N.D.A. Buonasera
a tutti e Buon Natale. Ho deciso di pubblicare questa one shot proprio
oggi
nonostante fosse in cantiere da almeno qualche mese. Che dire? Era
quasi finita…
ma non finita! Ispirata – ovviamente – a Suicide
Squad, ecco a voi un viaggio
in una delle giornate tipo della coppia per eccellenza: Joker
e Harley Quinn. Perché “Storyteller”?
Beh, perché il tutto è narrato dal punto di vista
e dagli occhi dei uno dei
personaggi DC a me più cari: l’impareggiabile Jonny Frost.
Buona
lettura e alla prossima.
“STORYTELLER”
Le
sirene ululano a Gotham. Lo
fanno da sempre, a qualsiasi ora del giorno e a improbabili ore della
notte. È
un dato di fatto in questa melassa putrida città.
L’uomo
all’interno della
gioielleria grugnisce, storce il naso, getta lo sguardo oltre la
vetrina e il
suo pensiero è talmente forte che sembra quasi avere voce.
È
il suono del silenzio.
Intorno
a lui alcune maschere
frantumano le teche di cristallo, sghignazzano e si riempiono le tasche
di un
bottino che sanno già di dover condividere – il
trenta per cento, tanto per
essere precisi. Ma nessuno di loro batte ciglio, nessuno di loro si
azzarda a
farlo. Perché chi comanda non apprezza che la sua parola
venga in qualche modo
minata o raggirata. E alla maggior parte di loro sta bene
così.
Jonny
sta pensando proprio a quello
mentre sicuro avanza nella stanza – mentre con la coda
dell’occhio cattura
l’immagine assorta del proprio impareggiabile capo.
Sta
pensando a lui in quel momento. Sta
pensando a Batman. Ne è sicuro come lo è
del semplice fatto che se Tommy Bang Bang non avesse osato obiettare
su quel
fottuto trenta per cento, forse – e sottolineo la parola
forse – non si sarebbe
ritrovato con una pallottola conficcata proprio nel bel mezzo di quella
sua
testa di cazzo parlante.
Jonny
glie lo aveva detto, lo aveva
fatto più e più volte. Eppure i suoi consigli non
erano valsi a molto e Tommy
aveva parlato e riparlato ancora, non curandosi minimamente di
occultare le
proprie considerazioni in merito a quel merdoso trenta per cento.
E
niente, assolutamente niente, tutto
si era concluso come da programma: un buco in fronte e un sacco di
risate – non
che il programma avesse mai avuto una vasta gamma di finali
alternativi, se non
consideriamo ovviamente il curioso caso della dottoressa
Quinzel… ma quella era
un’altra storia, con un altro sorprendente epilogo, e lui non
ha la benché
minima voglia di riflettere su quell’evento –
considerando, oltretutto, che le
conseguenze di quella strana vicenda si trovano a pochi passi da lui.
«Ehi,
Jonny-Jonny! Come mi stanno?»
L’uomo
si volta e alza le sopracciglia
in quella che diventa un’espressione divertita.
Eccole
le conseguenze.
Harley
Quinn se ne sta in piedi
dietro uno dei banconi in vetro. Indossa un corpetto rosso e nero, i
guanti
chiaramente in tinta, le code sono alte e il suo sorriso è
luminoso esattamente
come gli orecchini che ha deciso di indossare. Le sue mani si agitano
nell’aria
e già stringono i collier che certamente porterà
a casa.
Lui
glie
lo ha promesso. Lo ha fatto quando ancora quell’uscita era
solo un’utopia. «Puoi
avere tutto ciò
che vuoi, tesoro» le aveva sibilato
solo qualche ora prima, tra un brindisi, un bacio e un insulto che lei
aveva
accolto proprio come se fosse stato il più sentito dei
complimenti. E lo erano,
conoscendo lui e conoscendo il suo umorismo alquanto bizzarro.
Jonny
sta quasi abbandonando quel
ricordo. Sta quasi per rivolgerle parola – su cosa di preciso
ancora non lo sa –
ma sta per farlo, quello è poco ma sicuro.
La
sua bocca si apre. È un fottuto
attimo. Poi lei allunga lo sguardo verso la figura del clown, proprio
dietro alle
sue spalle – uno sguardo che da spensierato diventa
improvvisamente
corrucciato. E ciack, si gira, il centro è da manuale.
«Puddin!»
esclama quasi stridula
«Che c’è che non va? Posso sentire la
tua vocina interiore gridare! È un suono
che fa “Batsy – Batsy, Batsy –
Bat”!»
Ed
è in quel preciso istante che un
rumore sordo si leva nella sala.
Il
pugno serrato del signor J
frantuma il vetro del bancone, davanti ai suoi occhi una miriade di
micro
cristalli esplodono come fossero coriandoli di Carnevale, si espandono
e cadono
veloci sopra al pavimento – il chiacchiericcio sommesso
s’interrompe di colpo,
il mondo smette tutto a un tratto di girare. Ma nessuno osa guardarlo,
solo lei
e Jonny lo fanno – solo lei abbandona quel cipiglio scuro per
sorridere
beatamente divertita.
L’uomo
si volta. Lo fa con uno
scatto deciso. I suoi occhi scorrono in basso e seguono un qualcosa
d’invisibile che li conduce fino a lei.
Quando
finalmente trova il suo
volto, la notte sembra essersi impossessata dei suoi tratti tesi, come
se un
conto dentro alla sua testa fosse deciso a non tornargli –
come se il
rimprovero fosse ormai prossimo, pronto a canalizzarsi in una furia
fatta di
urla e di proiettili sparati a caso.
Jonny
ha visto molte volte quello
sguardo. Lo conosce. Conosce lui e ne conosce ogni più viva
sfumatura.
C’era
stato Croc qualche tempo
prima – l’ultimo di una lunga serie –
quando ancora erano solo loro, quando
ancora Harley Quinn era solo Harleen.
Era
una notte come tante a Gotham,
il cielo era plumbeo e l’oscurità inghiottiva ogni
cosa. Era…
…era
in piedi, davanti alla porta di quel magazzino abbandonato –
il porto era
stranamente quieto persino per quell’ora tarda, il rumore
delle onde
s’infrangeva contro gli scafi delle barche ormeggiate e il
signor J era a una
spanna da lui…
La
sigaretta scivola via dalle sue dita, cade a terra e rotola lontano.
C’è
la carcassa di un animale in decomposizione alla sua destra. Lui la
osserva e
lo fa come se quel putrido ammasso di carne volesse in qualche modo
parlargli.
Non emette un fiato il piccolo cadavere. Se ne sta lì inerme
e lui non può che
prenderne atto. «Andiamo, Jonny-Jonny» dice ancora
vagamente assorto, mentre attento
scruta il circondario «Vediamo di togliere anche questo
sassolino dalla
scarpa.»
Jonny
annuisce, si volta e bussa un paio di volte – la terza arriva
dopo una breve
pausa che si è volutamente imposto. Poi l’uscio si
apre lentamente.
Lui
è il primo ad entrare. J lo segue senza esitare e prima di
farlo getta
un’ultima occhiata agli uomini che ha deciso di lasciare di
guardia nelle auto.
L’odore
è forte in quel posto del cazzo. È un fetore che
sa di chiuso e di pesce marcio
e mentre avanzano nella penombra il signor J si lascia sfuggire un
lamento di puro
disappunto. Le sue labbra si assottigliano, si storcono e Jonny fa lo
stesso.
Poi J rimane immobile, allarga le braccia e ironico decide di esprimere
il suo
gaudio pensiero.
«Ehm,
è possibile fare una cosetta di giorno, K.C.?Mi si
imputridiscono i polmoni qui
dentro!»
La
risposta arriva in un ruggito profondo e sinistro.
«Ho
dovuto trovare un nascondiglio sicuro. Ho il pipistrello alle
calcagna.»
«Mmh»
mugola il Joker «Non vedo pipistrelli in giro.»
«Ho
fatto del mio meglio perché non accadesse.»
Croc
esce dall’oscurità. Non è un bello
spettacolo, non lo è mai stato, ma loro
restano impassibili e J poggia tutto il suo peso sul bastone da
passeggio.
Non
ha gradito quella risposta. Non gli è piaciuta e non fa
niente per nasconderlo.
«Allora,
perché chiamare?» chiede spazientito.
«Lui
vuole che lasci Gotham. Io non voglio farlo.»
C’è
del vero in quel ruggito animalesco.
C’è
una richiesta di soccorso che scivola via senza che lui in qualche modo
se ne
curi.
«Ho
paura che tu abbia sbagliato, amico mio. La soluzione al tuo problema
è
sull’elenco telefonico… ma è sotto la
lettera ‘P’, non sotto la
‘J’.»
Il
bastone ticchetta sopra il pavimento. È un rumore urtante e
molesto e l’uomo se
ne compiace. «Oh, aspetta!» esordisce mentre con
scherno compie un paio di passi
verso il mostro – mentre divertito gira attorno alla sua
figura «Tu hai già
provato a chiedere il suo aiuto. Ma la sua risposta è stata
‘no’. Ozzy, Ozzy,
Ozzy… ma che dobbiamo fare con lui?»
Il
respiro di Croc si fa più intenso e Jonny afferra la
pistola.
Non
è un’arma qualunque quella che prende.
Un’arma qualsiasi non servirebbe contro
Waylon Jones, lo sa bene. Quello che gli punta contro è un
lancia razzi – un
colpo e arrivederci.
«Andiamo
Jonny-Jonny.» Joker lo raggiunge, lo sorpassa e rende nota la
sua decisione
d’infischiarsene di quel problema.
Non
lo riguarda – non se non ci sono pipistrelli con il quale
intrattenersi.
Sono
quasi usciti dal capanno quando si ferma all’improvviso
– quando sadico si
volta e ha quello sguardo dipinto sopra il volto. «Dimmi una
cosa, Jonsy-boy.
Davvero credevi che il Pinguino avrebbe rischiato
l’armistizio per te?
Tz–tz–tz–tz!»
Il suo indice si muove nell’aria e lo fa al ritmo di un
chiaro segno di
diniego. «Lui vende informazioni, Jonsy. Lui le vende anche
al pipistrello… è
questo ciò che fa. È questo che gli permette di
stare dove sta.»
«Non
gli ho detto dove sono» ammette il mostro in un sussurro che
di umano non ha
nulla.
«Oh,
allora le mie scuse, Jonsy!»
Jonny
non smette di puntare l’arma – non smette di farlo
neppure quando le risate del
suo capo sovrastano i lamenti di quella sottospecie di coccodrillo. Non
riesce
a comprendere il perché lo abbia fatto, perché si
sia preso lo scomodo compito
d’informare il Pinguino sull’ubicazione segreta del
mostro.
Vorrebbe
chiederlo.
Vorrebbe
farlo, ma il Joker è il Joker e anticipa ogni suo pensiero.
«Questa
storia mi aveva stancato» esordisce prima di salire sulla
propria auto – la
brezza che spira dal mare gli sfiora i capelli, assottiglia lo sguardo
e per un
attimo si concede solo il silenzio. «Lo sai che cosa non
sopporto, Jonny-Jonny?»
domanda all’improvviso.
«Un
sacco di cose?»
«Si
e no! Quello che non sopporto, Jonny-Jonny, è depredare e
saccheggiare senza
che lui arrivi… detesto giocare da solo, Jonny-Jonny! Meglio
eliminarla la
concorrenza!»
Ridacchia
mentre il motore della Lamborghini si accende. Jonny lo osserva e in
quel breve
istante sospeso ha come l’impressione che qualcosa di
particolarmente orribile si
stia movendo dentro alla sua testa.
«Ma
che deve fare un pover uomo per avere la sua attenzione? Eh,
Jonny?»
«Non
saprei, boss.»
«Forse
c’è bisogno di una ventata d’aria
fresca. Forse devo trovarmi un nuovo lavoro,
Jonny. Un nuovo lavoro preferito…»
Jonny
annuisce.
«Si?»
chiede accondiscendente «E quale sarebbe?»
«Oh,
bè, uccidere Robin, per esempio!»
Aveva
sorriso a quella confessione.
Jonny
aveva scosso la testa e poi l’aveva reclinata con
approvazione…
Lo
fa di nuovo, questa volta nel
presente. Ma il signor J non grida, non lancia sentenze e non spara
proiettili
a casaccio. L’unica cosa che si concede è di
allargare le labbra in un sorriso
complice – lo fa e lo fa solo per lei.
«Esatto,
tesoro!» esclama
all’improvviso. E Harley sale sul bancone, lui si avvicina e
apre le braccia
per accogliere il suo corpo che avido si avvinghia al suo.
Jonny
non lo ha mai visto così.
Jonny
lo ha visto in molti modi e
maniere, con maschere più o meno sarcastiche, con intenzioni
solo falsamente
lusinghiere, ma mai avrebbe pensato che un qualcosa di così
terreno potesse in
qualche modo interessarlo – se non consideriamo ovviamente il
pipistrello.
Harley
saltella vicino a lui, lo
abbraccia, lo guarda come se Joker fosse l’unico uomo sulla
terra. E lui
ricambia quello sguardo. È silenzioso quando lo fa, le sue
labbra si schiudono
e l’espressione che assume sembra provenire direttamente
dall’inferno – da
quello spazio dimenticato in cui le anime vagano espiando il loro
peccato.
Jonny
li osserva in quel particolare
momento. Annuisce lievemente, in un modo quasi impercettibile,
perché lei è
viva grazie a lui – grazie a lui
che
tortura e uccide, grazie a lui che adora l’istante in cui una
vita finisce.
È
sempre stato così per il signor
J. Non ci sono mai stati legami che gli impedissero di trarre piacere
dalla
morte altrui, neppure nel caso specifico di una persona che poteva
tranquillamente
considerarsi alla stregua di un amico. Jonny lo sa bene. Ha vissuto fin
troppe
situazioni al limite, lo ha fatto al suo fianco, e ogni volta ha dovuto
cavarsela con le sue forze – con le sue uniche forze.
C’era
stato un episodio nello
specifico, uno in cui si erano trovati nel bel mezzo di una sparatoria.
E lui
era stato colpito – eccome se era stato colpito. Un
proiettile aveva trapassato
la sua gamba destra mancando miracolosamente l’arteria
femorale. Ma il sangue
era uscito fuori a fiotti nonostante quella sfortuna sventata. Era
schizzato
ovunque, persino sul volto contrito del suo capo.
Joker
era rimasto immobile quella
volta. Era rimasto fermo, accovacciato e serio per circa una manciata
di secondi.
Poi era scoppiato a ridere e non aveva fatto altro per tutto il tempo.
Aveva
sparato e mitragliato punti senza alcun senso. La banda aveva fatto il
resto e
mentre i corpi dei rivali si erano accasciati al suolo uno dopo
l’altro, il
clown aveva lasciato il suo riparo alla ricerca di un altro finale.
Batman.
Era
sempre lui che cercava.
«Ci
vediamo a casa, Jonny-Jonny» gli
aveva detto
ridacchiante «Che ne dici, vecchio
mio?
Ci vedremo si? Oppure ci vedremo no?» E lui aveva
strizzato gli occhi
davanti all’ennesima gag ben riuscita – aveva
tamponato il foro nella sua carne
martoriata con una mano, con l’altra aveva continuato a
sparare, mentre vampate
di calore e brividi di freddo si erano alternati dentro al suo corpo in
un modo
che avrebbe giurato non fosse troppo dissimile dalla follia
più pura.
Prima
o poi lo avrebbe fatto anche
con lei, con la sua creatura, con la sua Harley Quinn.
Ci
sarebbe stato un momento
speciale e specifico per J – una
frattura
nel tempo, l’avrebbe definita –
un’euforia troppo sopra le righe che lo
avrebbe portato a commettere lo stesso errore
anche con lei.
Jonny
si chiede quando sarà quel
momento, si chiede se lei sopravvivrà come ha saputo fare
lui, se riuscirà a
tornare a casa e nello sfortunato caso in cui ciò non
accadesse, si chiede cosa
ne sarà di tutti loro e delle loro misere esistenze.
Ma
il Joker non è uno sprovveduto,
non lo è mai stato, e se c’è una cosa
che Jonny gli ha sempre riconosciuto è
proprio il fatto di conoscere se stesso. Lui sa che
sbaglierà, sa che succederà,
lo sa esattamente come sa che non lo ammetterà mai con
nessuno, forse neppure
con quella stupida voce riflessa dentro alla sua testa, che un attimo
prima gli
sussurra sia lecito, che un attimo dopo lo rimprovera che
così non possa
essere.
Per
questo ha preso precauzioni.
Joker
lo ha fatto dopo qualche
giorno dalla metaforica morte della dottoressa Quinzel.
Era
un giorno come tanti altri a
Gotham e come tante altre volte Jonny stava passeggiando per casa alla
ricerca
dei suoi preziosissimi occhiali da sole.
Non
che gli servissero quel
pomeriggio, perché pioveva, lo ricorda più che
bene.
Lo
ricorda come se fosse solo ieri…
L’appartamento
è avvolto dal silenzio – solo il ronzio degli
elettrodomestici fa da colonna
sonora a quella che dovrebbe essere la sua vita.
Jonny
cammina lentamente. È indeciso. Non sa se i suoi adorati
occhiali siano rimasti
giù nell’armeria, oppure più
semplicemente in chissà quale altro punto della
casa.
Stringe
il bicchiere nelle mano prima di gettare lo sguardo oltre il vetro
della
finestra, prima di posarlo sul liquido all’interno di quello
stesso bicchiere.
È
presto per bere, lo sa anche da solo. Eppure – come ama
ricordargli J – non
serve davvero un buon motivo per farlo, non serve avere motivi per fare
ciò che
si fa. I motivi sono solo ragioni, sono le stesse scusanti con cui
convinciamo
noi stessi ad agire. Joker glie lo aveva confidato una sera, tra un
sorso di
liquore e una risata, proprio di fronte al camino della loro sala.
Adesso
è chiuso nella sua stanza. È con lei, con quella
che ha ribattezzato con il
nome di Harley Quinn. Sono ore che non escono da lì e questo
per le persone
normali vuol dire una cosa e una soltanto: sesso selvaggio.
Jonny
abbozza un mezzo sorriso a quel pensiero, perché loro sono
un sacco di cose, ma
di sicuro normali non lo sono proprio per niente.
Prende
l’ennesimo sorso prima di proseguire la sua esasperante
ricerca. Poi i suoi
passi lo conducono vicino a quella che è la loro stanza. E
ricordare diventa un
flash lampante dentro al suo cervello.
Ecco
dove sono o dove potrebbero essere i suoi occhiali.
Jonny
fissa la porta della camera di J. È semi aperta e una parte
di lui sa che c’è
una probabilità particolarmente elevata che le sue preziose
lenti scure siano
lì. L’altra parte invece prega che così
non sia: non è particolarmente curioso
di vedere o di sapere quale sia il loro attuale passatempo.
Scuote
la testa il migliore amico del boss – l’unico
amico, il resto li ha
allegramente trucidati prima ancora che potessero vantarsi di definirsi
tali.
Vorrebbe alzare i tacchi, vorrebbe indietreggiare e non ficcare il
proprio
naso. Poi è un istante, sono figure che compaiono nel suo
spettro visivo grazie
a quella stramaledetta porta socchiusa – è la voce
di lui che echeggia sommessa,
che lo fa come se un pugnale gli si fosse malamente conficcato nella
gola.
Nella
penombra Jonny non può fare a meno di sbirciare…
«Dimmi…»
Il clown alza il mento, sibila quella parola cercando di scrutare ogni
minima
espressione sul volto della donna e lei è seduta sopra al
pavimento – lei è ai
suoi piedi.
Pende
dalle sue labbra la piccola Harley. Respira quasi affannosa e le sue
pupille
sembrano come impazzite, a tratti sembrano non riuscire a seguirne i
movimenti.
Ma lui è immobile – è fermo come Jonny
crede di non averlo mai visto prima di quel
momento.
«Dimmi»
ripete canzonando se stesso «Che cosa faresti se un giorno tu
fossi lontana da
me?»
«Se
la mia anima fosse lontana dalla tua?»
«Si…»
Joker strascica quel monosillabo, mugola un qualcosa che potrebbe
trapelare una
qual certa approvazione. Ma niente è sicuro in quella mente,
Jonny lo sa. Jonny
continua a respirare attento, continua a farlo nella penombra
– il bicchiere è
ormai vuoto dentro alla sua mano, le labbra sono secche e lui neppure
se ne
accorge.
«Tornerei
da te, puddin.»
La
risposta di Harley si fa spazio tra loro, echeggia nell’etere
e risuona come fosse
il frammento solitario di ciò che resta di una vaga
speranza.
È
quello il suo tono.
È
quello ciò che vuole. Lei vuole tornare, lei vuole lui, ma
anche quello Jonny lo
sa bene, lo ha capito fin dal principio, fin dalla prima volta in cui
il suo
sguardo si è incrociato con il suo – quando ancora
erano preda e cacciatore,
quando ancora l’ordine era solo quello
d’immobilizzarla. E per la prima volta,
Jonny-Jonny non lo sa.
I
suoi occhi scivolano sul volto del clown. Può vederne una
piccola parte eppure
basta e avanza per insinuare il dubbio dentro la sua testa.
È
quello ciò che lui vuole?
Si
e no, probabilmente, è la risposta.
«Vieni
da papino!»
Sorride
mentre pronuncia con enfasi quel marchio di possesso. Lascia che lei si
avvinghi al suo corpo e gode di quel contatto – il volto si
strofina al suo
proprio come farebbe un gatto col padrone. Lui ricambia. Poi
improvvisamente
l’allontana.
«Dimmi»
scandisce serio «che cosa faresti se qualcuno o qualcosa
t’impedisse di
tornare?»
«Aspetterei»
risponde con una sicurezza che Jonny non è certo lui possa
gradire.
«E
aspetteresti che cosa, di grazia?»
Il
tono è cupo questa volta. È basso e porta con
sé l’impronta di una minaccia che
non sembra in nessun modo spaventarla.
«Aspetterei
il mio puddin» ammette in un sussurro.
E
nella sua testa comincia la battaglia, perché Harley si
è permessa di sfidarlo.
Lo ha fatto in quel suo modo frivolo e leggero – quello che
non sembra né intenzionale
né razionale. Ma volente o nolente ha insinuato che per
qualche bizzarra
ragione – se lei fosse lontana – lui andrebbe a
cercarla. E questo J non può
accettarlo – lo sa Jonny e quant’è vero
che si chiama Frost, lo sa persino lei…
«Oh,
Harley-Harley… il tuo cervellino deve aver preso un
abbaglio! Deve averlo
fatto, sì!»
Dalla
fessura, Jonny può vedere il Joker passare una mano tra i
capelli.
Sono
guai quando fa – potrebbe scommetterci quanto di
più caro possiede a questo
mondo. Ma non perderebbe nulla il caro, vecchio Jonny – nulla
che non abbia già
perduto.
«Vuoi
punirmi, puddin?»
«Non
chiamarmi puddin.»
Il
Joker grugnisce. Si volta a cercare il suo volto e solo dopo averlo
trovato si
rilassa. Poi esala un monosillabo di assenso e il suo respiro si fa
intenso.
Nell’oscurità
Jonny non si muove.
Nel
buio deglutisce a malapena…
L’uomo
deglutisce, scuote la testa
e cerca di allontanare il ricordo delle loro voci.
Harley
lo avrebbe atteso per sempre
– Jonny riflette su quel piccolo ed insignificante
particolare, pensa a quel “tutto”
mentre attonito segue le sue gesta.
Joker
glie lo ha fatto promettere.
Lo ha fatto quel giorno, lo ha fatto tra una punizione, un ansito e una
carezza…
«Oh,
Harley Quinn… potresti aspettare per tutta una vita, lo
sai?»
«Lo
so.»
«E
lo faresti per… me?»
«Lo
farei. Per te.»
I
suoi occhi si erano posati su di lui – Jonny non aveva potuto
vederlo, ma l’eco
di quelle parole lo aveva raggiunto e questo era stato più
che sufficiente
perché lo immaginasse. Poi erano arrivati i sospiri, rauchi
e pesanti. E lui si
era fermato per l’ennesima volta – si era bloccato
in fondo a quel maledetto corridoio
che pareva non avere mai fine.
Era
in quel momento che era successo quello che era successo.
Era
in quel preciso istante che aveva scelto di tornare indietro.
Così,
c’era stato solo un breve attimo, un flash,
un’immagine, due corpi chiusi in
una stanza.
Harley
era in piedi quella volta – il signor J
in lacrime ai suoi piedi.
Jonny
strizza le palpebre, respira lento e svuota la mente; non ha mai
preteso di
capire, non gli è mai importato. Ma niente nella sua vita fu
mai stato più
chiaro.
Le
sirene ululano a Gotham. Lo
fanno persino in quel momento. Lo fanno persino quando la neve inizia a
cadere –
quando il frastuono di un vetro in frantumi si abbatte su loro.
Jonny
estrae la pistola, guarda in
alto mentre quella miriade di cocci infranti piomba su di loro
– mentre un
mantello scuro cala inesorabile sulle loro teste.
«Oh,
Batsy… ma che premuroso da
parte tua passare da queste parti.» Il Joker allarga le
braccia, sorride ed è
soddisfatto come fosse già Natale – intorno a lui
gli uomini si accasciano come
mosche putrefatte: qualcuno viene colpito da qualche stupido
bat-balocco,
qualcun altro si scaglia contro il vigilante e certamente non resta in
piedi
troppo a lungo per poterlo raccontare.
«È
ora di finirla, Joker.»
«Costringimi!»
Harley
si unisce al riso del suo
amante prima di attaccare e Jonny osserva le sue mosse eleganti, letali
e
raffinate. Segue le sue morbide gambe attorcigliarsi al collo del
crociato –lei
lo colpisce, lo fa con foga e il signor J prova ad assestare un paio di
colpi d’arma
da fuoco che sfortunatamente si perdono nel niente.
L’uomo
grugnisce all’ennesimo
tentativo fallito, porta il pollice e l’indice sulla fronte e
cerca di non perdere
quella che pare essere diventata l’ultima briciola della sua
pazienza.
«Harley?
Harley?» grida riluttante
all’improvviso «Se non state fermi non riesco a
colpirvi! È troppo difficile da
capire?»
Quando
ciò che è rimasto della
cupola finisce d’implodere sui loro corpi, Jonny comprende
quanto sia
irrimandabile l’abbandono del campo di battaglia.
«Abbiamo
un problema, capo» scandisce
con voce modulata mentre entrambi alzano lo sguardo.
«Uhhh,
signori e signore, diamo
tutti un caloroso benvenuto a Robin: primo episodio!»
C’è
rabbia nei suoi occhi.
C’è
un alone di rancore che si
bagna a malapena con un pianto senza suono. Jonny può
vederlo, riesce a percepirlo
nel preciso istante in cui l’uomo sferra il primo attacco
verso il suo capo. Ma
il signor J rimane immobile – sogghigna e quasi fremente
aspetta che il pugno
lo colpisca in pieno volto. «Oh…»
sussurra neppure troppo dolorante prima di
tornare di nuovo a guardarlo «Ho colpito Jason molto
più forte di così, lo sai,
vero?»
Nightwing
– o Robin: parte prima,
come J ama definirlo – chiude entrambe le mani in un atto che
parla di dolore. Jonny
riesce a scorgere l’espressione beata e soddisfatta che si
accende negli occhi
del suo capo – in quelli di Harley che tra un colpo di
pistola e un calcio è riuscita
a voltarsi verso di loro per suggellare lo spirito di quella gag bene
assestata.
Il resto si esprime attraverso la folle risata che il suo amante non
è riuscito
a trattenere – nella sua rapida ricerca di una degna
conclusione da manuale.
«Gente
di Gotham!» intona con
sarcasmo nello stesso istante in cui le sue dita guantate si stringono
attorno al
metallo scuro di una granata «Vi informo che mediante la
propagazione di
schegge metalliche, sto per arrecarvi gravi danni fisici e spero anche
mentali!»
Jonny
si guarda intorno, sospira e
alzando la pistola il suo sguardo si assottiglia: circa un secondo
più tardi il
boato di uno sparo precede l’innesco dell’impianto
azionante l’anti incendio – gli
irrigatori sul soffitto si accendono quasi all’improvviso, la
luce principale
scompare e al suo posto non resta che un bagliore appena soffuso.
«Ognuno
pensi a sé!» grida euforico
il clown tra un singulto e l’altro. Poi la spoletta cade a
terra e di loro non
resta che il fumo e una manciata di niente.
Le
sirene ululano a Gotham. Continuano
a farlo anche in quel momento – anche dopo molte ore dalla
loro fuga.
Jonny
ha guidato. È salito sulla
sua auto e solo dopo un paio d’isolati si è reso
conto di avere persino acceso
l’autoradio – la mezzanotte è scoccata
con l’augurio di un sereno Natale, con
le voci radiofoniche di Lia Briggs e Linda Park, proprio
nell’esatto istante in
cui lui ha posteggiato.
La
Lamborghini è già al suo posto
quando agganciando la giaccia si dirige verso l’ingresso del
palazzo – di
Harley Quinn non c’è nessuna traccia, Jonny
può capirlo dal passo pesante e
fremente del suo capo, da quell’unico suono che lo accoglie
quando varca la
soglia di ciò che chiama casa.
Il
signor J non preferisce parola.
Non emette neanche un fiato mentre nervoso cammina su e giù
per la sua stanza.
Le luci colorate appese alle pareti illuminano ogni tratto asserito del
suo
volto, lo fanno quanto basta da minare quello che di fatto risulta
essere il
suo già precario autocontrollo.
È
stata lei a pretenderle.
È
stata lei a convincerlo ad uscire
per l’assurdo desiderio di un fottuto regalo di natale.
E
adesso è solo lei a mancare.
Jonny
resta fuori dalla stanza. Lo
fa senza alcun pensiero né rimorso. Lo fa perché
se c’è una cosa che ha imparato
a fare bene – dopo tutti quegli anni passati insieme
– è certamente quella di
saper valutare quando la sua preziosa presenza non è in
nessun modo richiesta.
Esattamente come in quel momento. Proprio come in
quell’attimo in cui il clown
è intendo a sorseggiare quello che ha tutta l’aria
di essere un vino pregiato.
Cammina
il signor J, farfuglia un
qualcosa di non troppo definito e nella mani tiene salda la pistola
– il bicchiere
è sopra il tavolo vicino.
Sta
per chiamarlo. Jonny ne è certo
come lo è del fatto che tra non molto inizierà a
sparare contro quelle stupide
luci di natale. Poi qualcosa succede. Poi è il rumore di una
porta che si
chiude.
«Buon
Natale, gente! Qua fuori fa
un freddo!»
Harley
scuote le braccia e d’istinto
porta le dita a sistemare una ciocca di capelli. Si avvicina prima
lentamente e
poi completamente, lo abbraccia e con assoluta dolcezza posa le labbra
sopra la
sua guancia. «Auguri, Jonny-Jonny» sussurra quasi
tenera prima che il signor J
richiami tutta la sua attenzione.
«Appena
in tempo, tesoro. Ancora
qualche minuto e avrei sparato al tuo regalo. Giuro!»
Il
caricatore s’inserisce con uno
scatto che non le suscita niente se non euforia e l’inizio di
un sorriso.
«Per
me?» chiede maliziosa entrando
nella stanza.
Jonny
osserva la donna sparire
oltre la soglia e annuisce al nulla prima di decidere di allontanarsi a
sua
volta.
Non
avrebbe mai creduto che J fosse
quel tipo di uomo, o forse più semplicemente che solo
provasse ad esserlo. E
non c’entrano quasi per niente quelle cose schifose che a
volte riesce a fare ai
cuccioli di gatto o cane. Nossignore, quelle sono altre storie e Jonny
cerca
invano di scacciarle dai pensieri mentre assorto riflette su cosa
potrebbe mai esserne
di quel regalo che con così tanta premura si è
procurato – di quel cucciolo di
iena che ha fatto sottrarre dallo zoo, di quello che ha fatto solo per
accontentare lei.
Note:
-
La storia di Killer
Croc mi è venuta in mente pensando a quello che
dice lui
stesso in Suicide Squad, ovvero che
stava cercando un rifugio sicuro da Batman… ma che non lo ha
trovato.
-
Il nuovo lavoro preferito a cui allude
J, ovvero uccidere Robin, si ricollega sia a Batman
V Superman che a Suicide
Squad e prende spunto dal famoso dialogo Joker/Maschera Nera
che avviene
nel fumetto Crimini di Guerra.
-
Il secondo flash con protagonisti Harley
e Joker prende spunto invece da uno dei tatuaggi
di Harley, nello specifico quello che dice “I’ll
wait forever”.
- Quando
Joker pronuncia la frase: “Ho
colpito Jason molto più forte di così”
è un omaggio che ho voluto fare al fumetto da cui proviene
la suddetta, Joker: L’ultima risata.
Per chi non ne
fosse a conoscenza specifico che Jason
Todd è il secondo Robin, lo
stesso Robin che nel fumetto Una morte in
famiglia muore per mano
del Joker, e quindi – presumibilmente –
è il Robin morto a cui si allude sia in
BvS che in SS.
Il primo – sempre per chi non lo sapesse –
è invece Dick Grayson
che abbandonate le vesti di
Robin si fa chiamare Nightwing.
-
Nel finale il regalo
del Joker è un cucciolo
di iena.
Questo è un omaggio alle iene che lui e Harley possiedono
nella
serie animata, Bud e Lou, ricordate? Qui nella storia ho deciso di
introdurne
solo una. Non chiedetemi il motivo, mi sembrava solo più
plausibile! Curiosità: riguardo al pensiero finale di Jonny su cosa il signor J faccia di tanto spregevole ai cuccioli di gatto o cane (e per questo stranito dal regalo che ha deciso di fare ad Harley) beh, è di fatto una cosa che ammette lo stesso J nel fumetto Joker: L'ultima Risata. Quelle da me usate sono le sue medesime parole.
- Lia Briggs e Linda Park sono
davvero due conduttrici radiofoniche e sono citate in alcuni fumetti. Tommy Bang Bang, invece, appare in Joker di Azzarello e viene realmente ucciso da Mister J per una questione di "parti" (ovviamente si parla di soldi) che a J non piace/torna proprio per niente! Omaggio al Joker di Azzarello è anche la scena in cui Jonny vede il Joker ai piedi di Harley Quinn.
- L'immagine qui sotto
è stata partorita dalla sottoscritta appositamente per la
shot.
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