sui rami neri e nudi, sugli aghi dei sempreverdi, tra le crepe delle vecchie staccionate e le pietre dei muretti. Anna, avvezza agli inverni oltreoceano e immune all’aspro fascino della stagione quanto agli ostacoli del clima, camminava con i pugni affondati nelle tasche e sul viso un’espressione che avrebbe scoraggiato anche il più audace dei passanti a rivolgerle il saluto. Aveva fretta di tornare a Bon Fleur. Non le piaceva l’idea di una Lily  sola con sua zia. Ammirava gli sforzi dell’amica, era grata e commossa per l’ostinata vicinanza che le dimostrava, ma allo stesso tempo temeva che la vecchia non avrebbe tardato a notare il disagio della domestica.
Di passanti Anna non ne incontrò. Né prima né dopo il bivio. La strada condusse alle pendici dell’altura, lungo i cui placidi fianchi si affollavano alti tigli e spogli cornioli. Arrivò alla fine della salita con le guance accaldate dal suo stesso fiato intrappolato dietro lo scialle, che fungeva al contempo da sciarpa e cappello. Abbassò lo scialle e respirò l’aria fredda e immobile.
Era davanti a un cancello chiuso.
Il cancello era affiancato da siepi: pareti alte e impenetrabili, fatte di foglie verdi screziate di ocra. Oltre le sbarre si stendeva una scoscesa scalinata e, in cima alla scalinata, sedeva la dimora di campagna della famiglia Hall.
L’edificio difettava dell’opprimente abbondanza di Bon Fleur Place. Con la facciata candida e levigata, un doppio registro di finestre perfettamente rettangolari, il tetto di ardesia cinto da una terrazza e un frontone triangolare a incoronare l’ingresso, la bella casa dimostrava di appartenere a un’epoca, lontana generazioni e generazioni, in cui l’ordine e la semplicità degli antichi erano sinonimo di raffinatezza e buon gusto.
Ma non sembrava esserci anima viva nei dintorni. Non un giardiniere, non l’ombra di un domestico dietro le finestre, non una voce umana.
L’intera collina era abitata soltanto dagli aspri richiami delle ghiandaie in cerca di bacche, dall’onnipresente gracidio dei gradassi corvi e, ad ascoltare bene, da un distante cinguettio: pieno e melodioso.
Anna strinse le sbarre.
E il cancello, per la sorpresa di lei, si lasciò socchiudere.
Ma Anna indugiò.
Estrasse la lettera. Fissò la spigolosa calligrafia della zia Woodhams. Infine, voltò il foglio, pronta a spezzare il sigillo.
In quel momento, l’aria trascinò una risata cristallina: un suono insolito, inumano, come l’eco di un eco.
Il sigillo rimase intatto e Anna si guardò attorno, in preda a un principio di inquietudine. William l’aveva avvertita, parlando di ‘spiriti malevoli e dispettose fate che infestano la nostra bella campagna’.
La risata divenne più vicina.
E smarrì l’aurea eterea e sinistra.
Anticipate da una pioggia di passettini, dagli alberi che delimitavano il sentiero sulla collina sbucarono due bambine. Corsero verso il cancello. Qualunque fosse il loro gioco, vennero interrotte dalla vista di Anna. Si fermarono, caute, a una decina di passi e presero a fissarla.
Anna le fissò di rimando, ricacciando mani e lettera in tasca.
Le bambine, che non dimostravano più di nove o dieci anni, erano acconciate come bambolette: indossavano scarponcini lucidi e cappottini rossi bordati di pelliccia. Una era mora, l’altra bionda; entrambe rifornite di boccoli, occhi azzurri e gote rosate. Anna si ritrovò a scrutare la bambina dai capelli biondi: la trovava straordinariamente somigliante a Lily. ‘Potrebbe passare per sua figlia...’ pensò, d’istinto.
«Tabitha, Elizabeth: salutate miss Hawkins. È un’amica della zia Ada.»
A parlare era stata una quieta voce maschile.
Anna riconobbe immediatamente il proprietario.
E immediatamente l’inquietudine tornò a rimestarle le viscere.
William avanzava verso il cancello a passo cadenzato; la figura dinoccolata era coperta da un scuro pastrano a doppio petto, lungo fino alle ginocchia e guarnito da un largo colletto di velluto di seta.
Le bambine, all’unisono, si esibirono in una riverenza. «Buongiorno, miss Hawkins» cantilenarono.
William si fermò alle loro spalle serio e composto. Salutò Anna sfiorando la falda della tuba con le dita inguantate.
«Buongiorno...» smozzicò Anna.
«Perché avete la pelle scura, miss Hawkins?» domandò la bambina bionda: c’era una sorta di caramellosa cattiveria dietro la limpida vocetta.
«Perché mi hanno lasciata troppo nel forno» disse Anna, spicciola.
«E perché avete un viso così brutto?»
«Elizabeth!» la richiamò William. «Sei maleducata.»
Elizabeth sguainò un broncio.
«Ci dici sempre che dobbiamo essere delle brave osservatrici.»
«Sei un’osservatrice. Ma non brava. - Ricordate l’uccellino che abbiamo visto mentre passeggiavamo? L’uccellino che canta questo cinguettio dolce che sentiamo anche adesso?»
«Lo zigolo delle nevi» asserì, timidamente, Tabitha.
«Esatto. Miss Hawkins viene dallo stesso paese di questa piccola creaturina. Un paese lontano, oltre la punta più estrema della Cornovaglia e oltre l’isola d’Irlanda.»
«Dalle Americhe» continuò Tabitha.
«Dalle Americhe più fredde. E come il piccolo zigolo, con le sue piume nere e marroni, che in inverno attraversa l’oceano per cercare rifugio in Inghilterra, anche miss Hawkins è una creaturina tanto piccola e scura quanto forte e resistente.»
Anna osservava William, sospettosa.
Ma lui si limitava ad alternare uno sguardo mite tra le nipotine.
«Entrate in casa adesso.»
Le due obbedirono, oltrepassando il cancello.
«Ad Augusta sta a cuore che le bambine facciano giornalmente attività fisica. Costringerle in casa non giova alla loro salute.» William, mani dietro la schiena diritta, discorreva con l’usuale compostezza, ma gli occhi azzurri rifuggivano Anna in quella che lei interpretò come una tacita rimarcazione di ostilità.
Anna, al contrario, fissava a muso duro il profilo dell’uomo.
«La signorina Field, la governante, è stata mandata a casa per un brutto raffreddore.»
Anna portò un sopracciglio un poco più in alto del gemello. «Quindi adesso siete voi la governante?» Dissimulò il malumore dietro l’apatica provocazione. «Vi avvicinate al vostro sogno di diventare tutore.»
«Sono uno zio. Mi comporto da tale.»
«Vostro fratello ha un bel coraggio ad affidarvi le sue figlie. Io non vi affiderei nemmeno un pesce rosso.»
La porta d’ingresso venne aperta, le bambine sparirono all’interno e l’atteggiamento di William mutò con la rapidità di una banderuola colpita da una folata di vento: si voltò verso Anna. La sovrastava in altezza, ma lei teneva il mento alto e le spalle basse. L’astio, stoico ma palpabilissimo, viaggiava da entrambe le parti.
«Come mai avete lasciato King Street?» chiese Anna.
«Dovrebbe essere affar vostro?»
«Non mi piace l’idea di avervi come vicino.»
«Considerato il luogo in cui ci troviamo, rivendico il diritto di porre per primo le domande: che cosa state facendo voi al cancello di Hawthorn?»
«E che diamine sarebbe Hawthorn?»
«Quella è Hawthorn. Hawthorn Mansion.» William accennò alla villa con un debole cenno del capo. «Sebbene nessuno la chiami più col suo vero nome da molto tempo. ‘La casa sulla collina’ ha avuto maggior presa.»
«Sarà perché non si vede ombra di biancospino qui attorno.»
«Non è questione di vegetazione. Hawthorn era il nome della famiglia che costruì la casa, a metà del secolo passato.»
«E me lo dite con l’aria saccente di chi è costretto a spiegare l’ovvio all’ignorante di turno.»
«E voi non avete risposto alla mia domanda. Progettate di minacciare un altro membro della mia famiglia? Con un altro tagliacarte?»
«No.»
«No, non avete intenzione di minacciare nessuno? Oppure: no, questa volta non userete un tagliacarte?»
«No, sono qui da parte di mia zia. Ho un messaggio per Augusta.»
Anna sfilò la lettera dalla tasca.
«Capisco.»
«Posso affidarla a voi?»
«Naturalmente.»
«Grazie.»
Anna, con la delicatezza di una coltellata, spinse la lettera contro il petto di William.
Lui si appropriò della lettera e, prima che Anna potesse ritirare il braccio, chiuse la mano libera attorno al polso di lei.
La pelle del guanto scricchiolò, mentre William pareva osservare i graffi sulla mano di Anna.
Anna non batté ciglio. Divincolarsi sarebbe equivalso a mostrare timore e lei non era intimorita. Era innervosita. Sommamente innervosita.
«Per favore, seppelliamo l’ascia di guerra e torniamo a comportarci come persone civili.»
«Ascia di guerra? Che triste scelta di parole!»
«Per favore.»
«L’ascia posso seppellirvela nelle budella.»
William la lasciò andare.
«Perché vi comportate in questo modo con me? Perché questa avversione?»
«Fatevi un esame di coscienza. Scoprirete di meritarvela.»
Fu allora che tutto il contegno di William crollò in un’unica violenta scossa di collera. «Sciocca dissennata!» esclamò, in un sibilo tra i denti. Afferrò Anna per le spalle. La costrinse a indietreggiare: schiena contro siepe, così che la recinzione li nascondesse alla vista di chiunque si fosse affacciato dalla villa. «Siete ancora convinta che io sia responsabile del suicidio di vostro zio?»
Anna, impassibile, contrasse la mascella. Le fu sufficiente un passo per cancellare la distanza: era abbastanza vicina a William da avvertirne il respiro caldo contro il proprio viso. Batté le palpebre. Gli guardò la bocca: la rabbiosa implorazione di poco prima sembrava ancora aleggiare tra le labbra dischiuse. «Consegnate la lettera ad Augusta, signor Hall. E buona giornata.» Fece per staccar via la mano dell’uomo dalla propria spalla.
William l’anticipò, senza arretrare. «So chi siete» disse. La collera era stata improvvisa come una scudisciata. E altrettanto breve. La voce dell’uomo tornò morbida e bassa: «O dovrei dire: so cosa siete.»
Le braccia di Anna crollarono.
«Mai avrei immaginato di incontrare qualcuno della vostra razza» seguitò William. «Voi non appartenete all’Inghilterra più di quanto un lupo appartenga a un salotto.»
Anna inspirò. Sentiva la testa leggera, il ventre pesante e infuocato, il cuore lanciato in una corsa a perdifiato. Erano metafore da scrittore o William Hall aveva realmente compreso? Anna finse calma: una calma che traboccava sfida. «Se è per questo, non ho mai avuto un posto a cui appartenere» dichiarò. «O un popolo. Non abbastanza bianca per essere accettata dai bianchi. Non abbastanza indigena per essere accolta fin in fondo dai nativi. È il destino dei meticci. Non apparteniamo mai, completamente, a nessun luogo e a nessuna famiglia.»
Ma William la guardava con l’accesa insistenza di chi non intendeva accontentarsi di meno della verità.
«Non è ciò di cui io sto parlando.»
«Allora, mi dispiace, ma non so proprio di cosa parlate.»
«Siete una creatura umana, miss Hawkins?»
Anna trattenne il fiato: William Hall sapeva la verità.
«Io sono... io» tentò di difendersi Anna. «Una donna. Come tante.» Tacque.
Nessuno dei due si mosse.
Poi, Anna si aggrappò al colletto di velluto. Con uno strattone costrinse William ad abbassarsi. Pressò di prepotenza la bocca contro quella di lui. Lo avvertì serrare le mani sulla sua vita e quella che doveva essere una spinta si sciolse in una presa salda. William tenne Anna ferma e la baciò con vorace impazienza. Le accarezzò la schiena, un fianco, poi una guancia, mentre Anna gli prendeva il viso tra le mani. E per un lungo, lungo momento entrambi trovarono una selvaggia liberazione nel rincorrersi di baci e tra i respiri affannati. Ma quando William cinse la vita di Anna con un braccio, lei lo respinse: aveva bisogno d’aria. Eppure, allontanarlo fu arduo quanto lo sarebbe stato rinunciare all’aria stessa.
«Visto?» ansimò, quasi senza voce. «Sono solo una donna.»
Sgusciò via dalla presa di William.
E lui non fece nulla per fermarla.

*

La passeggiata di ritorno non bastò a sedare il tumulto nell’animo di Anna. Rientrata a Bon Fleur, chiuse la porta e, nella solitudine del vestibolo, crollò sul primo gradino della scala. Sospirò, esausta e stravolta. Non si vergognava del bacio in sé, pur conscia dell’indecenza implicita nel gesto. Né si vergognava delle sensazioni che il bacio aveva infiammato nel suo ventre: erano tanto oscene quanto impossibili da non agognare. L’umiliazione nasceva dalla propria meschina bassezza: aveva avuto lo stomaco di indugiare nel piacere con un uomo qual era William Hall. Giurò che mai più si sarebbe permessa di tradurre i desideri in atti concreti, ma non si faceva illusioni. Conosceva le proprie debolezze: l’incostanza, l’irruenza, la tendenza a seguire gli istinti, sbagliati o meno che fossero. A differenza di quanto andava proclamando la zia Woodhams, tali difetti non avevano nulla a che vedere con sua madre. Erano suoi e suoi soltanto.
Anna avrebbe continuato a odiare William.
E avrebbe continuato a desiderarlo.
Ma non l’avrebbe ammesso davanti a nessuno. Nemmeno al diretto interessato. Nemmeno sotto ricatto.
D’altra parte, problemi più urgenti si prospettavano all’orizzonte. ‘Se davvero sa chi sono, lo userà contro di me.’
«Oh! Eccoti!»
Era Lily, che stava scendendo le scale.
Anna scattò in piedi. «Cosa è successo?»
«Nulla...» Lily si fermò sul terzo gradino, esitante, stringendo le mani sulla balaustra. «Madam ti sta aspettando. Nella sua stanza. Ti ha visto sul viale.»
«Addirittura due convocazioni nel giro di una mattinata» borbottò Anna.
«Almeno sembra tranquilla» disse Lily. «Non è mai uscita dalla sua camera.» E poi, a voce bassissima: «Credo sia ancora l’effetto del laudano.»
Anna salì i primi gradini, passando di fianco a Lily.
«Anna?»
«Mmh?»
«Hai il viso arrossato.»
«Fa molto freddo fuori.»
Anna, in scialle e cappotto, oltrepassò la porta della camera: spalle basse, il busto diritto e mani giunte.
La signora Woodhams attendeva in poltrona, accanto al caminetto: i capelli erano stati acconciati, mani e polsi ornati dal giaietto degli anelli e dei bracciali, un elegantissimo abito, dalla blusa coperta di sangallo, aveva sostituito la vestaglia. La donna se ne stava appoggiata contro la spalliera, ma teneva la schiena rigida; il fuoco, dietro il parascintille, rimase l’unico soggetto degno del suo sguardo assente anche quando Anna le si palesò davanti.
E fu allora che Anna venne travolta da un’ondata di orrore: la zia teneva la mano destra aggrappata all’estremità del bracciolo, mentre tra le dita della mancina, sul grembo, stringeva qualcosa.
La statuina senza testa.
Il primo istinto di Anna fu di guardare la porta della nursery, ma da quel punto della stanza il paravento la nascondeva. Così, soppresse il movimento e decise di non pronunciare una sola parola al riguardo. Se la zia si preparava a un interrogatorio, lei era pronta a una portentoso rifiuto di qualsiasi accusa.
«Augusta ha ricevuto la mia lettera?» domandò, atona, la signora Woodhams.
«Sì.»
«Dunque, come d’accordo, Benton sarà qui alle quattro. E’ bene iniziare subito con i bagagli.»
Anna aggrottò la fronte.
«Bagagli? Chi parte?»
«Soggiornerò dagli Hall fino alla fine di questa settimana.»
«Non è inopportuno per una vedova farsi vedere in società?»
«Non definirei un soggiorno alla vecchia villa un’uscita in società. Inoltre, esistono doveri morali che non possono e non devono venir sacrificati al buon costume.» Una breve pausa. Poi, continuò: «Ho riflettuto molto sull’idea di un incontro con il signor Arden. Non dubito delle sue capacità di gestire il birrificio ma, dei due soci, tuo zio era il solo ad avere a cuore le condizioni degli operai. Ho ragione di temere che siano in arrivo cambiamenti negativi per questi ultimi.  Vorrei che quanto di positivo Walter realizzò in vita non vada completamente perduto.»
Anna era confusa.
«E voi che voce avete in merito? Credevo che, per la legge, il birrificio fosse nelle mani del signor Arden.»
«Hai compreso bene. Ma voglio sperare che Mordecai onorerà la lunga conoscenza che lega i Woodhams agli Arden.»
«E quindi perché andate dagli Hall?»
«Mordecai sarà loro ospite domani sera.»
«Una lettera non è sufficiente?»
«Una lettera può venir ignorata. Di proposito.»
«Ah! Al contrario, ignorare voi - di proposito - è arduo. Non può buttarvi in un cestino o chiudervi in un cassetto» concluse Anna. «Che fine ha fatto la cieca obbedienza alle decisioni degli uomini?»
La zia Woodhams alzò finalmente lo sguardo su di lei: era seria, ma calma. Talmente calma da risultare una sfinge indecifrabile. «In alcune occasioni, l’obbedienza deve essere di facciata. Convinci l’uomo che una tua idea è frutto della sua mente e sarete felici entrambi. Lui avrà nutrito l’orgoglio, tu ottenuto quanto desiderato.»
«Mi sembra un gran bel modo di complicarsi la vita.»
«La vita è per sua definizione complicata. Ma adesso veniamo a noi. Durante la mia assenza, Bon Fleur è affidata a te. Assicurati che Lillian non trascuri le faccende e dai il buon esempio sfuggendo l’ozio. Posso fare affidamento su di te, Anna? Posso fidarmi?»
La signora Woodhams fissava la nipote e accarezzava il collo decapitato della statuina con il polpastrello del pollice.
Per un momento, regnò il silenzio.
Uno scoppiettio di scintille turbinò nel caminetto.
«Sì.»

*

I
l cab che più di un mese prima aveva condotto Anna al cancello di Bon Fleur Place ora attendeva davanti al portico. Benton caricava i bauli della signora Woodhams sulla vettura, mentre la padrona di casa si attardava nel vestibolo.
E Anna era con lei.
«Ti prego di comportarti secondo buon senso.» La zia levò la mano avvolta nella seta di un guanto dall’orlo impellicciato. Invitò Anna a sollevare il viso, facendo scivolare le dita sotto il suo mento.
Anna quasi temette che la zia potesse avvertire il battito esagitato del proprio cuore.
Ma non indietreggiò.
«Non voglio pentirmi di averti accordato fiducia» rimarcò la zia. «Ne abbiamo bisogno entrambe. Perché, da qui in avanti, dovremo cavarcela da sole - io e te
Anna fece cenno di sì con il capo.
«Salutate gli Hall da parte mia.»
«Naturalmente.»
La zia abbassò la mano.
E poi accadde l’impensabile.
La signora accostò quelle sue labbra fredde e rosse alla guancia della nipote: fu più una carezza che un bacio, ma fu sufficiente a far rabbrividire Anna.
Benton si affacciò.
«Madam, il calesse è pronto.»
La signora Woodhams abbassò la veletta davanti al volto e uscì sul portico. Anna la seguì fino alla soglia. Poi, stette a guardare la zia accomodarsi sul sedile del cab. Guardò Benton chiudere lo sportello e issarsi a cassetta. Mentre il calessino scendeva lungo il viale, Lily comparve al fianco di Anna.
«Sei ancora scettica?»
«Assolutamente sì. Trama qualcosa.»
«Il bene degli onesti operai?»
Anna liquidò le speranze di Lily con in un eloquente sbuffo.
«Pensi abbia capito che siamo entrate nella nursery?»
«Penso che questa partenza non sia casuale.»
«Io ho un’orrenda sensazione.»
«Siamo in due. Ma tanto vale approfittare del momento.»
«Che intendi?»
Anna chiarì subito: voleva setacciare, in lungo e in largo, la camera da letto della zia. Si mise all’opera, aiutata da Lily. Ebbero presto conferma del timore che aveva ragionevolmente preoccupato entrambe dal momento dell’annuncio della partenza: la zia Woodhams doveva aver portato con sé l’oggetto che le permetteva di controllare l’Ombra.
«E come poteva essere altrimenti!» sbottò Anna, sbattendo uno dei cassetti dello scrittoio. «Non è così stupida da lasciarlo incustodito.»
«E ha portato via la chiave della nursery» disse Lily, richiudendo il cofanetto di malachite. Si guardò attorno, affranta, stringendosi nelle braccia. «Anna, anche se l’oggetto fosse ancora qui... come potremmo capire di averlo davanti? Non abbiamo idea di cosa sia. »
Anna fissava in cagnesco lo scrittoio. ‘Avrei dovuto far parlare Hall!’
Lily puntò lo sguardo verso la finestra.
Il sole stava tramontando.
«Sarà una lunga notte.»







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➽ Note autrice.
Torno con una comunicazione di servizio.
Mi ero ripromessa di concludere la pubblicazione entro la fine dell’anno. I programmi festaioli delle prossime settimane, uniti alla mia lentezza cronica con gli edit finali, mi hanno messa davanti all’amara verità: non è fattibile. Perciò i prossimi capitoli (sei in tutto) verranno pubblicati a partire da Gennaio.
Dunque, questo è l’ultimo messaggio del 2016.
L’autrice vi saluta con l’ennesimo doveroso grazie: a chi ha inserito la storia tra le seguite/ricordate/preferite, a chi si è fermato per farmi sapere la propria opinione, a chi ha buttato un occhio qui e là.

Happy holidays! 🎄

   
 
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